La radiazione Gamma
La radiazione gamma proveniente da un corpo celeste non è legata al movimento degli elettroni ma a processi di decadimento radioattivo e indica la parte energeticamente più violenta dell'universo
Con radiazione Gamma si fa riferimento a una lunghezza di onda inferiori a 1 pm, a una radiazione elettromagnetica prodotta dal decadimento radioattivo o da altri processi nucleari subatomici.
Contrariamente alle altre radiazioni, quindi, la sorgente è legata a processi nucleari e non al rapido movimento degli elettroni. I raggi Gamma rappresentano le lunghezze d'onda più corte (frequenze maggiori), il che equivale a dire che rappresentano i fotoni di maggior energia che si conoscano, quelli che unitamente ai raggi X danno vita al così detto universo violento.
La radiazione gamma è la radiazione compresa nello spettro elettromagnetico per frequenze che vanno dai 300 EHz in su, corrispondenti a una lunghezza d'onda inferiore a 1 pm.
Per fortuna degli abitanti sulla Terra i raggi gamma vengono assorbiti dall'atmosfera terrestre e per raccoglierli e studiarli occorre quindi elevarsi ad almeno cento chilometri di altezza sulla superficie terrestre.
Studiare l'universo ai raggi gamma vuol dire esaminare le radiazioni più energetiche, legate agli eventi più catastrofici dell'universo stesso. Per questo, parlando di studio della radiazione gamma in campo astronomico, si fa spesso riferimento al concetto di universo violento, come può derivare dalla materia che cade in un buco nero , da una esplosione di supernova oppure da un GRB . I raggi gamma nell'ordine dei Mega elettronVolt, invece, possono originare anche all'interno del Sistema Solare, quindi dalla radiazione solare ma anche dall'atmosfera terrestre durante i temporali. I raggi gamma più interessanti sono tuttavia quelli nel campo dei GeV, di origine extragalattica.
Oltre alle tipologie "classiche" di sorgenti di radiazione gamma, negli ultimi anni le osservazioni hanno portato a identificare come origine altri due processi meno comuni. Pulsar , supernovae e ipernovae e attività di AGN sono quindi state raggiunte da processi come le novae, l'interazione tra venti stellari oppure ancora l'interazione di getti di microquasar e radiazione cosmica di fondo nonché il periastro raggiunto da una coppia di corpi celesti pesanti come una stella di neutroni con forte campo manetico accompagnata da una stella molto massiva (link all'articolo).
Per quanto riguarda i venti stellari, infatti, le osservazioni operate in sistemi binari particolarmente massicci ha portato alla detection di radiazione gamma. Si tratta di onde di particelle cariche irradiate da campi magnetici stellari molto forti. I campi magnetici di questa potenza riescono a creare dei flare molto intensi e a rilasciare burst molto consistenti di particelle. In un sistema stellare, questi flussi di particelle possono essere indirizzati verso stelle compagne incontrandone il vento emesso e generando una onda d'urto in grado di emettere radiazione gamma in tutte le direzioni. Un esempio eclatante in tal senso è offerto dal sistema di Eta Carinae, le cui componenti di 30 e 80 masse solari sono fonti di venti eccezionalmente forti (Detection of very-high-energy γ-ray emission from the colliding wind binary η Car with H.E.S.S., Astronomy & Astrophysics - 2020).
Per quanto riguarda le supernovae, una analisi dei dati di Fermi Gamma-ray Space Telescope ha portato alla prima osservazione di raggi gamma emessi all'interno di una galassia vicina. Questa scoperta è di sicuro aiuto per la comprensione delle interazioni tra supernova e ambiente circostante. Dopo una esplosione stellare, l'espulsione di materia da parte della supernova si espande e incontra il mezzo interstellare circostante. Secondo i modelli, questo genera un forte shock e una frazione dell'energia cinetica dell'ejecta si trasforma in raggi cosmici , radiazione ad alta energia composta primariamente di protoni (90%) e nuclei atomici.
Come sorgente di raggi gamma, il 2021 ha preso in considerazione anche i buchi neri più quieti: durante l'accrescimento (anche lento) si rilascia una quantità enorme di energia gravitazionale in grado di scaldare il gas ionizzandolo e trasformandolo in plasma ad alte temperature. Non un miliardo di gradi come il processo degli AGN prevede ma un livello dieci volte superiore, con una differenza che si traduce in una differente emissione di raggi gamma, più efficiente. Dato l'elevato numero di buchi neri di questo tipo, la sorgente più rilevante potrebbe proprio essere fornita da questa tipologia di processo (Nature Communications - “Soft gamma rays from low accreting supermassive black holes and connection to energetic neutrinos” - Shigeo S. Kimura et al.)
I raggi cosmici maggiormente energetici, tanto da arrivare a velocità approssimabili a quelle della luce, sono detti UHECR (Ultra High Energetic Cosmic Rays) e il processo alla loro base è da sempre una sorta di mistero. Uno studio del 2019, tuttavia, sembra ricondurne l'origine ai filamenti di galssie collegate all'Ammasso della Vergine. I raggi di tipo UHECR hanno energie superiori ai 1019 eV (limite di Greisen-Zatsepin-Kuzmin - GZK) e il Telescope Array (TA) nello Utah nasce proprio per individuarne le origini. Il telescopio ha individuato 72 raggi di questo tipo in cinque anni e, tra questi, 19 sono arrivati da un hotspot di recente origine nell'Orsa Maggiore, proprio dove non sembrano esserci oggetti tali da scatenare energie simili. In zona, però, le galassie sono legate a tre filamenti connessi all'Ammasso della Vergine. I raggi cosmici UHECR, quindi, originano da fonti nell'Ammasso e, prima di disperdersi verso di noi, fuggono e si propagano sui filamenti. Resta comunque il mistero e per questo si cercano continuamente nuovi indizi: tra questi, una nuova caratteristica è stata rtovata nello spettro dei raggi cosmici a 13 quintilioni di elettronvolt, un picco che rappresenta la compartecipazione ai raggi non solo dei protoni ma anche di elementi chimici più pesanti in un mix che cambia con l'energia (A. Aab et al. Features of the Energy Spectrum of Cosmic Rays above 2.5×1018 eV Using the Pierre Auger Observatory, Physical Review Letters - 2020).
La misura più precisa dell'energia dei protoni dei raggi cosmici si deve al Dark Matter Particle Explorer (DAMPE) della Cina, in orbita dal 2015, con misurazioni fino a 100 TeV. Lo scopo di DAMPE è proprio studiare le proprietà della materia oscura osservando i raggi gamma ad alta energia e gli elettroni, studiare le possibili origini dei raggi cosmici e studiare la natura della propagazione e accelerazione dei raggi cosmici stessi. Gli spettri hanno evidenziato come i protoni subiscano variazioni locali che portano l'energia fino a centinaia di miliardi di eV prima di tornare a livelli inferiori ai 14 TeV (Measurement of the cosmic ray proton spectrum from 40 GeV to 100 TeV with the DAMPE satellite, Science Advances - 2019)
Gran parte del processo è ancora sconosciuta, comunque, e una delle domande aperte riguarda la frazione di esplosione che viene accelerata in raggi cosmici.
In teoria, un modo per rispondere è osservare i raggi gamma. In una galassia a starburst, la collisione di raggi cosmici accelerati con il mezzo interstellare deve produrre una notevole quantità di raggi gamma a alta energia. La radiazione dovrebbe poi fuggire dalla galassia e mostrarsi a noi.
Arp 220 in luce ottica. Credit HST/NASA/ESA
I test osservativi di questo modello sono stati operati sulla galassia Arp 220, ultraluminosa nell'infrarosso. Questa galassia è il prodotto di una fusione avvenuta circa 700 milioni di anni fa, fusione che ha alimentato una formazione stellare molto intensa. A causa della elevata concentrazione di polvere e gas, Arp 220 è stata a lungo indicata come sorgente intensa di radiazione gamma in caso di supernovae, ma nulla di ciò è mai stato osservato finora. Un recente studio (2017) ha rielaborato 7,5 anni di dati di Fermi attraverso il nuovo software di analisi Pass 8, rivelando finalmente una emissione a GeV da Arp 220. Lo studio attribuisce questa emissione all'interazione con il gas interstellare, il che è supportato dalla mancanza di variabilità nell'emissione stessa e dal fatto che la luminosità dei raggi gamma da Arp 220 sia consistente con la relazione tra raggi gamma stessi e luminosità infrarossa dovuta a formazione stellare. A causa della intensa densità di gas galattico, tutti i raggi cosmici interagiscono con il gas stesso prima di fuggire da Arp 220.
Sotto queste assunzioni, il team di scienziati ha utilizzato la luminosità in raggi gamma e il tasso noto di supernovae in Arp 220 per stimare l'efficienza dell'accelerazione dei raggi cosmici da parte dei resti di supernova. Il team ha determinato che circa il 4,2% dell'energia cinetica (con errore possibile del 2,7%) dei resti di supernova è utilizzato per accelerare i raggi cosmici fino a 1 GeV.
E' la prima volta che questo tasso viene misurato direttamente dall'emissione gamma, ma la stima è consistente con la stima del 3-10% di efficienza nella Via Lattea.
Anche le novae, come accennato, sono fonte di radiazione gamma e la prova è venuta dal satellite Fermi il quale ha registrato un picco gamma in concomitanza con il picco di luminosità nel visibile durante un evento di questo tipo. La registrazione ha riguardato la nova V959 accesasi a giugno 2012 alla distanza di 6.500 anni luce da noi (Unicorno). Il processo in grado di alimentare la produzione di radiazione gamma è legato probabilmente all'interazione dei campi magnetici con particelle in movimento a elevatissime velocità. Inizialmente la nana bianca e la sua compagna hanno trasferito parte della propria energia di rotazione a una parte del materiale espulso durante l'esplosione, accelerando lungo il piano delle loro orbite; in un secondo momento la nana bianca ha prodotto un flusso di particelle veloci in allontanamento lungo i poli del piano orbitale. Quando questo getto ha urtato il materiale precedentemente emessso, l'onda d'urto prodotta ha accelerato le particelle ad un'energia tale da produrre raggi gamma. Non si tratta dell'unico caso visto che ancor prima, nel 2010, il telescopio LAT di Fermi rilevò una emissione in coincidenza con la nova simbiotica V407 Cygni, a oggi considerata capostipite di una nuova categoria di oggetti gamma. Nel 2020, proprio intorno a questa nova simbiotica, sono stati osservati segni di shock in banda radio derivanti dall'esplosione del materiale grazie al Very Long Baseline Array (VLBI). E' stato possibile anche osservare la disposizione della coppia, con la gigante rossa in primo piano e la nana bianca dalla quale partono due getti opposti (Astronomy&Astrophysics - “Very long baseline interferometry imaging of the advancing ejecta in the first gamma-ray nova V407 Cygni” - M. Giroletti et al.).
