Evoluzione di una stella di grande massa
Quando la massa di una stella eccede le 8 - 10 masse solari, la contrazione gravitazionale riesce a innescare ulteriori fusioni nucleari che portano la stella a dimensioni di una supergigante
Le stelle di grande massa (superiore a 8 masse solari, in determinate condizioni 10) vanno incontro a una fine molto più spettacolare di quella vista per le stelle di massa inferiore.
Mentre per le stelle di piccola massa le uniche reazioni nucleari possibili sono quelle di idrogeno ed elio, saltuariamente e parzialmente carbonio, le stelle di massa superiore riescono a raggiungere temperature sufficienti a innescare ulteriori fusioni nucleari durante i periodi di compressione legati all'esaurirsi di una delle forme di combustibile. Al momento del termine della fusione dell'elio, visto come evoluzione stellare generale, il nucleo di carbonio ed ossigeno ha una massa molto maggiore rispetto alle 1,4 masse solari previste dal Limite di Chandrasekhar , quindi la pressione degenere non riesce ad arrestare la contrazione ed il riscaldamento del nucleo. La temperatura sale fino a un livello in grado di innescare ulteriori fusioni.
Altra differenza con le stelle più piccole consiste nella possibilità, per gli astri maggiori, di mescolare al meglio gli elementi interni consentendo all'idrogeno di scivolare di nuovo verso il nucleo: questo processo non dipende da massa o da età stellare ed è stato misurato al meglio tramite astrosismologia: i fattori più importanti sembrano invece legati alla rotazione interna, sebbene non si tratti dell'unico fattore in gioco (Nature Astronomy - “Internal mixing of rotating stars inferred from dipole gravity modes” - May G. Pedersen et al.)
La fase di supergigante
La situazione della stella a questo punto è molto complicata, con svariate reazioni che avvengono contemporaneamente ai vari strati della struttura stellare. La sequenza di fusione più semplice è comunque nota con il termine di helium capture: l'elio viene fuso progressivamente in elementi sempre più pesanti.
Il cuore continua a collassare con una temperatura che si innalza fino ai 600 milioni di gradi Kelvin, sufficiente ad innescare la reazione del carbonio in elementi più pesanti quali ossigeno, neon, sodio e magnesio. La fusione del carbonio fornisce una nuova sorgente di energia che riporta in pareggio il braccio di ferro tra pressione e gravità. Si tratta di una fusione che può durare soltanto pochi secoli, ma se la stella ha una massa maggiore di otto masse solari possono seguire ulteriori reazioni.
Se il nucleo raggiunge la temperatura di un miliardo Kelvin può quindi iniziare la fusione del neon prodotto dalla precedente fusione del carbonio, ma al tempo stesso aumenta nel nucleo stellare la presenza percentuale di ossigeno e magnesio. La fusione del neon dura circa un anno appena. La temperatura continua a salire: raggiunti i 1,5 miliardi Kelvin inizia la fusione dell'ossigeno con produzione di zolfo, mentre a 2,7 miliardi K di temperatura inizia la fusione del silicio che crea nuclei di zolfo e ferro.
A dispetto di questi avvenimenti drammatici che avvengono nel cuore stellare, il modo di apparire della stella negli strati più esterni non è soggetto a grandi variazioni: piccole contrazioni al termine di ciascuna fase reattiva e piccoli rigonfiamenti nel momento in cui la fase successiva delle reazioni ha inizio, a dar vita ad un leggero movimento a zig-zag nel diagramma HR .
Alcune reazioni rilasciano neutroni, simili ai protoni ma con carica elettrica nulla. Proprio il fatto di essere elettricamente neutri consente ai neutroni di collidere con i nuclei carichi positivamente e combinarsi stabilmente con loro. E' il processo di cattura neutronica, processo che consente la formazione di elementi ed isotopi non generati direttamente dalle fusioni nucleari. Acquisire neutroni non fa aumentare il peso atomico dell'atomo dal momento che il neutrone ha una carica neutra, eppure ci sono neutroni che si legano all'atomo in maniera molto temporanea, convertendosi subito in un protone , che resta nel nucleo (interazione nucleare forte ), ed in un elettrone che invece se ne allontana.
