Perché questo interesse negli esopianeti?
Molti investimenti vengono diretti oggi su missioni in grado di scoprire pianeti oltre il Sistema Solare. Il motivo essenziale è la ricerca di un pianeta simile alla Terra in grado di presentare condizioni di abitabilità e, possibilmente, vita.
Lo studio dei pianeti extra-solari, o esopianeti, è molto recente poiché soltanto recentemente è stato possibile iniziare a osservare o dedurre la presenza di questi corpi così lontani da noi. Un conto è vedere una stella lontana poiché essa brilla da par suo, altra cosa è vedere un esopianeta , molto più piccolo e molto meno brillante tanto da essere totalmente oscurato dalla luminosità della sua stella madre.
Storia recente, come è stato già detto. Il primo esopianeta scoperto, infatti, è datato 1995 ma sarebbe inutile dire ad oggi quanti ne siano stati scoperti. Il conto preciso lo teniamo nell'apposita sezione contenente tutte le schede relative agli esopianeti a oggi confermati.
Perché si ricercano i pianeti extra-solari? Forse la motivazione più grande è un senso di "solitudine". La Terra, oggettivamente, non ha motivi speciali per i quali la vita debba essere presente soltanto sul suo territorio, e nella finita infinità dell'universo dovrà anche esserci un pianeta simile per condizioni in grado da far sviluppare forme di vita simili alla nostra. Non è la ricerca di vita extra-terrestre a spingere gli astronomi a questa passione, ma forse la branca degli esopianeti fa eccezione, almeno in parte, a questa regola.
Le stime dicono che entro il 2030 avremo le potenzialità per osservare le atmosfere di esopianeti terrestri, grazie al James Webb Space Telescope e a osservatori terrestri come l'Extremely Large Telescope (ELT). Nel frattempo gli scienziati stanno mettendo a punto simulazioni di quel che i nuovo osservatori potrebbero osservare sotto determinate condizioni, al fine di mettere a disposizione tracciati di corrispondenza. L'anidride carbonica no è un "biomarcatore" e Venere e Marte lo testimoniano, mentre sulla Terra la CO2 varia con le stagioni con un calo in primavera, quando le piante crescono e se ne cibano, e una impennata in autunno, quando le piante tendono a morire. In questo senso, la CO2 e le sue variazioni possono rappresentare un biomarcatore ma ricercare stagionalità in esopianeti non è semplice e non lo sarà neanche per il JWST. Il metano sarà invece un segnale importante, in presenza di CO2, visto che normalmente ha un ciclo di vita breve in simili condizioni e rintracciarlo sarebbe probabile indice di produzione da parte di forme di vita. Neanche l'ossigeno, di per sé, è un biomarcatore visto che potrebbe derivare anche dalla perdita di oceani, con l'idrogeno che fugge nello spazio e l'ossigeno che si addensa in atmosfera.
Nonostante l'incremento continuo nel numero degli esopianeti, non è facile scovarne di nuovi e spesso si ricorre a metodi che non sono quelli rappresentati dall'osservazione diretta. Non è un caso, infatti, che la maggior parte degli esopianeti trovati presenti caratteristiche del tutto anomale rispetto ai pianeti ai quali siamo abituati nel nostro sistema planetario : spesso questi pianeti associano dimensioni maggiori rispetto a quelle di Giove, il più grande pianeta solare, a orbite molto strette intorno alla propria stella -madre. Sappiamo che nel Sistema Solare l'orbita più stretta è quella di Mercurio, il pianeta più piccolo. Altrove sembra invece verificarsi il contrario. Probabilmente, tuttavia, è soltanto apparenza: con i nostri attuali mezzi riusciamo a vedere soltanto i pianeti più grandi, quelli che producono maggiori effetti. Con la teoria, invece, non mancano studi che appaiono maggiormente speculativi, e così sarebbe possibile scovare addirittura decine di migliaia di pianeti anche intorno ai buchi neri supermassivi che occupano il centro delle galassie: secondo queste simulazioni fatte girare, i pianeti verrebbero ad assumere masse di decine di masse terrestri in orbite comprese entro i 10 anni luce dal buco nero centrale. Il disco che circonda i buchi neri, in tal caso, sarebbe anche sede di formazione planetaria, sotto l'ipotesi che la potente radiazione possa essere bloccata dalla densità del materiale. Chiaramente, se si mettono in input ipotesi di questo tipo tutto diventa possibile (Astrophysical Journal - “Planet Formation around Supermassive Black Holes in the Active Galactic Nuclei“ - Keiichi Wada).
Per scoprire un esopianeta occorre quindi utilizzare tecniche ben precise e a volte molto lunghe.
Ultimo aggiornamento del: 15/02/2020 13:16:39
Curva di luce e metodo dei transiti
Il metodo a oggi maggiormente utilizzato per la scoperta di esopianeti consiste nell'analisi del calo di luce stellare prodotto dal passaggio di uno o più pianeta lungo la linea di vista. Un metodo importante anche per l'atmosfera planetaria.
Il metodo dei transiti è il metodo ad oggi più prolifico: se un pianeta , rispetto alla nostra linea di vista, passa davanti alla propria stella la luce totale che arriva a noi risente del passaggio visto che per la sua durata non percepiamo più la luce proveniente da entrambi i corpi ma osserviamo un parziale oscuramento del disco stellare. La durata del transito è è pari al quadrato del rapporto tra i raggi dei due corpi celesti coinvolti.
Rappresentazione di due transiti a opera di due pianeti di diversa dimensione.
Esistono survey che scandagliano il cielo alla ricerca di cali periodici di luce stellari indicanti il passaggio di pianeti davanti alla stella. I telescopi più famosi in tal senso sono Kepler, telescopio orbitante della NASA, e TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite), anch'esso NASA.
Grazie ai cali di luminosità periodici espressi dalla curva di luce delle stelle sono stati scoperti migliaia di esopianeti a oggi, ma il discorso non è affatto semplice come sembra. In tutte le animazioni osserviamo cali di luce molto netti ma se guardiamo l'effettivo calo di magnitudine ci accorgiamo che i cali sono nell'ordine dei centesimi e questo richiede sensori molto sensibili.
Non è questa l'unica problematica: se guardassimo il Sistema Solare dall'esterno vedremmo un calo di luce ogni 365 giorni e questo ci potrebbe far pensare all'esistenza di un pianeta in orbita , in tal caso proprio la nostra Terra. I transiti però possono essere diversi: oltre a quello terrestre, un osservatore esterno vedrebbe passare Mercurio ogni 88 giorni, Venere ogni 225 giorni, Marte ogni 687 giorni e così via. Ciascun pianeta produrrebbe un calo di luce differente in base alle dimensioni, ma Terra e Venere hanno dimensioni simili, Marte ha un'orbita molto eccentrica quindi quando è in perielio produce un calo di luce maggiore rispetto al punto di afelio . A parte il segnale periodico e ripetitivo che può essere osservato nel caso di un solo pianeta in transito, in tutti gli altri casi occorrono modelli in grado di creare un match con le curve osservate al fine di scoprire effettivamente di quanti pianeti si stia parlando.
Tra i vantaggi del metodo, i transiti consentono di ottenere una stima della dimensione del pianeta in base alla durata del calo di luce e consentono di avere informazioni circa l'atmosfera del pianeta in transito. In caso di atmosfera, infatti, la curva di luce calerà prima in modo lieve visto che la radiazione stellare penetra attraverso lo strato atmosferico per poi calare più rapidamente nel momento in cui inizia il transito del corpo solido. In uscita, la curva mostrerà un aspetto simmetrico, con un rialzo netto della luminosità nel momento dell'uscita del corpo solido dal disco stellare e un rialzo lieve durante il transito del solo strato atmosferico. Non solo: conoscendo lo spettro della stella e le righe che lo compongono, indicanti le componenti chimiche presenti nella sua atmosfera, la presenza di righe aggiuntive durante il transito indica la composizione atmosferica del pianeta in transito. Un esempio molto valido è dato dal pianeta Lhs 3844b, scoperto da TESS nel 2018 alla distanza di 48.6 anni luce e con un raggio pari a 1.3 volte il raggio terrestre. La sua curva di luce è rappresentata di seguito:
Curva di luce della stella Lhs3844 in seguito al transito del pianeta b. Crediti NASA/JPL/Caltech
Il calo osservato al passaggio del pianeta di fronte alla stella, una piccola nana rossa di classe spettrale M, è decisamente netto e verticale. Il pianeta, osservato dalla camera IRAC di Spitzer Space Telescope, evidenzia una superficie che appare coperta di lava scura, la stessa che ha formato i mari lunari. La rivoluzione del pianeta si compie in 11 ore e la temperatura sul lato bloccato verso la stella è stimata in 770°C. Proprio da questo calore è stato possibile ottenere radiazione tale da consentire deduzioni sulla superficie planetaria. A conferma dell'assenza di atmosfera vi è un trasferimento di calore tra i due lati planetari del tutto trascurabile. L'assenza di atmosfera sarebbe giustificata proprio dalla vicinanza alla stella, la cui radiazione avrebbe strappato l'involucro gassoso (Nature - “Absence of a thick atmosphere on the terrestrial exoplanet Lhs 3844b” - Laura Kreidberg et al.).
