La teorizzazione delle onde gravitazionali
Agli inizi del Novecento, nascosta tra le equazioni della Relatività Generale di Einstein, c'era l'emissione di onde gravitazionali a partire dal movimento delle masse. A distanza di un secolo Einstein continua ad aver ragione.
Era il 1916 quando unitamente alla teoria della Relatività Generale, Albert Einstein implicava la possibilità di perturbazioni in uno spazio-tempo curvo e fluido. Le masse, staticamente, curvano l'universo costringendo le altre a muoversi secondo quanto curvato, in un reciproco ballo. La massa dice all'universo come curvarsi e l'universo dice alle masse come muoversi, in un infinito rapporto. Se queste masse accelerano, però, allora la curvatura diventa una onda che si propaga nello spazio-tempo generando increspature, allo stesso modo in cui il movimento di un motoscafo in un lago crea onde.
Quando le masse accelerano, le onde gravitazionali si propagano in modo ondulatorio facendo sì che al loro passaggio le distanze tra punti nello spazio tridimensionale vadano soggette a contrazioni e espansioni.
Ogni massa in movimento genera onde gravitazionali ma chiaramente le onde maggiori, osservabili, sono quelle dovute a spostamenti di masse enormi a velocità elevate, quindi a fenomeni legati a fusione di oggetti compatti o collisione di oggetti molto massivi.
Una prima prova, indiretta, della correttezza della teoria di Einstein giunse negli anni Settanta, quando un team di scienziati guidato da Russell Hulse e Joseph Taylor misurarono il rallentamento della mutua rivoluzione di due pulsar in sistema binario . I due astri, avvicinandosi, rallentavano a causa della perdita di energia sotto forma di onda gravitazionale. Einstein aveva ragione, di nuovo, regalando a Hulse e Taylor il Nobel per la Fisica del 1993.
Masse in accelerazione creano increspature nello spazio-tempo.
Si trattava di una deduzione, di una scoperta indiretta, ma i calcoli erano del tutto compatibili con quanto predetto da Einstein. La cosa molto difficile restava comunque poter osservare in modo diretto queste onde gravitazionali visto che fenomeni che si verificano a miliardi di anni luce da noi danno vita a onde che impiegano miliardi di anni per raggiungerci, e proprio come le onde concentriche generate da un sasso nello stagno perdono intensità man mano che si allontanano dal centro, fino a essere misurabili come minuscole distorsioni migliaia di volte inferiori alla dimensione di un protone. Una misura del genere richiede una tecnologia molto sofisticata con un rumore ridotto al minimo possibile e, magari, con previsioni ben accurate sulle curve da aspettarsi. Richiede, in pratica, tutto quello che si è riusciti a mettere in piedi con gli interferometri LIGO e VIRGO.
Le fusioni di buchi neri presentano lo scoglio teorico del "problema dell'ultimo Parsec": per arrivare alla fusione, due buchi neri supermassivi devono ricevere - proprio nell'ultimo Parsec - una ulteriore spinta altrimenti resterebbero in orbita reciproca per un periodo indefinito a causa dell'energia sprigionata nell'orbita stretta. Questa energia in più potrebbe essere fornita da un terzo buco nero facente parte del ballo gravitazionale, una situazione che si sta effettivamente verificando nel sistema SDSS J0849+1114. La prova della futura fusione tripla è stata ottenuta dalla Sloan Digital Sky Survey in collaborazione con Galaxy Zoo, con conferma successiva da parte di WISE (Wide-field Infrared Survey Explorer) in infrarosso derivata da una luce intensa tipica delle fasi di fusione e acquisizione di materiale. Conferma definitiva è venuta da Chandra X-ray Observatory, da NuSTAR e dal Large Binocular Telescope (LBT). Soprattutto in raggi X è risultato il tipico aspetto dell'ambiente che circonda i buchi neri, con gas e polvere in spirale stretta (The Astrophysical Journal - “A Triple AGN in a Mid-Infrared Selected Late Stage Galaxy Merger” - Ryan W. Pfeifle et al.). Proprio per far luce, e non solo, su questo aspetto è stato portato avanti un ulteriore studio basato sui dati a raggi X di Chandra relativamente a sette fusioni galattiche con tre componenti e quindi tre buchi neri supermassivi in gioco. I dati mostrano che in un solo caso si ha un singolo buco nero, che in tre casi se ne hanno due e che negli altri casi se ne hanno tre. I dati suggeriscono come il sistema con i buchi supermassivi in fusione ha la più grande quantità di gas e polvere, il che sposa molto bene le simulazioni teoriche che vedono la polvere come accompagnatrice della crescita dei buchi neri stessi ().
Il sistema SDSS J0849+1114. Crediti: Nasa/Cxc/George Mason Univ./R. Pfeifle et al.; Sdss & Nasa/Stsci
Ultimo aggiornamento del: 15/01/2021 16:50:04
I rivelatori di onde gravitazionali: da LIGO al futuro
Riuscire a captare un segnale di dimensione infinitesima è un compito che richiede una precisione estrema e una strumentazione dedicata. Gli interferometri LIGO e VIRGO sono l'inizio di una tecnologia in rapida crescita che porterà allo spazio
L'interferometria è un metodo di misura che tende a sfruttare le rilevazioni effettuate da più strumenti, separati spazialmente e concentrati uno stesso evento, al fine di ottenere risoluzioni maggiori. Nel campo delle onde gravitazionali gli interferometri che vengono utilizzati sono, ad oggi, appartenenti a due collaborazioni con prossima estensione.
Laser Gravitational-Wave Observatory (LIGO)
Il Laser Gravitational-Wave Observatory (LIGO) è un osservatorio negli Stati Uniti dedicato alla detection delle onde gravitazionali. E' stato fondato nel 1984 da Kip Thorne e Rainer Weiss - i quali con Barry Barish hanno ritirato il Nobel per la Fisica nel 2017 - ed è gestito dal California Institute of Technology (Caltech) e dal Massachusetts Institute of Technology (MIT). Grazie all'intercedere del National Science Foundation (NSF), Caltech e MIT iniziarono a mettere a fattor comune i prototipi elaborati in California e le teorie sviluppate in Massachusetts giungendo a un finanziamento nel 1989 per la sola ricerca. Il 1991 portò un finanziamento di 23 milioni di dollari per il primo anno ma la mancanza di un coordinamento vero e proprio non portò ai risultati sperati, con il congelamento del progetto fino al 1994 e il rischio di una chiusura preventiva. Il progetto, invece, fu beneficiario di un finanziamento di ben 395 milioni di dollari. A fine 1994 vennero iniziati i lavori per il rivelatore di Hanford, a Washington, e l'anno successivo quelli a Livingston, in Louisiana. La prima operatività ci fu nel 2002 ma i primi anni furono segnati da zero risultati e da continui upgrade alla ricerca della risoluzione migliore, che oggi viene chiamata Advanced LIGO, fino al 2015 che segnò l'avvio delle operazioni vere e proprie con un costo lievitato fino a 620 milioni di dollari.
Interferometro di LIGO, veduta aerea
La sede di Livingston ospita un tunnel a forma di L, con misura di 4 chilometri per segmento, alle cui estremità sono fissati degli specchi, posti in sospensione per non risentire di rumori esterni. Un raggio laser viene sparato contro gli specchi per misurare il tempo di ritorno in entrambi i lati, alla ricerca di eventuali discrepanze (misurate in 10-18 metri) che significherebbero una deformazione nello spazio-tempo, quindi il passaggio di un'onda gravitazionale. Tutti gli interferometri si basano su questo procedimento di base, con personalizzazioni dovute alle necessità di isolare in misura diversa l'impianto da possibili rumori esterni.
Funzionamento di un interferometro per onde gravitazionali. Crediti NASA Space Place
La sede di Hanford è identica a quella di Livingston con l'aggiunta di un interferometro più piccolo, di 2 chilometri per lato.
Il programma LIGO prevede l'apertura di un terzo rivelatore LIGO in India.
Virgo
La collaborazione Virgo, che prende il nome dall'ammasso della Vergine, si compone di scienziati di venti gruppi di ricerca europei.
La prima proposta venne avanzatanel 1989 e, con l'approvazione nel 1994, la costruzione viene avviata nel 1996 a Cascina, in provincia di Pisa. Il 2001 vede la creazione di EGO (European Gravitational Observatory) mentre i lavori vennero terminati nel 2003. Dopo i primi dati, privi di informazioni rilevanti, Virgo viene chiuso per upgrade dal 2011 al 2016 giungendo alle fasi Virgo+ e Advanced Virgo, messo in opera nel periodo 2016-2017.
L'interferometro si trova all'European Gravitational Observatory (EGO) a Cascina e si compone di una struttura simile a quella di LIGO con la differenza di bracci lunghi tre chilometri anziché quattro.
Interferometro Virgo, a Cascina (PI)
Kamioka Gravitational Wave Detector (KAGRA)
Formalmente chiamato Large Scale Cryogenic Gravitational Wave Telescope (LCGT), KAGRA (Kamioka Gravitational Wave Detector) è un progetto futuro gestito dall'Università di Tokyo unitamente all'Institute for Cosmic Ray Research (ICRR). Il progetto prevede due rivelatori con bracci di tre chilometri da costruire in Giappone, a Kamioka. I lavori hanno subito diversi ritardi anche a causa di infiltrazioni di acqua nelle gallerie. Inizialmente previsto per il 2009, si attende il termine del lavoro.
KAGRA, i lavori in corso al futuro interferometro
Laser Interferometer Space Antenna (LISA)
Il Laser Interferometer Space Antenna (LISA) è una missione spaziale futura progettata dall'Agenzia Spaziale Europea (ESA) nell'ambito del Cosmic Vision Project. La missione prevede un lancio nel 2034 e una operatività di cinque anni finalizzata a captare onde gravitazionali direttamente nello spazio, grazie a una costellazione di tre satelliti perfettamente allineati tra di loro e separati l'uno dall'altro da 5 milioni di chilometri. Da questa distanza, i satelliti riusciranno a scambiarsi perfettamente i fasci laser che serviranno a misurare i tempi di andata e ritorno, esattamente come avviene sulla Terra, puntando a specchi di 30 centimetri di diametro. Nello spazio non saranno presenti disturbi e rumori tipici degli interferometri terrestri e potranno essere captate onde anche più piccole di quanto non ricevuto fino a oggi. LISA dovrebbe essere in grado di accorgersi di onde provenienti anche da fusioni di nane bianche e uno dei sistemi binari più interessanti è già stato segnalato: si tratta di WD 0931 +444, scoperto nel 1982 e inizialmente classificato come coppia formata da nana bianca e nana rossa . Osservazioni del Gemini Telescope del 2014 invece hanno evidenziato la coppia di nane bianche dalle quali ci si apetta, un giorno, di captare onde: le due nane orbitano in venti minuti intorno al proprio baricentro e sono separate da una misura pari al 20% della dimensione del Sole. In un tempo compreso tra un milione e nove milioni di anni le due stelle andranno a fondersi. Nella sfera di competenza di LISA sembrano essere anche i sistemi binari di stelle di neutroni, i quali dovrebbero emettere onde gravitazionali nello spettro testato dal progetto anche in assenza di una fusione (Mike Y M Lau et al. Detecting double neutron stars with LISA, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020): questi segnali sarebbero fondamentali per conoscere al meglio la struttura e le caratteristiche di questi oggetti (soprattutto in termini di circolarità dell'orbita) e le simulazioni mostrano come dopo i primi quattro anni di attività LISA potrebbe aver rilevato già dozzine di onde provenienti da stelle doppie di neutroni.
Rappresentazione del progetto LISA. Crediti NASA
Come test di tecnologia, il 3 dicembre 2015 è stata lanciata una versione molto ridotta di LISA, chiamata LISTA Pathfinder, che viene utilizzata per verificare la tecnologia su spazi più ridotti rispetto alla missione definitiva. I primi risultati sono tra l'altro molto migliori rispetto alle attese.
Intorno a LISA esistono molte aspettative anche per campi diversi da quello delle onde gravitazionali e uno tra questi è la ricerca della materia oscura dopo che uno studio del 2018 ha trovato un link matematico tra fusione di buchi neri e abbondanza di materia oscura nelle galassie nane (link all'articolo).
MAGIS-100
A partire da un interferometro atomico di 10 metri presente alla Stanford, avvolto in una gabbia metallica e reti, ci si è resi conto di poter passare da un fine rappresentato dalla natura delle onde degli atomi a qualcosa di differente: un tubo dieci volte più grande potrebbe essere utilizzato per la detection di onde gravitazionali e materia oscura . Una idea balenata al team della Stanford davanti a una macchinetta per il caffè espresso e che ha portato alla costruzione del Matter-wave Atomic Gradiometer Interferometric Sensor (MAGIS-100, con il numero a indicare i metri) dopo un aiuto di 9.8 milioni di dollari dalla Gordon and Betty Moore Foundation. Concettualmente MAGIS-100 è simile a LIGO: misura la distanza tra due masse di test ma anziché degli specchi utilizza atomi, i quali offrono ottime possibilità di utilizzo e isolamento da rumori esterni. Raffreddati a una frazione di grado sopra lo zero assoluto, gli atomi vengono fatti cadere verticalmente - nel vuoto - come gocce di acqua, al sicuro da qualsiasi evento terrestre. I laser manipolano gli atomi e il team misura il tempo di durata degli stati eccitati. Il team stesso si augura di poter utilizzare stronzio come massa di test, lo stesso elemento degli orologi atomici, per determinare ogni piccolo eventuale ritardo indice di passaggio di onde.
Per la materia oscura, invece, secondo alcuni modelli dovrebbero verificarsi variazioni nei livelli energetici degli atomi stessi e la tecnologia laser può consentire di osservare tali fenomeni. MAGIS-100 è un prototipo che, se funzionante, potrà poi essere ampliato fino alla scala di LIGO, di 4 chilometri e quindi fino a poter captare onde a bassa frequenza, intorno a 1 Hz. Si tratta degli stessi eventi di LIGO, ma ottenuti prima della effettiva collisione di corpi celesti. Questo renderebbe MAGIS-100 e LIGO pienamente compatibili. Con un occhio di riguardo alla possibilità di captare le onde primordiali.
Einstein Telescope
All'European Strategic Forum Research Infrastructures (ESFRI) del 2020 è stata presentata una proposta per includere l'Einstein Telescope (ET), uno strumento in grado di consentire l'osservazione dell'intero universo tramite onde gravitazionali. Un rilevatore terrestre che potrà consentire di osservare un enorme numero di eventi giungendo alla mappatura dell'espansione dell'universo nonché all'osservazione di fenomeni decisamente nuovi. Una forma triangolare in grado di fornire più informazioni sui segnali astrofisici e di individuare meglio le sorgenti nel cielo. Il progetto prevede 30 chilometri di tunnel sotterranei, a forma triangolare appunto, all'interno dei quali passerà un laser per misurare variazioni nello spaziotempo. Sono attualmente in corso le valutazioni per i siti che dovranno accogliere ET: i siti saranno due, operativi entro la metà degli anni Trenta, e i candidati sono Belgio, Germani, Paesi Bassi e Italia (Sardegna).