Ogni fase rappresenta l'input della fase di reazioni successiva: terminata una fusione, la stella si restringe e la temperatura sale consentendo la reazione successiva.
Nonostante siamo sempre propensi a pensare che ogni evento astronomico debba avvenire in tempi "astronomici", stavolta non è così: i calcoli mostrano come stelle di massa compresa tra 20 e 25 masse solari alla loro nascita sperimentino una fase di carbon-burning di circa 600 anni ed una fase di neon-burning di un solo anno. La fase di oxygen-burning dura solo sei mesi mentre la fase di silicon-burning dura soltanto un giorno. Ad ogni fase, un nuovo guscio si forma intorno al nucleo stellare e giunti alle fasi reattive più avanzate la struttura di una stella di grande massa somiglia molto ad una cipolla: le reazioni nucleari avvengono ciascuna in un guscio differente, ciascuno caratterizzato da temperature differenti. L'energia rilasciata è talmente elevata che gli strati esterni della stella possono raggiungere dimensioni enormi e la stella diventa una supergigante.
Le supergiganti sono stelle estremamente luminose, di grande raggio e di densità molto scarsa.
La struttura a gusci concentrici di una supergigante. Ciascun guscio vede bruciare un elemento più leggero man mano che ci si
allontana dal nucleo.
Luminosità e temperatura delle supergiganti sono molto più elevate rispetto a quelle delle giganti e molte di queste stelle sono perfettamente visibili nel cielo notturno. Le supergiganti rosse sono molto rare in effetti: gli studi parlano di un elemento per ogni milione di stelle galattiche.
Ciò che caratterizza queste stelle è la dimensione assolutamente gigantesca: il raggio di Betelgeuse è pari a settecento raggi solari. Se si trovasse al posto del nostro Sole, quindi, si estenderebbe fino alla zona compresa tra Marte e Giove, dopo la Fascia Principale degli asteroidi. Sebbene famosa, non si tratta neanche della stella più grande, basti pensare che VV Cephei possiede un raggio di 1900 raggi solari e che si estenderebbe, al posto del Sole, fino all'orbita Saturno.
La dimensione di VV Cephei rispetto al nostro Sole.
Ultimo aggiornamento del: 19/05/2021 20:06:34
Esplosione di supernova: le Supernovae Type II
Terminate le fusioni nucleari in grado di fronteggiare la gravità, la stella implode e la massa è troppo grande per consentire al nucleo stellare di resistere. Si genera una esplosione di supernova, tra gli eventi più violenti dell'universo intero
Una struttura come quella di una supergigante non può durare a lungo visto che il materiale da bruciare è presente sempre in quantità limitata. Quando questo materiale giunge al termine, la stella muore nel modo più spettacolare ed attraverso la più grande catastrofe nota nell'universo: una supernova.
A inizio 2022 viene resa pubblica la prima osservazione in diretta del passaggio tra supergigante rossa e supernova grazie al lavoro della Northwestern University e della Università di California: la supergigante rossa è stata osservata nei suoi ultimi 130 giorni di vita a partire dall'estate 2020, quando il suo bagliore eccezionale è entrato nell'ottica del telescopio Pan-Starrs. Il flash dell'esplosione avvenuta in autunno ha prodotto la SN 2020tlf osservato dal Keck alle Hawaii. Prima di questa osservazione si è sempre pensato a una supergigante relativamente tranquilla prima dell'esplosione, mentre la nuova osservazione spinge verso una idea contraria, con modifiche sostanziali alla struttura prima di una tumultuosa espulsione di gas poco prima del collasso (The Astrophysical Journal - “Final Moments. Precursor Emission, Envelope Inflation, and Enhanced Mass Loss Preceding the Luminous Type II Supernova 2020tlf” - W. V. Jacobson-Galán et al.)
Una supernova è l'evento finale e spettacolare con il quale una stella massiva che ha raggiunto uno stadio avanzato di evouzione esplode e si manifesta temporaneamente con un splendore cosiderevolmente più elevato. Si tratta di una stella variabile cataclismica.