Un esempio della possibilità di studiare la composizione atmosferica di un esopianeta durante un transito viene addirittura dalla nostra Terra, grazie alle osservazioni del Large Binocular Telescope (LBT) che ha osservato la radiazione solare riflessa dalla Luna dopo il passaggio attraverso l'atmosfera terrestre. L'opportunità è stata offerta dalla eclisse di Gennaio 2019, che vista dalla Luna si configurava proprio come un transito: la radiazione che ha colpito la Luna è stata ventimila volte inferiore a quella solita e questo ha consentito al LBT di osservare il "chiaro di Terra" dato dai raggi del Sole filtrati dall'atmosfera terrestre, trovando le righe dell'ossigeno molecolare, del vapore acqueo, del sodio, del calcio e del potassio (Astronomy & Astrophysics - “High-resolution spectroscopy and spectropolarimetry of the total lunar eclipse January 2019” - K. G. Strassmeier,).
La rotazione della stella fa sì che una parte sia in "avvicinamento" alla Terra, producendo un blueshift, mentre l'altra sia in "allontanamento", producendo un leggero redshift . Durante il transito, il pianeta va a oscurare dapprima una delle due metà stellari e poi l'altra quindi andando a analizzare quale parte della luce stellare sia mancante (quella con blueshift o quella con redshift) è possibile anche stabilire la direzione del percorso orbitale rispetto alla rotazione stellare (obliquità orbitale), ottenendo peraltro informazioni circa il moto progrado o retrogrado del pianeta. Se l'esopianeta in transito è molto caldo, inoltre, la velocità radiale della stella-madre può essere influenzata consentendo anche di rivelare presenza di elementi pesanti come il ferro in mondi con temperature superiori ai 2.500°C. A scoprirlo è un team del progetto GAPS (Global Architecture of Planetary System) in seguito a un attento esame della curva di luce di Kelt-9b, il più caldo esopianeta alla data dello studio con temperatura di 4.300°C. In base all'angolo di obliquità, infatti, le velocità radiali non erano congrue con la differenza imputabile alla presenza di atomi di ferro, neutri e ionizzati, in atmosfera: lo spettro atmosferico si sovrappone, durante il transito, a quello stellare modificando il profilo di riga medio della stella, principalmente basato sulla riga del ferro (“The GAPS Programme with HARPS-N at TNG XIX. Atmospheric Rossiter-McLaughlin effect and improved parameters of KELT-9b“ - F. Borsa et al.). Sempre osservazioni di transito hanno consentito di prevedere come persino le molecole di idrogeno gassoso, presenti in atmosfera, vengano spezzate a causa dell'elevata temperatura raggiunta dal pianeta sul lato diurno, con possibilità di riformarsi nel lato notturno, leggermente più tiepido (Megan Mansfield et al. - Evidence for H2 Dissociation and Recombination Heat Transport in the Atmosphere of KELT-9b, The Astrophysical Journal - 2020).
Un altro vantaggio del transito è legato invece alla fase di oscuramento del pianeta da parte della stella, nel tratto orbitale posto "dietro" la stella dal nostro punto di vista: misurare la temperatura del pianeta prima dell'occultazione e appena uscito dalla stessa potrebbe fornire importanti indicazioni sulla presenza di atmosfera intorno al pianeta stesso, soprattutto se di tipo roccioso e intorno a una nana rossa. In assenza di atmosfera, infatti, la superficie planetaria sarebbe molto calda mentre in presenza di atmosfera si misurerebbe una diminuzione della temperatura. L'atmosfera trasporta il caloreverso il lato notturno, abbassando il valore sul lato diurno Un simile metodo di misurazione non è ancora nelle corde degli attuali strumenti ma può esserlo in quelle del James Webb Telescope (Identifying Candidate Atmospheres on Rocky M Dwarf Planets via Eclipse Photometry, Daniel D. B. Koll et al., 2019, Astrophysical Journal).
A metà 2021 è stato rintracciato addirittura il primo isotopo in una atmosfera esoplanetaria : il pianeta in questione è il gigante gassoso TYC 8998-760-1, distante 300 anni luce da noi in direzione della Mosca, e la detection è opera del VLT di ESO. L'elemento in questione è il carbonio-13 (Yapeng Zhang et al, The 13CO-rich atmosphere of a young accreting super-Jupiter, Nature - 2021).
Sempre tramite i transiti è possibile, ad esempio, capire se un pianeta sia in possesso di un sistema di anelli. In particolare, alcuni esopianeti scoperti appaiono molto grandi in diametro rispetto alle masse e questo può far pensare a una densità, bassissima, che rispecchia ampi vuoti proprio come quelli presenti tra gli anelli e il pianeta. L'alternativa sarebbe avere atmosfere molto estese senza alcun motivo apparente. Il discorso potrebbe essere portato avanti da alieni intenti a osservare il pianeta Saturno in transito di fronte al Sole, ad esempio. Gli esopianeti posti vicini alla stella avrebbero anelli rocciosi mentre altri non sarebbero in grado di sviluppare sistemi tanto ampi da modificare le stime di densità. Alcuni dei pianeti "super-puffy" (molto gonfiati), quindi, potrebbero in realtà avere anelli (Exploring Whether Super-Puffs Can Be Explained as Ringed Exoplanets).
Transito simulato di un pianeta con anelli e della curva di luce derivante.
Il pannello al centro mostra il transito normalizzato con i punti corrispondenti
a ogni posizione planetaria presente in alto.
In basso la differenza tra un transito di un esopianeta con anelli e una stella
con la stessa area. Crediti arXiv
Tra gli svantaggi, invece, c'è la mancanza di informazioni riguardanti la massa e la possibilità di osservare soltanto pianeti che passano davanti alla stella rispetto al nostro punto di osservazione e di osservare soltanto pianeti grandi rispetto alla stella stessa, in grado di produrre cali di luce maggiori. Pianeti di tipo terrestre, più piccoli, producono cali di luce che necessitano di sensori molto sofisticati. Non è un caso se la maggior parte dei pianeti scoperti tramite transiti siano di tipo hot-Jupiter, con grandi diametri e piccole distanze dalla stella-madre. Non si tratta soltanto di dimensione ma anche di distanza dalla stella: pianeti più distanti hanno periodi orbitali maggiori e richiedono molto più tempo per poter avere una conferma. Per la Terra, da esterni, dovremmo attendere almeno due transiti ogni 365 giorni ma se vedessimo transitare Giove dovremmo attendere 12 anni per poter assistere a un altro transito.
La posizione del candidato esopianeta in M51. Credit: arXiv:2009.08987 [astro-ph.HE]
In genere il metodo dei transiti fornisce un alert che deve essere validato attraverso un altro metodo, principalmente quello delle velocità radiali. Il confronto serve per la validazione ma anche per aggiungere la stima della massa a quella del diametro e trovare, così, la densità.
