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Unità di misura delle distanze e misurazioni in astronomia

La misura delle distanze in astronomia utilizza unità e metodi dipendenti dalla distanza da misurare. Si va dal laser al radar per gli oggetti del sistema solare, alla parallasse per le stelle distanti fino alle candele standard e al moto dei gas per gli oggetti più deboli.

Distanze astronomiche: un problema con gli zeri

Se dovessimo esprimere le distanze astronomiche nel modo in cui siamo abituati sulla Terra non avremmo la minima possibilità di esprimerci al meglio. Per questo al variare dell'ampiezza dei confini si varia la notazione.

Sappiamo che i corpi celesti si trovano a distanze elevatissime e che proprio per questo siamo in grado di osservarne la luce soltanto dopo un viaggio più o meno lungo, osservandoli così per come erano all'inizio di questo viaggio. La luce del Sole che ci scalda in questo momento è la luce partita 8 minuti fa dalla nostra stella , quindi il Sole che vediamo nel cielo potrebbe essersi spento da 7 minuti e noi potremmo accorgercene soltanto tra un minuto. Per oggetti più distanti il discorso è davvero molto diverso: una supernova che vediamo esplodere è una stella esplosa probabilmente migliaia di anni fa. Vogliamo parlare di distanza eppure stiamo parlando di tempo, il che può sembrare strano ma non lo è affatto (vedi "La Macchina del Tempo" di Ivan Delvecchio su Quantum Café).

Astronomi ed astrofisici sono sempre alle prese con numeri infinitamente grandi oppure infinitesimamente piccoli e se volessimo davvero indicare la distanza della supernova vista in chilometri dovremmo dar vita a un numero dal numero di zeri davvero insopportabile per qualsiasi mente umana. E se poi volessimo indicare la dimensione osservata dell'oggetto ci scontreremmo con il caso opposto, quello di numeri troppo piccoli per essere compresi e anche pronunciati. Dalla distanza, infatti, dipende l'angolo sotteso dall'oggetto, inteso come la sua dimensione apparente.

Qualche esempio chiarirà sicuramente meglio i concetti: le onde della luce viaggiano alla incredibile velocità di 299.791 chilometri al secondo, che è appunto la velocità della luce nel vuoto, spesso approssimata in 300.000 chilometri al secondo. In un minuto, quindi, la luce percorre qualcosa come 17.987.460 chilometri. In otto minuti (non è un valore casuale, ma corrisponde alla distanza del Sole dalla Terra che, come vedremo, è molto importante) il tragitto compiuto dalla luce è di 143.899.680 chilometri. In un'ora la luce percorre qualcosa come 1.079.247.600 chilometri: più di un miliardo di chilometri all'ora. Continuiamo: in un giorno la luce compie la bellezza di 259.019.424.000 chilometri, che si scrive duecentocinquantanovemiliardi di chilometri. In un anno la distanza coperta dalla luce diventa 9.454.208.976.000 e già si fa un po' di fatica a capirne la pronuncia. Il conto è stato fatto con l'anno civile, cioè 365 giorni da 24 ore ciascuno. In realtà il percorso compiuto dalla luce in un anno solare è pari a 9.460.704.000.000 di chilometri.
Possiamo utilizzare questa notazione per calcolare la distanza delle stelle, e proviamo a calcolare allora la distanza della stella più vicina, Proxima Centauri, scoprendo un valore pari a 39.924.170.880.000 chilometri, quindi a circa quarantamila miliardi di chilometri. 
Andiamo verso l'altra direzione: i nuclei atomici più grandi sono quelli dell'uranio, che hanno un diametro di 0,00000000000001 metri.
Esprimere i valori in questo modo è evidentemente molto scomodo e difficile e così si utilizzano notazioni e unità di misure differenti. 

Ultimo aggiornamento del: 26/08/2018 22:55:25

La notazione esponenziale

Uno dei primi modi per ovviare al gran numero di zeri in campo astronomico è elevare un numero a potenza, con la notazione esponenziale.

Una prima soluzione si ottiene attraverso la cosiddetta notazione esponenziale, utilizzando cioè gli esponenti del 10. Sappiamo dalla matematica, ad esempio, che 102 equivale a 10x10 e quindi a 100, quindi dire che una distanza è pari a 2x102 chilometri vuol dire che è pari a 200 chilometri. Allo stesso modo, dire che la nostra Proxima Centauri si trova ad una distanza pari a circa 40x1012 chilometri è già una forma più compatta: si scrive 40 e si aggiungono dodici zeri. Per la grandezza del nucleo dell'uranio si procede allo stesso modo, anteponendo un segno negativo a voler significare il numero di zeri da porre alla destra della virgola: 1x10-14.
Un simile metodo facilita di molto la scrittura e la lettura dal momento che evita di scrivere sequenze assurde di numeri, tuttavia si perde in precisione dal momento che si approssima di molto, e per di più non si ha l'effettiva sensazione di quanto sia 'in concreto' il valore di cui si sta parlando. Il confronto tra due valori in notazione esponenziale è immediato, ma la comprensione in assoluta di un valore singolo è già meno smart.
Il Sole dista dalla Terra circa 150x106 chilometri, il che esprime senza dubbio un valore che possiamo comprendere ma in effetti non è il valore giusto, poiché la distanza media è in effetti 149.600.000 chilometri. Parliamo allora di Proxima Centauri: la sua distanza, abbiamo detto, è circa 40x1012: valore facile da leggere ma approssimato (anche se in realtà non si conosce il valore reale e preciso al metro, quindi ci può stare). E poi: in che rapporto è la distanza di Proxima Centauri rispetto alla distanza dal Sole? Ci si può arrivare, ma per l'immediatezza è comunque bene studiare qualcosa di più immediato.
In genere la notazione esponenziale non viene utilizzata per le distanze ma resta il formato principe per quanto riguarda la misurazione di massa e densita ' di un corpo celeste.

Ultimo aggiornamento del: 26/08/2018 23:04:55

Le unità di misura della distanza

In base al sistema di riferimento nel quale misurare le distanze vengono utilizzate diverse unità di misura che vanno dall'Unità Astronomica nel Sistema Solare al MegaParsec per le distanze più elevate, fino al redshift

Unità Astronomica

Vogliamo semplificarci i calcoli in modo da riuscire a comprendere meglio con quanta distanza abbiamo a che fare. Il Sole è mediamente distante dalla Terra qualcosa come 149.600.000 chilometri. Possiamo prendere questo valore come unità di misura e chiamarlo Unità Astronomica, abbreviato con UA.