Le Type IIP mostrano una curva di luce con declino lento (plateau) seguito da un normale decadimento. Le Type IIL mostrano un declino lineare.
Il termine "supernova" deriva dal termine "nova", con il quale venivano indicate stelle che apparivano nel cielo laddove prima non ve ne era traccia, il che lasciava supporre la nascita di una stella "nuova". Data l'elevata luminosità di queste apparizioni, il termine venne enfatizzato con "supernova" anche se in realtà non si tratta di una stella "nuova" ma di una stella che sta morendo. Il termine venne coniato nel 1931 da Walter Baade e Fritz Zwicky durante una conferenza al Caltech e rinverdito due anni più tardi all'American Physical Society, divenendo di uso comune pochi anni dopo.
Una supernova si accende nella galassia Vortice (M 51) nei Cani da Caccia.
L'immagine mostra il prima e il dopo, con l'accensione di una "nuova" stella.
La prima supernova registrata e certa è chiamata SN 185 risale al 185 d.C. e risulta negli scritti cinesi. Sempre i cinesi registrarono quella che ad oggi sembra la supernova più luminosa di sempre, la SN 1006. Le ultime supernovae esplose nella nostra Via Lattea , o meglio le ultime delle quali abbiamo traccia, sono la SN 1572 e la SN 1604, quest'ultima nota come "Stella di Kepler" visti gli intensi studi effettuati dall'astronomo a partire dal 17 ottobre 1604. Johannes Kepler poté assistere (inconsapevolmente, aveva soltanto un anno) anche all'esplosione precedente, quella del 1572, ma in tal caso gli studi maggiori furono opera di Tycho Brahe. Una galassia come la nostra dovrebbe portare a una esplosione di supernova ogni cento anni, eppure l'ultima della quale si ha notifica diretta è del 1604: ci si è spesso chiesti il motivo di questa assenza. La maggior parte delle supernovae si trova nel disco sottile, pieno di stelle ma anche di polvere ed è proprio questa che blocca i segnali luminosi. Allo stesso modo, il nucleo galattico ospita molte supernovae rispetto alla media ma anche molta più polvere. In realtà - in effetti - la nebulosa Cassiopeia A è un resto di supernova risalente a 325 anni fa, eppure non è stata osservata (Witnessing History: Rates and Detectability of Naked-Eye Milky-Way Supernovae, arXiv).
Il 1885 portò la prima osservazione di una supernova extragalattica, la S Andromedae in M 31. Ad oggi la supernova più studiata è senza dubbio la SN 1987A, esplosa nel 1987 nella Grande Nube di Magellano ma ciò non significa che si stia parlando di quella totalmente conosciuta: contrariamente alle supernovae tipiche, che prendono origine dall'esplosione di una supergigante rossa, la SN 1987A sembra aver preso origine dall'esplosione di una supergigante azzurra, il che ha da sempre rappresentato un mistero. Le riprese a raggi X e raggi gamma hanno evidenziato nickel radiattivo nella materia espulsa, formatosi nel nucleo stellare durante il collasso e spazzato via a più di 4 mila chilometri al secondo. Proprio questa velocità ha sempre rappresentato un mistero, ma il modello di simulazione che sembra avvicinarsi maggiormente ai dati osservati prende in causa la fusione di due stelle, una supergigante rossa e una stella di sequenza principale. La fusione ha portato un trasferimento di massa dalla stella minore a quella più grande fino a completo assorbimento, il che avrebbe dato vita a una supergigante azzurra a veloce rotazione. Questo spiegherebbe anche la forma asimmetrica della supernova (Masaomi Ono et al. Matter Mixing in Aspherical Core-collapse Supernovae: Three-dimensional Simulations with Single-star and Binary Merger Progenitor Models for SN 1987A, The Astrophysical Journal - 2020).
Quando i nuclei collidono e si fondono viene emessa energia ed è questa energia che supporta il tremendo peso del materiale che compone la stella, come abbiamo già visto finora in un delicato equilibrio tra gravi. L'energia è conseguenza dell'interazione nucleare forte tra neutroni e protoni, detti nucleoni. Tuttavia i protoni si respingono tra loro visto che hanno la stessa carica, e questo ha una profonda conseguenza nella vita di una stella di grande massa.