E' possibile fare una diretta esperienza con il metodo dei transiti attraverso il programma per citizens di Zoouniverse, Planet Hunters, nella sezione dedicata agli esopianeti: vengono presentate delle curve di luce nelle quali ognuno può segnalare un eventuale calo di luce. Nel caso in cui più segnalazioni di più persone convergano verso una determinata curva di luce, viene inviato un alert alle autorità competenti per una conferma. E' vero che al giorno di oggi ogni dato viene scansionato da un algoritmo di machine learning che lascia poco spazio all'intervento degli appassionati umani, ma sicuramente si tratta di una esperienza in grado di far comprendere al meglio questa metodologia. Un esempio di intelligenza artificiale è rappresentato da un algoritmo elaborato nel 2019 al fine di scoprire giganti gassosi di tipo gioviano: i computer analizzano non tanto la curva di luce quanto la composizione chimica delle stelle alla caccia dei marcatori in grado di indicare la maggior probabilità di presenza di pianeti. Questi indicatori sono gli elementi più comuni sulla Terra (The Astrophysical Journal - “A Recommendation Algorithm to Predict Giant Exoplanet Host Stars Using Stellar Elemental Abundances” di Natalie R. Hinkel et al.). Si tratta soltanto dell'inizio visto che il machine learning apre la strada a numerose scoperte in tempi molto più ristretti: cinquanta potenziali pianeti sono infatti stati confermati proprio da questi algoritmi nel 2020, scartando falsi positivi e calcolando le probabilità di trovarsi di fronte a pianeti veri. Si tratta di pianeti le cui dimensioni vanno da Nettuno e oltre a corpi più piccoli della Terra, con orbite che variano da 1 a 200 giorni (David J Armstrong et al. Exoplanet Validation with Machine Learning: 50 new validated Kepler planets, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020). A volte i progetti citizens riescono dove progetti professionali falliscono (rarissimo, ma accade): è il caso di un oggetto di massa simile tra 10 e 20 volte quella di Giove (quindi a cavallo tra gigante gassoso e nana bruna) in orbita intorno a una stella di tipo solare, alla distanza di più di 1600 UA dall'astro. In tal caso il progetto per volontari è Backyard Worlds, basato sui dati della missione WISE della NASA (Jacqueline K. Faherty et al, A Wide Planetary Mass Companion Discovered through the Citizen Science Project Backyard Worlds: Planet 9, The Astrophysical Journal - 2021)
Curva di luce da Planet Hunters. Da notare la scala di magnitudini sulla sinistra.
Il primo pianeta ad essere stato scoperto grazie al metodo dei transiti è stato, nel 1999, HD209458b.
Dopo quasi dieci anni di attività del telescopio spaziale Kepler, in grado di trovare quasi quattromila esopianeti e decine di migliaia di candidati, il telescopio spaziale TESS ha il compito di osservare transiti su stelle vicine e brillanti, alla ricerca di pianeti più piccoli in stile terrestre.
- Vantaggi: determinazione della dimensione, caratterizzazione dell'atmosfera, individuazione del moto di rivoluzione
- Svantaggi: mancanza di informazioni sulla massa, possibilità di osservare soltanto pianeti con determinate caratteristiche orbitali
Una particolare metodologia basata sui transiti consiste nell'osservazione del materiale disperso dal pianeta a causa della radiazione stellare. Un esempio su tutti è il progetto Dispersed Matter Planet Project (DMPP), finanziato dal Consiglio delle Strutture Scientifiche e Tecnologiche del Regno Unito e composto da un team internazionale di ricercatori. Il progetto utilizza strumenti come il Radar Velocity Planet Searcher (HARPS), uno spettrografo ad alta precisione montato sul telescopio da 3.6 metri a La Silla, in Cile. Proprio DMPP ha scovato i segni del materiale strappato ai pianeti intorno alle stelle, chiamati DMPP-1, 2 e 3, pianeti scaldati fino a 1800°C e in grado di rilasciare, quindi, non solo atmosfera ma anche superficie rocciosa. Si tratta di un metodo decisamente interessante poiché consente di caratterizzare l'atmosfera ma anche la composizione rocciosa dei pianeti in orbita. In particolare, DMPP-1 ha tre pianeti di tipo Super-Terra con masse tra 3 e 10 masse terrestri, più un quarto pianeta di tipo Nettuniano. DMPP-2 ha un pianeta gigante con massa pari a mezza massa gioviana. DMPP-3 ha rivelato la presenza di pianeti ma anche di una stella compagna (ohn R. Barnes et al. An ablating 2.6 M⊕ planet in an eccentric binary from the Dispersed Matter Planet Project, Nature Astronomy - 2019).
A volte un transito planetario può essere un falso positivo determinato, invece, da un macchia stellare, anche se in tal caso la ripetitività dell'evento viene meno. Per comprendere al meglio la curva di luce prodotta da macchie solari è stato utilizzato il Sole, in versione decisamente rimpicciolita (allontanata) per poterlo sfruttare da proxy per lo studio delle stelle distanti. Ciò che è risultato è una curva di luce differente in base alla lunghezza d'onda osservata. In luce visibile, il passaggio di una macchia al centro stellare rende la stella più debole mentre se la macchia si trova nei pressi del bordo la luminosità aumenta per la presenza di facole, più visibili. Nei raggi X e in ultravioletto, il riscaldamento magnetico determina uno schiarimento ad alcune lunghezze d'onda ma lo stesso riscaldamento potrebbe generare un oscuramento della luce derivante dall'atmosfera a bassa temperatura (Shin Toriumi et al. Sun-as-a-star Spectral Irradiance Observations of Transiting Active Regions. Published 2020 October 8, 2020. The Astrophysical Journal, Volume 902, Number 1).
Ultimo aggiornamento del: 09/12/2021 19:37:02
Metodo dell'osservazione diretta
Pianeti non troppo vicini alla propria stella e con una luminosità oltre una certa soglia possono essere osservati in via diretta e quindi immortalati. Si tratta di uno dei metodi di scoperta più difficili ma il progresso tecnologico aiuterà
Fino al termine del 2008 nessun pianeta extra-solare era mai stato osservato in orbita intorno alla propria stella-madre. Il primo è stato Fomalhaut b, intorno alla giovanissima e brillantissima stella Fomalhaut nella costellazione del Pesce Australe. Gli esopianeti fotografati sono ben quattro a fine 2008, uno intorno a Fomalhaut e tre intorno alla stella HR8799 nella costellazione di Pegaso.
Il disco di Fomalhaut con l'evidenza, nel riquadro, dello spostamento di Fomalhaut-b. Crediti HST
Fomalhaut b è stato fotografato ad opera di quel fantastico strumento osservativo che risponde al nome di Hubble Space Telescope (HST): dopo otto anni di attente osservazioni si è giunti a fotografare con certezza il pianeta stabilendone anche i parametri fisici ed orbitali. Ciò che lascia stupefatti è che l'immagine è stata presa nello spettro visibile, mentre si era sempre ritenuta la banda infrarossa come più favorevole all'osservazione di pianeti ancora caldi in formazione. A distanza di anni, a dire il vero, sembra che Fomalhaut b sia solo il resto di un antico oggetto andato distrutto: a testimoniarlo sarebbero l'affievolimento della luce riflessa ma soprattutto la velocità orbitale, che va oltre la velocità di fuga.
Le immagini vengono ottenute schermando la luce della stella con un apposito filtro, in modo che la sua luminosità non vada a offuscare quella molto più tenue del pianeta.
Altro fattore di rilievo: fino all'immagine le stelle di classe spettrale A come Fomalhaut erano state trascurate perché la loro estrema luminosità rendeva quasi impossibile vedere la luminosità di eventuali pianeti. Eppure era stato tralasciato un aspetto: queste stelle hanno un disco protoplanetario molto esteso, che rende possibile la formazione di pianeti in orbite molto distanti dall'astro centrale. Inoltre, essendo stelle giovanissime, i pianeti sono ancora in formazione e quindi molto caldi, forti sorgenti in infrarosso .
Il sistema di CS Chamaleon,la cui natura è ancora dibattuta
Un piccolo compagno è stato osservato vicino la stella CS Cha durante l'osservazione del disco di polvere a inizio 2018. L'oggetto potrebbe essere un pianeta "bambino" in fase di accrescimento secondo le osservazioni operate da SPHERE ma attraverso le sole immagini non è possibile stabilire la natura del corpo celeste, che attualmente potrebbe essere un super-Giove oppure una nana bruna .
Lo spettro visibile non è l'unico metodo per immortalare un esopianeta e con beta Pictoris b è stato ottenuto un sorprendente risultato: osservando molecole presenti in atmosfera esoplanetaria ma assenti nello spettro stellare è possibile "immortalare" un pianeta altrimenti invisibile, a patto che si riesca a ottenere strumenti particolarmente sensibili a determinate molecole. Riprendendo soltanto queste molecole, la stella - che ne è priva - viene quindi "cancellata" riuscendo a ottenere una immagine dell'esopianeta anche nel caso in cui questo orbiti intorno alla stella in maniera abbastanza stretta. A metà 2018, tramite dati di archivio riguardanti Beta Pic relativamente alla molecola del vapor acqueo e dell'ossido di carbonio, la "pulizia" effettuata eliminando tutte le altre molecole ha in effetti reso il pianeta ben visibile. Osservando le molecole di ammoniaca e di metano, presenti anche nella stella, il pianeta è invece scomparso. (Astronomy & Astrophysics “Medium-resolution integral-field spectroscopy for high-contrast exoplanet imaging: Molecule maps of the beta Pictoris system with SINFONI“, di H.J. Hoeijmakers et al.).
beta Pictoris b visibile nelle molecole di vapore acqueo e monossido di carbonio,
invisibile nelle molecole di metano e ammoniaca. Crediti UniGe
A volte non si vede il pianeta ma i suoi effetti: Astron, l'istituto di radioastronomia dei Paesi Bassi, è riuscito a captare le onde radio generate dalle interferenze tra una stella e un esopianeta tramite LOFAR, un array di antenne a bassa frequenza. Il sistema osservato si trova a 22 anni luce di distanza, nell'Orsa Maggiore, ed è indicato dalla stella GJ1151, una nana rossa con potenti campi magnetici e in grado di erodere l'atmosfera del pianeta orbitante. Il moto planetario, immerso nel campo magnetico , produce corrente in grado di generare aurore e emissioni radio sulla stella proprio come accade nel Sistema Solare tra Giove e la luna Io (Nature Astronomy - “Coherent radio emission from a quiescent red dwarf indicative of star–planet interaction” - H. K. Vedantham et al.)