Gli sviluppi
La detection delle onde gravitazionali avvenuta a fine 2015 e comunicata a inizio 2016 ha risvegliato gli entusiasmi e, allo stesso tempo, ha fatto riflettere su alcune vulnerabilità degli interferometri attuali, a partire dal rumore che può rendere molto difficile captare un segnale esistente distinguendolo dal fondo. In particolare, le vibrazioni provenienti dall'ambiente sono difficili da compensare soprattutto a basse frequenze, intorno al secondo o meno, proprio laddove si presume che le onde gravitazionali possano essere abbondanti e interessanti, provenendo principalmente da sistemi binari stellari presenti nell'universo primordiale. Al Center for Astrophysics della Harvard , ad esempio, si lavora per produrre alternative e la principale si basa su un contatore utilizzato dalla NASA per tracciare i propri satelliti ma anche da radioastronomi per precise misurazioni di fenomeni cosmologici tramite Very Long Baseline Interferometry. Tecnologie in via di sviluppo in termini di orologio super-precisi che possono rivelarsi utili anche per questo nuovo fine, dopo essere stati impiegati in vari campi come, ad esempio, la misurazione delle velocità stellari indotte dalla presenza di esopianeti.
Uno studio si concentra in particolare sulle onde gravitazionali a bassa frequenza: la nuova tecnica, prevista da Igor Pokovski, Nick Langellier e Ron Walsorth, non misura la separazione dei sensori ma il loro minuscolo moto dovuto all'effetto Doppler indotto dal passaggio delle onde. Si utilizza un laser finemente controllato e un orologio atomico montato su due satelliti, contrariamente ai tre satelliti che finora sono alla prova con LISA Pathfinder. Non si tratta di qualcosa di molto futuristico visto che è necessario soltanto migliorare quanto già esistente, senza bisogno di produrre altro.
Un altro lavoro, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society Letters, indica le stelle come possibile oggetto di studio per la detection di onde gravitazionali. Il modello presuppone che se una stella oscilla alla stessa frequenza di un'onda gravitazionale andrà ad assorbire energia dall'onda divenendo più luminosa. L'idea si basa su una predizione piuttosto trascurata che Einstein formulò nella sua teoria della Relatività Generale, pubblicata nel 1916. Si può pensare alle onde gravitazionali come simili alle onde sonore emesse durante un terremoto, solo che le sorgenti dei tremori nello spazio sono le esplosioni di supernova, le stelle di neutroni binarie, le fusioni di stelle di neutroni con buchi neri. La loro rilevazione è difficilissima, in quanto interagiscono molto debolmente con la materia, ma il team degli scienziati del CUNY, dell' Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, dell' Institute for Advanced Study, e della Columbia University suggerisce che le stelle che presentano un'oscillazione di frequenza pari a quella delle onde che le attraversano possano entrare in risonanza e assorbire grandi quantità di energia dalle onde stesse. E' come avere una molla che sta vibrando a una certa frequenza e darle un colpo alla stessa frequenza: come effetto si avrà un aumento dell'oscillazione. Quindi le stelle che si troveranno in asse fra il telescopio e due lontani buchi neri in fusione dovrebbero brillare più del dovuto, mentre un rilevatore di onde gravitazionali dovrebbe mostrare una riduzione d'intensità delle onde.
Quel che manca, ad oggi, è la detection di un'onda gravitazionale collegata alla fusione di buchi neri supermassicci anziché stellari e, secondo uno studio di Novembre 2017 (13 novembre, Nature Astronomy) la prima detection potrebbe esserci prima del 2030. Una rilevazione del genere fornirebbe una infinità di informazioni riguardanti le modalità della fusione tra galassie e l'evoluzione dei buchi neri. Paradossalmente, le onde sprigionate da un evento simile sono molto forti ma non rientrano nel range di frequenze alla portata degli attuali rilevatori LIGO e Virgo. Un modo per osservare indirettamente queste onde potebbe consistere nell'osservazione delle pulsar, visto che il passaggio di un'onda determinerebbe una variazione nel ritmo di pulsazione delle stesse. Attualmente ci sono tre progetti che studiano le pulsazioni di questi oggetti, il Parkes Pulsar Timing Array (PPTA) in Australia, il North American Nanohertz Observatory for Gravitational Waves (NANOGW) e l'European Pulsar Timing Array (EPTA) Insieme, questi tre progetti formano l'International Pulsar Timing Array. Da questo, e dalla mappa delle pulsar , risulta come la probabilità di captare un segnale simile nel giro di 10 anni tenda al 100%. Le galassie che più di tutte sembrano favorite sono quelle piccole, visto che le galassie più grandi hanno buchi neri più grandi che si fondono più velocemente riducendo la finestra temporale di osservazione. Una fusione nella galassia M 87 comporterebbe, ad esempio, onde captabili per 4 milioni di anni mentre galassie più piccole porterebbero a una finestra di 160 milioni di anni. Contrariamente alle centinaia di pulsar al millisecondo ritenute necessarie per la detection di una onda di questo tipo, i calcoli mostrano come potrebbero esserne sufficienti venti studiare da SKA (Square Kilometer Array), dato che la frequenza raggiunta dipende anche dal redshift. In questo modo dovrebbero essere rinvenuti 60 buchi neri binari zon z < 0.0.5 entro trenta anni e più di 104 per z < 1 (More information: Yi Feng et al. Supermassive binary black hole evolution can be traced by a small SKA pulsar timing array, Physical Review D - 2020). Nel prossimo decennio, inoltre, potrebbe essere possibile osservare la radiazione X legata alla fusione di buchi neri supermassicci grazie alla collaborazione tra Athena e LISA, in grado di fornire una mappatura multimessenger di alcuni degli eventi più violenti dell'universo (Sean McGee et al. Linking gravitational waves and X-ray phenomena with joint LISA and Athena observations, Nature Astronomy - 2020).
A fronte dei sei segnali scoperti fino ad Aprile 2018, i modelli lasciano sottendere come ogni pochi minuti una coppia di buchi neri vada incontro a una fusione e come esistano 100 mila eventi di onda gravitazionale ogni anno, eventi troppo deboli per gli attuali Virgo e LIGO. Le onde gravitazionali di questi eventi si combinano dando vita a un fondo di onda gravitazionale e questo potrebbe favorire la cattura del segnale cumulato, anche se i singoli segnali sono e restano troppo deboli. Spingendo il modello al limite, un giorno potrebbe essere anche possibile catturare il fondo derivante dalle onde gravitazionali primordiali, nascoste dietro le onde provocate oggi da buchi neri e stelle di neutroni.
Sono state così portate avanti simulazioni di segnali deboli fino a giungere alla convinzione riguardo la presenza nei dati, debolissima ma non ambigua, di fusioni di buchi neri (simulati). Ora il modello è da applicare ai dati reali, con l'aspettativa di giungere a qualcosa mille volte più sensibile di quanto non sia oggi a disposizione della tecnoogia. Il supercomputer OzSTAR sarà utilizzato per osservare le onde gravitazionali nei dati di LIGO.
Il 2020 porta a un ulteriore studio dell'OzGrav per lo sviluppo di NEMO (Neutron Star Extreme Matter Observatory), un nuovo osservatorio australiano che potrebbe offrire alcuni dei più emozionanti rivelatori di onde gravitazionali a un costo molto basso e con una spinta verso lo studio delle stelle di neutroni. Si tratta di un rilevatore di terza generazione, in grado di migliorare la sensibilità di un fattore 10 recependo fusioni di buchi neri in tutto l'universo e la gran parte delle collisioni tra stelle di neutroni. A fronte di 1 miliardo di dollari di un "classico" rivelatore di onde e di una timeline prevista per il 2035, tuttavia, NEMO richiederebbe tra 50 e 100 milioni di dollari e sarebbe un ottimo banco di prova per gli osservatori che verranno (Ackley et al., Neutron Star Extreme Matter Observatory: A kilohertz-band gravitational-wave detector in the global network).
Anche la Luna viene tirata in ballo nel 2021 con il primo concept design per un interferometro sul nostro satellite, a cura della Vanderbilt University e di Harvard. L'esperimento si chiama Gravitational-Wave Lunar Observatory for Cosmology (GLOC) e mira alle fusioni di buchi neri, stelle di neutroni e candidati per materia oscura nel 70% del volume osservabile dell'universo, con possibilità di determinare la velocità di espansione dello stesso con una precisione senza pari a oggi. L'assenza di atmosfera e di rumore sismico evidente sarebbero fattori essenziali di convenienza (Journal of Cosmology and Astroparticle Physics - “Gravitational-wave Lunar Observatory for Cosmology” - K. Jani et al.)
Ultimo aggiornamento del: 28/07/2021 12:13:12
La detection diretta delle onde gravitazionali
Il giorno 11 febbraio 2016 l'astronomia si arricchisce di un nuovo strumento e un nuovo modo per toccare l'universo: la detection dell'onda GW 150915 rappresenta il primo evento di un universo osservato dal punto di vista della gravità.
Processi in grado di generare onde gravitazionali ascoltabili da Terra sono essenzialmente le fusioni di oggetti compatti, visto che nelle ultime fasi della fusione stessa gli oggetti vengono ad assumere velocità tali da innescare increspature dello spazio-tempo decisamente ampie. Non è un caso, infatti, se proprio fusioni di buchi neri e di stelle di neutroni sianono stati i processi alla base delle prime detection dal 2015 sal 2017, ma processi in grado di generare segnali compatibili con le risoluzioni attuali potrebbero appartenere anche ad altra tipologia di fenomeno e proprio queste tipologie sono oggetto di molteplici studi. Vediamo quindi quali possano essere le cause del rilascio di onde gravitazionali, fermo restando che qualsiasi massa accelerata emette onde quindi limitiamo il discorso agli eventi in grado di produrre onde attualmente captabili dalle tecnologie sviluppate.
Rotazione di stelle di neutroni
Secondo uno studio del Tata Institute of Fundamental Research (TIFR), una popolazione di stelle di neutroni in sistema binario potrebbe incrementare il proprio tasso di rotazione tramite sottrazione di materia ai danni di stelle compagne "normali". Una dimostrazione osservativa è data da stelle scoperte a ruotare centinaia di volte al secondo intorno al proprio asse di rotazione. Negli anni Settanta è stata creata la base teorica per la rotazione delle stelle di neutroni, e da lì il discorso si è mosso poco ma il nuovo studio - guidato dal Prof. Bhattacharyya - ha mostrato come, in episodici trasferimenti di massa che avvengono per molte stelle di neutroni, il tasso di rotazione stellare possa in effetti essere molto più elevato della media, portando una stella a ruotare migliaia di volte al secondo. Il fatto che simili stelle di neutroni non siano state ancora osservate lascia dedurre che queste stelle siano probabilmente rallentate dalla continua emissione di onde gravitazionali. Una trasformazione da energia rotazionale a energia gravitazionale in grado, quindi, di rallentare la rotazione stellare. Se questo fosse vero, allora l'emissione continua di onde gravitazionali potrebbe fornire una opportunità di studio permanente, senza dover attendere fenomeni sporadici e improvvisi come le fusioni.
Esplosioni di supernova
Onde gravitazionali potrebbero provenire anche da esplosioni di supernova, secondo un team di astronomi di Glasgow e Arizona (settembre 2017, arXiv). Se questo fosse vero, allora gli astronomi potrebbero entrare nel cuore della stella morente per la prima volta e non stiamo parlando di futuro ma di una possibilità già esistente, alla base della tecnologia in campo. Ricercatori di OzGrav hanno simulato esplosioni di astri con masse di 39, 20 e 18 masse solari ottenendo importanti indizi sulle possibili onde gravitazionali osservabili. La stella di 39 masse solari ruota molto rapidamente e, unitamente a quella di 20 masse solari, produce una esplosione alimentata da neutrini. La terza stella non produce esplosione, emettendo onde gravitazionali di minore ampiezza ma con frequenza che cade pienamente nel range degli attuali interferometri. L'elevata rotazione del primo modello produrrebbe ampiezze tali da essere osservabili almeno a 6.5 milioni di anni luce di distanza dai prossimi osservatori come l'Einstein Telescope (Jade Powell et al. Three-dimensional core-collapse supernova simulations of massive and rotating progenitors, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).
Fusione di oggetti compatti
Uno dei meccanismi in grado di generare onde gravitazionali è la fusione di buchi neri o stelle di neutroni ma non inganni il fatto che le prime detection siano state tutte all'insegna di questi eventi poiché si tratta di fenomeni rari nella nostra Galassia, verificandosi in media in misura di uno ogni diecimila anni. Proprio per questo è stato necessario un upgrade dei rivelatori, portandoli a sensibilità idonee a captare eventi extra-galattici. Uno studio del 2018, tuttavia, ha gettato un po' di entusiasmo su questa stima al ribasso, evidenziando come fusioni di buchi neri possano in realtà essere molto più frequenti di quanto ipotizzato, soprattutto all'interno di ammassi globulari. In questi oggetti molto densi di stelle potrebbe essere semplice trovare fusioni di "seconda generazione" e la presenza di buchi neri con masse intorno alle 50 masse solari dovrebbe testimoniare proprio l'appartenenza dell'oggetto a questa popolazione di seconda generazione e non a un processo di singola morte stellare. Come prova sono state implementate simulazioni in 24 ammassi globulari contenenti stelle in numero da duecentomila a due milioni: il risultato ha evidenziato morti stellari con formazione di buchi neri, fusione tra questi oggetti e "scivolamento" gravitazionale degli stessi verso le zone centrali dell'ammasso, dove la maggiore densità ha dato vita a nuove fusioni. La fusione di due buchi neri, tuttavia, è osservabile esclusivamente in via gravitazionale visto che manca una controparte elettromagnetica. Questo potrebbe essere non vero nel caso in cui la coppia di buchi neri si trovi all'interno di una grande massa di gas nei pressi di un buco nero supermassiccio: secondo uno studio del California Institute of Technology, infatti, l'evento darebbe vita a un brillante disco di gas che avvolte i buchi neri minori che sciamano intorno a quello supermassiccio. Entrato nel disco, il gas si attacca ai buchi neri determinandone spirali sempre più strette fino alla fusione. Quando i buchi neri si fondono, in genere accelerano e il gas vicino tenta l'inseguimento del prodotto della fusione scontrandosi, però, con il disco vicino. La collisione potrebbe essere rilevabile nel campo elettromagnetico (B. McKernan et al, Ram-pressure Stripping of a Kicked Hill Sphere: Prompt Electromagnetic Emission from the Merger of Stellar Mass Black Holes in an AGN Accretion Disk, The Astrophysical Journal - 2019).
La fusione di oggetti compatti è un processo che viene suddiviso in tre fasi distinte, quali inspiral, merger e ringdown ed è fondamentale conoscere teoricamente l'evolversi dell'evento poiché in base a questa conoscenza è possibile risalire al segnale che ci si aspetta di captare.