Fino a questo punto, l'energia è stata rilasciata in seguito alle reazioni nucleari, ma nuclei più grandi del ferro non rilasciano energia. La produzione di energia si arresta alla fusione del silicio in ferro ed il risultato finale è un nucleo stellare di ferro privo di reazioni nucleari. Intorno a questo nucleo, ovviamente, ci saranno altri gusci nei quali avvengono reazioni nucleari di elementi via via più leggeri, ma anche queste reazioni prima o poi avranno termine. Tutto ciò che conosciamo sulle supernovae proviene da modelli teorici e matematici visto che è veramente difficile scorgerne nell'osservazione reale ed è impossibile vedere cosa avviene nel nucleo di una stella.
Il nucleo di ferro e il termine delle fusioni nucleri
La stella ha, ora, un nucleo di ferro inerte circondato da gusci di reazioni nucleari di silicio, ossigeno, neon, carbonio, elio ed idrogeno. Il nucleo della stella riesce a supportare il peso attraverso la pressione degli elettroni degeneri. Per masse superiori a quella prevista dal Limite di Chandrasekhar il peso della stella diviene troppo grande per essere retto dal cuore di elettroni degeneri e la stella collassa sul nucleo. Il nucleo stellare aumenta la propria densità attraverso un processo chiamato neutronizzazione: i protoni reagiscono con gli elettroni nel nucleo di ferro, dando vita a neutroni. La pressione, quindi, diventa talmente elevata che gli elettroni sono costretti a fondersi con i protoni, annullando le rispettive cariche e dando vita a neutroni, di carica neutra.
Ogni reazione di neutronizzazione dà vita anche ad un neutrino . Sempre più reazioni di neutronizzazione avvengono, e restano sempre meno elettroni degenerati a supportare la resistenza del nucleo: il risultato è una velocizzazione della contrazione che porta al collasso del nucleo stellare.
Basta un solo secondo al nucleo stellare per passare da un raggio di migliaia di chilometri ad un raggio di una cinquantina di chilometri, e bastano altri pochi secondi per giungere ad un raggio di circa 5 chilometri. L'energia gravitazionale rilasciata dal collasso è pari alla luminosità che il Sole riesce a fornire in diversi miliardi di anni. Gran parte dell'energia è in forma di neutrino, ma anche di raggi gamma . Questi raggi gamma trasportano talmente tanta energia da riuscire a collidere con i nuclei di ferro, rompendoli in particele alfa (nuclei di elio) in un processo noto come fotodisintegrazione.
La stella di neutroni e il core bounce
Dopo un breve intervallo (circa un quarto di secondo) i neutroni diventano degeneri a causa della grandissima densità della parte centrale della stella e riescono a resistere alla compressione ulteriore. Per avere una idea della compressione del nucleo, si pensi alla densità che la Terra avrebbe se fosse compressa in una palla di 300 metri di diametro. Il cuore della stella è ora rigido ed è formato interamente da neutroni: si parla di stella di neutroni. Questo nucleo ora riesce a far fronte al collasso creando un rimbalzo per il resto del materiale in caduta. La fase è detta core bounce e genera delle onde di rimbalzo in grado di propagarsi fino alla superficie stellare. Il cuore stellare durante questa fase si raffredda, il che fa diminuire la pressione in maniera significativa nelle regioni adiacenti. La minor pressione gioca a vantaggio della gravità che fa cadere materiale, facendolo collassare, a velocità che raggiungono il 15% della velocità della luce. Il movimento di collasso incontra il movimento inverso delle onde di rimbalzo, che hanno una velocità di circa un sesto della velocità della luce, e in una frazione di secondo il materiale che cade viene respinto verso gli strati superficiali della stella.
L'onda di rimbalzo morirebbe ben prima di arrivare alla superficie stellare se non fosse aiutata nel suo moto dall'enorme numero di neutrini che percorrono la strada nello stesso senso. Raggiunti gli strati più esterni e meno densi, l'onda di rimbalzo aumenta la propria velocità superando la velocità del suono nelle regioni più esterne. L'onda si comporta ora come un fronte d'urto.