Il primo sistema planetario intorno a una stella simile al Sole - ma ben più giovane con appena 17 milioni di anni - è stato ripreso nel 2020 dal Very Large Telescope di ESO e riguarda la stella TYC 8998-760-1 distante 300 anni luce nella costellazione della Mosca. L'immagine mostra due giganti gassosi alle distanze di 160 e 320 UA dalla stella madre, con masse rispettivamente di 14 e 6 masse gioviane.
I due giganti di TYC 8998-760-1. Crediti: Eso/Bohn et al.
A fine 2021 viene rilasciata l'immagine dell'esopianeta 2M0437b, a circa 100 UA di distanza da una stella nella Nube del Toro. La sua massa è pari a quattro masse gioviane e la sua nascita risale a pochi milioni di anni. La sua temperatura superficiale è circa 1180°C, anche questa derivante dalla giovane età del corpo celeste. Il pianeta era stato scoperto tramite il Subaru Telescope nel 2018 ma la conferma è giunta dopo tre anni, proprio tramite imaging (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “Zodiacal Exoplanets in Time (ZEIT) XII: A Directly-Imaged Planetary-Mass Companion to a Young Taurus M Dwarf Star” - E. Gaidos).
Il pianeta 2M0437b. Crediti: University of Hawaii
A dicembre 2021 giunge l'immagine di un pianeta in orbita nel sistema binario di b Centauri ripreso dal Very Large Telescope (VLT) in Cile. Si tratta del sistema stellare con pianeti più massivo e caldo alla data della scoperta, il che rende la scoperta ancora più emozionante. La stella si trova a 325 anni luce di distanza in direzione del Centauro e il sistema ha una massa totale di sei masse solari, almeno. Un sistema simile dovrebbe impedire la formazione planetaria e invece, evidentemente, il pianeta esiste (Nature - “A wide-orbit giant planet in the high-mass b Centauri binary system” - Markus Janson).
Le nuove tecnologie e i prossimi lanci (lo Starshade della NASA, ancora allo stato di proposta, ad esempio) potrebbero portare a riprendere in via diretta molti altri pianeti, sempre più piccoli e più vicini alla stella madre. L'importante è bloccare la luce della stella centrale che sovrasta quella dei pianeti in orbita, ma un aiuto nel frattempo può venire dai sistemi binari ad eclisse visto che periodicamente gli astri che li compongono tendono a nascondersi a vicenda dando vita a cali di luce ben prevedibili. Durante una eclisse, quindi, è sufficiente nascondere la radiazione proveniente da un singolo punto, come se si trattasse di una stella singola. In base a queste supposizioni sono stati studiati sistemi la cui luminosità diminuisce di un fattore 10 durante una eclisse, differenziando gli esopianeti in base a emissione di luce propria (SL) o riflessa (RL), prendendo come obiettivi U Cephei e AC Scuti, V1412 Aquilae, RR Caeli e RT Pictoris. Risultati positivi, visto che intorno ai primi due obiettivi sarebbe ora possibile riprendere pianeti di 4.5 e 9 masse gioviane con gli strumenti attuali per scendere a 1.5 e 6 con il futuro ELT. Intorno agli altri sistemi sarebbe possibile osservare pianeti gioviani distanti 20 milliarcosecondi dalla stella, anche se pianeti terrestri sarebbero ancora molto difficili da trovare (Bellotti et al., Detecting Exoplanets Using Eclipsing Binaries as Natural Starshades. arXiv).
Altre frequenze
Osservazione diretta non significa per forza luce visibile, comunque. Ad esempio, a fine 2020 è giunta la prima possibile emissione radio da un esopianeta nella costellazione del Bifolco, captata tramite il Low Frequency Array (LOFAR) da un team di scienziati. Il segnale sembra provenire dalla stella Tau Bootes, contenente un sistema binario e un esopianeta di tipo gigante gassoso. Potenza e polarizzazione del segnale radio sembrano indicare proprio nel campo magnetico del pianeta l'origine del segnale, compatibile con le previsioni. Se confermato, si tratterebbe della prima detection radio di un esopianeta, il che aprirebbe una nuova finestra di studio verso i mondi alieni. Ulteriori segnali potenziali potrebbero derivare dai sistemi di 55 Cancri e Upsilon Andromedae, ma finora nessuna detection è stata ottenuta (J.D. Turner et al, The search for radio emission from the exoplanetary systems 55 Cancri, upsilon Andromedae, and tau Boötis using LOFAR beam-formed observations, Astronomy & Astrophysics - 2020).
L'infrarosso non è da meno, soprattutto nella parte media tra 10 e 12.5 micrometri con integrazioni di circa cento ore: in tal caso può essere possibile osservare direttamente esopianeti grandi circa tre volte la Terra nella zona abitabile di stelle vicine. Questo principio è stato adottato per osservare Alpha Centauri nelle sue componenti principali, A e B, alternando l'osservazione - aiutata da coronografo - a velocità estreme da un atro all'altro. Sono stati ottenute 5 milioni di immagini in 7 TB di dati fino a giungere a ciò che oggi sembra un candidato esopianeta, ma su Alpha Centauri c'è sempre la tendenza al sensazionalismo quindi sarà necessaria sicuramente una prova più forte (Nature Communications - “Imaging low-mass planets within the habitable zone of α Centauri” - K. Wagner, A. Boehle et al.)
Ultimo aggiornamento del: 09/12/2021 19:48:04
Il metodo delle velocità radiali
Il metodo delle velocità radiali studia le piccolissime oscillazioni nella luce stellare indotte dalla presenza gravitazionale di un pianeta. Il metodo consente di determinare le masse in gioco, un fattore fondamentale per capire il tipo di pianeta
Nell'universo, la velocità di una stella all'interno della Via Lattea può essere vista come costante. La presenza di un pianeta in orbita alla stella comporta la presenza di un campo gravitazionale tale da alterarne il movimento. Sappiamo, infatti, che stella e pianeta orbitano intorno ad un baricentro comune, e soltanto l'imponente massa stellare fa si che questo baricentro sia spostato nettamente a favore della stella coincidendo quasi con il suo centro (la conseguenza è che la stella sta quasi ferma mentre il pianeta le orbita intorno).
Il "quasi" implica che qualche movimento ricade anche sulla stella, quindi l'analisi spettrografica dell'astro mostrerà delle oscillazioni dovute all'effetto Doppler che consentiranno - nota la massa stellare - la stima della massa del pianeta e del suo periodo orbitale.
Con il metodo delle velocità radiali nel 1995 fu scoperto il primo esopianeta , 51 Pegasi b, scoperta valsa il Premio Nobel per la Fisica del 2019 (insieme a James Peebles per la cosmologia) agli autori della scoperta, Michel Mayor e Didier Queloz. Effetti tangibili saranno presenti maggiormente nel caso di pianeti giganti in orbita stretta, visto che la maggior massa e la minore distanza producono un baricentro meno spostato verso la stella. Se qualcuno osservasse il Sole da fuori il Sistema Solare ed il suo unico pianeta fosse Mercurio le oscillazioni del Sole sarebbero molto limitate e sarebbe arduo notarle da distanze stellari.