Montaggio della radiazione gamma galattica sopra i telescopi H.E.S.S. in Namibia. Credit: Namibia: F. Acero,
with a gamma-ray source map: HESS Collaboration
La Galassia è stata anche osservata per 15 anni nello spettro gamma dallo High Energy Stereoscopic System (HESS) catalogando, nel 2018, settanta sorgenti altamente energetiche comprese 16 di nuova scoperta. Queste sorgenti atipiche sono state trovate verso un ammasso di stelle che accoglie una delle stelle maggiormente massicce ed energetiche della Via lattea, la stella blu variabile LBV1806-20. Oltre a questo astro è presente anche una magnetar molto rara, ma si sospetta che la sorgente gamma sia da legare maggiormente alla stella blu e questo legame sarebbe il primo scoperto alla data del catalogo visto che le emissioni gamma altamente energetiche provengono in genere da pulsar e resti di supernova. Il catalogo, intanto, contiene anche l'immagine più dettagliata di una sorgente gamma, un resto di supernova vicino, che consentirà lo studio a scale sempre più piccole. Metà delle sorgenti resta ancora senza una origine certa.
Come si genera la radiazione gamma
Ci sono vari meccanismi che possono portare all'emissione di energie tanto alte quanto quelle della radiazione gamma, e solo conoscendo questi meccanismi è possibile prevedere quali corpi celesti possano essere in grado di produrli. I raggi gamma esistono per l'esistenza di raggi cosmici che interagiscono con la materia e con fotoni meno energetici, oltre che con i campi magnetici presenti nello spazio galattico. Generatori di radiazione gamma sono:
- interazione tra due protoni oppure fra un protone e un nucleo più pesante, o fra due nuclei: un protone o un nucleo che si muovono nel mezzo interstellare a velocità prossime a quella della luce urta un altro protone o un altro nucleo formando particelle instabili che dopo un milionesimo di secondo spariscono, rilasciando due fotoni gamma;
- un elettrone di alta energia interagisce un fotone di bassa energia, trasferendogli parte della propria energia e trasformandolo in fotone gamma;
- un elettrone, interagendo con un elettrone o un altro nucleo, è frenato dal campo elettrico di quest'ultimo e, se la sua energia era sufficientemente alta, irraggia un fotone gamma;
- un elettrone molto veloce che viene frenato da un campo magnetico di molti miliardi di gauss (legati a stelle molto dense) emette un fotone gamma;
- interazione tra elettrone e positrone, o fra protone e antiprotone, che si annichilano portando alla produzione di raggi gamma.
In termini di ionizzazione, la radiazione gamma che si è generata può interagire con la materia tramite:
- Effetto fotoelettrico: si verifica quando un fotone gamma interagisce con un elettrone trasferendogli tutta la sua energia, con il risultato che l'elettrone viene espulso dall'atomo di originaria appartenenza.
- Scattering Compton: l'effetto è lo stesso del caso fotoelettrico (espulsione dell'elettrone) ma l'energia addizionale viene convertita in un nuovo fotone gamma, meno energetico e con direzione diversa da quello di partenza.
- Produzione di coppie elettrone-positrone: l'energia del fotone incidente è convertita nella massa di una coppia elettrone/positrone. L'elettrone è molto ionizzante. Il positrone si ricombina prestissimo con un elettrone libero. L'intera massa delle due particelle viene quindi convertita in due fotoni gamma con pari energia.
Ultimo aggiornamento del: 03/10/2021 11:31:48
Osservazione dell'universo a raggi gamma
L'osservazione dell'universo a raggi gamma risale alla seconda metà del secolo scorso e raggiunse l'apice dell'interesse di fronte alla scoperta di lampi di breve durata ma di energia devastante, lampi che vengono chiamati Gamma Ray Bursts
L'osservazione dell'universo a raggi gamma risale alla seconda metà del secolo scorso e raggiunse l'apice dell'interesse di fronte alla scoperta di lampi di breve durata ma di energia devastante, lampi che vengono chiamati Gamma Ray Bursts.
Si tratta di osservazioni estremamente difficili a causa della rarità degli eventi, rarità che rende necessaria una osservazione dell'intero cielo con esposizioni di più minuti per giungere a risoluzione peraltro ancora basse: la Nebulosa del Granchio, ad esempio, è una sorgente molto ampia se osservata nello spettro visibile ma come sorgente gamma appare soltanto in pochissimi pixel. E il numero di pixel decresce aumentando la sensibilità del sensore a valori energetici superiori. Anche il tempo di esposizione non è immediato come nel visibile: per rilevare la Nebulosa del Granchio infatti occorrono almeno un paio di minuti ai telescopi più moderni come il Cherenkov.
Crab Nebula (M 1) a diverse frequenze. Ciò che in spettro visibile appare come un oggetto esteso, a raggi gamma
diventa qualcosa di poco più grande di un pixel. Crediti Wikipedia
Si è detto che l'atmosfera taglia la radiazione gamma ma in realtà una piccola parte riesce a penetrare. Arriva però in superficie sotto forma di pioggia di particelle a energie inferiori, quindi si crea il problema di mantenere rilevatori abbastanza ampi da riuscire a catturare interi sciami di particelle o comunque parti abbastanza rappresentative degli stessi. A oggi, quindi, esistono telescopi orbitanti dedicati all'osservazione gamma così come esistono rilevatori sulla superficie terrestre.
Osservatori orbitanti
Explorer 11 - National Air and Space Museum
I primi tentativi di osservazione gamma furono effettuati negli anni Sessanta del Novecento, ma solo agli inizi degli anni Settanta si riuscì ad avere la certezza della presenza di questa radiazione emessa da corpi celesti.
Il primo satellite orientato alla radiazione gamma fu l'Explorer 11, lanciato nel 1961, che riportò un centinaio di fotoni provenienti da tutte le direzioni tanto da lasciar pensare alla presenza di un fondo gamma derivante dall'interazione tra raggi cosmici e mezzo interstellare. La prima sorgente osservata fu di natura solare, derivante dai brillamenti della nostra stella e precisamente dalla formazione di deuterio conseguente alla fusione di un protone con un neutrone. L'osservazione fu firmata dai satelliti OSO-3 e OSO-7.
Il 1967 portò alle prime rilevazioni di radiazione gamma di origine galattica grazie ai sensori del satellite OSO-3, con 621 fotoni catturati.
Un grande passo in avanti fu invece merito dei satelliti Small Astronomical Satellite n°2 (SAS-2) e COS-B.
SAS-2 fu lanciato nel 1972 e funzionò per soli sei mesi, osservando una emissione gamma proveniente dall'equatore galattico, soprattutto in prossimità del centro della Via Lattea.
Il COS-B, lanciato nel 1975, riuscì a captare la stessa emissione ed operò per più di cinque anni, invece dei due messi a preventivo. Durante questo tempo furono osservate sorgenti gamma puntiformi, anche se non identificabili con oggetti visibili (mancavano quindi di quella che viene definita controparte ottica), calate in un fondo gamma che venne quindi confermato.
Il catalogo 2CG elaborato da COS-B è stato pubblicato nel 1981 e comprendeva 25 sorgenti gamma. Credit NASA.
Come spesso accade, motivi militari - si era in piena guerra fredda - spinsero gli USA a inviare in orbita , nel 1973, i satelliti Vela, finalizzati a scoprire eventuali esplosioni nucleari clandestine sul territorio. Proprio questi satelliti fecero invece una delle scoperte più inaspettate di tutta l'astrofisica, osservando lampi di brevissima durata ma di intensità mai vista fino ad allora. Si parlò per la prima volta di gamma bursts e da allora tutta l'astronomia gamma è incentrata su questi lampi, chiari fenomeni di eventi ancora non ben identificati ma di sicura matrice catastrofica. In realtà, lavori di Eugene Feenberg e Henry Primakoff del 1948 e di Morrison nel 1958 prevedevano già la possibile esistenza di questi subitanei rilasci di energia elevatissima, ma nulla fino ad allora era mai stato scorto.
Inizialmente non si riuscì a determinare la direzione di questi lampi, ma soltanto a percepirne la natura di fenomeni talmente intensi da superare di gran lunga tutte le sorgenti gamma "normali" messe insieme. Se i nostri occhi fossero sensibili alla radiazione gamma, durante un burst vedrebbero il cielo rischiararsi per secondi o minuti senza capire la direzione di provenienza dell'illuminazione.
Nel frattempo, il 1979 portò anche alla osservazione di lampi ripetuti provenienti da una magnetar .
Si passò quindi a satelliti finalizzati proprio alla rivelazione della natura di questi lampi: il primo è il Compton GammaRay Observatory (CGRO), lanciato dalla NASA nel 1991 come parte del progetto HEAO 1 iniziato nel 1977. A bordo di Compton erano quattro strumenti principali (il più famoso dei quali chiamato EGRET, Energetic Gamma Ray Experiment Telescope) in grado di migliorare sensibilmente la risoluzione spaziale e temporale delle rilevazioni gamma. Grazie a Compton ci si rese conto di come i lampi provenissero, in media di uno al giorno, da tutte le direzioni possibili e si iniziò a pensare anche a una provenienza extragalattica. Se questa era la distanza reale, allora l'energia sprigionata da un gamma-ray burst (GRB) doveva essere di un miliardo di volte maggiore rispetto a quelle emessa da tutta la galassia di appartenenza.