INSPIRAL - Le onde gravitazionali della fase di inspiral vengono generate durante la fine vita dei sistemi binari destinati a fusione. In genere i sistemi in esame riguardano due buchi neri, due stelle di neutroni o un mix dei due oggetti, con orbite degradate al punto da portare a coalescenza. L'orbita degradata consiste di una distanza sempre più ridotta e una velocità sempre maggiore, il che provoca un aumento della frequenza delle onde gravitazionali fino alla coalescenza vera e propria. La frequenza del segnale dell'onda è quindi in costante aumento. Eventi di questo tipo possono essere fondamentali anche per comprendere l'interno delle stelle di neutroni coinvolte - eventualmente - nella fusione, visto che la fase di avvicinamento determina delle deformazioni mareali riscontrabili nel segnale d'onda: una opportunità di astrosismologia che potrà essere sfruttata dai rilevatori del futuro (Pratten et al. "Gravitational-Wave Asteroseismology with Fundamental Modes from Compact Binary Inspirals" Nature Communications, 2020)
MERGER - Il merger indica l'effettiva fase di coalescenza, durante la quale viene a crearsi l'oggetto finale che può essere - in base alle masse in gioco - una stella di neutroni oppure un buco nero. Il picco dell'emissione delle onde gravitazionali si raggiunge appena prima la fusione vera e propria.
RINGDOWN - E' la fase di assestamento del nuovo oggetto, caratterizzata da una forma che si distorce sui due assi principali alla ricerca dell'equilibrio stabile, raggiunto di nuovo eliminando l'energia in eccesso tramite onde gravitazionali. Le onde di ringdown quindi sono portatrici di informazioni riguardanti l'oggetto che si è venuto a creare, come massa e forma. Al termine della stabilizzazione l'oggetto rimanente potrebbe comunque non essere una sfera perfetta poiché potrebbe essere comunque più o meno schiacciato in base alla rotazione residua (es. buco nero di Kerr, rotante). Proprio in base all'onda di ringdown è stata innescata una fiorente letteratura sul fatto che non esistano prove definitive, allo stato attuale, a favore dell'esistenza dei buchi neri visto che il ringdown dovrebbe portare con sé anche il segnale relativo all'orizzonte degli eventi, ma questa fase di onda si trova in una zona ancora irraggiungibile dalla tecnologia a disposizione. Se la collisione viene osservata dall'equatore del buco nero, inoltre, il segnale di ringdown diventa più complesso, con un tono che sale e scende un paio di volte prima di assopirsi. Ciò dipende dalla forma del buco nero finale, che agisce come un faro di onde gravitazionali: quando i buchi originari hanno diverse dimensioni, il buco nero risultante appare inizialmente con una cuspide su un lato, tipo castagna, e una zona posteriore più liscia. Il buco nero emette onde più intense dalle zone più curve intorno alla cuspide e la rotazione del buco nero produce quindi un effetto osservativo di rimbalzo (Communications Physics (2020). 10.1038/s42005-020-00446-7).
Credit: C. Evans, J. Calderón Bustillo
Una volta definito il processo atteso da un evento di questo tipo è possibile creare delle simulazioni in grado di mostrare quale sia la forma di onda attesa, facendo ipotesi sulle masse degli oggetti in fusione. Non è un discorso semplice: osservare da fuori uno spiraleggiare di buchi neri fino alla fusione è come osservare un illusionista delle tre carte con il risultato che ben presto perderemmo il filo. Proprio per questo un team della Università di Cardiff, guidato da Mark Hannam, ha avanzato l'idea di mettersi nei panni di uno degli oggetti in fusione, al fine di minimizzare il numero di variabili in gioco.
Come si capta un'onda gravitazionale
Vengono quindi create delle onde simulate partendo da masse ipotizzate e per ciascun segnale diverso dal rumore captato dagli interferometri si procede a una comparazione con le simulazioni. Quando il segnale captato si sposa con l'onda simulata viene generato un alert via e-mail per una conferma. Per testare il sistema, saltuariamente viene inserita una onda simulata nei dati degli interferometri (test di injection) al fine di verificare che l'algoritmo riesca effettivamente ad accorgersi del segnale. Prima di ciascuna injection viene fornita apposita notifica in modo che la e-mail venga presa con la giusta attenzione, evitando di pensare di trovarsi di fronte a una vera onda gravitazionale. Qualora il segnale venga captato in entrambi i bracci di più di un interferometro la probabilità di trovarsi di fronte a un evento reale di onda gravitazionale diventa altissima.
La prima detection - GW 150914
Il segnale captato in occasione della prima detection di una onda gravitazionale. Crediti LIGO collaboration
Proprio in base a questo procedimento, la e-mail segnalata all'ing. Marco Drago del Max Planck Institute il giorno 14 settembre 2015 alle ore 09.51 UTC è entrata di diritto nella storia dell'astronomia. Le antenne di LIGO hanno infatti captato, con certezza pari a Sigma 5.1 (circa il 99,9%), la voce gravitazionale della coalescenza di due buchi neri in rapido volteggiare reciproco. Il segnale captato era uguale al segnale simulato corrispondente alla fusione di due buchi neri di masse rispettivamente pari a 36 e 29 masse solari (dedotte dalla fase di inspiring), dando vita a un buco nero finale di 62 masse solari (dedotta dalla fase di ringdown) La differenza di 3 masse solari è l'energia trasformata in onde gravitazionali (articolo ufficiale). La distanza dell'evento è stata stimata in 1.3 miliardi di anni luce.
Il segnale è stato captato da entrambi gli interferometri gemelli LIGO, con la strumentazione di Livingston in anticipo di 7 millisecondi rispetto a quella di Hanford. L'analisi ha rivelato una provenienza dall'emisfero australe del cielo, una direzione vaga ma l'unica possibile con due soli interferometri in ascolto, peraltro molto vicini tra di loro. Virgo si trovava in fase di upgrading, quindi è venuto a mancare un punto con il quale triangolare al meglio la posizione di partenza dell'evento. Fatalmente, pochi istanti dopo la detection gli osservatori gamma e X presenti nel cielo hanno captato un burst proveniente dalla stessa, ampissima, zona di cielo: una coincidenza, tuttavia, dal momento che eventi riguardanti buchi neri non possono emettere radiazione elettromagnetica.
Le altre detection di fusioni di buchi neri
La seconda onda - GW 151226 - arriva al laser di LIGO il 26 dicembre 2015, ore 03:38:53, e viene osservata sia da Livingston sia da Hanford, di nuovo. Ancora due buchi neri in fusione, stavolta di 14 e 8 masse solari rispettivamente, uniti a dare origina a un buco nero di 21 masse solari, quindi con una mancanza di una massa solare trasformata in onda gravitazionale. Rispetto alla prima onda la minor massa dei due buchi neri ha generato un'onda più debole ma più lunga, della durata di un secondo circa, prodotta dalle ultime 55 orbite prima della fusione. La distanza dell'evento è stata stimata in 1.4 miliardi di anni luce. L'annuncio è stato effettuato il 15 giugno durante il Meeting dell'American Astronomical Society a San Diego.
Il 14 agosto 2017 alle ore 10:30:43 UTC i due interferometri LIGO e l'interferometro Virgo hanno vibrato in seguito al passaggio della terza onda gravitazionale mai captata (GW 170814). In realtà si tratta della quarta onda, ma l'annuncio viene dato con precedenza rispetto alla terza dal momento che si trattava della prima la cui detection appartiene a tutti gli interferometri presenti. La presenza di Virgo ha consentito di triangolare la posizione della sorgente in misura migliore rispetto alla prima onda, giungendo a definire un'area di "appena" sessanta gradi quadrati di cielo, mentre l'analisi dei segnali ha fornito un evento compatibile con la fusione di due buchi neri di masse pari a 31 e 25 masse solari, con la creazione di un buco nero di 53 masse solari. Anche stavolta, quindi, una differenza di tre masse solari convertita in onda gravitazionale. L'evento si è verificato a una distanza di 1.8 miliardi di anni luce. A produrre il segnale è stata ancora una volta la fusione di due buchi neri le cui masse sono state stimate in 31 masse solari e 25 masse solari rispettivamente. L'evento si è verificato a 1.8 miliardi di anni luce da noi dando vita a un buco nero rotante di 53 masse solari, con una differenza quindi di 3 masse solari "disperse" con l'onda.
La quinta onda è stata registrata il 4 gennaio 2017 (quindi prima della terza ufficiale e anche della quarta, della quale si parlerà fra poco), generata di nuovo da una fusione di buchi neri con creazione di un buco nero di 49 masse solari (GW 170104). L'evento di fusione si è verificato a una distanza di 3.4 miliardi di anni luce e l'analisi del segnale ha evidenziato un probabile disallineamento negli assi di rotazione dei due buchi neri partecipanti, il che andrebbe a favore della cattura gravitazionale come nascita del sistema binario originario. Anche stavolta il satellite AGILE ha captato un fenomeno elettromagnetico appena 0.46 secondi prima della detectione dell'onda, originato da un punto del cielo potenzialmente compatibile con la provenienza dell'onda. Anche stavolta il lampo registrato dovrebbe essere una coincidenza, visto che buchi neri non emettono nello spettro elettromagnetico. L'onda è stata captata esclusivamente dall'interferometro di Livingston, dal momento che Virgo era di nuovo chiuso per upgrading mentre Hanford era acceso ma sottoposto a manutenzione. Per avere conferma, comunque, anche i dati di Hanford sono stati presi e ripuliti del rumore dovuto alla manutenzione fino a giungere al segnale captato. A partire dai dati di LIGO è stato stimato come il 14% delle stelle massive, fin dall'origine dell'universo, sia destinato a collidere come coppia di buchi neri, una percentuale decisamente alta (Karan Jani et al. Global Stellar Budget for LIGO Black Holes, The Astrophysical Journal - 2020).
I casi sono divenuti via via più numerosi tanto da smettere di contarli singolarmente. A inizio 2020 ricercatori del Max Planck Institute for Gravitational Physics hanno pubblicato il secondo Open Gravitational-wave Catalog (2-OGC) utilizzando metodi più affinati per scavare all'interno dei dati pubblici relativi ai primi due run di LIGO e Virgo (O1 da Settembre 2015 a Gennaio 2016; O2 da Novembre 2016 a Agosto 2017). Le nuove analisi hanno confermato le dieci fusioni di buchi neri e la fusione di stelle di neutroni già note ma hanno anche aggiunto quattro nuovi candidati eventi, tutti e quattro relativi a fusioni di buchi neri, mostrando come sia importante rivalutare anche dati già analizzati (Alexander H. Nitz et al. 2-OGC: Open Gravitational-wave Catalog of Binary Mergers from Analysis of Public Advanced LIGO and Virgo Data, The Astrophysical Journal - 2020).
Anche se i segnali diventano sempre più numerosi, ogni tanto c'è un evento che spicca tra tutti per importanza e all'inizio di settembre 2020 è stata la volta di GW 190521, caratterizzato dal record di massa per i buchi neri coinvolti e di distanza: il segnale risale (come il nome indica) al 21 maggio 2019 ed è stato catturato dal terzo run degli interferometri LIGO e Virgo come fusione di buchi neri di 66 e 85 masse solari (probabilmente quest'ultimo di seconda generazione, cioè già derivante da fusioni di buchi neri minori) avvenuta 7 miliardi di anni fa. Soltanto masse così grandi possono generare onde rintracciabili, con gli strumenti attuali, a queste distanze. La fusione ha prodotto un buco nero finale di 142 masse solari, al di sopra della soglia riconosciuta come inizio dei buchi neri di massa intermedia (Physical Review Letters - “GW190521: A Binary Black Hole Merger with a Total Mass of 150M⊙”). Tra le particolarità di questo evento, peraltro, alcuni sostengono che possa essersi trattato di una fusione di buchi neri in grado di generare, indirettamente, un segnale luminoso: questo segnale - rinvenuto dallo Zwicky Transient Facility (ZTF), sarebbe stato generato dalla "fuga" del buco nero creato verso una traiettoria casuale sollevata rispetto al piano del disco. Il transito avrebbe così eccitato il gas attraversato generando la luce osservata.
Rappresentazione delle masse di GW 190521. Credit: LIGO/Caltech/MIT/R. Hurt (IPAC)
Le onde gravitazionali, secondo la teoria di Einstein, dovrebbero distorcere permanentemente lo spazio lasciando memoria del proprio passaggio, ma si tratta di un effetto estremamente ridotto e ancora mai rilevato. Un metodo per poter rintracciare questo effetto è stato elaborato dall'ARC Centre of Excellence for Gravitational Wave Discovery (OzGrav) alla Monash University ed è stato presentato all'Australian National Institute for Theoretical Astrophysics (ANITA) a Canberra a Febbraio 2020. Il segnale è di gran lunga inferiore alla dimensione dell'onda derivante dalla fusione di buchi neri ma il problema può essere risolto andando a combinare i dati di più eventi grazie ai modelli più precisi per eventi di questo tipo, anche se LIGO e Virgo non sono ancora abbastanza sensibili. In pratica, esiste il modello ma non gli strumenti a meno che non sia possibile sommare l'effetto di duemila fusioni, un numero che secondo i ricercatori potrebbe essere raggiunto a metà degli anni Venti (Moritz Hübner et al. Measuring gravitational-wave memory in the first LIGO/Virgo gravitational-wave transient catalog, Physical Review D - 2020).
La prima fusione tra buchi neri di diversa massa
Il run O3 ha fornito un segnale a settimana (56 candidati segnali in un periodo tra il 1 aprile 2019 e il 27 marzo 2020 con una interruzione a Ottobre 2019) fino a qualcosa di diverso: il segnale battezzato GW190412 ha infatti presentato per la prima volta la fusione tra due buchi neri di massa differente, stimata in 8 e 30 masse solari per i due oggetti coinvolti. Sistemi con massa così differente presentano una armonica più alta, una previsione della Relatività Generale di nuovo confermata dagli eventi. Come suggerisce la sigla dell'evento, il segnale risale al 12 aprile 2019, preso dalla terza osservazione da parte dei rilevatori (run O3). La fusione è avvenuta a una distanza tra 1.9 e 2.9 miliardi di anni luce e la presenza di una armonica più alta ha consentito di elaborare informazioni sull'angolo del piano orbitale dei due oggetti e sulla loro distanza. Si rivela così il primo elemento di una intera popolazione di sistemi binari, quelli con masse molto differenti e con rotazioni che raggiungono il 40% del massimo consentito dalla Relatività Generale (GW190412: Observation of a Binary-Black-Hole Coalescence with Asymmetric Masses). Come si creano sistemi binari di buchi neri con masse così differenti è ancora un mistero. Si potrebbe pensare a densi ammassi stellari, ma anche in questi ambienti l'output più probabile è dato da buchi neri di massa simile. Una complicazione viene dalla rotazione dei buchi neri, la quale si quantifica con un valore tra 0 e 1. Se ciascuno dei buchi neri di una fusione ha un valore basso di rotazione, come previsto, la fusione tende a produrre un buco nero più massivo con rotazione maggiore, intorno a 0.7, ma nel caso di GW 190412 la rotazione è misurata in 0.43. La maggior probabilità tende a concentrarsi su fusioni precedenti di buchi neri all'interno di cluster, processi che possono portare a un buco nero con la rotazione osservata: due coppie binarie di buchi neri si fondono producendo buchi neri più massicci. Successivamente, questi due buchi neri formano una coppia essi stessi e si fondono, producendo un buco nero a rotazione moderata. Questo buco nero si accoppia con un altro a bassa massa dando vita all'evento GW190412. Sicuramente una combinazione rara, ma ad oggi sembra il caso più probabile (Carl L. Rodriguez et al. GW190412 as a Third-generation Black Hole Merger from a Super Star Cluster, The Astrophysical Journal - 2020). Una formazione gerarchica, quindi, che riesce a far luce anche sull'ambiente di formazione del buco nero di seconda generazione. La collisione che ha formato l'elemento più massivo della coppia, infatti, dovrebbe aver generato il buco nero ma dovrebbe anche averlo calciato a una certa distanza verso il mezzo interstellare, laddove le possibilità di incrociare un altro buco nero sono davvero minime. Per averlo trovato, il buco nero più massivo deve essere rimasto in zona dopo la prima fusione il che vuol dire che l'ambiente in cui è nato deve essere stato molto denso come il disco di gas intorno a un buco nero supermassivo oppure un ammasso nucleare (Davide Gerosa et al, Astrophysical Implications of GW190412 as a Remnant of a Previous Black-Hole Merger, Physical Review Letters - 2020).