L'Unità Astronomica (UA) è la distanza media della Terra dal Sole, indicata in 149.597.870 chilometri.  La definizione più "complessa" parla di semiasse maggiore dell'orbita intorno al Sole di un pianeta di massa trascurabile, non perturbato, la cui rivoluzione siderea sarebbe di 365,2568983263 giorni.

Ovviamente la definizione complessa equivale a quella più semplice, dal momento che il generico pianeta descritto ha proprio le caratteristiche della Terra.

Le distanze all'interno del Sistema Solare, a questo punto, possono essere esplicitate utilizzando l'Unità Astronomica come unità di misura.
Scopriamo, quindi, che Sole e Terra sono distanti 1 UA per definizione, mentre Mercurio dista dal Sole 0,38 Unità Astronomiche. E' un concetto che riesce a farci capire all'istante come Mercurio sia più vicino al Sole piuttosto che alla Terra, e come Terra e Mercurio distino 0,62 UA. Il discorso è estendibile a tutti gli altri corpi celesti del Sistema Solare ovviamente, fino alla Nube di Oort posta tra 20.000 e 100.000 UA. Non solo: l'Unità Astronomica è una unità di misura utilizzata per esprimere anche la distanza tra le componenti di un sistema binario , oppure la distanza di un esopianeta rispetto alla propria stella madre.
L'Unità Astronomica ci consente quindi di effettuare dei comodi confronti, comprendendo al volo di cosa e di quanto si stia in effetti parlando. L'importante è non sconfinare dal Sistema Solare perché esprimere la distanza della solita Proxima Centauri in termini di Unità Astronomiche sarebbe comunque molto scomodo (266.161,1392 UA). Abbiamo finora scoperto che 1 UA = 8,19 minuti luce = 149.600.000 chilometri, che è la distanza Terra-Sole espressa in diverse notazioni.

Anno di luce

Da quanto visto finora, iniziamo a capire che in astronomia la velocità della luce gioca un ruolo abbastanza importante, tanto che possiamo iniziare ad esprimere le distanze in base al tempo che la luce impiega a percorrerle. A questo punto possono nascere molte perplessità visto che stiamo valorizzando una grandezza di spazio (distanza) utilizzando una unità di misura temporale (anno), ma tempo e spazio sono due aspetti dello stesso fenomeno chiamato universo.
Ogni volta che guardiamo il cielo facciamo un viaggio nel tempo: la luce degli oggetti che noi vediamo oggi è partita migliaia, milioni o miliardi di anni fa. Riusciamo a vedere oggetti distanti 13 miliardi di anni luce e così dicendo stiamo parlando di una luce che ha impiegato 13 miliardi di anni per giungere a noi, con la conseguenza che nel frattempo la sorgente che l'ha emessa è senz'altro cambiata, forse scomparsa addirittura. Se viaggiassimo alla velocità della luce impiegheremmo 8 minuti e 19 secondi per arrivare sul Sole, 4,28 anni per arrivare su Proxima Centauri, mentre impiegheremmo 385 anni circa per arrivare su Alcyone, stella più brillante delle Pleiadi.

L'anno di luce (al oppure yl in inglese - year light) è la distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un anno ed è pari a 9.460.704.000.000 chilometri, percorsi alla velocità di 299.791 km/s.

Comunemente si parla di anno-luce, anche se tecnicamente il nome giusto è anno di luce.
Nella distanza coperta dalla luce in un anno è possibile inserire qualcosa come 800 sistemi solari, uno dietro l'altro, e questo evidenzia benissimo come l'anno di luce sia una unità di misura molto valida per esprimere la distanza dei corpi al di fuori del Sistema Solare. Come visto, nessuno ci vieta di dire che il Sole si trova a otto minuti luce, ma di sicuro siamo più comodi a lasciare l'Unità Astronomica e l'Anno di Luce al loro posto ideale.

Parsec

Per distanze molto ampie, anche l'anno di luce inizia ad apparire un po' scomodo ed allora si utilizza un'altra unità di misura: il Parsec.

Il concetto di Parsec è legato al concetto di parallasse , tanto è vero che Parsec è l'abbreviazione di parallasse-secondo.

Il Parsec (Pc) è la distanza alla quale una stella avrebbe una parallasse di un secondo d'arco.

Parsec e parallasse sono quindi legati dalla formula

d = 1/p

dove d è la distanza espressa in parsec mentre p è l'angolo di parallasse.


Un Parsec corrisponde a 206.265 UA, ovvero a 3,086x1013 chilometri oppure ancora a 3,262 anni luce. Il Sole, posto a 1 UA, ha una parallasse di 206.265 secondi.
Da questa unità di base ne derivano altre che servono ad eliminare ancora un po' di zeri. Esattamente come si parla di chilogrammi, si può parlare di KiloParsec (KPc) e MegaParsec (MPc) per parlare di migliaia e milioni di Parsec. Il KPc è utilizzato spesso per esprimere le distanze all'interno della Via Lattea. Il MPc è utilizzato spesso per descrivere le distanze di altre galassie.

Riassumendo, all'interno del Sistema Solare si utilizza l'Unità Astronomica, per le distanze stellari si utilizzano gli anni luce mentre per distanze ancora maggiori come quelle tra galassie si utilizzano i Parsec.

Ultimo aggiornamento del: 26/08/2018 23:27:29

Tecniche di misurazione: radar ranging e telemetria laser

All'interno del Sistema Solare la metodologia di misurazione più precisa è fornita dal tempo che intercorre tra l'invio di un segnale e la ricezione del suo rimbalzo. Il caso più eclatante è quello dello specchio sulla Luna.

A fronte di una sfera celeste che pone tutti gli astri a una stessa non identificata distanza e di una storia fatta di sfere in rotazione intorno alla Terra, oggi stimare la distanza dei corpi celeste assume una rilevanza eccezionale per diversi fini, primo tra tutti determinare l'età dell'universo. 
Così come le unità di misura variano in base alle distanze in gioco, anche i metodi di misurazione sono differenti in base allo stesso parametro, secondo il modello della "scala delle distanze cosmiche": ogni gradino della scala, corrispondente a distanze maggiori, utilizza un metodo differente. Ad ogni gradino viene introdotto un errore di stima che viene propagato al gradino successivo sottoforma di errore sistematico. Non esiste un metodo univocamente accettato come "migliore", almeno per le distanze più grandi. Per ciascuna distanza, in pratica, è preferibile utilizzare un determinato metodo anziché un altro perché si compie un errore sistematico minore.