Una volta trovata la direzione, ci si rese conto che per determinare quale oggetto potesse creare tanta energia era necessario affinare gli strumenti, visto che in qualche grado di cielo (misura dell'errore di CGRO nell'individuazione della direzione) ci sono migliaia di stelle e di galassie e trovare la sorgente precisa era compito decisamente arduo.
Il terzo catalogo di EGRET conta 271 sorgenti: 5 pulsars, 1 solar flare, 66 blazar, 27 possibili blazar, 1 probabile radiogalassia (Cen A),
1 galassia normale (LMC), e 170 sorgenti non identificate. Crediti NASA
Beppo-SAX è un satellite italo-olandese dedicato al fisico Giuseppe Occhialini, detto Beppo. Lanciato il 30 aprile del 1996 con lo scopo di studiare il cielo in banda X, non mancò comunque di fornire un prezioso apporto alla detection di lampi gamma grazie alla peculiarità di passare in poche ore da osservazioni gamma ad osservazioni X: una sorgente che ha una esplosione gamma, infatti, molto probabilmente con il tempo tende ad affievolirsi scemando verso l'energia appartenente allo spettro X e poi a quello visibile (afterglow). Attraverso la nuova strumentazione si rese quindi possibile:
- individuare la direzione del lampo gamma;
- puntarci i telescopi in banda X;
- puntare i telescopi terrestri in banda ottica per capire quale fosse precisamente l'oggetto sorgente.
Il giorno 8 maggio del 1997 invece ci fu la svolta: Beppo-SAX dallo spazio ed il Keck da Terra individuarono la provenienza del raggio nella zona periferica di una lontana galassia , posta a circa 8 miliardi di anni luce da noi. A quella distanza, l'energia di pochi secondi è risultata pari cento volte quella emessa dal Sole in 10 miliardi di anni, il che rese veramente ufficiale il fatto che si fosse in presenza di fenomeni devastanti. Il fatto che la sorgente si trovasse nella zona periferica di una galassia, poi, indusse a pensare che non si trattasse dell'attività di un buco nero supermassiccio ma di un fenomeno simile ad una supernova oppure al collasso e fusione di due stelle di neutroni.
Il satellite High Energy Transient Explorer 2 (HETE-2) fu invece lanciato il 9 ottobre 2000 (in una missione prevista di 2 anni) e operò fino al marzo 2007. L'operazione congiunta di Beppo-SAX e di HETE-2 ha consentito di osservare numerose controparti ottiche e X legate ai GRB registrati, consentendo quindi di determinare la distanza delle sorgenti e di studiarne l'afterglow. Proprio queste osservazioni di dettaglio hanno consentito di far risalire le emissioni a processi di supernova o ipernova esplose in galassie molto remote.
Rappresentazione artistica del satellite Swift.
Credit NASA
Il 2004 vede il lancio dello Swift Gamma-Ray Burst Explorer, più noto semplicemente come Swift e operativo fino al 2015. Al suo interno lo strumento BAT fu dedicato essenzialmente alle osservazioni di Gamma Ray Bursts.
Swift Gamma Ray Burst Explorer, della NASA, è stato lanciato nel 2004 e ha studiato in modo particolare i GRB. Ribattezzato Neil Gehrels Swift Observatory nel 2019, Ha scoperto numerose controparti ottiche ed in banda X di tantissimi gamma-ray bursts, fornendo indicazioni delle distanze e dei resti dell'esplosione. Ha consentito di scoprire come la maggior parte dei GRB abbia origine da stelle supermassicce in galassie distanti.
INTEGRAL (INTErnational Gamma-Ray Astrophysics Laboratory), dell'ESA in collaborazione con Repubblica Ceca, Polonia, USA e Russia, è in orbita dal 17 ottobre del 2002.
Astrorivelatore Gamma ad Immagini LEggero (AGILE) è una missione di piccolo taglio messa in piedi dall'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) in collaborazione con INAF e INFN. Il suo lancio è avvenuto il 23 aprile 2007.
GLAST (Gamma-ray Large Area Space Telescope), della NASA, è in orbita dal giorno 11 giugno del 2008 ed è meglio noto come Fermi Gamma-Ray Observatory, nome che è stato attribuito dopo il lancio. Il fatto di chiamarsi "Large Area" indica una zona di osservazione molto più ampia rispetto ai satelliti che lo hanno preceduto (ogni istante riesce a monitorare il 20% del cielo da 330 miglia di altitudine e con un'orbita compiuta in 95 minuti), unita a una migliore risoluzione spaziale frutto del progresso tecnologico. Al suo interno rivestono una particolare importanza il telescopio LAT (Large Area Telescope) e il GLAST Burst Monitor per lo studio dei GRB. Il 12 aprile 2017 Fermi ha festeggiato il raggiungimento della soglia di un miliardi di raggi gamma extragalattici osservati, a testimonianza di una supremazia indiscussa nel campo delle alte energie. Un satellite che è stato in grado di portare il numero di pulsar conosciute da sette a più di duecento e che ha consentito di rivedere totalmente la natura degli oggetti sorgente.
Osservatori terrestri
Il 23 ottobre 1968 venne inaugurato in Arizona il telescopio a Cherenkov Whipple al Fred Lawrence Whipple Observatory. La prima sorgente galattica di raggi gamma ad alta energia (TeV) si deve proprio al Whipple nel 1989: la radiazione proveniva dalla Crab Nebula derivante dalla supernova del 1054. Successivamente il telescopio osservò anche sorgenti extragalattiche come gli AGN in Markarian 421 e Markarian 501.
I rilevatori presenti oggi sul suolo terrestre sono invece HAWC, MAGIC, HESS, VERITAS e Astri-Horn
L'esperimento High Altitude Water Cherenkov Experiment (HAWC) è un osservatorio posto sul pendio del vulcano Sierra Negra (Messico, 4100 metri di altitudine) avviato il 14 agosto 2014 allo scopo di catturare raggi cosmici e raggi gamma. Nasce da una collaborazione tra molte università statunitensi e Messicane ed è l'erede dall'osservatorio gamma Milagro posto nel Nuovo Messico. L'effetto Cherenkov consiste nell'emissione di una radiazione elettromagnetica indotta dal passaggio polarizzante di una particella carica in un materiale le cui molecole vengono, appunto, polarizzate. L'effetto si verifica solo se la velocità della particella nel mezzo attraversato è superiore alla velocità della luce nello stesso mezzo (la velocità della luce non può essere superata nel vuoto).
HAWC. Crediti: Collaborazione HAWC
MAGIC (Major Atmospheric Gamma-ray Imaging Cherenkov Telescope) è ad oggi il telescopio gamma più grande al mondo, nato dalla collaborazione di team italiani, tedeschi e spagnoli e posto a La Palma alle Canarie. Si compone di due parabole da 17 metri ciascuna e riesce a captare radiazione gamma extraterrestre, originata quindi da resti di supernova, GRB e annichilazione di materia oscura.
HESS (High Energy Stereoscopic System, il cui acronimo riporta a Victor Hess, scopritore della radiazione gamma) è un insieme di cinque telescopi a effetto Cherenkov dedicato alla radiazione gamma tra 100 GeV e 100 TeV. L'impianto si trova in Namibia ed è attivo dall'estate 2002. Nel 2004 ha ottenuto per la prima volta una immagine a due dimensioni (e quindi non puntiforme) di una sorgente estesa di raggi gamma (RX J1713.7-3946).
VERITAS (Very Energetic Radiation Imaging Telescope Array System) è un array di quattro riflettori da dodici metri ciascuno, dedicato all'osservazione del cielo in banda gamma tra GeV e TeV. Utilizza l'Imaging Atmospheric Cherenkov Telescope per osservare i raggi gamma che causano la pioggia di particelle in atmosfera terrestre. E' stato completato nel 2007.
CHERENKOV ASTRI-HORN è un telescopio Cherenkov con ottica aplanatica a doppio specchio Schwarzschild-Couder, parte del progetto Astri di INAF e finalizzato alla progettazione e all'utilizzo di un prototipo di telescopio completo che sarà il preambolo al futuro Cherenkov Telescope Array Observatory. Il telescopio è dedicato a Guido Horn d'Arturo e si trova sul monte Etna. Lo schema ottico consente di ottenere un campo di vista di dieci gradi di diametro, con due specchi posti in asse in modo da riflettere e focalizzare la luce in modo omogeneo. Le prime immagini sono datate Dicembre 2018 - Gennaio 2019 e sono puntate sulla Crab Nebula, per un tempo di 29 ore totali.
CHERENKOV TELESCOPE ARRAY - Un consorzio di 1420 ricercatori da più di 200 istituti di 31 paesi sta sviluppando il futuro Cherenkov Telescope Array (CTA), un array di centodiciotto telescopi posti a La Palma e in Cile in un progetto supportato da due progetti europei come CTA-PP (CTA - Preparatory Phase) e CTA-DEV (CTA Development and Start of Implementation). Il telescopio osserverà il cielo alle più alte energie con una risoluzione a oggi impensabile, con una accuratezza dieci volte più sensibile di qualsiasi strumento esistente. Consentirà di tracciare la radiazione gamma emessa da supernovae e buchi neri. Il team svilupperà tre classi di telescopi (piccolo, medio e grande) per identificare i raggi gamma in un range di energie tra 20 GeV e 300 TeV. I primi telescopi saranno installati nel 2020 mentre le operazioni inizieranno nel 2022 per il completamento dei lavori previsto al 2025.
Ultimo aggiornamento del: 16/10/2019 21:54:26
Le osservazioni e le scoperte in spettro gamma
L'astronomia gamma, grazie alle osservazioni degli strumenti dedicati, è riuscita a mostrare un universo diverso da quanto si conosceva fino a pochi anni fa. Un universo fatto di bolle dal centro galattico e di oggetti compatti presenti ovunque
Mappa del cielo a raggi gamma. Crediti Fermi/NASA
Nell'immagine è rappresentata la mappa del cielo in raggi gamma come ottenuta da LAT in sei anni di studio. La banda orizzontale gialla e rossa al centro indica il centro della nostra galassia . I punti in rosso sono singole e più luminose sorgenti di raggi gamma, mentre la parte in blu è composta dalle sorgenti più deboli, compresa - forse - la materia oscura e il suo decadimento.