Rappresentazione del metodo delle velocità radiali
Effetto Rossiter-McLaughlin
Attraverso le velocità radiali e l'effetto Rossiter-McLaughlin è anche possibile verificare l'inclinazione orbitale di alcuni esopianeti rispetto al piano di rotazione stellare, visto che il passaggio di un pianeta blocca la misurazione della parte superficiale in avvicinamento da un lato e quella in allontanamento dall'altro in misura diversa in base proprio all'inclinazione. Da questo è stato possibile stabilire, ad esempio, come i pianeti Hat-P-22b e WASP-39b siano ben allineati al piano stellare, come Hat-P-3b sia leggermente disallineato e come WASP-60b sia addirittura retrogrado. Da questi aspetti è possibile risalire alla storia del sistema planetario visto che laddove sia regnato un dominio dell'interazione pianeta-disco si trovano pianeti ben allineati mentre laddove si siano presentate molte interazioni tra pianeti le orbite risultano più inclinate. I pianeti del sistema di TRAPPIST-1 - osservati tramite il Subaru Telescope, hanno evidenziato un disallineamento per nulla significativo, sebbene la precisione dei dati ottenuti suggerisca futuri approfondimenti (Teruyuki Hirano et al, Evidence for Spin–Orbit Alignment in the TRAPPIST-1 System, The Astrophysical Journal - 2020). Un altro esempio viene dal sistema multiplanetario HD 3167 composto da tre pianeti, il quale ha rivelato una struttura molto complessa: il pianeta b ha una orbita equatoriale mentre il pianeta c si trova su un'orbita polare, inclinata quindi di 90° rispetto al pianeta precedente e testimone di un passato burrascoso per il sistema intero (Astronomy & Astrophysics - “The Rossiter-McLaughlin effect Revolutions: An ultra-short period planet and a warm mini-Neptune on perpendicular orbits” - V. Bourrier et al.)
Attraverso machine learning e intelligenza artificiale è possibile ottenere anche una stima del raggio di un esopianeta a partire dalla massa e da altri parametri noti come, ad esempio, la temperatura di equilibrio. Il primo risultato è stato ottenuto dalla University of Porto a fine 2019 in un ampio range di esopianeti, il che vuol dire che con le nuove tecnologie è possibile ottenere indicazione della dimensione di un pianeta anche in assenza di transito sulla stella, semplicemente misurando la velocità radiale della stella (S. Ulmer-Moll et al. "Beyond the exoplanet mass-radius relation", Astronomy & Astrophysics - 2019).
Raggi reali in funzione di quelli previsti da machine learning. Crediti Ulmer-Moll et al.
Il metodo delle velocità radiali è in genere utilizzato per fornire conferma ai candidati esopianeti ottenuti con il metodo dei transiti e la misurazione consente di aggiungere la stima della massa a quella della dimensione, giungendo alla densità di un esopianeta e quindi, in ultima istanza, alla possibilità di essere abitabile.
Risente, tuttavia, di una problematica: l'energia delle stelle crea un plasma convettivo che altera e distorce le misurazioni in termini di velocità radiale, il che finisce per nascondere la presenza eventuale di pianeti piccoli e rocciosi. Per superare questa stasi, durata decenni, sono stati elaborati nuovi strumenti tra i quali l'EXtreme PREcision Spectrograph (EXPRES), il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) e l'interferometro del Center for High Resolution Astronomy (CHARA): l'integrazione degli strumenti ha consentito di ricostruire la superficie - ad esempio - di Epsilon Eridani dai dati di TESS ricreando le macchie stellari e studiandone la rotazione, scoprendo come le velocità radiali delle macchie combacino perfettamente con i dati di Expres. Le velocità radiali sono quindi state legate alle caratteristiche superficiali della stella (YaleNews - “Searching for Earth 2.0? Zoom in on a star“)
Ultimo aggiornamento del: 14/11/2021 11:43:47
Analisi del flusso di gas
Attraverso antenne sempre più sensibili, come quelle di ALMA, è stato possibile dedurre la presenza di pianeti attraverso il moto del gas all'interno dei dischi protoplanetari. Una tecnica che sicuramente potrà fornire ulteriori sviluppi in futuro.
I solchi nei dischi protoplanetari non sono sufficienti a fornire la certezza che al loro interno si stiano formando pianeti visto che il gas può fare brutti scherzi, generando una pressione tale da riprodurre i solchi stessi senza bisogno di pianeti in formazione. A metà 2018 si è giunti così a elaborare un nuovo metodo che consiste nello studiare proprio il flusso di gas, tecnica resa possibile dalla estrema sensibilità delle antenne di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array).
La tecnica è stata messa in pratica per la stella HD 163296, distante 330 anni luce nel Sagittario, con massa doppia rispetto al Sole e una età di appena 4 milioni di anni. Non polvere, quindi, ma gas sotto il mirino di ALMA e precisamente il monossido di carbonio gassoso, il cui effetto Doppler ha consentito di rivelare il moto di tutto il gas presente nel disco. Tre sono stati i pianeti identificati, distanti 12, 21 e 39 miliardi di chilometri dalla stella centrale. Questa nuova tecnica consente di stimare la massa del pianeta in esame e conduce a un numero di falsi positivi nettamente inferiore.
Rappresentazione del sistema planetario di HD 163296 e del moto del gas all'interno del disco.
Ultimo aggiornamento del: 13/05/2019 21:57:25
Microlensing gravitazionale
Sfruttando un effetto della Relatività Generale di Einstein è possibile captare la piccola variazione di luce generata dall'occultazione stellare da parte di pianeti distanti. Candidati tanti, ma pianeti accertati ancora decisamente pochi.
La lente gravitazionale di Einstein non è un metodo di scoperta di esopianeti visto che si tratta di un effetto cosmologico previsto, e poi confermato, dalle equazioni di campo della Relativita ' Generale.
Tuttavia, in determinate circostanze, questo effetto viene generato da esopianeti: un pianeta di grandi dimensioni può infatti deformare il raggio di luce emesso da una stella facendone aumentare quasi impercettibilmente la luminosità, ed in tal caso è possibile individuare più semplicemente anche i pianeti di tipo terrestre. Non si tratta di un metodo di scoperta semplice visto che l'effetto concentra sull'osservatore per un breve tempo i raggi luminosi della stella ma il fenomeno è temporaneo visto che stella, pianeta e osservatore si muovono nello spazio e nel tempo, facendo scomparire molto presto le condizioni di allineamento necessarie. L'evento genera una curva di luce tipica, nota come curva di Paczynski, caratterizzata da un veloce aumento della luminosità e da un ritorno al valore iniziale dopo un rapido massimo.
Lo schema della microlente gravitazionale: un sistema planetario viene a passare davanti a una stella di sfondo. La presenza del pianeta determina un aumento velocissimo nella curva di luce della stella più distante.
Nella nostra Via Lattea è stimato che un evento del genere potrebbe verificarsi con una probabilità di uno su un milione per ciascuna stella, visto che occorre un allineamento perfetto tra stella, pianeta e Terra. In realtà di microlenti gravitazionali, grazie agli strumenti oggi utilizzabili, ne sono state scoperte a migliaia ma soltanto in pochi casi si ha una ottima probabilità di combinazione stella-pianeta. In generale è possibile osservare con maggior probabilità i pianeti più esterni di un sistema ma un interessante campo di applicazione verte sui pianeti fluttuanti nello spazio, quelli che non sono legati ad alcuna stella a causa della distruzione del sistema planetario oppure della nascita intorno a stelle "fallite". Proprio questi pianeti potrebbero essere tantissimi e potrebbero essere alla portata - fino a dimensioni marziane - del nuovo telescopio Nancy Grace Roman della NASA, il cui lancio è fissato entro il 2025. Un pianeta vagabondo è stato annunciato nel 2020 dalla collaborazione OGLE (Optic Gravitational Lensing Experiment) e dalla collaborazione KMNT (Korean Microlensing Telescope Network), un corpo delle dimensioni tra Marte e Terra, nel mezzo di quello che si ritiene possa essere il range osservabile a oggi, con masse tipiche tra 0.3 e 1 massa terrestre visto che situazioni del genere distorcono la luce in modo molto limitato (0.1 microarcosecondi) e per un tempo brevissimo (0.1 giorni). OGLE-2016-BLG-1928 - così è stato chiamato - ha prodotto una lente di 41.5 minuti ed è stato rilevato soltanto con undici osservazioni per rilevare i dati, il che non consente una totale copertura dell'evento né di eliminare l'incertezza sulla possibilità che possa esserci qualche stella madre molto distante (Mroz et al., A terrestrial-mass rogue planet candidate detected in the shortest-timescale microlensing event. arXiv). La fiducia nel Nancy Grace Roman cresce anche in virtù del fatto che segnali di pianeti flottanti sono stati ottenuti anche nei dati, potenzialmente più limitati, di Kepler: la rielaborazione del dataset ha infatti evidenziato la presenza di corpi simili giungendo alla stima per la quale nella Galassia una stella su un milione è visibilmente sottoposta a microlensing (anche se non sempre a opera di pianeti). I segnali rinvenuti nel dataset di Kepler sono 27, con tempi tra un'ora e dieci giorni, dei quali cinque sono del tutto nuovi mentre il resto sono conferme di conoscenze pregresse. I segnali più brevi potrebbero riguardare pianeti di massa terrestre. Addirittura settanta sono i pianeti orfani scoperti a fine 2021, con masse paragonabili a quella di Giove e presenti in una zona di formazione stellare tra Scorpione e Ofiuco, dal Very Large Telescope, da Vista e dalla survey VST di ESO unitamente ai dati di Gaia (comunicato stampa Eso).