Radar Ranging e telemetria laser

All'interno del Sistema Solare il metodo di calcolo delle distanze maggiormente utilizzato, date le misure relativamente ridotte, è quello del radar ranging, consistente nel calcolo del tempo di andata e ritorno di un raggio radio sparato verso un oggetto e da questo riflesso verso il punto di partenza. La possibilità - come detto - è offerta dalle distanze le quali, per quanto "astronomiche", sono oggi alla portata della strumentazione terrestre. Basti pensare che le sonde Voyager si trovano oltre l'eliosfera e ancora riescono a comunicare con Terra: scambiare pacchetti di comandi e telemetrie con una sonda in orbita intorno ad un pianeta solare consente di stabilire con ottima approssimazione la distanza del pianeta stesso, pari alla distanza della sonda dal pianeta data la velocità di propagazione del canale utilizzato per l'invio e la ricezione di pacchetti.
L'Unità Astronomica come unità di base è stata calcolata misurando il tempo di andata e ritorno di un segnale radio molto potente, riflesso dalla superficie di Venere. La distanza dal Sole viene poi calcolata tramite triangolazione Terra-Venere-Sole. L'uso del radar in astronomia, esige una potenza elevata in emissione ed una sensibilità molto spinta nella ricezione delle eco, per questo la tecnologia radar può essere utilizzata soltanto all'interno del Sistema Solare. Nel 1946 due ingegneri americani, De Witt e Stodola, hanno ottenuto per la prima volta una eco radar dalla Luna, mentre nel 1961 si è ottenuto una eco da Venere, oltre cento volte più distante.
In effetti già in epoca pre-tecnologica si era provato a calcolare la distanza Terra-Sole utilizzando una pura e semplice geometria, ma il metodo più vicino alla misura realistica sfruttava l'osservazione del transito di Venere sul disco solare osservato da due punti diversi della superficie terrestre, usando quindi il raggio del nostro pianeta come base.
Per distanze ancora minori, come quella che ci separa dalla Luna, la tecnologia è ancora più precisa. Già Aristarco ed Ipparco tentarono misurazioni trigonometriche basate sul diametro terrestre: sapendo che la Luna impiega circa un'ora a percorrere lo spazio del suo diametro apparente, di circa mezzo grado, misurando il tempo che la Luna stessa impiega a percorrere la totalità dell'ombra terrestre durante una eclisse si ricava il raggio della Luna. Dal momento che la distanza a cui un oggetto deve trovarsi per occupare un angolo visuale di mezzo grado è di circa 120 volte la propria grandezza, la distanza Terra-Luna è di circa un quarto del diametro terrestre moltiplicato per 120, quindi circa 30 diametri terrestri. In realtà nell'effettuare i calcoli sia Aristarco sia Ipparco, successicamente, sbagliarono la misura degli angoli, e quindi anche le misure effettive. La correzione portò ad una misura maggiore del 7% di quella calcolata.
Ne sono passati di anni da quei tentativi. La misura che conosciamo oggi viene misurata con altri metodi, e precisamente con la telemetria laser. Le missioni Apollo hanno lasciato sul suolo lunare dei riflettori (Lunar Laser Ranging) e puntando un laser contro di essi è possibile calcolare il tempo impiegato dal raggio stesso ad andare e tornare. Tramite questo metodo è stato calcolata una distanza media di 384.400 chilometri. Non esiste una distanza assoluta per perigeo ed apogeo , dal momento che le orbite relative di Terra e Luna variano per geometria. Ciò che è possibile definire è quindi una distanza media.

Ultimo aggiornamento del: 27/08/2018 12:40:02

Tecniche di misurazione: la parallasse

Al di fuori del Sistema Solare, per le stelle presenti entro un determinato raggio, è possibile calcolare la distanza a partire dalla diversa posizione occupata dagli astri in diversi periodi di tempo terrestre

La parallasse è, per un dato astro, l'angolo sotto il quale si vedrebbe, da questo astro, una lunghezza convenzionale situata alla distanza della Terra. La lunghezza convenzionale scelta è il raggio dell'equatore terrestre per gli oggetti più vicini (parallasse diurna, legata alla rotazione terrestre) oppure il raggio dell'orbita terrestre (parallasse annua, per gli oggetti lontani, legata alla rivoluzione terrestre).

La parallasse è la distanza angolare delle due posizioni di una stella risultanti da osservazioni effettuate da due differenti posizioni lungo l'equatore terrestre o lungo l'orbita terrestre. 

La stella , vista dai due punti differenti, avrà una posizione differente rispetto alle stelle più lontane e più "immobili" sulla sfera celeste . Immaginiamo di affacciarci al balcone di casa e guardare un albero tenendo aperto il solo occhio destro: l'albero ci appare in una determinata posizione rispetto alle case poste sullo sfondo. Ora, restiamo allo stesso punto e guardiamo lo stesso albero solo con l'occhio sinistro: l'albero ci appare in un punto diverso rispetto alle case di sfondo. La parallasse si basa su questo fenomeno: un punto osservato da due posizioni differenti appare in punti differenti rispetto allo sfondo fisso pur rimanendo, in realtà, fermo. Ciò significa che per calcolare la parallasse bisogna trovarsi in due punti differenti e maggiore è lo spostamento dell'oggetto e minore sarà la sua distanza (fino alla distanza delle case di sfondo, che apparentemente non si muovono perché troppo distanti). La parallasse è la distanza angolare dei nostri occhi vista dall'albero.
Nella parallasse annua i due punti di osservazione differenti sono forniti dalla rivoluzione terrestre nei punti raggiunti ogni sei mesi, a Gennaio e Luglio, che - con un diametro orbitale di circa 300 milioni di chilometri, consente una buona stima. La parallasse annua è il metodo utilizzato per le stelle più distanti.
Durante la rivoluzione, la stella rimane ferma ma la Terra, muovendosi, la fa apparire in movimento, facendole assumere per la precisione un movimento ellittico come conseguenza dell'orbita ellittica terrestre. Nel punto orbitale di Gennaio, la stella appare nella posizione a destra, mentre nel punto di Luglio, che si raggiunge dopo sei mesi (mezzo giro di rivoluzione terrestre) appare a sinistra, dopo aver percorso una semi-ellisse.
Tuttavia la stella è sempre fissa nel suo punto centrale, al netto del suo moto proprio comunque quasi impercettibile a distanza di sei mesi da una osservazione al'altra. Una volta calcolati i punti posizionali apparenti della stella rispetto alle stelle più distanti, attraverso calcoli trigonometrici si può arrivare a misurare la posizione della stella stessa, e l'angolo che la sua proiezione verticale forma con il piano dell'eclittica terrestre è chiamato Angolo di Parallasse. Se ci trovassimo sulla stella, l'angolo sarebbe quello sotto il quale sarebbe possibile vedere il raggio dell'orbita terrestre, il che rispecchia in pieno la definizione iniziale di parallasse (annua, in questo caso).
L'angolo di parallasse si misura in secondi d'arco ed ogni parallasse calcolata sarà inferiore a 1''.