Il terzo run ha prodotto ben trentanove segnali di fusione tra buchi neri o stelle di neutroni in sei mesi, triplicando le rilevazioni dei primi due run (grazie soprattutto a laser più potenti e a specchi modificati) e aumentando il duty cycle fino al 71% per Hanford e al 76% per gli altri due interferometri. Dei trentanove eventi, trentasei sono fusioni tra buchi neri mentre due sembrano fusioni tra buchi neri e stelle di neutroni, con l'ultima che dovrebbe essere la fusione di due stelle di neutroni.
Fusione tra buchi neri e stelle di neutroni
Le collaborazioni Virgo, LIGO e Kagra hanno annunciato a metà 2021 la prima osservazione di onde derivanti dalla fusione di un buco nero con una stella di neutroni (NSBH, Neutron Star - Black Hole) avvenuta il 5 gennaio 2020 sotto gli occhi del rilevatore Advanced Ligo a Livingston e di Advanced Virgo in Italia. Il segnale è stato subito bissato da un altro dello stesso tipo, dando vita agli eventi Gw 2001016 e 200115. Si tratta di sistemi teorizzati ma fino al momento mai provati sperimentalmente e i segnali ottenuti contengono informazioni molto preziose sulle caratteristiche fisiche di questi sistemi nonché sui meccanismi fisici che generano gli eventi. Per Gw 200105 le masse in gioco sono stimate in 8.9 e 1.9 masse solari, con fusione distante 900 milioni di anni luce, mentre per il secondo evento si parla di 5.7 e 1.5 masse solari con una distanza di 1 miliardo di anni luce. La differenza di massa tra le componenti dei sistemi binari dovrebbe aver impedito qualsiasi forma di emissione di radiazione elettromagnetica catturabile (The Astrophysical Journal Letters - “Observation of gravitational waves from two neutron star–black hole coalescences” - The LIGO Scientific Collaboration, the Virgo Collaboration, and the KAGRA Collaboration)
Ultimo aggiornamento del: 04/12/2021 15:34:25
GW 170817: inizia l'astronomia multimessenger
La detection dell'onda chiamata GW 170817 viene accompagnata da un segnale elettromagnetico riguardante la fusione di due stelle di neutroni. Per la prima volta un unico evento viene osservato sotto tutti i punti di vista. Nasce la multimessenger
Il 16 ottobre 2017 inizia ufficialmente quella che viene chiamata astronomia multimessenger, consistente nell'analizzare lo stesso evento sotto diversi punti di vista, in tal caso elettromagnetico e gravitazionale.
Sebbene la notizia sia stata annunciata il 16 ottobre 2017, una attenta analisi di quanto accaduto nei due mesi precedente avrebbe di sicuro indirizzato verso una facile previsione dal momento che tutti i telescopi spaziali insistevano sullo stesso oggetto mentre vari Twitt tra scienziati ottici e scienziati gravitazionali lasciavano intravedere una collaborazione molto stretta. L'articolo pubblicato su Nature dal titolo "A kilonova as the electromagnetic counterpart to a gravitational-wave source" dice tutto già dal titolo e apre una nuova porta sulla conoscenza dell'universo poiché per la prima volta è stato possibile osservare uno stesso fenomeno da un punto di vista gravitazionale, tramite un'onda, e da un punto di vista elettromagnetico. E' la prima volta che una onda gravitazionale rivela la sua controparte elettromagnetica, dando il via alla cosiddetta astronomia "multimessage", basata non più soltanto sui fotoni (e su qualche neutrino ) ma anche sulla gravità.
Rappresentazione artistica di fusione di stelle di neutroni
Il luogo dell'evento è la poco nota galassia NGC 4993 nell'Idra, galassia che il 17 agosto 2017 alle ore 14.41.04 italiane ha ospitato un GRB . Da quel giorno la galassia è stata il centro dell'universo, osservata a tutte le lunghezze d'onda dai maggiori telescopi spaziali e da strumenti di spettroscopia "terrestre" come Fors2 del VLT ma soprattutto XShooter, montato anch'esso sul Very Large Telescope di ESO a Paranal, in Cile. L'interesse immediato è nato dal fatto che, nello stesso momento, i laser di Virgo e di LIGO hanno vibrato nello stesso modo, a mostrare il passaggio di un'onda gravitazionale (GW 170817). Si aggiungono Agile, Swift, il piccolo telescopio Swope a Las Campanas e il Rapid Eye Mount di La Silla. Curioso il caso di Swope, visto che la notizia dell'onda è giunta quando in loco era pieno giorno e che la zona da riprendere sarebbe tramontata molto presto dopo il crepuscolo, regalando al team soltanto un'ora per le immagini ottiche. Il risultato delle osservazioni ha portato a isolare un oggetto brillante prima non presente, al quale è stato assegnato il nome SSS17a: un oggetto luminoso come una supernova la cui luce, però, calava molto più rapidamente rispetto a quanto atteso da un evento di questo tipo. Notevole anche l'apporto di Swift, puntato verso la sorgente appena 16 minuti dopo la segnalazione dell'onda gravitazionale e in grado di osservare una rapida diminuzione nella radiazione ultravioletta emessa.
L'evento che ha dato inizio alla Multimessenger Astronomy. Credit LIGO Scientific Collaboration
A 130 milioni di anni luce di distanza, nella anonima galassia NGC 4993, due stelle di neutroni si sono fuse in un processo di coalescenza. Due resti stellari, quanto rimaneva di due stelle di grande massa, con massa tra 8 e 10 volte quella del Sole e legate gravitazionalmente a costituire un sistema binario . Le prime osservazioni sono dovute a un team del Carnegie Institution for Science a Las Campanas, in Cilie. La reciproca orbita intorno al comune baricentro fa sì che l'energia cinetica venga trasformata in gravitazionale e che le stelle di neutroni tendano sempre più ad avvicinarsi fino a essere talmente vicine da rilasciare una potente energia gravitazionale, captata dagli interferometri sulla Terra. Le due stelle si fondono a formare un oggetto ancora più esotico, con rilascio di onde gravitazionali ma anche (non trattandosi di buchi neri, stavolta) di radiazione a ogni frequenza , da raggi gamma alle onde radio. Il lampo gamma è stato battezzato GRB 170817A e ha "consigliato" gli astronomi a puntare verso la zona prima il VLT, poi ALMA e poi gli strumenti orbitanti come Chandra (19 agosto) e Hubble (22 agosto). Soprattutto Chandra ha consentito di far lievitare la curiosità visto che la procedura prevede il suo impiego soltanto in presenza di onde gravitazionali legate probabilmente a controparti ottiche. Sono proprio questi gli indizi che ci hanno consentito di anticipare la notizia di un mese, durante una delle nostre dirette.
Il segnale dell'evento ripreso da LIGO e da FERMI
A favore della scoperta ha giocato senz'altro la vicinanza della galassia NGC 4993, che ha consentito di osservare una zona di cielo particolarmente ridotta in termini di galassie papabili (parliamo comunque di un'area grande più di cento volte la Luna piena), spazzando il campo alla ricerca di un afterglow (radiazione decrescente dopo il "boom") degno di meritare una operazione di follow-up (analisi spettroscopiche per comprendere la natura dell'evento). E sempre la vicinanza ha consentito di ottenere spettri nitidissimi.
Il Gamma Ray Burst è stato osservato dal telescopio spaziale Fermi in un tempo quasi concomitante (una differenza di 1.7 secondi tra onda e GRB) alla detection dell'onda gravitazionale, ma il dato essenziale è che la sorgente sia stata osservata fin dall'inizio, fin dall'immediato termine della fusione quando i fotoni sono ancora racchiusi nella piccola regione di spazio e l'unica cosa che si può osservare è la fotosfera che emette come corpo nero . Da questo momento in poi l'energia potenziale inizia a trasformarsi in cinetica tramite l'espansione dell'oggetto creato, che diventa via via più trasparente e consente ai fotoni di uscire. Gli spettri hanno evidenziato una velocità di espansione intorno al 30% della velocità della luce. La maggior trasparenza consente di osservare gli strati interni, le righe di assorbimento che cambiano, si evolvono a indicare gli elementi chimici che questo fenomeno, una kilonova , va a creare. Elementi pesanti, pesantissimi come il selenio, l'ittrio, il rutenio per arrivare a oro, planito e uranio. Tra questi elementi è presente anche lo stronzio, rintracciato durante una osservazione spettroscopica - effettuata con X-Shooter installato al VLT (Very Large Telescope) - che ha segnato la prima evidenza convincente della creazione di elementi specifici di grande massa tramite cattura neutronica, un processo che indica la cattura rapida dei neutroni da parte di un nucleo atomico. Una cattura tanto rapida da consentire una massa elevata prima che avvenga il decadimento e che necessita di ambienti estremi proprio come una kilonova (Nature - Identification of strontium in the merger of two neutron stars - Darach Watson et al.). In realtà il contributo dei fenomeni di fusione di stelle di neutroni alla generazione di elementi pesanti potrebbe anche essere sovrastimato, stando a uno studio del 2020, e in questo caso resterebbe aperto il mistero relativo all'abbondanza di elementi come l'oro, ad esempio. Secondo questa teoria, gli eventi di fusione non sono abbastanza dal punto di vista quantitativo né dal punto di vista degli elementi prodotti, e questo vale oggi così come valeva nell'universo primordiale. Questi elementi necessitano di fenomeni stellari totalmente differenti (supernovae insolite che collassano mentre ruotano a velocità folli generando intensi campi magnetici, ad esempio) e se questo fosse vero verrebbe modificata l'origine degli elementi nella tavola periodica e quindi, in pratica, l'evoluzione dell'universo. I modelli, confrontati con le osservazioni, portano a una sovrabbondanza di argento e a una mancanza di oro il che vuol dire che serve una nuova tipologia di esplosione stellare o di reazione nucleare. Non esiste un elemento che derivi da una sola tipologia di stella: il carbonio proviene per metà da stelle di piccola massa ma per l'altra metà proviene dalle supernovae, così come il ferro proviene dalle supernovae ma anche da supernovae di tipo Ia. Le fusioni di stelle di neutroni formano oro, certo, ma non sono sufficienti a spiegarne la quantità osservata (Astrophysical Journal - 2020).
Non solo: uno studio di inizio 2019 sostiene come un evento simile potrebbe essere in grado di sciogliere, temporaneamente, i neutroni in quark liberi, proponendo queste unità fondamentali in modo singolo per la prima volta dopo il Big Bang.
I modelli hanno faticato a comprendere l'emissione di raggi gamma dall'evento e così il modello "giusto" è giunto solo a fine 2020 quando alla University of Amsterdam hanno ampliato il numero di variabili considerando Relatività, leggi del gas, campi magnetici, fisica nucleare e neutrini e dando il tutto in pasto al supercomputer Blue Waters. La simulazione ha mostrato la creazione di un anello intorno alla stella di neutroni finale, anello dal quale la radiazione gamma ha avuto origine dopo un rimbalzo. Il risultato è una sorta di clessidra che si muove su e giù dall'anello, nella zona dove si formano gli elementi più pesanti come l'oro (Philipp Mösta et al. A Magnetar Engine for Short GRBs and Kilonovae, The Astrophysical Journal - 2020)
Dieci giorni dopo la fusione, l'emissione ha raggiunto il picco infrarosso a 1300 Kelvin di temperatura prima di iniziare e continuare a raffreddarsi. La zona è stata osservata da Spitzer Space Telescope tramite la camera IRAC a infrarosso coprendo 3.9 ore di puntamento divise tra 43, 74 e 264 giorni dopo la fusione. La difficoltà maggiore è data dalla presenza di una sorgente debole affiancata da una decisamente superiore ma attraverso un nuovo algoritmo si è riusciti a osservare chiaramente la sorgente della fusione in due diverse epoche, anche se quanto osservato si è mostrato due volte più debole del previsto, il che potrebbe essere legato alla trasformazione dell'ejecta in una fase di nebulosa.
L'emissione ottica e infrarossa dell'evento si è affievolita nel giro di poche settimane mentre la radiazione più forte, quella X e gamma, è andata crescendo nel tempo fino a che il 29 dicembre 2017 il satellite XMM-Newton ha certificato la fine della crescita (dopo 135 giorni dall'evento). Dal raggiungimento del picco anche la radiazione più energetica ha iniziato a calare sebbene l'emissione X sia stata captata fino a mille giorni dopo l'evento, seppure in misura di appena 8 fotoni in 27 ore di osservazione (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “A thousand days after the merger: continued X-ray emission from GW170817” - E. Troja et al.). Quale oggettto sia nato dalla fusione è stato in dubbio per molto tempo.
Si è trattato di un evento molto particolare per rilascio di materiale e per luminosità, entrambi superiori alle attese e uno dei motivi potrebbe risiedere nella differenza di massa delle due stelle di neutroni in gioco. Le simulazioni, infatti, dicono che se le due stelle di neutroni hanno masse molto differenti, entrano in gioco effetti mareali ai danni dell'astro minore, il cui materiale viene strappato con maggiore violenza e disperso nello spazio. Si tratta di una ipotesi ma nella realtà delle cose un sistema simile è stato rinvenuto in un sistema binario contenente la pulsar PSR J1913+1102, le cui componenti misurano 1.62 e 1.27 masse solari con uno scarto superiore al 27%. Questi due astri dovrebbero entrare in collisione, dando vita a una kilonova, entro mezzo miliardo di anni e potrebbero rappresentare una occasione molto importante per fare luce su molti aspetti dell'astrofisica e della cosmologia, includendo una più accurata determinazione della Costante di Hubble (Nature - “Asymmetric mass ratios for bright double neutron-star mergers” - R.D. Ferdman et al.).
La collisione è stata studiata anche per verificare eventuali echi legati alla presenza della radiazione di Hawking : se la radiazione esiste e riesce a creare una sorta di nebbia quantistica intorno al buco nero , allora le onde gravitazionali dovrebbero rimbalzare su questo strato creando dei piccoli segnali di eco come accompagnamento al principale evento di collisione. In tal senso i primi risultati sono arrivati a inizio 2020 dall'Università di Waterloo e dal Max-Planck-Institut für Gravitationsphysik, con dati che ricalcano totalmente i modelli di buco nero comprensivi di radiazione di Hawking, sebbene le probabilità che si tratti di rumore dei sensori siano ancora molto alte. (Jahed Abedi et al. Echoes from the abyss: a highly spinning black hole remnant for the binary neutron star merger GW170817, Journal of Cosmology and Astroparticle Physics - 2019).