La sorgente TeV J1930+188 risultate dalla
mappa di HAWC. Credit HAWC Observatory
La mappa che oggi diamo per ultima release risulta dal terzo catalogo di Fermi, pubblicato a inizio 2015 come risultato di 48 mesi di lavoro e comprendente 3.033 emissioni gamma non sporadiche e quindi legate a oggetti in grado di emettere fotoni gamma come processo "normale". Curiosamente, per il 33% dei casi la natura della sorgente è ancora un mistero mentre soltanto per 232 oggetti è stata determinato il corpo celeste di origine. In 137 casi si tratta di pulsar , in 38 si parla di quasar , 18 sono i blazar di tipo BL Lac e 12 i resti di supernova . Il resto sono sistemi binari anche se stiamo parlando essenzialmente della radiazione più brillante. Ne esiste una più debole ancora tutta da studiare: in una mappa del cielo ottenuta ai raggi gamma, infatti, circa il 20% dell'emissione risulta non riconducibile ad alcun processo. Uno studio a guida Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è riuscito a ricondurre le emissioni a due diverse classi di sorgenti, ciascuna legata a una particolare regione di energia . Oltre al fondo gamma, diffuso e isolato in precedenti studi basati sulle osservazioni del telescopio spaziale Fermi, esiste una regione di emissioni più brillanti e una regione di emissioni più deboli, entrambe appartenenti comunque al cosi detto "universo violento". Tramite una tecnica statistica di auto-correlazione è stato possibile misurare la distribuzione spaziale globale delle fluttuazioni di intensità delle sorgenti più deboli, evidenziando la provenienza da un elevato numero di oggetti puntiformi. L'energia di transizione tra le due forme energetiche si attesta sui 4 GeV (“Unresolved Gamma-Ray Sky through its Angular Power Spectrum”, della Fermi-Lat Collaboration).
La dicotomia tra i livelli energetici in banda gamma
Anche HAWC ha rilasciato ad Aprile 2016, in occasione dell'American Physical Society Meeting, una prima mappa di oggetti, confermando il cielo scoperto da Fermi ma apportando anche qualche importante variazione: così la sorgente TeV J1930+188, fin dalla scoperta indicata come sorgente unica, è stata ricondotta invece a un insieme di più hot spots.
Se i nostri occhi fossero sensibili alla radiazione gamma, la Luna apparirebbe più luminosa del Sole poiché colpita in modo costante da raggi cosmici senza lo scudo di un campo magnetico . Sarebbe inoltre una Luna sempre piena visto che la luminosità non sarebbe dovuta alla posizione rispetto al Sole ma al bombadamento che avviene su ogni punto della superficie lunare. Una prova è data dalla immagine ottenuta da EGRET a bordo del Compton: la stessa camera non riesce a immortalare il Sole in stato di quiete poiché sorgente troppo debole in spettro gamma.
La Luna ai raggi gamma. Credit Dave Thompson (NASA/GSFC) et al. Compton Observatory, NASA
Stesso risultato è stato ottenuto dall'osservatorio Fermi della NASA. La radiazione gamma non è in grado di fornire i dettagli della Luna né la precisa forma ma lascia osservare una sorgente centrata sulla posizione della Luna nel cielo. Proprio dalle osservazioni della Luna a raggi gamma è possibile dedurre informazioni sui raggi cosmici. L'assenza di un campo magnetico lunare fa sì che anche i raggi cosmici più deboli riescano a raggiungere la superficie del satellite, interagendo con la regolite e producendo emissione gamma. La Luna assorbe gran parte di questa radiazione, ma non tutta. La luminosità gamma della Luna, come detto, non risente delle fasi ma mostra variazioni nel tempo, variando del 20% durante un ciclo di attività solare di undici anni. Le variazioni sono quindi legate all'attività magnetica solare e non a fattori lunari. Il Sole, a sua volta, risulta brillante in spettro gamma soltanto a energie superiori al miliardo di elettro volts visto che particelle con energie minori non raggiungono la superficie a causa della deviazione esercitata dal potente campo magnetico solare.
Serie di immagini di 5 gradi quadrati centrati sulla Luna, con energie superiori ai 31 milioni eV. Crediti NASA/Fermi
Attraverso una nuova tecnica con cui sono stati analizzati i dati raccolti dal Large Area Telescope è stato possibile scoprire circa ventimila nuove sorgenti gamma. Si tratta di una tecnica che permette di identificare la presenza di sorgenti molto deboli e che ha consentito così di scoprirne molte rimaste nascoste. In particolare si ricercano popolazioni di sorgenti, anziché sorgenti singole e brillanti, in modo tale che l'abbondanza in esse degli oggetti possa andare a sopperire alla loro scarsa luminosità singola.
Le sorgenti che emettono energia tra 100 GeV e 100 TeV sono dette Very High Energy Gamma-ray Sources (VHE) e spesso sono rappresentate da blazar o sistemi binari con oggetto compatto, sebbene la reale natura non sia ben compresa. Le sorgenti con energie sopra i 0.1 PeV sono invece note come Ultra High Energy (UHE) Gamma-ray Sources e anche qui ci si trova di fronte a una natura ancora da rivelare. A volte a complicare le cose sopraggiungono anche delle casualità sorprendenti, come nel caso di VER J1907+062. Si tratta di una sorgente gamma scoperta nel 2007 e caratterizzata da una superficie di emissione estesa, tanto da far pensare alla presenza di una pulsar wind nebula (PWN). Osservazioni di dettaglio del Very Large Array (VLA), invece, hanno evidenziato come la particolare forma di emissione potrebbe essere dovuta alla sovrapposizione prospettica di due diverse sorgenti poste a differenti distanze, sebbene non si escluda la possibilità di una unica sorgento con due acceleratori di particelle distinti (pulsar e resto di supernova) (Radio study of the extended TeV source VER J1907+062, arXiv:1912.13352). Un segnale UHE sicuro è invece stato rilevato nei dati di LHAASO (array di rilevatori installato a Sichuan, in Cina): battezzata LHAASO J2108+5157, l'emissione sembra provenire da una sorgente quasi puntiforme, con estensione di appena 0.39 gradi, sebbene una maggiore estensione non possa essere esclusa in base a fattori di incertezza. Non sono state rinvenute controparti a raggi X ma il segnale sembra associato a una nube molecolare ([MML2017]4607) posta a 10.700 anni luce dalla Terra. Il segnale potrebbe essere stato prodotto da protoni accelerati fino al range dei PeV in un ambiente denso di gas (Discovery of the Ultra-high energy gamma-ray source LHAASO J2108+5157, arXiv).
Radiazione gamma prodotta da Ultra Fast Outflow (UFO) è stata captata per la prima volta in galassie vicine dai dati di Fermi: gli UFO sono venti di gas e particelle emessi dai buchi neri supermassivi a velocità elevatissima e possono giocare un ruolo significativo nell'evoluzione e interazione di buco nero stesso e galassia ospite: in particolare, questi getti ripetuti per milioni di anni possono fornire l'energia a una grande frazione dei raggi cosmici galattici, accelerandoli fino a produrre radiazione gamma (The Astrophysical Journal - “Gamma rays from Fast Black-Hole Winds” - Fermi-LAT Collaboration)
Le bolle di Fermi
Una delle scoperte maggiori, datata 2010, riguarda due giganteche emissioni scoperte da un team di scienziati dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics grazie ai dati di Fermi. Si tratta di due bolle con estensione di 25.000 anni luce ciascuna poste in modo ortogonale al piano della nostra Galassia, due bolle ad altissima energia ricondotte alla attività passata, da non molto tempo, del buco nero supermassiccio centrale.
Le Fermi Bubbles, una rappresentazione.
Crediti Fermi/NASA/Harvard Smithsonian Cener for AStrophysics
Strutture simili sono state osservate anche in galassie distanti, ma la troppa distanza vieta allo stato attuale di creare parallelismi con le bolle galattiche.
Le "Fermi Bubbles" non sono riconducibili a nessun corpo singolo ma sono enormi colonne di gas caldo che si stanno allontanando dal centro della Via Lattea. La loro densità è troppo bassa per poterne tracciare il moto dei gas ma si può comunque utilizzare un trucco: come poca sabbia lasciata al vento consente di osservare direzione e velocità del vento stesso, così basterebbe trovare qualcosa di brillante all'interno delle bolle per poter capire come si muove il gas al loro interno. Questo è stato fatto al Green Bank Observatory in West Virginia osservando un centinaio di nubi di idrogeno neutro con emissione nella riga radio a 21 centrimetri: dal loro movimento si è potuto capire che all'interno delle bolle le cose sono molto complesse visto che nubi molto vicine sono in possesso di velocità molto differenti, con scarti che arrivano a toccare i 400 chilometri al secondo. La spiegazione più plausibile è la presenza di una sorta di cono di materiale che si espande dal centro galattico.
Altra tecnica di studio delle bolle consiste nell'esame della radiazione di lontani quasar , radiazione che per giungere a noi deve attraversare il gas delle Bubbles. A tal fine nel 2015 e nel 2017 sono stati osservati 47 quasar distanti arrivando a misurare una temperatura di 9.88°C (si ricorda che la radiazione gamma non è legata alla temperatura ma al decadimento radioattivo) e a ipotizzare una attività del buco nero risalente ad appena 6-9 milioni di anni fa.
Alle bolle gamma si sono aggiunte, a Settembre 2019, due estese bolle a onde radio.
Studio delle bolle di fermi attraverso la radiazione di lontani quasar che le attraversano. Credit NASA/ESA/Z.Levy
Il mistero della radiazione gamma dal centro galattico
Dagli anni Settanta del secolo scorso, più o meno, è noto come nella Via Lattea sia presente una radiazione a 511 kilo elettronVolt (keV), radiazione che per il livello energetico è ricondotta in genere all'annichilazione elettrone-positrone o all'annichilazione di materia oscura . I positroni sono particelle di antimateria, con le stesse caratteristiche degli elettroni ma con carica opposta (e quindi positiva), originati dal decadimento radioattivo di alcuni isotopi di elementi pesanti come il nichel-56, l'alluminio-26 ed il titanio-44. Gli strumenti a bordo del satellite dell'ESA INTEGRAL hanno consentito di verificare come la sorgente di questa radiazione non sia puntiforme, ma sia invece racchiusa in un'area di spazio di circa 10 gradi quadrati intorno al centro galattico, coinvolgendo quindi una grande quantità di materia e di antimateria.