Se una stella ha una parallasse annua (con base di 1 UA) di 1 arcosecondo sarà quindi distante 1 Parsec, che infatti è proprio definito come la "distanza di un oggetto che ha parallasse pari ad un arcosecondo". In altri termini, dall'oggetto misurato la dimensione dell'orbita terrestre risulterebbe di un arcosecondo.

Come visto parlando di Parsec, la distanza di una stella in Parsec è data dal reciproco della sua parallasse: 

d = 1 / p 

in cui d è la distanza misurata in parsec e p è l'angolo di parallasse espresso in arcosecondi.

Proxima Centauri, la stella più vicina alla Terra, ha una parallasse di 0,765''. Più la stella è lontana, più il valore decresce visto che minore sarà lo spostamento apparente nel cielo. Con riferimento al disegno, la distanza è data dal rapporto tra UA ed angolo di parallasse. Nel caso di Proxima Centauri, quindi, la distanza è data da 1/0,765, con il risultato che la stella si trova a circa 1,31 Parsec. Sirio, la stella più brillante del cielo, ha una parallasse di 0,379 arcosecondi, quindi si trova ad una distanza di 2,63 parsec. Volendo continuare, sappiamo che 1 parsec è pari a 3,26 anni luce, quindi Sirio si trova alla distanza di 2,63x3,26 = 8,6 anni luce.

Tornando all'esempio dell'albero, più questo sarà lontano e meno potremo vedere differenze tra la visuale con l'occhio destro e con l'occhio sinistro. In pratica, più il corpo celeste è distante e meno vedremo spostamenti pur utilizzando una distanza grande come la parallasse annua (la riprova è data dai cerchi percorsi dalla stella nel disegno, nei casi 1 e 2, che mostrano un movimento più marcato per la stella del caso 2, più vicina alla Terra). In quei casi, saremo costretti ad utilizzare altri metodi di determinazione delle distanze.

In effetti le distanze nell'Universo sono i dati meno sicuri: il metodo di parallasse fornisce un errore del 3% per stelle entro i 10 anni luce, del 10% per stelle entro i 30 anni luce e del 30% per stelle entro i 100 anni luce.
Più in là con le distanze misurate da Terra non avrebbe senso andare, dal momento che l'errore diventerebbe intollerabile. In pratica, le stelle si muoverebbero sempre di meno rispetto allo sfondo delle stelle lontanissime e "fisse" e la misura che ne otterremmo sarebbe sbagliata. Dallo spazio le cose cambiano: il satellite Hypparcos ha avuto una sensibilità tale da consentire stime di distanze fino a 1600 anni luce. Il satellite Gaia è molto più sensibile (oltre ad avere una base orbitale più ampia) e riece a misurare angoli di parallasse fino a distanze di 30 mila anni luce. Distanza elevata ma, confrontata alle distanze delle stelle più lontane, abbraccia ancora una piccola parte della popolazione galattica. 

Esiste un'altra base che viene a volte presa in considerazione e che dà vita alla cosiddetta parallasse secolare: consiste nella misurazione dell'angolo parallattico di una stella utilizzando come base (non il diametro terrestre né l'orbita terrestre ma) un tratto del moto proprio del Sole nella Galassia. Più la base è grande, più si è in grado di riconoscere gli angoli parallattici formati da oggetti sempre più lontani.

Ma quali sono le cause dei margini di errore delle misurazioni terrestri di parallasse? Fondamentalmente la rifrazione atmosferica e la possibilità che gli strumenti di osservazione stessi possano soffrire di leggere deformazioni agli specchi causate dal loro stesso peso. Ovviare a questi inconvenienti è possibile soltanto piazzando uno strumento d'osservazione direttamente fuori dall'atmosfera terrestre, nello spazio, in orbita, in modo tale da annullare il fenomeno della turbolenza atmosferica e della forza peso degli strumenti. Il già citato HypparcosGaia sono proprio esempi di questi satelliti.
Resta il fatto - tuttavia - che il metodo della parallasse è l'unico che consente di calcolare le distanze senza bisogno di fare supposizioni riguardo la natura e la composizione dell'oggetto analizzato, come vedremo parlando degli altri metodi.

A completare il quadro delle parallassi esiste la parallasse spettroscopica, anche se la sua precisione non è elevatissima. Hertzsprung, l'ideatore con Russell del diagramma HR , notò che stelle appartenenti alla stessa classe spettrale come le giganti o le stelle di sequenza principale possedevano spettri con differenti intensità in alcune righe. Un lavoro del 1943, firmato da Morgan e Keegan, catalogava 55 spettri stellari basati non più su classe e luminosità ma sulle caratteristiche spettrali. Inseriti gli oggetti nel nuovo diagramma così elaborato, era immediato risalire alla loro magnitudine assoluta e, avendo quella apparente, era ancora più immediato ottenerne il modulo della distanza. La parallasse spettroscopica è arrivata laddove quella trigonometrica non è riuscita, ma presenta un fattore di errore molto elevato.

Tra il 22 e il 23 aprile 2020, invece, per la prima volta una sonda ha evidenziato una parallasse per le stelle Proxima Centauri e Wolf 359 da 4 miliardi di chilometri di distanza. La New Horizons, infatti, ha ripreso le due stelle evidenziando posizioni - rispetto alle stelle fisse di sfondo - diverse da quelle osservate da Terra.

La prima distanza misurata: 61Cyg
Tramite un buon telescopio munito di micrometro filare, nel 1838, F. W. Bessel riuscì a misurare la parallasse di 61 Cygni, stella che precedentemente fu segnalata per un marcato moto proprio (velocità apparente nel cielo rispetto alle altre stelle), e che poteva quindi essere considerata tra gli oggetti extrasolari più vicini. Bessel annunciò, dopo 4 anni di osservazioni, che la 61 Cygni possedeva una parallasse di 0.316'', contro l'attuale valore accertato di 0.34''. Inserendo il dato ricavato strumentalmente nella formula poco sopra illustrata otteniamo una distanza pari a (1/0,316)Pc, cioè 3,16 pc, pari a 10,3 anni luce. Bessel poté quindi stabilire che la 61 Cygni si trovava ad una distanza di circa 10 anni luce dalla terra. Questa fu la prima misurazione di distanza effettuata dall'uomo nei riguardi delle stelle.