I neutrini fuggono dalla stella in pochi secondi ma l'onda d'urto impiega qualche ora a raggiungere gli strati più esterni. Molta materia stellare viene espulsa dalla stella proprio da questa onda, alla velocità di molte migliaia di chilometri al secondo. L'energia rilasciata durante questa fase è circa 100 volte maggiore dell'energia rilasciata dal Sole in tutta la sua vita passata e la radiazione visibile è soltanto pari all'1% di tutta quella emessa.
Un ruolo molto importante potrebbe essere giocato dal neon, il quale potrebbe consumare gli elettroni nel nucleo in un processo chiamato cattura elettronica e che sarebbe proprio alla base del collasso in stella di neutroni. Il nucleo stellare è composto solitamente di ossigeno, magnesio e neon, ricco di elettroni degeneri e quindi con forte abbondanza di elettroni in uno spazio tanto energetico da far fronte alla gravità. Una volta che la densità del nucleo sale abbastanza (in prossimità del Limite di Chandrasekhar), gli elettroni sono consumati da magnesio prima e neon dopo innescando il collasso. La fusione dell'ossigeno è avviata e produce gruppi ferrosi e protoni liberi, i quali mangiano ancora più elettroni accelerando il collasso. Lo stadio finale è la stella di neutroni (Shuai Zha et al. Evolution of ONeMg Core in Super-AGB Stars toward Electron-capture Supernovae: Effects of Updated Electron-capture Rate, The Astrophysical Journal - 2019).
Processo di collasso del nucleo. Credit: Zha et al
Anche se finora il racconto ha toccato tappe in maniera abbastanza puntuale, in realtà il meccanismo non è poi così compreso e uno dei misteri ancora irrisolti riguarda proprio la trasformazione da collasso gravitazionale a esplosione: secondo uno studio di Settembre 2017, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society a cura di un team della School of Physics and Astronomy, la soluzione al mistero risiede proprio in luce e neutrini: i neutrini fuggono numerosi dalla neonata stella di neutroni e, qualora il riscaldamento causato dal collasso iniziale sia sufficientemente forte, la materia riscaldata porta un'onda in espansione che riesce a ribaltare il processo di collasso. Spesso i modelli informatici hanno fallito nel tentativo di simulare un fenomeno simile ma simulazioni in tre dimensioni hanno consentito di tirare in ballo anche il materiale posto dietro l'onda d'urto. Il team ha così simulato la fusione dell'ossigeno in silicio in stelle 18 volte più grandi del Sole, negli ultimi sei minuti prima della supernova, scoprendo di poter effettivamente arrivare all'esplosione.
Circa il 96% della massa stellare viene espulsa durante questo evento ed andrà ad arricchire il mezzo interstellare per la futura formazione di stelle. Prima di lasciare la stella , tuttavia, questo materiale viene compresso fino a raggiungere temperature tali da innescare nuove reazioni nucleari talmente potenti da dar vita a tutta la catena degli elementi conosciuti e più pesanti del ferro. Titanio, zinco, oro, mercurio, piombo e uranio, tanto per fare dei nomi, sono prodotti in questo modo e non esisterebbero se non esistessero le supernovae. Se questi elementi sono presenti sulla Terra vuol dire che la nostra stella ed il nostro pianeta si sono creati a partire dai materiali espulsi durante una esplosione di supernova. A fine 2018 si è ottenuta anche l'evidenza osservativa, spettroscopica, della presenza di silice (biossido di silicio) da due supernovae osservate da un team della Cardiff University tramite lo Spitzer Space Telescope. Si tratta di una osservazione importante poiché questo elemento forma il 60% della crosta terrestre ed è la base della sabbia e del vetro. Una quantità come quella osservata è compatibile con quella richiesta per spiegare le quantità osservate nell'universo (MNRAS). Molto interessanti, e rarissime, sono le supernovae ricche di calcio, una categoria che a lungo ha lasciato agli scienziati soltanto la possibilità di fare congetture ma che con la SN 2019ehk - scoperta da un amatore in M100 mentre provava il suo nuovo telescopio - ha consentito di ottenere una rappresentazione di quale sia il processo sottostante: si tratta di stelle che prima di esplodere rilasciano una gran quantità di gas dal gusto esterno e che, una volta esplose, fanno sì che il materiale distrutto vada in collisione con quello antecedentemente espulso producendo un flare nei raggi X, la cui potenza e durata dipende proprio dalla quantità e dalla vicinanza del materiale presente nei dintorni. Proprio questa supernova ha prodotto una enorme quantità di calcio, dando una risposta sulla sua formazione (The Astrophysical Journal - “SN 2019ehk: A double-peaked Ca-rich transient with luminous X-ray emission and shock-ionized spectral features” - Wynn V. Jacobson-Galán et al.)