Rappresentazione dell'emissione gamma dal centro galattico. Credit Fermi/NASA
INTEGRAL ha dapprima consentito di verificare l'asimmetrica distribuzione della radiazione gamma nella Via Lattea, con accentramento verso il nucleo galattico e sfumatura verso il disco galattico. A lungo si è ipotizzato come l'anomalia fosse riconducibile alla materia oscura , dal momento che i positroni - elettricamente carichi - vengono influenzati dal campo magnetico e non possono quindi viaggiare per lunghe distanze. Visto che la radiazione era stata osservata in regioni che poco erano legate alla distribuzione delle stelle, la materia oscura sembrava l'elemento più convincente come fonte di positroni.
Anche INTEGRAL ha permesso di scoprire come i positroni derivino dall'esplosione di stelle massicce, le quali si lasciano dietro elementi radioattivi che decadono in particelle più leggere, come positroni ed elettroni. Questi positroni possono viaggiare su lunghe distanze visto che le interazioni con il campo magnetico sono trascurabili. L'anomalia nella distribuzione della radiazione gamma è data quindi dai viaggi di questi positroni. Quelli prodotti nelle regioni del disco galattico si allontanano verso l'alone prima di essere annichiliti. Quelli prodotti vicino al bulge, invece, non riescono a fuggire per la presenza del grandissimo numero di stelle (il bulge è il rigonfiamento centrale della galassia) e vengono annichiliti, dando così la spiegazione per l'intensa radiazione gamma osservata in quella direzione. A metà 2018 un altro studio attribuisce alle pulsar l'emissione registrata, il che conferma quindi il legame con la morte stellare. I dati di Fermi Gamma-Ray Space Telescope hanno consentito di osservare come i raggi gamma vadano infatti a distribuirsi in maniera del tutto simile a quella della distribuzione stellare in zona, assumendo una forma a X non prevista dall'interazione tra materia oscura e altra materia. Sarebbero pulsar, non materia oscura, e sebbene la soluzione sia meno affascinante è anche la soluzione che sempre più spesso viene avanzata tanto è vero che ancora un altro studio condotto dal Kavli Institute for Particle Astrophysics and Cosmology (KIPAC) ha mostrato come il segnale dal centro galattico non sia in effetti conforme a quanto atteso relativamente al decadimento di materia oscura: ci si attenderebbe una emissione gamma lineare mentre quella registrata è fatta di spikes evidenti, provenienti da sorgenti puntiformi. Tali sorgenti vengono quindi di nuovo indicate in pulsar. In effetti, il 70% delle sorgenti puntiformi nella Via Lattea è composto da pulsar e questo rende molto probabile che l'eccesso gamma riscontrato provenga da oggetti di questo tipo, ma per essere certi è stata analizzata anche la trama spettrale dell'emissione. Le pulsar, tuttavia, hanno una vita di circa 10 milioni di anni prima di rallentare e perdere energia, il che è incompatibile con l'età delle stelle presenti nel centro galattico, ben più avanzata. Questo gioca a favore di un allungamento della vita delle pulsar indotto da sistemi binari: la presenza di stelle compagne alle quali sottrarre massa e energia, infatti, risolverebbe il problema. Gli studi non si sono fermati, ovviamente, e si giunge nel 2020 quando una nuova pubblicazione elimina le WIMPs (Weakly Interacting Massive Particles, una delle maggiori candidate al ruolo di materia oscura) dalle possibili cause, fissando un forte paletto alle proprietà della materia oscura. Le osservazioni, anche in questo caso, hanno evidenziato un eccesso di raggi gamma sviluppato su tre assi, come una struttura a barra, e non una morfologia sferica o ellittica come quella attesa dall'annichilazione: una distribuzione che di nuovo ricalca il "box" che contiene le stelle intorno al centro galattico. Lo studio non esclude, contrariamente al precedente, la presenza di materia oscura nel centro galattico ma si limita a fissare limiti alla tipologia di particelle che potrebbe comporla (Kevork N. Abazajian et al, Strong constraints on thermal relic dark matter from Fermi-LAT observations of the Galactic Center, Physical Review D - 2020).
Ancora relativamente al centro della Via Lattea, una analisi combinata dei dati di Fermi Gamma-ray Space Telescope e di High Energy Stereoscopic System (HESS) ha mostrato nel 2016 come al centro della Via Lattea possa esistere una sorta di trappola in grado di concentrare i raggi più energetici. I raggi cosmici , soprattutto quelli a maggior energia, sono prodotti nelle regioni attive oltre il centro galattico e rallentati tramite le interazioni con le nubi di gas. Queste interazioni producono una grande radiazione gamma, la parte maggiore di quella osservata da Fermi e HESS.
Circa il 90% dei raggi cosmici, particelle che si muovono a velocità relativistiche, sono protoni. Durante il viaggio nella galassia, queste particelle cariche vengono influenzate dai campi magnetici che ne alterano il percorso e rendono impossibile risalirne alle origini.
Quando le particelle, però, interagiscono con il gas producono raggi gamma rintracciabili, il che può fornire molte indicazioni e a marzo 2016 i due osservatori hanno mostrato una grande attività proprio al centro della Galassia: un alone diffuso di raggi gamma a 50 TeV, quindi 50 volte più forti delle energie osservate dal Large Area Telescope di Fermi.
La somma dei dati ha mostrato uno spettro continuo di raggi gamma in grado di descrivere l'emissione del centro galattico una volta eliminate le sorgenti più brillanti.
La coincidenza di particelle a bassa energia con quelle ad alta energia mostra come l'origine dei raggi cosmici al centro galattico sia la stessa dei raggi cosmici osservati in altre zone della Galassia ma le particelle a maggiore energia si muovono con meno efficienza nei pressi del centro Galattico.
I raggi cosmici maggiormente energetici passano la maggior parte del tempo nel centro Galattico lasciando quindi una maggiore emissione in raggi gamma, il che non è previsto dai modelli convenzionali. Le simulazioni, però, sembrano riprodurre al meglio il fenomeno.
A oggi, l'eccesso di emissione gamma (Galactic Center Excess - GCE) resta un mistero. L'elaborazione del nuovo catalogo di Fermi (4FGL) ha consentito di indagare meglio sull'ipotesi rappresentata dalla somma di emissioni di oggetti astrofisici deboli, contenendo un elevato numero di nuovi oggetti di questo tipo. L'analisi portata avanti sembra consentire di scartare il fenomeno di radiazione congiunta da parte di oggetti deboli, almeno tra gli oggetti noti tanto che gli scienziati arrivano a dover tirare in ballo, in tal caso, l'esistenza di una nuova classe di oggetti astrofisici e anche in numero non banale (Yi-Ming Zhong et al. Testing the Sensitivity of the Galactic Center Excess to the Point Source Mask, Physical Review Letters - 2020). Un altro studio, invece, punta decisamente sulla materia oscura, ritenendo l'eccesso compatibile con la spiegazione fornita da una nuova e maggiormente definita analisi basata sui dati di Fermi. La distribuzione spaziale dell'eccesso non varia in funzione dell'energia il che è un aspetto mai osservato prima e che potrebbe essere benissimo spiegato con la materia oscura (Mattia Di Mauro. Characteristics of the Galactic Center excess measured with 11 years of Fermi -LAT data, Physical Review D - 2021).
Zone di eccesso di radiazione gamma. Credit: Zhong et al.
Ultimo aggiornamento del: 14/11/2021 11:35:23
I Gamma-Ray Bursts (GRB)
Nel 1973 i satelliti Vela captano per la prima volta segnali isotropi ad altissimo rilascio energetico, lampi nello spettro gamma che da allora sono al centro degli studi cosmologici finalizzati a comprenderne la natura
Come accennato, il 1973 vide i satelliti Vela captare i primi segnali di breve periodo ed altissima energia, quelli che vennero chiamati Gamma-ray Burst (GRB) e che oggi sappiamo presentarsi con cadenza giornaliera o quasi anche se in maniera del tutto imprevedibile. Gli eventi captati vengono indicati con la sigla GRB seguita dalla data di rilevamento e una lettera a indicare il progressivo in giornata.
I Gamma Ray Bursts (GRB) sono fenomeni di emissione rapida e intensa di raggi gamma. La quantità di energia coinvolta corrisponde a quella di miliardi di galassie.
Si tratta di rilasci di energia molto più potenti rispetto alle radiazioni emanate dalle galassie che li ospitano e la loro durata può andare da qualche millisecondo a qualche minuto. Per convenzione, fino a 2-3 secondi si parla di short GRB mentre per tempi superiori si parla di long GRB. In realtà si tratta appunto di una convenzione poiché il limite tra short e long vede la presenza di una fascia grigia di difficile valutazione, a fronte di processi che invece dividono nettamente i due fenomeni. Per distinguere uno short da uno long si fa in genere riferimento alla durata dell'afterglow ma si tratta di una radiazione difficilmente osservabile, il che lascia spazio a categorizzazioni molto aleatorie. Un aiuto viene dalla intelligenza artificiale, e soprattutto da un algoritmo sviluppato a Copenhagen e che si basa invece esclusivamente sulla somiglianza tra gli eventi. L'algoritmo è stato battezzato t-Sne (t-distributed stochastic neighbor embedding) e come risultato ha portato a una divisione dei GRB registrati proprio in due differenti classi, molto nette. Il tutto basandosi soltanto sui dati a raggi gamma, quindi sulla fase di plateau e non di afterglow (The Astrophysical Journal Letters - “An Unambiguous Separation of Gamma-Ray Bursts into Two Classes from Prompt Emission Alone” - Christian K. Jespersen et al.)