Ultimo aggiornamento del: 14/06/2020 23:22:29

Tecniche di misurazione: candele standard

Attraverso lo studio della curva di luce di alcune tipologie di stelle variabili è stato possibile determinare un legame tra andamento della curva e magnitudine assoluta degli astri, consentendo di risalire alla loro distanza

Il principio base della parallassi spettroscopica, come visto, sta nel fatto che se due stelle hanno la stessa magnitudine assoluta, tramite analisi della differenza di magnitudine apparente si riesce a capire la distanza della stella più lontana partendo dalla distanza nota della stella più vicina. Note le distanze degli astri dalla Terra, si può passare da una magnitudine relativa a quella assoluta attravero una formula (l'intensità della luce diminuisce con il quadrato della distanza), e di conseguenza è possibile fare il contrario.

Alcune stelle, appartenenti ad una specifica classe (come ad esempio le Cefeidi ma anche le RR Lyrae o le supernovae Ia) sono caratterizzate da una curva di luce ben definita attraverso la quale è possibile risalire con esattezza alla magnitudine assoluta. Stelle di questo tipo vengono così utilizzate come riferimenti standard, come candele. Se si scopre che all'interno di una galassia o da qualche parte dell'Universo è presente una stella di questo tipo, quindi, se ne può stimare con certezza la magnitudine assoluta e, misurandone quella apparente, ottenerne la distanza estendendo la misurazione a tutta la galassia ospite. Il metodo è abbastanza preciso, anche se a minarlo concorre un fattore rilevante come la possibilità che la luce della stella lontana possa venire in qualche modo modificata dalla polvere intergalattica: eventuali banchi di questa polvere potrebbero far apparire la stella meno brillante di quanto in realtà sia, con il rischio di sovrastimare la sua lontananza.

Le stelle più famose per questo tipo di analisi sono le Cefeidi , così chiamate per rappresentare una classe di candele la cui capostipite è la stella delta Cephei. Le Cefeidi sono stelle il cui periodo di variabilità è legato alla luminosità: maggiore è quest'ultima e maggiore è il periodo di variabilità.  
La formula per trasformare la differenza di magnitudini (assoluta e apparente) in distanza è del tipo

log(d) = (m - M + 5) / 5

dove m è la magnitudine apparente, M è quella assoluta e d è la distanza cercata e log é il logaritmo in base 10.
Il metodo delle Cefeidi è valido fino a circa trecento milioni di anni luce con un errore intorno al 15-20% (con le riprese dello Hubble Space Telescope, visto che da Terra non si andrebbe oltre i 20 milioni di anni luce). Si tratta di distanze comunque molto elevate dopo il netto avanzamento consentito da una scoperta, nel 2009, di Cefeidi molto massicce (tra 12 e 20 masse solari) in grado di brillare molto più di quelle classiche. Le variabili come le RR Lyrae, invece, si fermano a distanze pari a circa due milioni di anni luce. 
Per distanze maggiori, per le quali una semplice stella non può essere osservata, si ricorre alle supernovae di tipo Ia derivanti da fusione di stelle di tipo nana bianca . Si tratta di eventi molto più brillanti ma anche sporadici e temporanei, scatenati da sistemi binari contenenti nane bianche che sottraggono massa alla compagna fino a quando non esplodono espellendo il materiale accumulato oppure, come detto, contenenti coppie di nane bianche.
Il metodo è applicabile proprio per la tipologia di fenomeno: la supernova di tipo Ia si innesca in sistemi tipici al raggiungimento di una massa limite (Limite di Chandrasekhar ), sempre uguale. La luminosità raggiunta in termini assoluti, quindi, è sempre la stessa e di conseguenza la magnitudine assoluta può essere considerata nota. Le supernovae sono più brillanti delle Cefeidi nell'ordine dei miliardi di volte, così possono aiutare a determinare le distanze di galassie molto remote. Il metodo delle Supernovae Ia consente di derivare la distanza di una galassia nella quale è esplosa una supernova di tipo Ia. Nota la magnitudine assoluta della supernova è facile risalirne alla distanza sulla base della magnitudine apparente con la stessa formula generale delle candele standard. In realtà negli ultimi anni sono apparsi un po' di dubbi sulla bontà dell'esplosione di una nana bianca come possibile candela standard: non ultimo, il 2019 ha portato a uno studio del Caltech che ha dimostrato come, in base al nichel prodotto, nel passato molte nane bianche esplodevano prima del raggiungimento della massa considerata limite ("Evidence for Sub-Chandrasekhar Type Ia Supernovae from Stellar Abundances in Dwarf Galaxies," Evan Kirby et al., 2019, to appear in the Astrophysical Journal). Si tratta comunque dello strumento che nel 1998 ha consentito di misurare la velocità di espansione dell'universo, risultata accelerata, il che fa assumere a questa misurazione una importanza notevole. Migliorare la precisione è fondamentale, anche perché intorno al valore di picco massimo della luminosità esistono delle variazioni che inficiano la precisione ottenibile. Nel 2021, nuovi risultati basati su osservazioni in termini di luminosità e di spettro di supernovae lontanissime unitamente a quelle più vicine hanno evidenziato la presenza di supernovae "gemelle", perfettamente sovrapponibili una volta ottenuti gli spettri. Dall'analisi è risultato come gli spettri di supernova Ia possano variare in tre soli modi, con una luminosità intrinseca che dipende anche da queste tre differenze osservate. Questa scoperta ha portato a una migliore accuratezza delle misurazioni delle distanze (K. Boone et al. The Twins Embedding of Type Ia Supernovae. I. The Diversity of Spectra at Maximum LightThe Astrophysical Journal - 2021).