Un comportamento elettromagnetico simile è stato osservato un anno prima del segnale multimessenger senza però riuscire a comprendere la natura del processo sottostante: dopo l'evento multimessenger, invece, il segnale del 2016 (GRB 160821B) è stato rianalizzato scoprendo importanti similitudini soprattutto dal punto di vista infrarosso. Anziché diventare più brillante di settimana in settimana, dopo dieci giorni ogni segnale era scomparso esattamente come accaduto un anno successivo durante l'evento GW170817. L'evento del 2016 è stato però captato in una fase precedente rispetto a quello del 2017, potendo quindi fornire informazioni aggiuntive sul processo di esplosione: Per il segnale del 2017 le informazioni risalgono a dodici ore dopo l'evento mentre in questo caso le osservazioni sono iniziate pochi minuti prima della rilevazione (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “The afterglow and kilonova of the short GRB 160821B - E. Troja et al.). Stessa cosa si è verificata per il segnale, rivisto alla luce di quello multimessenger, noto come GRB 070809 e quindi captato già nel 2007: anche qui la radiazione rinvenuta è risultata del tutto simile a quella che ha accompagnato l'onda gravitazionale multimessenger (Nature Astronomy - “A kilonova associated with GRB 070809“ - Zhi-Ping Jin)
La controparte in banda X del GRB multimessenger. Credit Nature
Evoluzione a raggi X dell'evento. Crediti: Nasa/Cxc/E. Troja
Della fusione delle stelle di neutroni è rimasto un bozzolo, osservato in banda radio dal Karl Jansky Very Large Array durante i tre mesi di osservazione successivi all'onda gravitazionale. L'oggetto che è rimasto dalla fusione ha attratto il materiale presente ancora nei paraggi, non ancora scaraventato via dall'esplosione di kilonova, e questa attrazione ha generato un disco in rapida rotazione che a sua volta ha generato due getti relativistici in proiezione ortogonale. I getti non sono perfettamente allineati alla nostra linea di vista il che spiega come mai le emissioni radio e X non siano state osservate nello stesso istante della detection delle onde gravitazionali, ma più tardi, e spiega anche la debolezza del GRB associato all'evento. L'emissione delle bande, con il tempo, si è addirittura intensificata il che ha aperto una sorta di inchiesta per la comprensione del processo alla base e questo ha portato alla scoperta di un bozzolo (cocoon) in grado di frenare e disperdere l'energia dei getti. Non solo energie elevate, quindi, ma anche materia più lenta in grado di dar vita a segnali radio rilevabili, il che è fondamentale perché si tratta di una emissione più ampia e captabile anche laddove i getti energetici non siano collimati verso noi, ampliando le possibilità di astronomia multimessenger anche a energie inferiori. Lo studio dell'afterglow della fusione delle stelle di neutroni è stato impossibile in molte bande dello spettro elettromagnetico a causa della vicinanza al Sole ma le osservazioni radio hanno evidenziato una emissione molto più brillante e duratura di quanto ipotizzato, tanto da indurre gli scienziati a ricercare una spiegazione consistente in uno scenario molto più complesso del previsto. Dalla kilonova sono tanti i tentativi effettuati per comprendere la fisica di quanto accada all'interno e un team della Northwestern University, in particolare, ha dato vita a sei milioni di ore di CPU per simulare un disco di materiale, un burst gigante di emissione di materia e getti che partono dal corpo celeste residuo. La simulazione punta a riprodurre la curva di luce osservata sia nella fase di maggiore intensità, quella definita "blu" e di pochi giorni di durata, sia quella più "rossa" della durata di settimane. Sebbene il risultato sia ancora distante dall'osservazione, sembra che l'oggetto risultato dall'evento di Agosto 2017 possa essere una stella di neutroni (almeno nell'aftermath) con campi magnetici a forma di ciambella (I M Christie et al. The role of magnetic field geometry in the evolution of neutron star merger accretion discs, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2019). In particolare è l'emissione blu che, per quantità di materia espulsa (0.02 masse solari) e velocità (20-30% della velocità della luce), ha rappresentato a lungo un mistero in termini di processo sottostante. E' a Settembre 2020 che uno studio sembra assegnare il ruolo di motore di questa componente "blu" al campo magnetico attivo nel periodo tra fusione delle stelle di neutroni e collasso in buco nero. Lo studio si basa su una simulazione dell'evento che è riuscita a riprodurre questo quarto di secondo: i primi 50 millisecondi avrebbero visto la rotazione della stella di neutroni più massiva amplificare il campo magnetico, il quale è passato dall'essere passivo (trascinato dalla rotazione) a partecipare attivamente all'evoluzione del sistema intero. Da questo momento, per altri 50 millisecondi, il campo magnetico stesso ha indotto una lenta ma continua espulsione isotropa di materiale degli strati più esterni della stella. Da 100 a 250 millisecondi il campo magnetico, trascinato dalla rotazione del nucleo della stella, diventa elicoidale e gradienti di pressione magnetica accelerano ulteriormente il materiale strappato, soprattutto nella regione polare. Dopo i 250 millisecondi dalla fusione, la rotazione del nucleo della stella di neutroni tende a zero e il materiale cessa di essere espulso. Il materiale che è stato maggiormente accelerato contribuisce al fenomeno di kilonova mentre la parte più lenta ricade sulla stella (The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Magnetically Driven Baryon Winds from Binary Neutron Star Merger Remnants and the Blue Kilonova of 2017 August”, di Riccardo Ciolfi et al.).
C'è chi invece propende per un buco nero e in tal caso si tratterebbe del meno massiccio mai individuato alla data della scoperta, secondo uno studio basato sull'analisi dei dati di Chandra X-Ray Observatory ottenuti per mesi dopo la detection delle onde gravitazionali. L'oggetto risultante ha una massa stimata in 2.7 masse solari il che crea un problema di identità tra la stella di neutroni più massiccia mai scoperta e, appunto, il buco nero meno massiccio mai scoperto (il record precedente è superiore a 4 masse solari). Se la risultante fosse una stella di neutroni molto massiccia, ci si attende un campo magnetico molto forte e una rotazione molto rapida da parte del corpo compatto, il che dovrebbe creare una bolla in espansione di particelle altamente energetiche in grado di offrire una apprezzabile radiazione X. I livelli registrati da Chandra invece si rivelano centinaia di volte inferiori a quanto atteso in questo caso. Se questo non è, resta il buco nero e allora la ricetta per creare un oggetto di questo tipo si complica poiché richiederebbe due supernovae in grado di lasciare due stelle di neutroni molto vicine, come quelle che si sono fuse. La radiazione X registrata da Chandra unitamente alle osservazioni radio del Karl G. Jansky VLA sembra provenire interamente dall'onda d'urto derivante dalla fusione e dal suo effetto sul gas circostante mentre nessun segnale sembra provenire da una stella di neutroni residua. Ci sono due anni di tempo, secondo i modelli, in cui la presenza di una bolla in espansione dovrebbe rivelarsi in banda X ma se questo non accadrà allora, probabilmente, ci si troverà di fronte a un buco nero di massa molto limitata. Se invece ci sarà evidenza di una stella di neutroni, allora bisognerà rivedere i limiti imposti riguardanti massa e struttura di questi oggetti. La detection di onde gravitazionali anche dall'oggetto risultante, e soprattutto la sua bassa frequenza, ha consentito infine, a fine 2018, di giungere alla conclusione per la quale a essere nata è una stella di neutroni molto massiccia (vedi l'articolo di Novembre 2018). Una freccia all'arco del buco nero proviene dagli studi dell'energia rilasciata dal GRB: simulando una fusione tra stelle di neutroni con masse di 1.44 e 1.29 masse solari - quindi compatibili con l'evento - è stato ottenuto uno scenario fino a 250 millisecondi dopo la fusione in grado di mostrare un getto energetico collimato compatibile con le osservazioni. Un getto che potrebbe essere emesso anche da un residuo dato da una stella di neutroni, ma energia, collimazione e velocità del getto registrati non sarebbero alla portata di un oggetto di questo tipo. L'energia sprigionata richiede un processo di accrescimento tipico di un buco nero: il GRB sarebbe quindi successivo alla coalescenza delle due stelle di neutroni e sarebbe stato innescato dall'accrescimento successivo alla formazione del buco nero, avvenuta quindi entro 1.74 secondi dalla fusione (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters - “Collimated outflows from long-lived binary neutron star merger remnants” - Riccardo Ciolfi).
La fusione delle stelle di neutroni è stata confermata, se ancora ce ne fosse bisogno, dopo 110 giorni dall'evento attraverso l'ulteriore osservazione del getto di materiale in uscita, ma per ottenere l'osservazione è stato necessario attendere che terminasse la congiunzione con il Sole. Dopo poche settimane, infatti, la zona di cielo che ha ospitato il segnale multimessenger si è nascosta dietro il bagliore del Sole per riemergere circa 100 giorni dopo, consentendo a Hubble Space Telescope di osservare il getto di luce ricercato (sebbene alcuni teorici sostenessero la presenza, invece, di un alone diffuso e non indirizzato), afterglow del breve Gamma Ray Burst visto cento giorni prima e alimentato dal decadimento radioattivo di elementi pesanti.
A inizio 2019 invece il VLBI (Very Long Baseline Interferometer) dovrebbe aver catturato la luce di un getto relativistico in grado di bucare il bozzolo creato intorno all'oggetto finale: non una osservazione diretta ma un segnale che sembra combaciare con le simulazioni che prevedono un getto relativistico.
L'afterglow dell'esplosione che ha dato vita al segnale multimessenger (GW170817) è stato analizzato da un team della Northwestern University mostrando ulteriori informazioni circa le origini della fusione, il getto creato e la natura del burst gamma. Il tutto attraverso la più profonda esposizione mai ottenuta dell'evento in luce visibile. L'afterglow è di difficile osservazione a causa della violenta luminosità raggiunta dall'evento di kilonova ma circa cento giorni dopo l'esplosione la radiazione è andata diminuendo consentendo la cattura del bagliore residuo, debolissimo ma raggiungibile dai telescopi più sensibili. A dicembre 2017, così, Hubble Space Telescope ha rintracciato la luce visibile residua della fusione, rivisitando la scena dieci ulteriori volte nel giro di un anno e mezzo. A fine Marzo 2019 l'ultima immagine ha segnato anche l'osservazione più profonda a oggi: sette ore e mezza per ottenere una immagine del cielo scenario della fusione, 584 giorni dopo l'evento. E' stata eliminata la luminosità della galassia circostante per isolare al meglio la sola luce dell'afterglow e per fare questo sono state utilizzate tutte le dieci immagini scattate al fine di sottrarre ogni radiazione non legata all'esplosione. Ciò che resta combacia perfettamente con i modelli teorici dei getti e con quanto radio e raggi X ci stanno dicendo. L'area intorno alla fusione non è risultata densamente popolata da ammassi stellari mentre gli studi precedenti ci dicono che una fisione ha maggiori probabilità di verificarsi in un ambiente denso. Non è questo il caso, quindi.
Lo studio giunge alla conclusione per la quale i GRB brevi sarebbero fusioni di stelle di neutroni osservati da diverse angolazioni, con relativi getti relativistici. GW170817 rappresenta, peraltro, il primo GRB i cui getti sono osservati "fuori asse", con una angolazione di 30° ("The Optical Afterglow of GW170817: An Off-Axis Structured Jet and Deep Constraints on a Globular Cluster Origin," Wen-fai Fong et al., 2019, to appear in the Astrophysical Journal Letters)
Gli sforzi per trovare ulteriori segnali multimessenger
L'Osservatorio Steward della University of Arizona, in partnership con la Catalina Sky Survey finalizzata alla scoperta di NEA da Monte Lemmon, ha dato vita al Searches after Gravitational Waves Using ARizona Observatories (SAGUARO) finalizzata proprio alla detection di controparti elettromagnetiche di fusioni massive. A tal fine è stato sviluppato un software aggiuntivo in grado di ottenere alert da LIGO e VIrgo e reagire prontamente. Reagire, in tal caso, non significa scrutare la zona di cielo più ovvia ma quelle adiacenti con maggiori probabilità di contenere la controparte dell'evento gravitazionale osservato. Il tutto, mantenendo attiva la ricerca di asteroidi potenzialmente pericolosi. Lo start è avvenuto ad Aprile 2019 e il processo utilizza gli strumenti di Catalina - un telescopio da 60 pollici ad ampio campo visivo - per osservare una ampia striscia di cielo in appena mezz'ora. Inizialmente sono stati tre gli allarmi ottenuti: il 9, il 25 e il 26 aprile, e hanno portato all'osservazione di ventimila oggetti che sono stati poi ridotti automaticamente a cinque potenziali controparti ottiche. Il primo evento si è rivelato una fusione di buchi neri, il secondo una fusione di stelle di neutroni mentre il terzo dovrebbe essere stato una fusione tra stella di neutroni e buco nero . Controparti ottiche non sono state trovate, ma soltanto supernovae e un oggetto di tipo NEA, a testimonianza della possibilità di poter portare avanti in parallelo entrambi i progetti osservativi (M. J. Lundquist et al, "Searches after Gravitational Waves Using ARizona Observatories (SAGUARO): System Overview and First Results from Advanced LIGO/Virgo's Third Observing Run", The Astrophysical Journal - 2019).
Aumentando la sensibilità degli interferometri, e quindi in attesa di eLISA, una fonte di onde gravitazionali multimessenger potrà essere rappresentata dai sistemi binari di nane bianche e proprio in tal senso survey come la Extremely Low Mass Survey (EML) si riveleranno utilissime, con i primi 98 sistemi binari di nane bianche rinvenuti a inizio 2020 (The Astrophysical Journal l’articolo “The ELM Survey. VIII. 98 Double White Dwarf Binaries” di Warren R. Brown et al.). Per quanto riguarda le distanze dei fenomeni osservati, è fuor di dubbio che aumentando la capacità di guardare indietro nel tempo aumenterebbero le informazioni sulle proprietà dei buchi neri nelle varie epoche e questo potrebbe essere già ora alla portata di Advanced LIGO, secondo una simulazione. Non si tratta di captare il singolo evento, davvero troppo distante allo stato attuale, ma di risolvere il rumore di fondo che l'elevato numero di eventi genera. Si stima infatti che ogni anno possano verificarsi, nell'universo intero, 2 milioni di fusioni di stelle di neutroni e 150 mila fusioni di buchi neri. Tutte queste attività generano un segnale confuso che, tuttavia, potrebbe essere risolto fino a 7 miliardi di anni luce di distanza (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “Inferring the population properties of binary black holes from unresolved gravitational waves” - Rory J E Smith).
In aiuto alla ricerca multimessenger vengono anche due satelliti cinesi, Gecam (Gravitational Wave High-energy Electromagnetic Counterpart All-sky Monitor), lanciati a fine 2020, finalizzati a monitorare tutto il cielo a raggi gamma alla ricerca di controparti elettromagnetiche da abbinare a segnali gravitazionali. Si tratta di due satelliti di un metro e trenta per un quintale e mezzo di peso ciascuno in grado di osservare tutto il cielo come mai nessuno finora ha fatto, con orbite identiche perfezionate a 600 chilometri di altitudine e sensibili da 5 keV a 5 MeV.