Classificazione ottenuta dall'algoritmo di intelligenza artificiale. Crediti: Jespersen et al., ApJL 2020
L'immagine, acquisita il 23 gennaio 1999, mostra la coda di emissione ottica del gamma-ray burst GRB-990123. Il lampo è visibile come un punto chiaro indicato nel riquadro a sinistra. È identificabile, inoltre, la galassia ospite dell'evento (l'oggetto a forma di filamento sopra il GRB), che sembra essere stata distorta dalla collisione con un'altra galassia. Crediti Wikipedia
Storia dei Gamma-Ray Bursts
La prima evidenza di un lampo gamma è datata 1967 ma la notizia fu taciuta fino al 1973, anche perché si era in piena guerra fredda e le priorità erano sicuramente di altra tipologia. Ed infatti la scoperta fu effettuata da satelliti statunitensi finalizzati al controllo del rispetto del patto di non procedere a test nucleari, stipulato tra USA e URSS.
I primi studi rilevanti, tuttavia, si ebbero soltanto nel momento in cui furono lanciati appositi satelliti per lo studio di questi eventi transienti. I primi progetti riuscirono a comprendere elementi fondamentali ma limitati: il tracciamento dei GRB ne mostrò il carattere isotropo, nel senso che sembrano provenire indifferentemente da ogni parte dell'universo. Il secondo aspetto evidenziato riguardò i tempi: furono separati così gli short GRB, di durata inferiore ai 3 secondi, ed i long GRB di durata superiore. Inoltre, fu notato come a GRB più brevi corrispondessero emissioni di energia maggiori.
Passi in avanti si fecero soprattutto con il satellite mezzo italiano e mezzo olandese Beppo-Sax, con il quale si riuscì ad indentificare anche la controparte a minore energia di questi lampi. Per spiegarci meglio: lo spettro alla frequenza dei raggi gamma non è visibile ad occhio, quindi non era possibile stabilire chi fosse l'artefice di tanta energia. Con Beppo-Sax si riuscì ad associare, invece, il lampo gamma a controparti prima X e poi ottiche. Determinando la controparte X si riuscì a capire da quale parte provenisse il lampo, mentre determinando la controparte ottica si riuscì a capire quale fosse la galassia ospite dell'evento. Il fenomeno di affievolimento graduale dell'energia e quindi la possibilità di osservare l'evento a una lunghezza di onda maggiore viene chiamato afterglow.
Lo stesso satellite ha consentito di scoprire che i fenomeni, a volte, non arrivano ad emettere a raggi gamma restando invece confinati ai raggi X . Si tratta dei cosiddetti X-ray Flash (XRF). Ancora è incerta la differenza tra i due eventi in termini di processo alimentatore, fermo restando che potrebbe trattarsi anche dello stesso evento ripreso da angoli di vista differenti.
L'utilizzo di strumenti sempre più raffinati dedicati ai GRB, tra i quali spicca il satellite Swift, ha consentito di effettuare stime molto più precise rispetto, ad esempio, alle distanze alle quali questi fenomeni si verificano. Proprio nel 2007 è stato individuato un GRB illuminatosi a 7,5 miliardi di anni luce di distanza nella costellazione del Toro: il lampo è giunto a noi nel 2007 ma si è verificato ben prima che la Terra e il Sole trovassero il proprio natale. Prima di questo, un lampo del 2005 fu riportato a 12,6 miliardi di anni fa, ovvero a un'epoca in cui l'universo aveva soltanto 800 milioni di anni.
Attualmente il lampo gamma legato al corpo celeste più distante mai misurato è datato 23 aprile 2009 e quindi è indicato con GRB 090423: il satellite Swift ha rivelato un lampo gamma abbastanza 'normale' per lunghezza e luminosità, ma quando la sonda ha puntato i suoi strumenti in banda X e visuale c'è stata una sorpresa. L'emissione X era netta mentre nello spettro ottico non c'era nulla. Questo accade frequentemente, e spesso è fatto risalire alla distanza del GRB sebbene la radiazione ottica possa essere in realtà bloccata da una coltre di nubi. Misurando nello spettro infrarosso il redshift di GRB 090423 si è ottenuto un risultato pari z=8,2 contro z=6,96 della galassia più lontana nota fino ad allora. Il lampo è stato probabilmente prodotto quindi da una stella massiva esplosa 13,035 miliardi di anni fa, quando l'universo aveva 630 milioni di anni.
Un'altra caratteristica dei GRB consiste nella presenza, non costante ma saltuaria, di forti emissioni X. Queste sono imputate a materiale eiettato che ritorna indietro e ricade sul buco nero .
Nel 2002 è stata individuata una correlazione tra energia irradiata da un GRB (assumendo emissione isotropa) e la lunghezza d'onda alla quale è possibile osservare il picco di luminosità dell'evento, una correlazione nota come "Relazione di Amati" dal nome di Lorenzo Amati, astrofisico INAF: l'energia fotonica è proporzionale alla radice quadrata dell'emissione isotropa Se la relazione fosse confermata potrebbe essere una base per poter utilizzare i GRB come "candela standard" per la misurazione delle distanze e poter quindi partecipare alla determinazione dell'espansione dell'universo. Infatti, la possibilità di legare una quantità misurabile come l'energia fotonica a una quantità il cui valore dipende esclusivamente dall'espansione dell'universo può fornire una misurazione indipendente della Costante di Hubble . La relazione è giovane ma finora ha trovato diverse conferme nei dati di Swift, Fermi e di altri osservatori, anche se ci sono ancora rischi legati al fattore di selezione imposto dagli strumenti utilizzati quindi, prima di poter affermare la possibilità di utilizzo cosmologico, serviranno ulteriori test (The Astrophysical Journal - “Spectral analysis of Fermi-LAT gamma-ray bursts with known redshift and their potential use as cosmological standard candles” - F. Fana Dirirsa et al.).
Il 14 gennaio 2019 alle ore 20.57.03 UT un GRB lungo, battezzato GRB 190114C, è stato captato indipendentemente dal satellite Neil Gehrels Swift Observatory della NASA e dal Fermi Gamma-ray Space Telescope e l'immediato (solo 22 secondi) alert diramato a tutti i telescopi del mondo ha consentito per la prima volta di osservare una emissione gamma di straordinaria intensità fin dai primi istanti e attraverso telescopi Cherenkov. La posizione in cielo è tra Eridano e Fornace ed è stata puntata, come detto, anche dai telescopi Cherenkov MAGIC, posti a La Palma alle Canarie, appena 50 secondi dopo l'osservazione spaziale. Una energia come quella registrata, nell'ordine dei TeV, deve avere un processo di origine del tutto differente da quello che regola l'afterglow solitamente osservato in tempi più lunghi (derivante dalla radiazione di sincrotrone ) e ha fatto registrare un livello un trilione di volte maggiore rispetto alla luce visibile. Il processo maggiormente indiziato è il Compton inverso, nel quale i fotoni ricevono energia da una popolazione di elettroni di energia ancora maggiore, accelerati dall'esplosione e dalla collisione con la radiazione di sincrotrone stessa. L'evento è avvenuto tra 5 e 7 miliardi di anni luce di distanza all'interno di una galassia a spirale ed è stato seguito come follow-up in tutte le bande di radiazione. La fase iniziale (prompt) è durata sei minuti, un tempo molto lungo, e questo ha dato modo ai telescopi ottici di Terra di unirsi a quelli Cherenkov (Nature - “Observation of inverse Compton emission from a long γ-ray burst” - MAGIC Collaboration). Osservazioni successive da parte di MAGIC hanno mostrato - 80 secondi dopo il burst - il raggiungimento di una energia mai osservata prima, rendendo il GRB il più luminoso mai scoperto e aprendo le porte a una nuova idea, e cioè che la fase di maggior luminosità sia da rintracciare all'afterglow e non al prompt, altamente irregolare. Una luminosità che va ben oltre la semplice radiazione di sincrotrone (Teraelectronvolt emission from the gamma-ray burst GRB 190114C, arXiv).
Afterglow di GRB 190114C e la galassia ospite ripresi da Hubble il giorno 11 febbraio e 12 marzo 2019. Un debole bagliore di breve durata al centro del cerchio verde, a 800 anni luce dal centro galattico. Crediti NASA/ESA/V.Acciari et al. 2019
Il 15 aprile 2020 la Interplanetary Network, composta da molteplici satelliti sparsi nel Sistema Solare tra i quali Mars Odisssey, Integral, Fermi, Swift e ISS, ha captato un GRB di 140 millisecondi la cui triangolazione ha portato a una magnetar all'interno della galassia NGC 253 nella costellazione dello Scultore, a 11.5 milioni di anni luce di distanza. L'emissione iniziale ha avuto una durata di appena 4 millisecondi e ha rappresentato il terzo, alla data della scoperta, tra i segnali derivanti da superflare di magnetar (Nature - “A bright γ-ray flare interpreted as a giant magnetar flare in NGC 253” - D. Svinkin et al.)
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Cosa origina i GRB e i loro getti
Mentre per i lampi gamma lunghi c'è abbastanza accordo all'interno della comunità scientifica, per i lampi corti il discorso è un po' più complesso anche se il miglioramento delle strumentazioni può far tanto. Nuovi indizi, ad esempio, hanno misurato per la prima volta a metà 2019 la polarizzazione dei getti relativistici di un GRB, misurando una quantità notevolmente bassa e ridimensionando notevolmente il contributo dei campi magnetici alla formazione del GRB stesso, mentre nel 2021 è stata analizzata la diminuzione energetica dei getti stessi, riconducendola a un raffreddamento di tipo "universale" (uguale per differenti tipi di raggi gamma all'interno di una fase comune di transizione definita "steep decay"). I getti, come si vedrà bene in seguito, sono composti di particelle accelerate da onde d'urto e riconnessioni magnetiche convertendo energia cinetica o magnetica in radiazione elettromagnetica, con picco nella parte gamma dello spettro. L'interazione con il mezzo interstellare porta all'emissione a frequenze minori generando il così detto afterglow. Proprio trala fase impulsiva e l'inizio dell'afterglow si inserisce il decadimento rapido (steep decay), caratterizzato da un repentino decadimento legata a un raffreddamento adiabatico delle particelle (perdita di energia legata all'espansione del volume che contiene le particelle (Nature Communications - “Spectral index-flux relation for investigating the origins of steep decay in γ-ray bursts” - Samuele Ronchiniet al.)