Un censimento basato sulle tecnologie future potrà anche spiegare la modalità di formazione di questi esopianeti, visto che il processo non è ben compreso e va dalla formazione nei dischi protoplanetari con successiva espulsione gravitazionale fino a una formazione simile a quella stellare, a fly-by stellari e interazioni tra stelle binarie o ammassi (Samson A. Johnson et al. Predictions of the Nancy Grace Roman Space Telescope Galactic Exoplanet Survey. II. Free-floating Planet Detection Rates, The Astronomical Journal - 2020).
Ad esempio, il 27 ottobre del 2016 viene annunciato un esopianeta massiccio risultato dai dati della survey a microlente gravitazionale di Spitzer Space Telescope. Il pianeta si trova nel bulge galattico, è chiamato OGLE-2016-BLG-1190Lb ed è il primo scoperto da Spitzer in questo modo e in questa zona. Inizialmente una nana rossa è stata scoperta, a Giugno 2016, tramite evento di microlente dall'Optical Gravitational Lensing Experiment (OGLE), un progetto polacco dell'Università di Varsavia che cerca esopianeti e materia oscura tramite un telescopio da 1.3 metri a Las Campanas in Cile. Pochi giorni dopo Spitzer ha osservato la stessa zona scovando un nuovo oggetto intorno alla stella nana. La massa è di circa 13.4 masse gioviane, al limite della fusione del deuterio e quindi al limite del confine pianeta-stella. Potrebbe trattarsi in effetti anche di una nana bruna , data l'incertezza.
Tramite microlente gravitazionale è stato scoperto un gigante gassoso in orbita intorno a una nana bruna nel bulge della Galassia . Il pianeta si chiama OGLE-2017-BLG-1522b ed è il 25% meno massiccio di Giove. L'osservazione risale al 7 agosto 2017.A inizio 2018, sempre tramite microlensing sono stati ipotizzati esopianeti appartenenti addirittura a un'altra galassia, con masse che vanno dalla massa della Luna a quella di Giove. Il team confida di aver rinvenuto i corpi celesti a partire dai dati di Chandra X-ray Observatory tramite l'analisi effettuata dal Supercomputing Center for Education and Research. La galassia si trova a 3.8 miliardi di anni luce ma c'è da dire che l'articolo è stato preso con le molle dalla comunità scientifica, soprattutto per la dimensione azzardata dei pianeti "scoperti".
Un altro esempio è dato da un esopianeta di massa nettuniana in orbita intorno a una stella rossa a una distanza di circa 1 UA . La scoperta è avvenuta il 1 novembre 2017 grazie al passaggio di una stella distante 1600 anni luce di fronte a una stella distante 2600 anni luce e la variazione di luminosità ha portato a annunciare la scoperta di un esopianeta in orbita intorno alla stella più vicina (A. Fukui et al. Kojima-1Lb Is a Mildly Cold Neptune around the Brightest Microlensing Host Star, The Astronomical Journal - 2019). Stesso discorso per un pianeta di taglia gioviana scoperto dal Korea Microlensing Telescope Network (MNTNet): la massa è di 0.57 masse gioviane intorno a una nana rossa con massa pari a 0.14 masse solari, distante 4 mila anni luce da noi (Yoon-Hyun Ryu et al. KMT-2018-BLG-1990Lb: A Nearby Jovian Planet From A Low-cadence Microlensing Field, The Astronomical Journal - 2019).
Anche OGLE-2018-BLG-0677 è una super-Terra scoperta nel 2018 tramite micro-lensing: dista da noi 25.000 anni luce (in direzione del bulge galattico) e la sua distanza dalla stella dovrebbe essere più o meno quella di Venere rispetto al Sole, con un anno della durata di 317 giorni. Tra tutti, potrebbe essere il pianeta più simile alla Terra mai individuato alla data della scoperta, mentre la sua distanza fa segnare il record tra tutti gli esopianeti scoperti (Herrera-Martin A., et al., 2020, OGLE-2018-BLG-0677Lb: A Super-Earth Near the Galactic Bulge, Astronomical Journal, 159, 256. Preprint version available at).
Ultimo aggiornamento del: 06/01/2022 10:14:09
Astrometria
La presenza di un pianeta in orbita costringe la stella a disegnare nel cielo delle piccolissime ellissi durante il proprio moto sulla sfera celeste. Misurare queste lievi variazioni rispetto al moto atteso consente di scoprire la presenza di pianeti
Tramite accurate misure astronometriche è possibile rilevare esopianeti misurando dal moto proprio della stella la velocità orbitale attorno al comune centro di massa , perpendicolarmente alla linea di vista. Lo svantaggio è legato al fatto che il metodo è utilizzabile soltanto per stelle vicine e delle quali sono fissati i moti propri in maniera del tutto precisa, e in questo i dati della Data Release 2 (DR2) di Gaia aiutano molto.
Nella pratica, il metodo consiste nel misurare precisamente la posizione di una stella e nell'osservare quanto essa cambia nel tempo a causa dell'interazione gravitazionale con un oggetto compagno. Il fatto di orbitare intorno a un baricentro comune con il pianeta, infatti, costringe la stella a non spostarsi in linea retta ma a disegnare delle piccolissime ellissi durante il tragitto. Dato che il cambio di posizione è piccolissimo, soltanto recentemente (giugno 2009, con pubblicazione su The Astrophysical Journal di Luglio 2009) è stato possibile identificare tramite astrometria un pianeta extrasolare e per lungo tempo questo metodo è rimasto da parte. Il pianeta è stato scoperto in orbita intorno ad una stella nana rossa ultrafredda. Il pianeta ha massa pari a 6,4 Mj (Jupiter Mass), periodo orbitale di 0,744 anni e orbita intorno alla stella VB10 (van Biesbroeck 1944).
Soltanto nel 2020 il Very Long Baseline Array (VLBA) riesce a rivelare la presenza di un altro pianeta, di dimensioni saturniane e molto vicino a una nana rossa distante da noi 35 anni luce. La stella in questione si chiama TVLM 513-46546 e la sua massa è un decimo di quella Solare. L'orbita planetaria dedotta dalle oscillazioni si chiude in 221 giorni, per una distanza pianeta-stella inferiore a quella di Mercurio dal Sole (Salvador Curiel et al. An Astrometric Planetary Companion Candidate to the M9 Dwarf TVLM 513–46546, The Astronomical Journal - 2020).
Metodo astrometrico. Credit: Bill Saxton, NRAO/AUI/NSF
Ultimo aggiornamento del: 05/08/2020 13:32:51
Radioastronomia per la scoperta di esopianeti
Nel 2021 alcuni segnali radio particolari provenienti da alcune nane rosse hanno aperto un nuovo filone di studio per la detection di esopianeti. I dati modellizzati sono ancora da confermare ma i segnali sono un ottimo inizio.
Un nuovo metodo è salito alla ribalta nel 2021, quando sono state utilizzate le antenne a bassa frequenza di LOFAR (Low Frequency Array) per registrare diciannove segnali da altrettante nane rosse, quattro dei quali sono perfettamente compatibili con l'esistenza di pianeti in orbita. Era già noto come i pianeti del Sistema Solare emettessero onde radio durante le interazioni tra campo magnetico e vento solare ma segnali simili da sistemi esterni non erano mai stati rinvenuti. La radioastronomia si pone quindi come possibile tecnica di scoperta di esopianeti anche se saranno necessarie conferme per quello che ad oggi sembra un indizio, quindi è aperta la caccia ai possibili esopianeti captati (Joseph Callingham, The population of M dwarfs observed at low radio frequencies, Nature Astronomy - 2021).