Un evento captato da LIGO il 25 aprile 2019 è indicato come seconda fusione di stelle di neutroni, sebbene in questo caso non sia stata rilevata alcuna emissione elettromagnetica. La prova starebbe nella massa insolitamente alta dell'oggetto rimasto, come annunciato durante la 235° riunione dell'American Astronomical Society a Honolulu. Al momento della detection, il secondo LIGO, quello di Hanford, era momentaneamente offline mentre Virgo non ha la sensibilità adatta per captare un evento con le caratteristiche rilevate. La posizione è stata inquadrata in una zona di cielo di ben 8.200 gradi quadrati, pari al 20% del cielo intero. La massa combinata è 3.5 masse solari, mentre nella nostra Galassia sono note stelle di neutroni fino a 2.9 masse solari. Potrebbe trattarsi di collisione tra stella di neutroni e buco nero, quindi, ma in tal caso il buco nero rimasto sarebbe troppo vicino al limite minimo teorico (B. P. Abbott et al. GWTC-1: A Gravitational-Wave Transient Catalog of Compact Binary Mergers Observed by LIGO and Virgo during the First and Second Observing Runs, Physical Review X - 2019). Resta la massa decisamente alta a richiedere una spiegazione e questa potrebbe venire da un processo noto come case BB di instabile di massa, definito già nel 1981 e avviato da una stella di neutroni con partner stellare composto da elio e da un nucleo di carbonio e ossigeno. Se la parte di elio si espande abbastanza lontano da inglobare la stella di neutroni, la nuvola di elio fa avvicinare i due astri prima della dissipazione e il nucleo di ossigeno e carbonio esplode in supernova collassando in stella di neutroni. Le stelle di neutroni che si formano in questo modo possono essere decisamente più massive di quelle osservate in onde radio e si uniscono molto rapidamente dopo l'esplosione di supernova, il che rende improbabile la detection in spettro radio (Isobel M Romero-Shaw et al. Searching for eccentricity: signatures of dynamical formation in the first gravitational-wave transient catalogue of LIGO and Virgo, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2019).
Altra particolarità dell'evento è la differenza di massa tra le stelle di neutroni coinvolte, tra loro in rapporto 2:1. E' proprio questa differenza di massa che avrebbe dovuto consentire l'osservazione di una emissione elettromagnetica nonostante la creazione ultima di un buco nero (probabilmente). Le simulazioni, infatti, mostrano come nel caso di deciso squilibrio di masse non si giunga a una collisione "one shot" ma l'attrazione gravitazionale dell'astro più massivo sottrae materia al secondario dando vita a un flusso di materia con emissione di radiazione prima della formazione del buco nero finale. Questa radiazione dovrebbe essere osservabile, ma nel caso di GW190425 gli osservatori non erano puntati nella zona. Conoscere la dinamica, tuttavia, apre la porta a future osservazioni.
Simulazione della fusione tra stelle di neutroni con diverse masse. Bernuzzi et al., Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Le fusioni di stelle di neutroni e le conseguenti onde gravitazionali raccontano, o possono raccontare, la storia passata delle stelle in base alla velocità di rotazione degli oggetti in ballo: una coppia di stelle di neutroni caratterizzate da una stella primaria a rotazione più veloce ci può indicare un sistema binario di stelle massicce divenute entrambe stelle di neutroni. In tal caso la stella esplosa per prima avrebbe iniziato a sottrarre materia alla compagna aumentando il proprio spin e riducendo quello della partner. Se due stelle di neutroni, invece, non hanno evidenti differenze di spin può voler dire che si tratta di due stelle indipendenti che poi si sono unite in sistema binario fino a fondersi oppure che le esplosioni sono talmente distanti nel tempo che entrambi gli astri oramai ruotano molto lentamente (Xing-Jiang Zhu et al. Characterizing Astrophysical Binary Neutron Stars with Gravitational Waves, The Astrophysical Journal - 2020).
Segnali che fanno sperare in una fusione tra buco nero e stella di neutroni
Il 14 agosto 2019 una nuova onda gravitazionale è stata captata dalla collaborazione LIGO-Virgo. Il nome è S190814bv e risale alle ore 23.11 italiane del giorno che precede Ferragosto. I dati dei tre rilevatori hanno portato a una zona di cielo distante 900 anni luce da noi, con il segnale che sembra ricalcare molto bene quanto atteso dalla fusione di un buco nero e di una stella di neutroni, l'accoppiata che più di tutte potrebbe raccontarci i dettagli delle due tipologie di oggetto visto che sarebbe in grado di generare una controparte ottica derivante dal collasso di un buco nero con un oggetto molto massivo. Alternativa alla combinazione sperata sarebbe la fusione tra un buco nero e un altro corpo celeste che tuttavia rappresenterebbe il buco nero più leggero mai scoperto fino a oggi. Al momento della scoperta non sono mai stati osservati buchi neri con massa inferiore alle cinque masse solari né stelle di neutroni con massa superiore a 2.5 masse solari (LIGO). Altri due segnali, possibili candidati di eventi di questo tipo, giungono a inizio 2020: S200105ae e S200115j, ma nessuno dei due ha consentito la detection dei tratti distintivi della kilonova. La difficoltà di osservare eventi di questo tipo sta essenzialmente nel fatto che, in assenza di kilonova (mille volte più potente di una supernova e con righe caratteristiche di produzione di elementi pesanti), il segnale gravitazionale si avvicina molto a quello di due buchi neri di massa stellare ma soprattutto nel fatto che esiste un gap di massa tra la più grande stella di neutroni (2.5 masse solari) e il più piccolo buco nero (5 masse solari), con una zona intermedia del tutto sconosciuta a oggi (Nature Astronomy - “Optical follow-up of the neutron star–black hole mergers S200105ae and S200115j” - Shreya Anand ). Ciò non di meno è sempre possibile fare supposizioni sul perché - ipotizzando si tratti di fusione NSBH (Neutron Star - Black Hole) - la kilonova non sia visibile, fissando dei paletti per la conoscenza degli eventi.
Relativamente a fusioni tra buco nero e stella di neutroni, simulazioni al computer hanno indagato sulle interazioni tra un sistema comprendente anche un terzo oggetto massivo: i risultati indicano come le interazioni a tre corpi possono contribuire alla fusione tra stella di neutroni e buco nero in regioni stellari molto dense come quelle di un ammasso globulare (Manuel Arca Sedda, Dissecting the properties of neutron star–black hole mergers originating in dense star clusters, Communications Physics - 2020)
Le fusioni tra buchi neri non emettono mai radiazione?
Due astrofisici del Cuny graduate Center dal nome di K.E. Saavik Ford e Barry McKernan hanno ipotizzato la possibilità che da una fusione di buchi neri possa derivare una radiazione osservabile e una possibile prova pratica potrebbe essere rappresentata dall'evento S190521g, osservato da LIGO e Virgo il 21 maggio 2019 sotto forma di onde gravitazionali. La revisione delle immagini elettromagnetiche ha portato all'identificazione di un flare. Quale può essere il meccanismo? La fusione dei buchi neri porta alla generazione di un buco nero più grande che viene proiettato in una direzione casuale, sollevandosi rispetto al piano del disco e il bagliore luminoso verrebbe creato dalla reazione del gas a questa accelerazione. I buchi neri, quindi, continuano a non emettere ma l'ambiente circostante risente degli eventi e può generare flare. Questo effetto si è generato giorni dopo rispetto alla rilevazione delle onde gravitazionali e si è affievolito in un mese circa. Un fenomeno del genere è molto più probabile quando la coppia di buchi neri si trova a ridosso del buco nero supermassivo centrale di una galassia poiché in tal caso è maggiore la quantità di gas reagente e un simile scenario può generare anche un secondo flare, a distanza di tempo, legato al "rientro" dei nuovo buco nero nel disco di quello centrale (Physical Review Letters “Candidate Electromagnetic Counterpart to the Binary Black Hole Merger Gravitational Wave Event S190521g” - M. J. Graham).
Ultimo aggiornamento del: 30/12/2020 11:57:00
Analisi e conseguenze delle onde gravitazionali
Subito dopo la detection si è parlato di prova definitiva dell'esistenza dei buchi neri ma gli studi basati sulle onde gravitazionali sono di tantissimi tipi e toccano aspetti a volte davvero impensabili. E i buchi neri sono costretti ad aspettare
Connessione tra GRB e coalescenza di corpi compatti
L'evento ha fornito anche la prova di come i Gamma Ray Bursts possano derivare dalla coalescenza di corpi compatti. La connessione tra stella di neutroni e raggi gamma è stata identificatafu ipotizzata per la prima volta nel 1986 da astrofisici di Princeton e molte delle scoperte annunciate sono andate a confermare le previsioni dell'epoca. L'articolo del 1986 a firma di Bohdan Paczynski e Keremy Goodman parlava infatti di Gamma Ray Burst a partire dalla collisione di stelle di neutroni. Si teorizzò inoltre che fenomeni simili potessero verificarsi a distanze tali da subire l'influenza dell'espansione dell'universo. L'articolo fu recepito come interessante ma alla fine non venne preso molto in considerazione dagli scienziati dell'epoca, come spesso accade.
Conferma della Relatività Generale
Come accennato, il 1974 portò alla scoperta del primo sistema binario di stelle di neutroni, con la coppia separata da appena mezzo milione di miglia e con un'orbita reciproca perfezionata in 7,75 ore. Nel 1981 lo stesso sistema fu studiato ancora meglio, giungendo alla osservazione di come il periodo di rivoluzione fosse in diminuzione e le stelle di neutroni fossero sempre più vicine tra loro. Einstein aveva già predetto questo fenomeno con conseguente perdita di energia rotazionale e emissione di onde gravitazionali. La coppia (binaria di Hulse-Taylor), per inciso, impiegherà ancora trecento milioni di anni prima di collidere. La collisione che ha portato all'astronomia multimessage testimonia anche la bontà delle osservazioni dell'epoca.
La teoria prevede anche che nei sistemi binari di buchi neri, dove anche la direzioni degli assi sono determinate oltre a masse e spin, possano verificarsi risonanze tra il moto di rotazione (spin) e il loro movimento orbitale, una risonanza che lascia tracce nelle onde gravitazionali emesse. Indizi di evidenza empirica di questa risonanza sono stati rintracciati nei dati di Ligo e Virgo sotto forma di spin proiettati sul piano orbitale in modo antiparallelo.Due buchi neri in orbita reciproca vedono una interazione anche in termini di spin e i buchi neri perdono energia rilasciando onde gravitazionali, il che - come sappiamo - determina l'avvicinamento dei due oggetti. Quando le rotazioni dei due oggetti sono inclinate rispetto al momento angolare orbitale, l'orbite assume un moto di precessione la cui presenza è una condizione necessaria (ma non sufficiente) per la risonanza. Se l'emissione della supernova che ha generato i buchi neri non è simmetrica, allora il buco nero nascente viene rinculato e questo processo può portare a una risonanza spin-orbita (Physical Review Letters - “Hints of Spin-Orbit Resonances in the Binary Black Hole Population” - Vijay Varma et al.)
Studio delle variazioni della costante gravitazionale G
Alcune teorie alternative alla Relatività prevedono che la costante G possa variare nel tempo e un aiuto a questo studio può venire dalle onde gravitazionali prodotte dalla fusione di stelle di neutroni. Eventi di questo tipo, infatti, possono fornire un nuovo metodo per misurare queste variazioni a partire dal segnale dell'onda, il quale consente di misurare la combinazione GM/c2 dove M è la somma delle masse in gioco e c è la velocità della luce. Riuscendo ad avere una misura indipendente di M e c, è possibile ottenere il valore di G ma ciò è semplice per c visto che è un valore noto mentre per la massa il discorso è più complesso. Le stelle di neutroni, però, hanno limiti di massa specifici: se troppo grande collassa mentre se è troppo leggera perde materiale. Da questi limiti di massa è possibile limitare l'intervallo di valori che G può avere durante la fusione degli astri (Constraints on the time variation of the gravitational constant using gravitational wave observations of binary neutron stars. Physical Review Letters - 2021).
Creazione degli elementi pesanti
Può sembrare in realtà strano che un sistema che perde energia veda le proprie componenti aumentare la velocità di mutua orbita, ma in realtà è proprio così. Nel caso della collisione del 17 agosto 2017 le due stelle, con dimensioni di Roma e con masse pari ad almeno due masse solari, hanno finito con l'orbitarsi reciprocamente centinaia di volte al secondo, con una velocità pari a una frazione apprezzabile della velocità della luce, prima di collidere. Gli elementi che vengono creati durante la fusione hanno molti più neutroni che protoni nel nucleo: non si può arrivare a questi elementi con lo stesso processo con il quale si arriva al ferro, ovvero aggiungendo un neutrone alla volta. Occorre aggiungere molti neutroni e molto velocemente (r-process). A lungo si è pensato che elementi simili fossero a totale discrezione delle esplosioni di supernova ma le stelle di neutroni hanno molti più neutroni e se due di queste vanno a collidere è ragionevole attendersi un maggior numero di neutroni. E così si ottengono oro, uranio, europio ma anche piombo, platino e tanti altri elementi della tavola periodica più pesante. La luce proveniente dalla fusione di stelle di neutroni e che ha accompagnato GW170817 è prodotta dal decadimento radioattivo di nuclei atomici creati nell'evento stesso e questi atomi sono stati disposti in due gruppi. Il primo è formato da elementi leggeri e il secondo da elmenti pesanti, con la conseguenza che gli atomi del primo gruppo sono più veloci di quelli del secondo. Legame tra GRB e coalescenza di corpi massicci. La quantità di oro risultata dall'ipernova più famosa è risultata pari a parecchie volte la massa terrestre. Le stelle di neutroni sono quindi più efficienti nel produrre oro rispetto alle supernovae, ma la maggior efficienza si riscontra nella fusione di una stella di neutroni con un buco nero o tra due stelle di neutroni? Alcuni modelli indicano come un buco nero, in determinate condizioni, potrebbe distruggere la stella di neutroni generando rilasci di metalli pesanti prima di inghiottirla del tutto, ad esempio, e così un team di scienziati nel 2021 ha portato avanti delle simulazioni giungendo alla conclusione per la quale le fusioni di stelle di neutroni binarie possono generare da 2 a 100 volte più metalli pesanti rispetto alle fusioni tra stella di neutroni e buco nero caratterizzato da elevato spin e bassa massa (Astrophysical Journal - “The Relative Contribution to Heavy Metals Production from Binary Neutron Star Mergers and Neutron Star–Black Hole Mergers” - Hsin-Yu Chen et al.)
La caratterizzazione della gravità, tra velocità e gravitoni
Altra conferma per Einstein viene dalla velocità della gravità: la gravità infatti non si propaga istantaneamente come sosteneva Newton ma alla velocità della luce nel vuoto, rappresentando quindi una costante dell'universo, proprio come la famosa "c" della luce. Senza onde gravitazionali non avremmo modo di misurare la velocità della gravità. Un team del CERN (Physical Review Letters, Ottobre 2017) ha combinato i dati delle prime tre detection delle onde gravitazionali consentendo una stima migliore dei confini nei quali stanziare la velocità della gravità ma è soltanto con l'astronomia multimessenger che la stima si è fatta molto più precisa, attestando la velocità della gravità in un intorno molto piccolo rispetto alla velocità della luce. La differenza temporale tra i due segnali è stata di pochissimi secondi in un viaggio di cento milioni di anni, quindi il nulla o quasi. In assenza di un segnale elettromagnetico una stima può essere data soltanto dai differenti tempi con i quali due interferometri captano l'onda gravitazionale da due posti diversi della Terra, ma si tratta di misure infinitesimali.