I long GRB dovrebbero essere causati da esplosioni di supernova particolarmente violente, che vanno sotto il nome di ipernova. E' noto come una supernova sia una implosione di una stella di grande massa, ed infatti il modello che spiega i GRB lunghi va sotto il nome di Collapsing Star, o meglio di Collapsar. Per la precisione, questi GRB dovrebbero nascere dalle stelle di tipo Wolf-Rayet, molto compatte e calde tanto da avere brillanti e larghe righe di emissione unitamente a una massa di almeno 25 masse solari. Durante la loro vita, queste stelle perdono molta della propria massa a causa di venti stellari molto intensi il che porta a una massa residuale, al momento del collasso, intorno alle 12 masse solari. Dopo il collasso, queste stelle danno vita ad un buco nero di Kerr, cioè rotante. Sebbene l'origine da una ipernova fosse da tempo indicata come probabile, la prima prova osservativa è giunta con lo spettro dell'evento GRB 030329 ma si tratta di un legame ancora poco chiaro visto che non tutte le supernovae potenti vanno a produrre esplosioni gamma. Una nuova connessione potrebbe essere rappresentata dall'evento GRB 171010A, identificato a Ottobre 2017 con un redshift di 0.33 e associato alla SN 2017htp di tipo Ib, rilevata a novembre dello stesso anno con redshift simile. Gli studi mostrano come per riprodurre la luminosità della SN 2017htp siano necessarie 0.33 masse solari di nickel, con massa espulsa di 4.1 masse solari (GRB 171010A / SN 2017htp: a GRB-SN at z=0.33).
L'estrema luminosità può essere spiegata con un modello a getto barionico oppure con un modello magnetico: nel primo, ripetute collisioni tra materiale espulso durante l'esplosione e materiale che circonda la stella vanno a produrre la radiazione osservata; nel secondo un enorme campo magnetico primordiale della stella collassa in pochi secondi a partire dall'esplosione iniziale, rilasciando energia per alimentare quanto osservato. Il 2020 ha portato ad alcune prove a favore del secondo modello a partire dall'esplosione di una stella in una galassia distante 4.5 miliardi di anni luce, nell'evento GRB 190114C osservato dal Neil Gehrels della NASA. La mancanza del campo magnetico (rilevato un 7% sceso immediatamente a 2% mentre si attendeva un 30%), quindi il suo collasso, sarebbe testimoniato dalla mancanza di polarizzazione del raggio gamma (N. Jordana-Mitjans et al, Lowly Polarized Light from a Highly Magnetized Jet of GRB 190114C, The Astrophysical Journal - 2020).
Il buco nero che si è formato ha un disco di accrescimento molto spesso che ruota più lentamente rispetto al buco nero stesso, il che crea linee del campo magnetico attorcigliate in grado di incanalare materia in una coppia di getti di barioni collimati che si propagano lungo l'asse di rotazione stellare a velocità prossime a quella della luce. Ogni getto residuo ha una massa simile a quella terrestre ed emette una quantità enorme di radiazione, dipendente dalla velocità e dalla massa rispettando la famosa relazione E = mc2.
Un vento di particelle pesanti proveniente dal disco rallenta quando raggiunge la materia stellare, il che fornisce l'energia cinetica dalla quale scaturisce l'esplosione di supernova Ic che si rende luminosa tramite il decadimento del nichel (formato nel flusso in uscita) in cobalto e poi in ferro.
All'interno del getto, gusci di materiale più veloce possono raggiungere quelli più lenti dando vita ad onde d'urto interne in grado di produrre flussi di fotoni gamma, che rappresentano proprio l'evento GRB. Quando il getto raggiunge il mezzo interstellare rallenta e rilascia energia nel gas dando luogo agli afterglows visibili ad energie minori e quindi nel campo X, ottico, infrarosso e radio.
Una importante conseguenza è che noi riusciamo a vedere soltanto i lampi gamma in cui i getti si dirigono verso di noi, e nonostante questo ne vediamo almeno uno al giorno in media. Questo indica come nell'Universo, ogni giorno, fenomeni simili siano molto frequenti.
Lo studio della fase iniziale, quella maggiormente energetica chiamata "prompt", e dei getti correlati ha avuto maggiori dettagli con l'osservazione del GRB 160625B da parte del telescopio robotico MASTER-IAC posto a Tenerife (Nature, Ottobre 2017, Moscow State University). Il GRB è legato alla morte di una stella di grande massa e alla sua fase di collasso prima di diventare buco nero. Il buco nero ha prodotto un forte campo magnetico in grado di controllare i getti che rilasciano energia. Quando il campo magnetico è poi calato in intensità la materia ha preso il controllo e ha iniziato a dominare i getti. E' una scoperta, visto che fino ad allora si riteneva che soltanto uno dei due processi potesse dominare i getti e non entrambi. La radiazione di sincrotrone prodotta quando gli elettroni (o i protoni, secondo uno studio del 2020 che vediamo tra poco) vengono accelerati va ad attivare la fase iniziale, quella più rapida e energetica: si tratta dell'unico meccanismo che può creare il grado di polarizzazione e lo spettro che si osservano nella fase di prompt. Il 19 dicembre 2016 il satellite Swift della NASA ha captato un segnale gamma di sette secondi che ha dato poi vita a un decadimento di energia nello spettro X, nel visibile e nel radio: una ottima occasione per studiare il Gamma Ray Burst chiamato GRB 161219B, ma l'occasione è diventata splendida potendo contare anche sulle antenne di ALMA nel millimetrico, andando quindi a ottenere dettagli sull'interazione dei getti derivanti dal collasso stellare con l'ambiente circostante. Una sorta di film di una esplosione cosmica, con sorpresa: un'onda d'urto di ritorno che anziché durare pochi secondi è andata avanti per gran parte di una giornata. I getti dovrebbero durare pochi secondi e la stessa cosa ci si attende dallo shock di ritorno, ma questo caso è stato diverso e ha insegnato che finora si è cercato nella parte dello spettro sbagliata. Non bisogna cercare nel visibile ma nel millimetrico. Lo shock di ritorno è evidentemente entrato nel getto rallentandolo ma continuando a consentire il trasferimento di energia, dando vita a una radiazione X e visibile molto più duratura. Questa energia è nascosta, per l'85%, nel materiale in lento movimento.
Ripresa di ALMA del GRB 161219B. Viene evidenziato l'afterglow del lampo rivelando
dettagli riguardanti l'energia dei getti e della loro interazione. Crediti NRAO/NSF
Il prompt è quindi una delle fasi in cui viene segmentato un GRB: una caratteristica che sembra emergere deriva infatti dalla combinazione di tre parametri (arXiv, Ottobre 2017): durata della fase di "plateau" nei raggi X (che segue il picco a maggiori energie, quindi il "prompt"), luminosita e luminosità del picco di prompt. Si tratta di una fase, quella di plateau, meno energetica rispetto al prompt ma decisamente più lunga e più facilmente studiabile tanto che in base alla forma del plateau è stata definita una sottoclasse di GRB di lunga durata, in cui la correlazione tra i tre parametri va a individuare un piano ben preciso: sulla base di 183 GRB osservati da Swift sono stati selezionati GRB a plateau costante riuscendo a giungere a una identificazione di una classe di GRB con una correlazione stretta tra i tre parametri, una classe chiamata golden GRB. La classe è caratterizzata da emissioni di plateau ben definite e costanti, molto simili tra loro, il che fa ben sperare anche nell'utilizzo di questi elementi come possibili candele standard a fini della determinazione delle distanze, fin quasi all'origine dell'universo stesso. Per consentire questo, tuttavia, occorre apprendere in modo preciso i processi alla base dei GRB, cosa che ancora non è stata realizzata anche se non mancano gli studi mirati a individuarne le caratteristiche basilari. Decenni di studi non hanno consentito ancora di raggiungere un modello completo per spiegare i meccanismi fisici e le proprietà dei GRB, andando da esplosioni di stelle ultramassive a kilonovae. Una emissione di raggi X proveniente dalla posizione che ha registrato una kilonova, ad esempio, può fornire un marcato link tra GRB e onde gravitazionali, come quella legata a GRB 170817. Sempre è stata osservata una certa variabilità nei GRB registrati ma alcune caratteristiche sembrano rimanere invarianti in alcune classi peculiari di GRB. In particolare sembra esistere una correlazione tra durata della fase di plateau dei raggi X, luminosità e luminosità dei raggi gamma in fase di prompt nei GRB legati a kilonovae, un sottoinsieme dei GRB di breve durata (The X-ray fundamental plane of the Platinum Sample, the Kilonovae and the SNe Ib/c associated with GRBs. Astrophysical Journal - 2020).
Emissione del GRB190114C e probabile evoluzione, dal collasso del nucleo stellare che forma un buco nero al prompt. Una emissione rapida che in genere dura un minuto al massimo prima di rallentare e diffondersi nell'ambiente circostante con una onda d'urto. Crediti Goddard Space Flight Center NASA
Finora è stata esposta la teoria generalmente battuta ma un lavoro di ICRAR ha modificato nettamente il paradigma prevedendo un sistema binario alla base dei GRB lunghi e non più un oggetto soltanto. Si parla in tal caso di processo guidato da una ipernova binaria (BdHN - Binary Driven HyperNova) e la differenza fondamentale sta nel non spiegare tutta l'emissione con un getto relativistico originato da un buco nero rotante ma con uno stadio evolutivo più complesso che coinvolge un sistema binario composto da una stella carbonio ossigeno (CO) e da una stella di neutroni (NS) in orbita stretta. Il collasso gravitazionale della stella CO produce una esplosione di supernova in grado di espellere violentemente gli strati esterni, dando vita al contempo a una seconda stella di neutroni nel sistema. L'ejecta della supernova avvia un processo di accrescimento ipercritico sulla stella di neutroni compagna ma anche sulla stella di neutroni nuova e, in base alla dimensione orbitale, la stella di neutroni compagna può raggiungere la massa critica per il collasso gravitazionale formando, anche nel giro di pochi minuti, un buco nero. Questi sistemi sono chiamati BdHN Type I. Se l'orbita è più aperta, invece, la stella di neutroni acquista massa ma non si trasforma in buco nero (BdHN Type II). Il "motore interno" rappresentato da un buco nero rotante (buco nero di Kerr) con campo magnetico allineato all'asse di rotazione dà origine - tramite radiazione di sincrotrone - all'emissione in MeV, GeV e TeV osservata finora soltanto in alcuni BdHN Type I. La presenza della nuova stella di neutroni dovrebbe apparire nel bagliore dei raggi X, distinguendo così i contributi del buco nero da quelli della stella di neutroni (J. A. Rueda et al. Magnetic Fields and Afterglows of BdHNe: Inferences from GRB 130427A, GRB 160509A, GRB 160625B, GRB 180728A, and GRB 190114C, The Astrophysical Journal - 2020).