Ultimo aggiornamento del: 07/05/2021 17:04:05

Tecniche di misurazione: Main Sequence Fitting

Attraverso lo scostamento dei valori misurati rispetto a valori noti assoluti, stesso metodo visto per le candele standard, è possibile risalire alla distanza per interi ammassi aperti tramite il metodo del Main Sequence Fitting

Il metodo dell'Aggiustamento della Sequenza Principale (Main Sequence Fitting) si basa di nuovo, come le candele standard, sullo scostamento rispetto a dei valori noti.
Le stelle appartenenti ad un ammasso aperto sono più o meno poste alla stessa distanza da noi ed hanno più o meno la stessa età. Possiamo prendere vantaggio da questo fatto e mettere in relazione la magnitudine apparente delle stelle con il colore delle stesse, ottenendo un grafico simile a quello del Diagramma HR con la differenza che l'asse verticale rappresenta la magnitudine apparente e non quella assoluta. Non è un grave errore dal momento che, essendo le stelle dell'ammasso poste alla stessa distanza da noi, la differenza tra magnitudine assoluta e magnitudine apparente sarà più o meno la stessa per ciascuna di esse. E' possibile a questo punto sovrapporre il diagramma ottenuto ad un diagramma HR classico, che usa le magnitudini assolute e spostare il primo sul secondo fino a che i due percorsi si allineino.
Un ammasso spesso preso come riferimento è quello delle Iadi, nel Toro, le cui distanze sono state calcolate precisamente con il metodo della parallasse. La magnitudine assoluta delle stelle dell'ammasso a questo punto è nota, e la distanza può essere calcolata tramite la formula delle candele standard

d = 10 (m - M + 5) / 5 

dove m è la magnitudine apparente, M è quella assoluta e d è la distanza cercata.

Il metodo del Main Sequence Fitting ottiene la distanza delle stelle di un ammasso aperto comparando le magnitudini apparenti con le magnitudini assolute di un altro ammasso aperto di cui è nota la distanza. Una volta trovata la sovrapponibilità dei due diagrammi relativi, è possibile estrarre la distanza tramite la formula delle candele standard.

Il metodo è simile, come si nota, a quello della parallasse spettroscopica con una differenza sostanziale: la parallasse spettroscopica si applica ad una sola stella mentre questo metodo è applicato a tutte le stelle di un ammasso aperto.

Ultimo aggiornamento del: 27/08/2018 14:27:53

Tecniche di misurazione: stelle gemelle

Un altro metodo basato sulle proprietà fisiche e chimiche delle stelle è quello delle stelle gemelle, che parte dalla similitudine di due astri per ipotizzare una magnitudine assoluta simile e quindi procedere al calcolo della distanza.

Il metodo delle "stelle gemelle" è ancora un metodo in prova ma lo spirito sul quale si basa è abbastanza semplice. Due stelle uguali appariranno di differente luminosità quanto più la loro distanza da noi sarà differente: più brillante la più vicina, più debole la più lontana. Conoscendo la luminosità relativa tra le due stelle e sapendo che quella intrinseca è uguale, se si conosce la distanza di una stella è possibile conoscere la distanza della seconda per confronto con la prima. 

E' chiaro che servono alcuni assunti: innanzitutto servono due stelle con spettro uguale e dimensione uguale, delle quali una si trovi a distanza nota, per poter capire la distanza della seconda stella; seconda poi, lo spettro va un po' limitato visto che "uguale" vorrebbe dire presentare le stesse 280 mila righe confrontabili. Gli astronomi hanno così limitato l'"uguaglianza" a "sole" quattrocento righe. 

I prossimi passi per valutare il metodo (che ad oggi fornisce comunque, per stelle note, un errore del 6% rispetto ai dati di Hypparcos ottenuti per parallasse) consistono nel prendere un catalogo di parallasse note e cercare, in altro catalogo di stelle a distanza ignota, spettri uguali a quelli delle stelle presenti nel primo. Confrontando le luminosità come per la tecnica delle candele si riuscirebbe a determinare la differenza di distanza tra le due e, quindi, da noi.

Ultimo aggiornamento del: 27/08/2018 14:31:19

Tecniche di misurazione: Legge di Lemaitre-Hubble e Effetto Doppler

Un metodo molto utilizzato per misurare la distanza di oggetti ai confini dell'universo sfrutta la Legge di Lemaitre-Hubble e il concetto di Effetto Doppler. In base alla velocità di fuga delle galassie è possibile risalire alla loro distanza.

La Legge di Lemaitre-Hubble è una legge empirica enunciata da Edwin Powell Hubble nel 1929, ma passata in sordina nel 1927 quando ad annunciarla fu Georges Lemaitre, secondo la quale le galassie si muovono ad una velocità di fuga proporzionale alla loro distanza. Ne segue che più una galassia si muove rapidamente allontanandosi da noi, e più questa risulta distante. Viene in aiuto il concetto di Effetto Doppler.

L'Effetto Doppler è un fenomeno molto noto nella realtà quotidiana e un esempio sarà sicuramente di aiuto. Immaginiamoci sugli spalti di un autodromo ad assistere ad un Gran Premio: mentre la macchina è in avvicinamento le onde sonore sono sempre a maggior frequenza, sempre più corte, e questo rende il rombo del motore acuto, stridulo. Nel momento in cui l'auto ci raggiunge e si allontana, invece, le onde acustiche si dilatano risultando sempre più larghe, con minor frequenza, il che si traduce in un rombo del motore più grave, basso.
L'Effetto Doppler è tipico di qualsiasi moto ondulatorio, quindi quanto visto per il suono accade anche per la luce e lo spettro di radiazioni emesse da un corpo celeste visibile. Visibile vuol dire che emette radiazioni sotto qualsiasi lunghezza d'onda, e non solo dal punto di vista della visibilità ottica.

Se osserviamo un'onda luminosa proveniente da una sorgente ferma (ipotizzando che la stella con l'onda gialla lo sia), il tempo compreso tra l'arrivo di due creste d'onda successive è lo stesso tempo che passa tra l'emissione delle due onde da parte della sorgente.
Se la sorgente si sta allontanando da noi, come nel caso delle remote galassie con l'onda rossa, ogni onda dovrà percorrere un tratto leggermente superiore rispetto alla precedente: la sorgente emette le due onde sempre con gli stessi intervalli di tempo, ma man mano che la sorgente stessa si allontana le onde giungeranno con un po' più di ritardo all'osservatore.
Al contrario, quando la sorgente è in avvicinamento, come nel caso della galassia con l'onda azzurrina, ogni onda, emessa esattamente dopo un tempo costante dalla precedente, dovrà percorrere uno spazio minore per giungere all'osservatore, quindi l'osservatore vedrà le onde giungere sempre più frequentemente.

L'Effetto Doppler-Fizeau  è il fenomeno che ha luogo allorché una sorgente di vibrazioni (suoni, ultrasuoni) o di irraggiamento elettromagnetico (luce, onde radio, ecc.) di una data frequenza è in movimento rispetto ad un osservatore e che, per quest'ultimo, si manifesta come una modifica della frequenza ricevuta.