Ultimo aggiornamento del: 11/10/2021 21:09:38
Le esolune
Una delle sfide maggiori legata alla scoperta di esopianeti consiste nella scoperta di eventuali lune presenti nell'orbita degli stessi. Al 2019 nulla è stato ancora scoperto ma la tecnologia avanza e porterà benefici quanto prima
Rappresentazione di esoluna
Attualmente ancora non sappiamo quante siano le lune del Sistema Solare visto che contare quelle che orbitano intorno a Saturno è pressoché impossibile: soltanto nel 2019 ne sono state aggiunte altre venti e altrettanto è stato fatto per quelle di Giove. Eppure sappiamo che, volendo cercare tracce di vita, è più facile cercare su corpi rocciosi piuttosto che su giganti gassosi, ed infatti da questo punto di vista Titano, Europa e Enceladus sono molto più "interessanti" di Saturno stesso. Dei tanti esopianeti finora scoperti, circa il 15% è posto nella fascia di abitabilità della stella ma possibilità di vita come la conosciamo sono nulle, visto che sono tutti giganti gassosi. Ma se questi avessero delle lune rocciose, sarebbe ipotizzabile pensare a possibili forme di vita.
Da qualche anno, quindi, è scattata la caccia alle cosiddette esolune, ossia alle lune che orbitano intorno a pianeti non facenti parte del Sistema Solare.
Le esolune sono satelliti in orbita intorno a esopianeti.
Ovviamente non è facile scoprire una esoluna, visto che le tecniche utilizzabili per gli esopianeti mal si adattano ad oggetti di questo tipo oppure richiedono una sensibilità notevole che tuttavia, con le ultime tecnologie, è sempre più alla portata. A livello di velocità radiale, il sistema pianeta-luna apparirebbe come una massa unica, sebbene questo metodo sia quello maggiormente utilizzato per la scoperta o la conferma degli esopianeti. Il metodo che sembra migliore è quello del transito , anche se ci vogliono combinazioni fortunate: la luna non dovrebbe essere in transito oppure occultata dal pianeta mentre questo è in transito sul disco stellare.
Una possibile soluzione è stata ipotizzata già nel 1999 da Paola Sartoretti e Jean Schneider: il fatto che pianeta e luna orbitino intorno ad un comune centro di massa fa sì che il pianeta un po' ondeggi, e che il suo transito avvenga a volte un po' prima ed a volte un po' dopo rispetto al tempo atteso (effetto Transit Time Variation - TTV): il TTV di una luna grande come la Terra in orbita ad un esopianeta delle dimensioni di Nettuno varia da 20 secondi a qualche minuto, quindi il tempo è abbastanza "visibile", ma stessi effetti possono essere indotti anche da altri pianeti o stelle, dagli effetti di parallasse e dagli effetti della Relatività Generale. Ad esempio, i TTVs di due pianeti interni del sistema di Kepler 88 vengono alterati notevolmente dalla presenza di un terzo pianeta, di tre masse gioviane, molto più esterno (Lauren M. Weiss et al. - The Discovery of the Long-Period, Eccentric Planet Kepler-88 d and System Characterization with Radial Velocities and Photodynamical Analysis, The Astronomical Journal - 2020). Proprio per questo, questo metodo finora è stato sempre scartato. Fu David Kipping, nell'estate del 2008, a partorire una idea più completa arrivando ad utilizzare la TDV (Transit Duration Variation): a parte iniziare il transito più o meno in tempo, in dipendenza dalla posizione della luna rispetto al pianeta ed alla stella, il pianeta stesso impiegherà più o meno tempo a completare il transito sul disco stellare, visto che la sua velocità dipende dall'influenza stellare e da quella satellitare. La combinazione di TTV e TDV, che tra loro sono in controtendenza, fornisce una prova inconfutabile dell'esistenza di una esoluna in orbita intorno ad un pianeta in transito. I dubbi attuali riguardano l'affinamento del metodo, visto che è da testare su sistemi satellitari multipli o con satelliti di grandi dimensioni.
Per quanto riguarda la TTV: se il pianeta si trova più avanti del baricentro del sistema pianeta-luna, il transito inizia prima rispetto al caso in cui il pianeta si trovi dietro al baricentro orbitale. Per quanto riguarda la TDV: se il moto del pianeta in transito rispetto al baricentro del sistema pianeta-luna è nella stessa direzione del transito sulla stella, il moto sarà più veloce rispetto al caso in cui il moto del pianeta nel sistema pianeta-luna sia retrogrado rispetto al moto del pianeta intorno alla stella.
Il 2021 ha portato anche all'annuncio dlela prima radiazione polarizzata proveniente da un esopianeta, un fenomeno legato alla presenza di un disco di gas e polvere che - appunto - polarizza la radiazione proveniente dal pianeta ancora caldo rappresentando una prova diretta della presenza di una struttura nella quale si stanno formando lune. Il pianeta in questione è DH Tau b, dall'età di appena 2 milioni di anni e distante 437 anni luce dalla Terra. Un pianeta undici volte più massivo di Giove e molto distante dalla propria stella (R. G. van Holstein et al. A survey of the linear polarization of directly imaged exoplanets and brown dwarf companions with SPHERE-IRDIS. First polarimetric detections revealing disks around DH Tauri B and GSC 6214-210 B, Astronomy & Astrophysics - 2021).
La radiazione polarizzata da DH Tau b. Credit: ESO/VLT/SPHERE/Van Holstein et al.
Sempre nel 2021, le antenne di ALMA hanno rilevato ciò che appare inequivocabilmente come unb disco circumplanetario, esterno al Sistema Solare, dove potrebbero esserci esolune in formazione. Il disco circonda l'esopianeta PDS 70c, uno dei giganti gassosi in orbita alla stella PDS 70 distante 400 anni luce da noi. Il diametro del disco copre la distanza Terra-Sole e la sua massa è sufficiente a dar vita a tre satelliti come la Luna (The Astrophysical Journal Letters - “A Circumplanetary Disk Around PDS70 c”, di Myriam Benisty,).
Il disco circumplanetario osservato da ALMA intorno all'esopianeta PDS 70c. Crediti: Alma (Eso/Naoj/Nrao)/Benisty et al.
La ricerca di esolune è legata alla volontà di trovare mondi abitabili, dal momento che nel Sistema Solare sono soprattutto le lune di Giove e Saturno le principali indiziate per la presenza di qualche forma di vita grazie a oceani sotterranei. E' così importante riuscire a trovare un modo per calcolare la presenza di acqua e la profondità di eventuali oceani su questi distanti mondi extra-solari, spesso presenti al di fuori della così detta fascia di abitabilità. Esiste una formula in questa direzione, elaborata da SRON Netherlands Institute for Space Research e dalla University of Groningen. Il Sistema Solare ha due pianeti con una superficie abitabile, Marte e Terra, mentre ci sono otto lune con una abitabilità posta al di sotto della superficie. Questo dato, esteso ad altri sistemi planetari, potrebbe dirci che le esolune abitabili sono quattro volte più numerose rispetto agli esopianeti di un determinato sistema, il che può servire a porre un limite inferiore alla profondità degli oceani: tra i fattori coinvolti nella formula ci sono il diametro dell'esoluna, la distanza dal pianeta, lo spessore della superficie e la conduttività termica del ghiaccio o dello strato superficiale. I primi due parametri sono misurabili, gli altri sono stati stimati sulla base di quanto osservato nel Sistema Solare. Certo, si tratta di una forzatura, ma alla luce dei dati che ci sono oggi è già qualcosa (J. N. K. Y. Tjoa et al. The subsurface habitability of small, icy exomoons, Astronomy & Astrophysics - 2020).
Le candidate esolune
Il 4 ottobre del 2018 qualcuno ha avanzato l'ipotesi di aver captato la prima curva di luce legata a una possibile esoluna. Dai dati del telescopio spaziale Kepler sono stati rinvenuti tantissimi esopianeti, più di quattromila alla data del 2019, ma finora neanche una esoluna è mai stata rintracciata con certezza. La curva di luce , in particolare, è risultata dai dati di Kepler e ha mostrato una firma molto particolare: un calo di luce derivante dal transito planetario sul disco stellare e, successivamente, un calo molto inferiore che potrebbe essere ben spiegato dal transito di una piccola luna. Il pianeta in questione si chiama Kepler 1625b e dista da noi ottomila anni luce. La massa stellare è simile alla massa del Sole mentre la potenziale ha una massa stimata invece pari a quella di Nettuno, quindi una "super-luna". In tali circostanze, entrambi i corpi sarebbero gassosi quindi, nonostante siano presenti in fascia di abitabilità, si tratterebbe di mondi non vivibili per come conosciamo noi la vita. Dato il transito, anche Hubble Space Telescope (HST) ha eseguito osservazioni di follow-up avallando la possibilità che, in effetti, questa luna potrebbe essere reale anche perché il transito del pianeta è stato anticipato di 1.5 ore rispetto al preventivato, segno anche questo di un rapporto gravitazionale che non si limita a quello pianeta-stella (Science Advances - “Evidence for a large exomoon orbiting Kepler-1625b”, di Alex Teachey e David M. Kipping).