Il processo di BdHN per la generazione dei Gamma Ray Burst. Credit: ICRANet
Il lampo più lungo a oggi rilevato è datato 29 agosto 2019 ed è stato osservato nella costellazione di Eridano, a una distanza di "appena" un miliardo di anni luce, il che lo pone anche tra i più vicini. Battezzato GRB 190829A, la sua energia è stata misurata a 3.3 TeV, mille miliardi di volte superiore rispetto al più energetico fotone di luce visibile. Il bagliore è stato visibile per tre giorni denotando molte somiglianze tra raggi X e raggi gamma ad altissima energia, sebbene secondo la teoria le due emissioni dovrebbero originare da processi di emissione distinti, con i raggi X da elettroni ultraveloci deviati da campi magnetici (sincrotrone). L'affievolimento delle componenti è stato contemporaneo (Science - “Revealing x-ray and gamma ray temporal and spectral similarities in the GRB 190829A afterglow” - H.E.S.S. collaboration)
Short GRB
Per gli short RGB, come si diceva, il discorso è invece ancora avvolto da mistero. Si ritiene che possano derivare dallo scontro di due corpi compatti, come due stelle di neutroni oppure una stella di neutroni ed un buco nero in sistema binario . Uno studio dell'afterglow della kilonova GW1710817 ha lasciato ipotizzare come le differenze possano essere legate esclusivamente alla diversa inclinazione dei getti rispetto alla nostra linea di vista (vedi pagina correlata) anche se uno studio del 2017 evidenzia come proprio dal segnale multimessenger il GRB sia in possesso di una energia non raggiungibile da un corpo come una stella di neutroni (e quindi soltanto da un processo legato a rotazione e campo magnetico) ma necessiti di un motore fornito dal disco di accrescimento di un buco nero (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters - “Collimated outflows from long-lived binary neutron star merger remnants” - Riccardo Ciolfi).
Un breve lampo gamma particolarmente interessante venne captato da Fermi pochissimi istanti dopo la detection della prima onda gravitazionale innescata dalla fusione di due buchi neri, un fenomeno che non dovrebbe presentare una controparte elettromagnetica. In realtà il raggio gamma fu una coincidenza molto particolare, capitata appena mezzo secondo dopo l'onda e in una zona dello spazio abbastanza compatibile con l'incertezza presente sulla localizzazione della fusione (600 gradi quadrati di cielo, tantissimi), ma la fisica non si inventa e un segnale multimessenger da una fusione di buchi neri non è prevista. Per fortuna dopo pochi mesi è giunta la fusione di due stelle di neutroni, con segnale nello spettro elettromagnetico associato, a far luce sull'origine dei lampi brevi: proprio la fusione tra corpi compatti come stelle di neutroni.
Uno dei misteri aperti riguardo l'origine dei GRB, tuttavia, riguarda la radiazione ad alta energia prodotta. A Gennaio 2019 la detection di GRB 190114C da parte del satellite Swift della NASA ha evidenziato un evento distante 4.5 miliardi di anni luce. Il follow up operato tramite il telescopio Cherenkov MAGIC ha consentito di isolare una sorgente a energie di TeV appena 50 secondi dopo l'emissione principale (afterglow), evidenziando una energia almeno dieci volte superiore a qualsiasi altra precedente rilevazione du burst gamma. La combinazione dei dati di MAGIC con quelli a raggi X di Swift ha evidenziato il meccanismo alla base dell'emissione: l'origine è legata al movimento di un getto la cui velocità è arrivata al 99.99% della velocità della luce nel vuoto, con direzione verso il nostro pianeta. La sorgente è data da elettroni accelerati a TeV all'interno del getto, in un meccanismo chiamato "meccanismo Compton inverso", nel quale gli elettroni altamente energetici collidono con i fotoni a minore energia. Questa osservazione ha consentito di discriminare per la prima volta tra diversi modelli di emissione e di scoprire le esatte condizioni dell'esplosione (Evgeny Derishev et al. "The Physical Conditions of the Afterglow Implied by MAGIC's Sub-TeV Observations of GRB 190114C", The Astrophysical Journal - 2019).
A complicare ulteriormente le cose è venuto l'evento GRB 200826A, un lampo breve che tuttavia ha evidenziato un eccesso rispetto alla normale emissione di afterglow nell'ottico e nel vicino infrarosso, qualcosa tipicamente associato alle esplosioni di supernova che caratterizzano invece i GRB lunghi. Tutto in discussione, di nuovo? Forse, ma non è detto per una serie di fattori. Innanzitutto, si tratta di un GRB la cui durata (un secondo) è nella zona di confine, non precisamente marcata, tra long e short. Viene classificato come short in base alla posizione nel piano durezza spettrale / durata, ma non è escluso che possa trattarsi effettivamente di un lampo lungo. Seconda poi, le simulazioni numeriche mostrano come la durata di un GRB legato a supernova può anche essere inferiore a 0.5 secondi. Occorrono quindi altri parametri, oltre alla durata, quali il time-lag (ritardo del picco di emissione in base alla banda energetica). In base a questi parametri, quindi, GRB 200 (Nature Astronomy - “To be short or long is not the question” - Lorenzo Amati et al.)
Elettroni o protoni all'origine della radiazione di sincrotrone?
Uno studio del 2020 a opera del SISSA ha evidenziato come la radiazione dei GRB trovi maggior riscontro nella radiazione di sincrotrone derivante dal moto dei protoni più che da quello degli elettroni. Gli elettroni perdono energia emettendo radiazione di sincrotrone in un tempo brevissimo (dieci milionesimi di secondo), non compatibile con la maggior durata dei GRB osservati, ma non solo: i fotoni a bassa energia emessi dovrebbero essere superiori a quelli osservati. Sarebbero così i protoni che, immersi in un forte campo magnetico, possono raffreddarsi da 10 a 100 milioni di volte più lentamente rispetto agli elettroni, dovutamente alla massa delle particelle in questione. Si tratta di una possibile soluzione, da confermare ma promettente (Astronomy&Astrophysics - Proton–synchrotron as the radiation mechanism of the prompt emission of GRBs? - G. Ghisellini et al.)
Il catalogo del 2019 e altri
Il 2019 ha visto il rilascio di un nuovo catalogo di Gamma Ray Bursts (GRB) da parte di Fermi. La pubblicazione del 13 giugno 2019 su The Astrophysical Journal, disponibile on line, si basa sul contributo di più di 120 autori. Il catalogo comprende 17 short GRB e 169 long GRB, descrivendo i 186 oggetti osservati da Fermi in dieci anni.
Alla data del rilascio è possibile giocare un po' con i record:
- GRB 081102B è uno short GRB verificatosi nel Bifolco il 2 novembre 2008 ed è il più corto mai osservato da Fermi, appena un decimo di secondo. Nella prima release del catalogo non era presente poiché ancora da confermare;
- GRB 160623A è un long GRB scoperto il 23 giugno 2016 nel Cigno, rimasto brillante per almeno 10 ore alle energie osservate e risultando a oggi il più lungo. Alle minori energie captate da Fermi è rimasto acceso solo per 107 secondi;
- GRB 130427A è l'evento singolo più energetico registrato alla data, raggiungendo i 94 GeV alla distanza di 3.8 miliardi di anni luce, nel Leone;
- GRB 080916C è stato il più lontano GRB a oggi noto, distante 12.2 miliardi di anni luce nella Carena. Dovrebbe contenere la potenza di circa 9 mila supernovae. A seguire, GRB 181123b, risalente a un universo di appena 3.8 miliardi di anni e scoperto dal Neil Gehrels Swift Observatory della NASA la notte del 22 novembre 2018 e la cui distanza è stata confermata da osservazioni di afterglow di Gemini Telescope (arXiv - “Discovery of the optical afterglow of short GRB 181123B at z = 1.754: Implications for delay time distributions” - Paterson et al.).
- GRB 090510 è il GRB che ha aiutato nei test della Relatività Generale di Einstein. Fermi ha captato emissione gamma altamente energetica accompagnata da raggi gamma a minore energia nello stesso istante. I due raggi hanno viaggiato per tantissimo tempo e sono giunti insieme a testimonianza delle identiche condizioni di viaggio nello spazio tempo;
- GRB 170817A è l'evento gamma collegato alla fusione di stelle di neutroni in grado di innescare l'onda gravitazionale multimessenger. (M. Ajello et al. "A Decade of Gamma-Ray Bursts Observed by Fermi-LAT: The Second GRB Catalog, The Astrophysical Journal - 2019).
Interessante, per tempismo, il GRB che ha fatto concorrenza ai botti di Capodanno 2022 visto che è stato registrato alle ore 06:09:55 italiane del 1 gennaio 2022 dal Burst Alert Telescope (BAT) e da Swift della NASA (e successivamente dal Large Area Telescope LAT a bordo di Fermi e da Agile). La sua energia è stata misurata nel range 15-350 keV e la sua durata è di decine di secondi. La sua sigla è GRB 220101A. La fase di prompt è durata più di due minuti e dall'analisi del redshift la distanza è stata stimata in 12.4 miliardi di anni luce (Gamma-ray Burst Coordinates Network - circolari relative a Grb 220101A)
Ultimo aggiornamento del: 06/01/2022 09:38:44