Il fatto che le onde, gravitazionale e elettromagnetica, abbiano viaggiato insieme per così tanto tempo e con gli stessi tempi (più o meno, ma con differenza del tutto trascurabile) implica anche come l'energia oscura - se esiste - influenzi allo stesso modo le due tipologie di onda e come questa risulti costante sia nello spazio sia nel tempo.
Allo stesso tempo anche la presenza del gravitone, particella ancora da scoprire e intermediaria della gravità, resta in vita a condizione che il gravitone abbia una massa molto piccola.
L'età dell'universo
Le onde gravitazionali multimessenger sono state impiegate anche per misurare l'età dell'universo, compito svolto da di 1.314 astronomi di tutto il mondo. Conoscendo la distanza e la velocità di allontanamento della galassia ospite della fusione di stelle di neutroni (NGC 4993), gli scienziati hanno potuto misurare il tempo da quando l'espansione dell'universo ha avuto origine, tra 11.9 e 15.7 miliardi di anni fa. L'età dell'universo derivata dal singolo evento è consistente con le stime basate su decenni di osservazioni e metodi statistici basati a loro volta sulla radiazione cosmica di fondo e sul moto delle galassie. Soltanto la presenza di una onda associata a uno spettro visibile ha consentito questa misurazione. I due metodi classici (misurati da Hubble Space Telescope e da Planck Surveyor), tra l'altro, differiscono tra di loro di un buon dieci percento e la causa potrebbe risiedere nel fatto che si stia tendando di misurare uno stesso parametro guardando a diverse epoche: il metodo di derivazione da onde gravitazionali potrebbe porre fine a questa discussione interna.
Conseguenze sulla Teoria delle Stringhe
La Teoria delle Stringhe è, ad oggi, quanto di più concreto si possa pensare per giungere alla comprensione della gravità quantistica e uno studio portato avanti al Max Planck Institute for Gravitational Physics sostiene che, se le svariate dimensioni previste da tale teoria esistono davvero, allora devono essere in grado di generare alterazioni nel segnale delle onde gravitazionali.
I disturbi che queste infinitesime dimensioni aggiuntive dovrebbero apportare sono segnali ad altissime frequenze, oltre i 1000 GHz, frequenze alle quali dovrebbero verificarsi modifiche alle forme standard delle onde. Al CERN non è ancora possibile dar vita a esperimenti in grado di testare questi casi e per questo spetta alle onde gravitazionali dirci se la Teoria delle Stringhe possa rappresentare la strada giusta alla teoria cosmologica. La risposta, negativa, sembra essere arrivata a Settembre 2018, almeno per l'unica onda multimessenger catturata alla data. Per adesso, quindi, l'universo resta a quattro dimensioni (Journal of Cosmology and Astroparticle Physics).
Il fondo di onde gravitazionali e le onde continue
Ora che le onde gravitazionali sono state catturate può essere possibile verificare la presenza di un fondo di onde gravitazionali generato dalla fusione di buchi neri supermassivi. In tal caso i segnali fanno riferimento a fenomeni avvenuti lontano nel tempo e nello spazio e che si presentano con lunghezze d'onda in grado di raggiungere l'anno luce. Un segnale simile è molto difficile da intercettare ma secondo gli scienziati di NANOGrav (North America Nanohertz Observatory for Gravitational Waves) la soluzione potrebbe provenire dall'osservazione congiunta, tramite i radiotelescopi del Green Bank e di Arecibo (finché è stato operativo), di 54 pulsar al millisecondo secondo il processo di Pulsar Timing Array. I segnali che provengono da questi oggetti sono perfetti in termini di intervallo e variazioni correlate nelle pulsazioni possono essere legate al passaggio di un'onda gravitazionale lunga, a bassa frequenza. Si tratta di tessere la propria tela e attendere, come un ragno, che un segnale possa caderci ma per fare questo è fondamentale conoscere al meglio la propria tela e, in tal caso, il baricentro del Sistema Solare ovvero il punto in cui tutte le masse si bilanciano. Non si trova al centro del Sole ma piuttosto vicino alla sua superficie a causa della presenza di Giove e alla nostra ancora imperfetta conoscenza della sua orbita. Con la conoscenza approssimativa (sebbene molto particolareggiata) delle orbite del Sistema Solare, NANOGrav giungerebbe a dati incoerenti nell'analisi dei dati gravitazionali e proprio tramite modelli è stato possibile limitare il margine di errore nella determinazione del baricentro ad appena cento metri (M. Vallisneri et al. Modeling the Uncertainties of Solar System Ephemerides for Robust Gravitational-wave Searches with Pulsar-timing Arrays, The Astrophysical Journal - 2020). In particolare un segnale molto forte è stato dichiarato da NANOGrav a inizio 2021 durante il 237° Meeting dell'American Astronomical Society. Questo fondo riuscirebbe a fornire molte indicazioni sulle fusioni di galassie, di buchi neri supermassivi e l'osservazione di un campione di 45 pulsar ha consentito di fornire un rilevatore grande quanto la nostra Galassia, utilizzato per circa tre anni. Il risultato, per adesso da confermare, è proprio un segnale molto forte nei dati ottenuti, con alcuni processi che sembrano interferire con la luce di molte delle pulsar osservate (Astrophysical Journal Letters - 2021). Si tratterebbe di un segnale coerente con una transizione di fase nell'universo primordiale (ritenuta la possibilità più probabile) ma anche con un campo di particelle leggere come gli assioni, più volte candidati al ruolo di materia oscura (ma finora mai trovati, né loro né la materia oscura). La frequenza delle onde rilevate è bassissima, sui 10-8 Hz (una oscillazione ogni anno) con lunghezza di onda di 30 mila miliardi di chilometri, qualcosa che può essere captato soltanto con il timing delle pulsar (SciPost Physics - “Whispers from the dark side: Confronting light new physics with NANOGrav data” - Wolfram Ratzinger et al).
Un altro segnale di bassissima frequenza e quindi promettente per il fondo gravitazionale proviene dalla collaborazione EPTA (European Pulsar Timing Array) nel 2015 ma confermato come "potenziale" nel 2021 ed è basato sui risultati di due distinte procedure parallele: ciò che ne è risultato è un segnale chiaro con proprietà spettrali in linea con le aspettative teoriche (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “Common-red-signal analysis with 24-yr high-precision timing of the European Pulsar Timing Array: inferences in the stochastic gravitational-wave background search” - S. Chen et al.). L'International Pulsar Timing Array (IPTA), dal canto suo, ha completato tra fine 2021 e inizio 2022 una nuova analisi rilasciando il più completo archivio disponibile alla data con 65 pulsar al milliscondo prese come campione, confermando la possibile presenza di un fondo cosmico di onde a bassissima frequenza (da miliardesimi a milionesimi di Hz). Nessuna conferma definitiva, quindi, ma una possibilità che potrebbe lasciare il passo ad altre spiegazioni meno interessanti. In ogni caso un rafforzamento della convinzione che un fondo possa essere captato in tempi brevi dal momento che il segnale comune tra le pulsar è in perfetto accordo con quanto atteso per il fondo cosmico proveniente dalle interazioni nei sistemi binari di buchi neri supermassivi (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “The International Pulsar Timing Array second data release: Search for an isotropic Gravitational Wave Background” - J Antoniadis et al.).
Altro campo di ricerca è rappresentato dalle onde continue, emesse da sistemi binari a raggi X e bassa massa (LMXB - Low Mass X-ray Binary Systems): si tratta di sistemi caratterizzati da una stella di neutroni e da una compagna la cui massa è inferiore alla massa solare e le onde continuamente generate da questi oggetti potrebbero ricadere ben presto nel campo osservato da LIGO e VIRGO. Già una ricerca è stata effettuata su un campione di cinque sistemi, senza ottenere tuttavia risultati. La radiazione X è fondamentale per comprendere la velocità di rotazione della stella di neutroni presente, poiché si prevede che la frequenza dell'onda continua sia correlata alla frequenza di rotazione della stella di neutroni stessa. Ottenere la frequenza di rotazione, quindi, consente di limitare il range di frequenze nel quale cercare l'onda gravitazionale, anche se su questo punto non c'è ancora certezza (Hannah Middleton et al. Search for gravitational waves from five low mass x-ray binaries in the second Advanced LIGO observing run with an improved hidden Markov model, Physical Review D - 2020).
La prova dell'esistenza dei buchi neri
Dal blog del Dott. Paolo Pani - "The Gravity Room", per gentile concessione
Un direttore di orchestra può facilmente distinguere il suono di un gong da quello di una campana semplicemente dal differente rumore. Un astronomo può riconoscere un buco nero da un altro oggetto compatto, scuro, semplicemente attraverso il segnale ricevuto tramite onde gravitazionali? In un lavoro di Paolo Pani, Vitor Cardoso e Edgardo Franzin uscito a poca distanza di tempo dalla detection della prima onda gravitazionale sembrerebbe di no.
La storica scoperta è stata interpretata anche come la prima vera prova dell'esistenza dei buchi neri ma di fatto non ne rappresenta una prova sicura al 100%. Ciò che rende GW150914 realmente unico è il fatto che il segnale di onda gravitazionale contiene tutti gli stadi finali dell'evoluzione cosmica del sistema binario : i due oggetti hanno perso una enorme quantità di energia attraverso l'emissione di onde gravitazionali, avvicinandosi reciprocamente e, eventualmente, fondendosi a formare un unico oggetto compatto di circa 62 masse solari. Dopo la fusione (durata soltanto pochi millisecondi) l'oggetto finale è stato fortemente distorto e ha subito una fase di aggiustamenti nota come "ringdown", fase durante la quale l'oggetto vibra più o meno come un tamburo percosso. Proprio come le onde del tamburo dipendono dalle proprietà dello strumento (forma, dimensione, materiale), i "modi di ringdown" dovrebbero trasportare le informazioni sulla natura dell'oggetto finale prodotto dalla fusione. I buchi neri sono frammenti nel tessuto dello spazio-tempo e il loro limite visibile - noto come orizzonte degli eventi - vibra in una maniera molto particolare, predetta dopo decenni di lavoro senza sosta tramite le equazioni della Relatività Generale di Einstein. Gli scienziati sperano che, rilevando eventi come GW150914, si possa essere in grado di identificare i modi di vibrazione tipici del buco nero finale ("quasinormal mode") dal segnale ringdown. Questa sì che sarebbe la prova inconfutabile che la fusione di due oggetti compatti in sistema binario possa portare alla formazione di un buco nero , come predetto dalla Teoria di Einstein.
Segnale e fasi della fusione. Crediti Paolo Pani - La Sapienza
Il team di Pani dimostra che questo paradigma non è, tuttavia, corretto. Le vibrazioni di oggetti molto compatti ma privi di un orizzonte degli eventi (come ad esempio wormhole) sono molto differenti da quelli di buchi neri (la frequenza è inferiore e durano molto più tempo). ma il segnale ringdown prodotto da questi "mimichers black-hole" è identico a quello di un buco nero nella prima parte, la sola che con la tecnologia odierna riusciamo a captare. Soltanto in seguito la presenza dell'orizzonte degli eventi rende inconfondibile il segnale del buco nero. Gli interferometri potrebbero quindi non essere in grado, ancora, di arrivare a captare questa piccolissima differenza, spacciando per buco nero un oggetto che invece potrebbe non esserlo, come un wormhole, una gravastar o un oggetto ancora più esotico.
La presenza di un orizzonte degli eventi sarebbe osservabile nella fase di ringdown dell'onda gravitazionale e questa ultima fase verrebbe estinta completamente dopo un brevissimo periodo di tempo proprio per la presenza dell'orizzonte. Se questo non esistesse, le oscillazioni non andrebbero a sparire totalmente ma produrrebbero una sorta di eco. In entrambi i casi (buco nero o eco) il ringdown sarebbe quindi simile e occorrerebbe andare a verificare la presenza dell'eco per poter distinguere gli oggetti. E' stato modellizzato il segnale che potrebbe derivare da due wormholes rotanti, con la rotazione a cambiare le onde gravitazionali prodotte. Il grafico risultante non sarebbe poi così diverso da quello effettivamente captato, ma l'eco non è stato osservato anche perché nessun modello lo aveva previsto. Se l'eco venisse osservato avremmo la prova, paradossale dato l'inizio del discorso, che i buchi neri non esistono.
La possibilità di riscontrare una eco nel ringdown del segnale di una onda gravitazionale è un argomento che tiene sempre più banco a valle delle detection operate da LIGO e VIRGO. Così, di nuovo Paolo Pani ha presentato a Giugno 2018 un ulteriore lavoro, un template analitico in grado di descrivere il ringdown e il segnale dell'eco per oggetti non rotanti con riferimento, per la prima volta, a due parametri fisici come coefficiente di riflessione R e redshift alla superficie dell'oggetto. Dato un rapporto segnale-rumore fisso nella fase post-fusione degli oggetti, i vincoli sui parametri dipendono così soltanto marginalmente dai dettagli della curva di sensibilità del sensore che effettua la detection ma in maniera molto forte dal coefficiente di riflessione. Potrebbe essere possibile rintracciare o negare correzioni Planckiane alla scala dell'orizzonte per oggetti ultracompatti perfettamente riflettenti (R = 100) con un grado di affidabilità pari a Sigma 5 anche tramite i dati di aLIGO/Virgo. In futuro, nel caso di rapporto segnale/rumore pari a 100 (e quindi in presenza di miglioramento tecnologico con l'Einstein Telescope o LISA) e in presenza di una coefficiente di riflessione compreso tra 30 e 85%, si potrà raggiungere una confidenzialità nell'ordine di 2 o 3 Sigma. Lo studio rappresenta il primo step nello sviluppo di un template accurato da utilizzare per la ricerca delle eco nei segnali delle onde gravitazionali, forme di onda che consentiranno di filtrare il segnale alla ricerca di un match con i modelli proposti, dipendenti dai parametri. In alcuni casi, addirittura, l'eco potrebbe essere trovata anche laddove il ringdown non sia rintracciabile. E' allo studio anche una modellizzazione delle eco per oggetti ultracompatti rotanti, che rappresentano la parte più interessante sia per il fatto di essere i più comuni sia perché presentano svariate forme di instabilità.