Purtroppo anche per questa possibile esoluna è giunta una smentita, soltanto pochi mesi dopo (Maggio 2019): due team indipendenti di scienziati hanno infatti portato a un deciso passo indietro riguardo la possibile esistenza di una compagna minore per il corpo celeste - roccioso, gassoso o oceanico - che orbita intorno al pianeta Kepler-1625b. I dati ottenuti in seguito all'annuncio di ottobre, infatti, non mostrano evidenza alcuna della presenza di una luna. Uno dei due team è guidato proprio dal primo firmatario dell'articolo di ottobre, il che sembra far tramontare decisamente la possibilità anche se in realtà in questo caso si fa appello a nuovi dati, più che a smontare il primo articolo. La curva di luce osservata è stata rianalizzata con una diversa tecnica di processamente e proprio da questa nuova applicazione non è risultato alcun appiglio per mantenere viva l'esoluna. Resta un piccolo segnale ma nulla di sufficiente a creare le condizioni per confermare l'articolo di ottobre (Alex Teachey et al. Loose Ends for the Exomoon Candidate Host Kepler-1625b).
Esolune devono comunque esistere poiché esistono in numero elevatissimo nel nostro Sistema Solare e quindi non vi è ragione di credere a una nostra specialità in tal senso. Tanto più che uno studio a cura della University of Zurich ha fornito a fine 2018 delle ipotesi su quante possano essere le esolune e quali caratteristiche possano avere. Per lo studio (Judit Szulágyi et al. In Situ Formation of Icy Moons of Uranus and Neptune, The Astrophysical Journal (2018)), il team si è focalizzato sui pianeti Urano e Nettuno, entrambi con circa 20 masse terrestri ma caratterizzati da un sistema di lune molto diverso: Urano ha un sistema di cinque lune decisamente grandi mentre Nettuno ne presenta una sola (grande), Tritone. Si ritiene che Nettuno possa aver catturato Tritone mentre Urano possa aver visto l'origine delle proprie lune a partire da un disco circumplanetario creatosi al termine della formazione del pianeta. In realtà Urano e Nettuno sono sempre stati considerati decisamente leggeri per formare un disco simile e così alcuni studi recenti hanno ipotizzato che le lune di Urano possano aver tratto origine da una collisione cosmica simile a quella che dovrebbe aver creato la nostra Luna. Lo studio in oggetto, invece, rigetta questa ipotesi in seguito a particolareggiate simulazioni al supercomputer le quali hanno mostrato come sia Urano sia Nettuno possano aver sviluppato un proprio disco di gas e polvere mentre si stavano ancora formando. I calcoli hanno generato lune ghiacciate in-situ, molto simili per composizione agli attuali satelliti di Urano. Dalle simulazioni deriva che anche Urano deve aver sviluppato un sistema di più lune, andate poi perse con la cattura di Tritone. Se giganti ghiacciati possono formare satelliti propri, quindi, vuol dire che la popolazione di esolune può essere decisamente più abbondante di quanto pensato in precedenza. Giganti ghiacciati e mini-Nettuno sono stati scoperti molto spesso nelle survey esoplanetarie, il che rende questa categoria di pianeta molto frequente. Derivazioni importanti possono essere fatte, ovviamente, anche sulla possibilità che i mondi abitati, dati da esolune con oceani sub-superficiali, possano essere davvero molti nell'universo.
Una ulteriore candidata esoluna è stata rintracciata intorno all'esopianeta J1407b, possibilità derivante dall'eventuale presenza di gap in possibili anelli, un po' come accade per Saturno. Gli anelli di J1407b dovrebbero essere duecento volte più grandi di quelli di Saturno e le simulazioni hanno tentato di mimare i gap legati a distribuzioni possibili di lune, con relative velocità. Le simulazioni hanno però mostrato come, mentre le lune hanno davvero un effetto di deviazione delle particelle lungo il bordo dell'anello, i gap nella struttura ad anelli non siano causati dalle forze gravitazionali di una luna ancora non vista. Anche in tal caso, quindi, nulla di fatto (Phil J Sutton, Mean motion resonances with nearby moons: an unlikely origin for the gaps observed in the ring around the exoplanet J1407b, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (2019)).
DidRappresentazione di luna vulcanica. Credit: University of Bern, Illustration: Thibaut Rogerscalia
Agosto 2019 porta invece la possibilità di una esoluna coperta di lava intorno al pianeta WASP-49b, distante da noi 550 anni luce nella costellazione del Lupo. Si tratterebbe quindi di una versione ancora più estrema della attivissima luna Io di Giove, la più attiva del Sistema Solare intero, oppure se vogliamo una versione ridotta del pianeta 55 Cancri e. La esoluna vulcanica si troverebbe in orbita intorno a un pianeta caldo e gigante, il cui periodo orbitale intorno alla stella madre si compie in meno di tre giorni.
Lo studio parte da una quantità anomala di sodio neutro gassoso presente nell'alta atmosfera del pianeta, a una distanza tale dalla superficie da renderne improbabile una origine derivante dai venti planetari. La presenza di una esoluna vulcanica potrebbe invece giustificare questa abbondanza, così come già teorizzato nel 2006 da Bob Johnson della University of Virginia e più tardi ripreso da Patrick Huggins della New York University. Sistemi di questo tipo, composti da stella-pianeta-satellite, potrebbero essere stabili per miliardi di anni anche in presenza di distanze ridottissime e la chiave risiede nelle estremamente forti maree presenti: l'energia rilasciata dalle maree riesce a mantenere l'orbita satellitare stabile, a scaldare il satellite stesso e a renderlo vulcanico. Una luna di questo tipo può espellere più sodio e potassio di quanto possa fare un pianeta gassoso gigante, specialmente ad altitudini elevate come quelle osservate. Sono cinque i candidati esopianeti che potrebbero nascondere lune vulcaniche di questo tipo, ma ci sono anche altre pozioni visto che potrebbero esserci anelli di gas ionizziato o processi non termici, quindi anche questa soluzione sarà da avallare in futuro ("Sodium and Potassium Signatures of Volcanic Satellites Orbiting Close-in Gas Giant Exoplanets," Apurva Oza et al., 2019, Astrophysical Journal) .
Una nuova gigantesca candidata viene proposta a inizio 2022: orbiterebbe intorno a un esopianeta simile a Giove distante 5500 anni luce da noi in direzione del Cigno ed è stata temporaneamente battezzata Kepler 1708b-i. Le sue dimensioni sono stimate in un terzo delle dimensioni di Nettuno. Si tratta sempre di corpi non confermati, visto che le stesse fluttuazioni nella debole luce planetaria captata potrebbero essere imputate a fluttuazioni dei dati legati alla stella o al rumore strumentale (Nature Astronomy - “An exomoon survey of 70 cool giant exoplanets and the new candidate Kepler-1708 b-i” - David Kipping et al.)
Ultimo aggiornamento del: 16/01/2022 10:01:17
Trovare pianeti andati distrutti
Oltre a scoprire pianeti esistenti al momento dell'osservazione è possibile capire se in un passato sono esistiti pianeti intorno a una stella. Il trucco sta nello studio dell'atmosfera di questa stella.
Un metodo particolare consente di cercare esopianeti non più esistenti, andando a cercare i loro resti nelle atmosfere di una nana bianca . Si tratta di un campo nuovo ma molto importante poiché in tredici miliardi di anni è logico pensare come molti esopianeti siano già andati distrutti. Quando una stella muore, molto spesso i pianeti muoiono con lei soprattutto se la stella madre è di grande massa ed esplode come supernova ma anche per masse inferiori le cose per i pianeti possono andar male. Male ma non malissimo, visto che alcune tracce di questi pianeti possono rimanere nell'atmosfera della nana bianca che rimane andando a inquinare una composizione data solitamente da carbonio e ossigeno puri circondati da un guscio di idrogeno ed elio. La missione Gaia ah consentito finora di scovare diverse firme che testimoniano come molti pianeti siano andati a finire contro la stella rimasta (Mark A. Hollands, et al. Alkali metals in white dwarf atmospheres as tracers of ancient planetary crusts. arXiv)
Ultimo aggiornamento del: 02/02/2021 21:08:50