L'universo è composto da astri in movimento, quindi è spiegata facilmente l'utilità dell'effetto Doppler in astrofisica. L'effetto fu notato per la prima volta da Johann Christian Doppler nel 1842 e fu confermato per le onde acustiche nel 1845 ponendo una orchestra di trombettisti su un vagone aperto di un treno olandese. In realtà, all'inizio Doppler pensava che questo effetto avesse ripercussioni sul colore delle stelle: la luce delle stelle in allontanamento avrebbe dovuto essere spostata verso tonalità più rosse (lunghezze d'onda maggiori), mentre quella proveniente da stelle in allontanamento, con il restringimento delle onde in arrivo, avrebbe dovuto tendere a colorazioni più blu. Fu Buys-Ballot a fugare questo dubbio: l'effetto Doppler non ha nulla a che vedere con il colore delle stelle visto che, a fronte di uno spostamento nella parte ottica dello spettro, ci sarebbe anche uno spostamento della radiazione ultravioletta, normalmente invisibile, che finirebbe nella sezione azzurra dello spettro (nel caso di stella in allontanamento) andando a pareggiare l'effetto. L'effetto Doppler, tuttavia, ha avuto importanza estrema dal punto di vista cosmologico dal momento che ha consentito di stimare l'espansione dell'universo tramite l'applicazione alle righe spettrali scoperte da Joseph Fraunhofer.

Conoscendo lo spettro di una stella o perlomeno di una categoria di stelle caratterizzate da spettri simili, sappiamo che dobbiamo aspettarci un determinato spettro stellare caratterizzato da righe che rispecchiano gli elementi chimici che ne compongono l'atmosfera. Se la stella fosse ferma, ogni elemento chimico traccerebbe una riga ad una determinata lunghezza d'onda. Per effetto Doppler, se la stella è in allontanamento le righe saranno spostate verso il rosso mentre se la stella è in avvicinamento saranno spostate verso il blu.
Se le righe presenti nella luce della stella sono spostate verso lunghezze d'onda maggiori rispetto alle righe riprodotte in laboratorio dagli stessi elementi chimici che compongono la stella, vuol dire che la stella è in allontanamento. Una lunghezza d'onda maggiore vuol dire uno spostamento verso la parte rossa dello spettro elettromagnetico, e per questo si parla anche di redshift o spostamento verso il rosso.
Se l'oggetto è in avvicinamento, invece, le lunghezze d'onda saranno sempre più corte (frequenza sempre maggiore) andando verso la parte blu dello spettro elettromagnetico. Si parla in tal caso di spostamento verso il blu o di blueshift.

La Legge di Hubble ha la forma del tipo: 

    v = H0

dove v è la velocità di allontanamento della galassia in esame, da ottenere con analisi spettroscopica, e d è la sua distanza. H0 è la costante di Hubble, ottenuta quindi da una velocità divisa per una distanza, cioè dall'inverso del tempo. La distanza viene fornita dall'analisi comparata del redshift e della costante di Hubble, che indica il tasso di espansione dell'universo ed è espressa in km/s/Mpc.

Con i parametri utilizzati nei tempi moderni, quindi, la costante di Hubble risulta dal rapporto tra km/s e Megaparsec. Le galassie si allontanano con una velocità proporzionale alla distanza, quindi più una galassia è lontana e più si allontana velocemente.
Il redshift viene indicato con la lettera z ed è dato da

z = Λ / Λ0

dove il dividendo è lo spostamento di lunghezza d'onda di una certa riga spettrale ed il divisore è la lunghezza d'onda della stessa riga osservata in laboratorio, e quindi a distanza fissa e nota.
Ad esempio, per una galassia osservata la cui linea dell'elemento H Λ si trova a 662,9 nanometri anziché ai 656,3 tipici di laboratorio, il redshift è pari a

z = (662,9 - 656,3) / 656,3 = 0,010.

Per le galassie più vicine, dove z è molto minore di 1, la velocità di movimento può essere calcolata tramite la formula

v = c * z

dove c è la velocità della luce, pari a 3x108ms. Ne segue che, per la galassia con redshift 0x010, la velocità di allontanamento è pari a 3000 km/s.

Oggi la costante di Hubble è stimata in 71.9 Km/s per MPc. In realtà, Hubble stimò la velocità in 500 km/s per MPc, ma non aveva tutti gli strumenti che abbiamo oggi per essere più precisi. Ad esempio, la distanza d della galassia precedentemente introdotta (con z=0,010 e velocità 3000 km/s) è pari a (v/H0) = 3000 / 74 = 40,54 Mpc e visto che 1 Mpc = 3,26 milioni di anni luce, la galassia si trova alla distanza di 140 milioni di anni luce da noi.
Proprio attraverso l'analisi degli spettri di galassie lontane, che denotavano valori di redshift più o meno alti, si è potuto capire che l'universo è in espansione. Maggiore è il redshift e maggiore è la distanza del corpo celeste, nonché la sua velocità di allontanamento.

La Legge è stata per anni famosa come Legge di Hubble anche se in realtà apparve per la prima volta a cura di Georges Lemaitre due anni prima su Annales de la Société Scientifique de Bruxelles, nell’articolo “Un Univers homogène de masse constante et de rayon croissant rendant compte de la vitesse radiale des nébuleuses extragalactiques". L'articolo non riscosse il successo che ebbe dopo e soltanto nel 1932 il direttore di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society chiese a Lemaitre una traduzione in inglese da pubblicare. Nella traduzione, lo stesso Lemaitre tralasciò la parte relativa alla formulazione dell'espansione dell'universo dal momento che era già stata pubblicata da Hubble. In virtù di questo atto di modestia, la IAU ha pensato nel 2018 di rinominare la legge fornendo a Lemaitre la giusta visibilità: la decisione è stata presa il 26 ottobre 218 con la maggioranza del 78% sui 4.060 voti espressi, rappresentanti il 37% degli aventi diritto.

Ultimo aggiornamento del: 26/04/2019 17:04:05

Tecniche di misurazione: il metodo di Tully-Fisher

Il "metodo Tully-Fisher" è un indicatore di distanze proposto negli anni Settanta dagli astronomi Brent Tully e Richard Fisher. Sebbene sia limitato alle sole galassie a spirale, si tratta di un metodo largamente utilizzato nella prassi professionale astronomica ed è una delle più valide alternative alla stima delle distanze basate su redshift e luminosità.