Nello stesso senso va un lavoro a firma di Jahed Abedi, Hannah Dykaar e Niayesh Afshordi, pubblicato su arXiv come "Echoes from the Abyss: Evidence for Planck-scale structure at black hole horizons": nella Relatività Generale classica, un osservatore in caduta su un buco nero non sperimenta nulla di particolarmente drammatico durante l'attraversamento dell'orizzonte degli eventi. Il tentativo di risoluzione del problema nella gravità quantistica, però, necessita di una deviazione molto significativa dalla teoria classica nelle vicinanze dell'orizzonte. Ad oggi si ritiene che la Relatività Generale sia valida anche all'interno dell'orizzonte degli eventi, fino alla singolarità laddove la fisica classica muore e lascia il campo alla quantistica. La vicinanza all'orizzonte degli eventi potrebbe portare, come visto, a degli echi (eco è femminile, ma il suo plurale è maschile) durante la fusione di buchi neri e, quindi, nei segnali captati come onde gravitazionali. Lo studio ha ricercato le firme di questi echi nelle onde gravitazionali captate da LIGO alla ricerca in particolare di echi ripetuti alla scala di Planck presente al momento della partenza, nei pressi dell'orizzonte degli eventi. E' stata trovata una prova di strutture alla scala di Planck nei pressi dell'orizzonte con un livello di significatività pari a 2.9 sigma (1 possibilità di errore su 270). Futuri dati rilasciati da LIGO saranno sicuramente utili a ottenere più echi e daranno conferma, o smentita, della scoperta, fornendo forse una possibile evidenza osservativa di una teoria alternativa ai buchi neri. La validità della Relatività, quindi, si fermerebbe prima di quanto ipotizzato a oggi lasciando campo a fenomeni quantistici. I buchi neri quantistici potrebbero essere molto differenti dai loro corrispettivi di fisica classica, anche in un regime in cui la gravità semiclassica dovrebbe avere ancora validità. Queste modifiche possono esistere non solo per effetti di gravitazione quantistica ma anche a livello di approssimazione semi-classica e lo studio in questione cerca la prova riguardante la possibilità di sostituire l'orizzonte degli eventi classico con una barriera quantistica alla scala di Planck, tale da spiegare le scale osservate di energia oscura. Per fare questo, lo studio ha sostituito l'orizzonte degli eventi con uno specchio alla distanza di Planck, al di fuori dell'orizzonte. Una struttura di questo tipo porta a ripetuti echi nella fase di ringdown della fusione dei buchi neri (i rimbalzi di assestamento del buco nero risultante), echi dovuti alle onde intrappolate tra la struttura vicina all'orizzonte e la barriera di momento angolare. Se il tutto venisse confermato, le onde gravitazionali - tirate in ballo per portare all'esaltazione la teoria di Einstein - potrebbero rivelarsi un contraccolpo micidiale per la teoria stessa, in questa precisa condizione.
La massa anomale dei buchi neri e delle stelle di neutroni coinvolti
Le masse dei buchi neri coinvolti nelle fusioni che hanno generato le onde gravitazionali captate sono molto grandi e la spiegazione generalmente fornita riguarda la metallicità, bassa, delle stelle di origine (che genera venti meno potenti). Una alternativa parte dal fatto che molti buchi neri supermassicci al centro delle galassie sono circondati da dischi di gas e polvere e in queste galassie sono spesso presenti stelle poste proprio al limite del disco. Potrebbe essere possibile, a volte, che coppie di queste stelle vadano a finire nel disco evolvendo in buchi neri, acquisendo materiale proprio dal disco stesso e crescendo più di altri buchi neri.
Altro discorso riguarda, invece, la massa limite degli oggetti. In genere si è sempre pensato che la stella di neutroni più massiva possa "pesare" 2.5 masse solari mentre il buco nero più leggero mai trovato non scende sotto le 5 masse solari. In mezzo esiste una fascia in cui è difficile stabilire se ci si possa trovare davanti a un buco nero o una stella di neutroni. In soccorso viene l'evento GW190814, generato dalla fusione tra un oggetto di 2.6 masse solari e di un buco nero di 23 masse solari, dando vita a un buco nero di 25 masse solari alla distanza di 800 milioni di anni luce da noi. Cosa sia questo oggetto non è ancora noto a oggi, ma sia in un caso sia nell'altro un record è battuto: stella di neutroni più massiva o buco nero meno massivo. Si tratta di una fusione con differenza di massa in rapporto 9:1 mentre il record precedente era di GW 190412 con rapporto 4:1. Le osservazioni di follow-up non hanno evidenziato controparti visibili nonostante la sensibilità degli strumenti utilizzati quindi il dubbio sulla natura dell'oggetto più leggero resta (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “A search for optical and near-infrared counterparts of the compact binary merger GW190814” - A. L. Thakur et al.). In realtà tra buco nero e stella di neutroni vi è una terza ipotesi rappresentata dalla stella di quark. Si tratta di un oggetto esotico basato sull'ipotesi che vede come fase più stabile della materia non il ferro ma una miscela di quark up, down e strange. Una simile materia "strana" si può formare a densità estreme come quelle delle stelle compatte e consiste di quark ricoperti da una possibile crosta di materia ordinaria. Si tratta di oggetti teorici, ad oggi, dei quali non sono note neanche le caratteristiche elettromagnetiche ma sembra assodato che possano emettere radiazione X con forti campi magnetici e conseguente emissione radio (Physical Review Letters - “Was GW190814 a black hole–strange quark star system?” - I. Bombaci et al.).
Le masse osservate per gli oggetti coinvolti nella detection di onde gravitazionali. Credito: LIGO-VIRGO / Frank Elavsky e Aaron Geller
L'evento non è stato osservato in spettro elettromagnetico per varie ragioni: intanto è sei volte più distante rispetto al segnale multimessenger del 2017 e ancora non è chiaro se sia stata coinvolta effettivamente una stella di neutroni. Inoltre, anche se fosse una stella di neutroni, il buco nero nettamente più massivo potrebbe averla ingoiata interamente senza emissione di radiazione. Il gap di masse tra 2.5 e 5 potrebbe essere soltanto il risultato di una insufficienza strumentale nelle osservazioni (R. Abbott et al. GW190814: Gravitational Waves from the Coalescence of a 23 Solar Mass Black Hole with a 2.6 Solar Mass Compact Object, The Astrophysical Journal - 2020).
Un caso molto particolare è dato dalle fusioni di buchi neri con masse molto diverse tra di loro e su questo la modellizzazione matematica è andata decenni oltre la possibilità legata alle osservazioni: le simulazioni a fine 2020 sono giunte a prevedere le onde generate da una fusione con buchi neri in rapporto di massa 128:1 (il massimo era 18:1), qualcosa che LIGO e Virgo potranno osservare solo tra anni ma che è alla portata del supercomputer Frontera. Questo vuol dire che occorreranno anni prima che la simulazione potrà trovare conferma osservativa, ma nel frattempo aiuterà gli studi futuri. Buchi neri di questa taglia possono avere velocità fino a 5000 chilometri al secondo, accelerando verso l'esterno delle galassie di origine e quindi vagando nell'universo (Carlos O. Lousto et al, Exploring the Small Mass Ratio Binary Black Hole Merger via Zeno's Dichotomy Approach, Physical Review Letters - 2020).
Le masse enormi in gioco, a volte in contrasto con la teoria dell'evoluzione stellare, possono essere spiegate anche con le orbite dei buchi neri stessi coinvolti e in particolar modo con orbite particolarmente eccentriche. Tali orbite, infatti, potrebbero portare i buchi neri a guadagnare massa inghiottendo altri buchi neri durante il lungo percorso orbitale percorso, che può svolgersi all'interno di regioni densamente popolate. In particolare una prova potrebbe derivare dall'evento GW 190521, le cui masse in gioco sono entrambe superiori alle 70 masse solari. I buchi neri in questione sembrano in linea con un modello di precessione ad alta eccentricità (Nature Astronomy - “Eccentricity estimate for black hole mergers with numerical relativity simulations” - Gayathri, J. Healy et al.)
Ultimo aggiornamento del: 29/01/2022 18:19:19
Onde gravitazionali primordiali e radiazione cosmica di fondo
Il 17 marzo 2014 i risultati di Bicep2 hanno rivelato la detection del passaggio delle onde gravitazionali primordiali nella polarizzazione della CMB. Un errore, ma la ricerca delle onde primordiali è sempre all'ordine del giorno
Durante la fase di inflazione l'universo è passato da una dimensione corrispondente a miliardesimi di volte quella del protone a una paragonabile a un pallone da calcio. La particella responsabile del tutto era l'inflatone e proprio l'inflatone ha iniziato a oscillare dando vita a onde statiche prive di una propagazione ma caratterizzate da un movimento verticale. Questi movimenti devono aver generato delle onde gravitazionali che ancora oggi devono essere presenti nell'universo. Trattandosi degli albori dell'universo, queste onde vengono chiamate onde gravitazionali primordiali. La loro detection potrebbe risultare quindi fondamentale per la comprensione dell'universo in un'epoca in cui la radiazione non potrebbe mai giungere fino a noi. Il problema principale della detection delle onde consiste nel dover separare il singolo segnale, debolissimo, da un fondo stocastico dato dall'interazione casuale di tutte le onde presenti. Modelli recenti hanno comunque tirato fuori una probabile forma di onda, data da un picco pronunciato all'interno di un segnale mediamente piatto. Si tratta di un modello ancora molto parziale e sommario che tuttavia potrebbe essere testato almeno parzialmente dai rivelatori di onde.
Non basta: onde gravitazionali primordiali potrebbero derivare anche da buchi neri primordiali e questi buchi neri potrebbero essere nati addirittura prima della formazione di stelle, a partire da fluttuazioni quantistiche talmente ampie da dar vita direttamente ad oggetti così compatti (DCBH - Direct Collapse Black Hole). Si tratta di buchi neri primordiali teorizzati inizialmente da Stephen Hawking e ancora mai rilevati, quindi di natura ancora probabilistica, ma se simili oggetti sono davvero esistiti allora probabilmente hanno anche generato fusioni con conseguenti onde. La formazione stellare, nell'universo, ha una data di inizio e quindi se si riuscisse a rinvenire qualche onda gravitazionale proveniente da buchi neri antecedenti a questa data avremmo la certezza della natura non stellare dei buchi neri stessi, avvalorando le idee di Stephen Hawking. Certo è che per cercare di captare qualcosa, sarebbe bene conoscere il risultato da attendersi e così, all'insegna dell'astronomia multimessenger, buchi neri primordiali sono stati caratterizzati da simulazioni in spettro elettromagnetico in un lavoro pubblicato su Nature Astronomy il 10 settembre 2018: in base alle attese, quindi, un buco nero di questo tipo sarebbe accompagnato da una intensa radiazione, soprattutto X e ultravioletta, shiftata ai nostri giorni fino alla banda infrarossa e tale radiazione sarebbe anche accompagnata dalla presenza di stelle massicce e prive di metalli, il che è un risultato (simulato) davvero inatteso. La simulazione fornisce informazioni come densità e temperature ma lo studio ha voluto trasformare il processo in qualcosa di "visibile" da Terra: il primo step coinvolgerebbe quindi gas in collasso in una stella con massa di circa centomila masse solari, stella che andrebbe subito incontro a una instabilità gravitazionale collassando su sé stessa a creare un buco nero massiccio. La radiazione innescherebbe la formazione di stelle in un periodo di circa cinquecentomila anni. Dai successivi cinque-sei milioni di anni dopo la formazione, le stelle create esploderebbero come supernovae e il buco nero tenderebbe a calmarsi creando, però, una sorta di lotta tra emissioni elettromagnetiche e la gravità del buco nero stesso per un periodo di circa venti o trenta milioni di anni (Observational signatures of massive black hole formation in the early Universe - Nature Astronomy, 2018).
Il problema di questi segnali è anche il fatto che sono molto deboli e vengono sopraffatti dai segnali di eventi più vicini e che oggi vengono captati regolarmente e serve quindi una pulizia di quanto ottenuto dai rivelatori. Oltre a scandagliare la radiazione cosmica di fondo alla ricerca di distorsioni indotte dalle onde primordiali, è possibile studiare direttamente le onde captate per verificare che non contengano "impurità" legate alla presenza delle più deboli onde primordiali. In tal senso, quindi, si sottrae il segnale astrofisico principale per vedere cosa resta, cosa tutt'altro che semplice visto che anche il segnale astrofisico principale può avere contenuti molto deboli. Le onde primordiali dovrebbero essere un ronzio diffuso e persistente che dovrebbe presentarsi sempre allo stesso modo nei tempi e nei luoghi. Qualsiasi altro rumore sarebbe invece più specifico (Physical Review Letters - “Measuring the Primordial Gravitational-Wave Background in the Presence of Astrophysical Foregrounds” - Sylvia Biscoveanu et al.)
Il 17 marzo del 2014 una conferenza tenuta all'Università di Harvard ha rivelato al mondo la detection delle onde gravitazionali primordiali, sbagliando però clamorosamente. La notizia fu oggetto di spoiler già dai giorni precedenti la conferenza e le attese erano molto alte. Gli scienziati hanno rivelato la scoperta della traccia inconfutabile delle onde gravitazionali emesse durante il periodo di espansione "folle e disperatissima" che ha seguito l'istante della nascita dell'universo e che è comunque racchiudibile in una frazione di secondo. Questa fase si e' poi arrestata per dar posto ad una nuova fase espansiva dominata dalla forza di gravita' cosi' come la conosciamo oggi, ed e' nota - come detto - con il nome di inflazione. Le tracce di qust'ultima e delle fasi primordiali dell'universo sono impresse nel fondo cosmico dalle microonde. Questo relitto, che ha lasciato il nostro universo primordiale, e' estremamente uniforme ma non su tutte le scale. Negli anni '90 furono lanciate delle missioni in orbita che finalmente scoprirono queste piccole fluttuazioni nel fondo cosmico a microonde e la sonda COBE fornì la prima mappa di queste anisotropie. Questa mappa valse il Nobel a Smoot e Mather nel 2006. La ricerca, condotta da un consorzio di enti di ricerca statunitensi e capeggiato dallo Harvard-Smithsonian Astrophysical Observatory, ha sostenuto in quel fatidico 17 marzo di aver definitivamente trovato l'impronta delle onde in alcune particolari fluttuazioni del CMB (Cosmic Microwave Background): un particolare tipo di polarizzazione (B-mode) nella luce della CMB e' stato spiegato come la traccia delle onde gravitazionali sul relitto luminoso dei primordi dell'universo. Una ricerca che ha fatto uso delle migliori tecnologie sviluppate in anni di ricerca sulla CMB. La missione e' basata sul telescopio BICEP2 installato al Polo Sud per sfruttare le piu' basse temperature della Terra con sensori raffreddati a temperature di 0.25 gradi sopra lo zero assoluto, in maniera da amplificare notevolmente la propria sensibilita' e rendere i rumori delle apparecchiature elettroniche quanto piu' bassi possibile.
Dopo quasi due mesi da quel 17 marzo lo scetticismo iniziale si era già trasformato in una sorta di certezza in negativo. La rivista Science riprese una teoria apparsa sul blog Résonaance introducendo due possibili fonti di errore nell'elaborazione dei dati che portarono all'annuncio. Il primo era la sottovalutazione del ruolo in emissione in polarizzazione della polvere galattica, il miglioramenteo della cui mappa avrebbe portato ad un errore di misura. Dopo poco tempo arrivò, in effetti, l'ultima mappa della polvere galattica fornita da Planck fornì la conferma per la quale la polarizzazione osservata non era affatto derivante dal passaggio delle onde primordiali ma dalla polvere stessa.
Seconda vulnerabilità osservata era data dalla CIB, la Cosmic Infrared Backgroud, una radiazione di sottofondo ed extragalattica, diffusa nello spettro ultravioletto, emessa però da corpi compatti come galassie e protogalassie. Anche questo fondo avrebbe potuto giocare un ruolo di alterazione dei segnali indipendentemente dalle onde primordiali.
Attualmente si è ancora alla caccia di simili onde.
Ultimo aggiornamento del: 18/12/2020 15:41:14