Secondo il modello Tully-Fisher, la luminosità intrinseca delle galassie a spirale è proporzionale alla quarta potenza della velocità della loro rotazione , quindi esiste una correlazione tra la velocità della rotazione della galassia e la sua luminosità.
Più rapidamente ruota la galassia e maggiore è la quantità di materia che la tiene insieme, e visto che tale velocità è desumibile da osservazioni spettroscopiche ottiche e radio, dalla luminosità apparente si può risalire a quella assoluta e quindi alla distanza.
Una nota: il metodo di Tully-Fisher fornisce risultati in aperto contrasto con i dati indicati dal metodo del redshift. Una delle questioni cosmologiche ancora aperte riguarda proprio questa discrepanza.

Ultimo aggiornamento del: 27/08/2018 14:45:04

Tecniche di misurazione: il moto dei gas

Un metodo di recente implementazione (2015) e indipendente da tutti i metodi finora utilizzati è stato ottenuto grazie a lunghe osservazioni compiute con il Very Long Baseline Array (VLBA), un sistema di 10 antenne da 25 metri di diametro dislocate su un'area ampia più di 8000 chilometri dalle isole Hawaii alle isole Vergini e con il radiotelescopio da 100 metri di diametro di Effelsberg, in Germania.

Il metodo dello studio del moto dei gas prevede la misura della velocità del gas che orbita intorno al buco nero supermassiccio che occupa il centro delle galassie. Nel disco di gas ci sono "macchie maser", zone che emettono microonde coerenti emesse da molecole d'acqua. Tramite interferometria è possibile stabilire la velocità e la posizione di queste macchie. Misurando questi dati a distanza di tempo è possibile seguire il cammino delle macchie: conoscendo questi dati e l'angolo sotteso, tramite trigonometria si trova la distanza della galassia .
Tutto è nato dallo studio della galassia UGC 3789, posta a 160 milioni di anni luce da noi e non è difficile ipotizzare un roseo futuro per questa tecnica grazie alle risoluzioni sempre più spinte ottenute, ad esempio, grazie ad ALMA. Infatti, distribuzione e movimento del gas all'interno delle galassie sono dati sempre più alla portata degli scienziati e una prova è la mappa del gas della galassia  Cosmos-Aztec-1 rilasciata a Agosto 2018. La mappa ha mostrato un ritmo di formazione stellare pari a mille volte quello della Via Lattea, tasso indotto dalla presenza di due grandi nubi distanti migliaia di anni luce dal centro della galassia (per inciso, è molto strano vedere come in alcune galassie, tipo questa, la formazione stellare si presenti a ritmi altissimi in zone distanti dal nucleo).

La galassia Cosmos-Atzec-1 ripresa da ALMA. A sinistra la distribuzione del gas molecolare, a destra quella della polvere. La sensibilità di ALMA ha consentito dettagli incredibili per una galassia distante 12.4 miliardi di anni luce. Crediti ALMA/ESO.
La galassia Cosmos-Atzec-1 ripresa da ALMA. A sinistra la distribuzione del gas molecolare, a destra quella della polvere.
La sensibilità di ALMA ha consentito dettagli incredibili per una galassia distante 12.4 miliardi di anni luce.
Crediti ALMA/ESO.

L'immagine relativa alla galassia mostra a sinistra la distribuzione del gas molecolare e a destra quella della polvere. La formazione stellare era già nota dai tempi della scoperta tramite James Clerk Maxwell Telescope e delle prime osservazioni tramite Large Millimeter Telescope ma data la distanza (12.4 miliardi di anni luce) è servita la risoluzione di ALMA per scendere in dettaglio nel moto del gas e nella composizione interna. Si stima che tutto il gas della galassia verrà esaurito (convertito in stelle) in appena 100 milioni di anni ma l'elevata instabilità delle nubi resta un mistero, a parte una possibile collisione tra galassie della quale, però, non si ha traccia osservativa.

Ultimo aggiornamento del: 30/08/2018 11:03:42

Techiche di misurazione: Mappatura dell'eco

Contrariamente a quanto accade per le candele standard, delle quali è già nota la luminosità intrinseca, la mappatura dell'eco necessita di mesi o anni, quanto occorre per osservare il corrispettivo lampo infrarosso di un lampo visibile.

Una tecnica applicata - ancora in via di conferma - per la prima volta a inizio millenio e pubblicata nel 2020 ha preso in esame cinquecento galassie al fine di misurarne la luminosità dei dischi di accrescimento dei buchi neri supermassivi centrali. 

Il processo è noto come mappatura dell'eco o mappatura del riverbero e ha inizio quando il disco prossimo al buco nero diventa più luminoso, a volte rilasciando brevi bagliori di luce visibile. Questa luce si allontana dal disco fino a scontrarsi con la nube di polvere a forma di ciambella (toro) che circonda la maggior parte dei buchi neri supermassivi. Disco e toro, insieme, formano una sorta di occhio con il disco nella zona interna e circondato da un insieme di anelli concentrici di plasma e gas leggermente più freddi, fino a giungere al toro di polvere. Quando il lampo di luce partito dal disco raggiunge il bordo interno del toro, la luce viene assorbita riscaldando la polvere e poi riemessa in infrarosso, rappresentando un'eco di quanto avviene nel disco, come nel video che segue (Credit: NASA/JPL-Caltech).

 

 

 

 

 

 

La distanza percorsa da questa luce fino al toro può essere di miliardi di chilometri e può impiegare mesi per essere coperta e misurando la differenza di tempo tra lampo visibile e lampo infrarosso è possibile misurare la distanza tra le strutture. Da qui si può passare alla misura della distanza della galassia dalla Terra: la temperatura nella parte interna del disco può raggiungere temperature alle quali anche gli atomi vengono lacerati impedendo la formazione di particelle di polvere. Il calore del disco riscalda anche l'area circostante, con un gradiente che diminuisce all'aumentare della distanza dal buco nero. La polvere si forma quando la temperatura scende a 1200°C e più grande è l'energia sprigionata dal disco e più distante si forma la polvere. Misurare la distanza dal toro, quindi, corrisponde a misurare l'energia del disco, direttamente proporzionale alla luminosità. Nota la luminosità intrinseca è possibile dedurre la distanza avendo osservato la luminosità apparente da Terra. Per un simile processo occorrono mesi o anni ma le osservazioni portate avanti sembrano indicare una regola universale in grado di essere seguita per la misura delle distanze, anche se alcuni fattori minano la precisione. Tra questi, la scarsa comprensione del toroide, che potrebbe influenzare le lunghezze d'onda riemesse (Qian Yang et al. Dust Reverberation Mapping in Distant Quasars from Optical and Mid-infrared Imaging SurveysThe Astrophysical Journal - 2020)

 

 

 

Ultimo aggiornamento del: 02/10/2020 15:24:15