Si creano quindi elementi pesanti, ma che fine fanno gli elementi che erano della stella, quindi gas e polvere della stella morta? Si potrebbe ipotizzare e facilmente immaginare che una simile esplosione possa comportare la distruzione di qualsiasi forma di gas e polvere presente nella stella, ma in realtà non è così visto che sono stati trovati composti di monossido di carbonio e ossido di silicio nei resti di supernova, ma non solo. Un team di scienziati finanziato dall'European Research Council (ERC) ha rinvenuto, infatti, formile e monossido di zolfo nei resti in raffreddamento della SN 1987A, esplosa a Febbraio 1987 a 163 mila anni luce di distanza nella Grande Nube di Magellano (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, Dr. Mikako Matsuura - Cardiff University's School of Physics and Astronomy, 2017). Trovare queste molecole apre la strada a nuove idee, tra le quali il fatto che la morte esplosiva di stelle possa creare delle nubi di gas residuo che si raffreddano fino a scendere sotto i 200°C creando delle vere e proprie fabbriche di polvere. Simili strutture sono spesso rinvenute nelle zone di formazione stellare il che può creare un anello temporale tra la morte delle stelle e la nuova generazione.
L'onda d'urto determina un tremendo aumento delle dimensioni stellari ed è per questo che la luminosità della stella aumenta in maniera evidentissima. Dopo qualche mese, tuttavia, la temperatura superficiale si raffredda ed anche la brillantezza diminuisce. Durante questa fase, la brillantezza della supernova è dovuta al decadimento radiattivo del nichel e del cobalto, prodotti durante le reazioni della supernova. Questi processi possono far brillare la supernova per anni.
Proprio l'onda d'urto di una supernova nella galassia M82 è stata ripresa da Hubble Space Telescope: la supernova è SN 2014J, scoperta il 21 gennaio del 2014. L'immagine, mostrata nel video NASA di seguito, rivela un guscio in espansione che parte dall'esplosione stellare verso il mezzo interstellare, una eco di luce. Le immagini vanno da 10 mesi a due anni dopo l'esplosione, precisamente dal 6 Novembre 2014 al 12 ottobre 2016 e mostrano una bolla che si estende da 300 a 1600 anni luce dalla zona centrale. Si tratta di una supernova Ia, quindi non una supernova da collasso diretto di una stella di grande massa ma di un fenomeno legato alla presenza di una nana bianca che viene a superare il Limite di Chandrasekhar in seguito ad acquisizione successiva di materiale ai danni di una compagna in sistema binario . (The Astrophysical Journal).
Le onde d'urto continuano ad espandersi per tantissimi anni: quella che segue è l'espansione dell'onda intorno al resto della Crab Nebula ripresa da Hubble Space Telescope.
Espansione dell'onda nella Crab Nebula. Crediti Hubble/ESA/NASA
L'esplosione finale dovrebbe essere legata alle pulsazioni finali delle stelle, durante il loro periodo di instabilità. Un caso particolarmente noto di pulsazione è quello della stella Betelgeuse in Orione, destinata appunto a morire come supernova. L'effetto finale dell'esplosione sarebbe infatti differente in base alla fase di pulsazione attraversata dalla stella nel momento della morte finale. Se l'intera stella pulsa all'unisono, come in un respiro, la supernova emula perfettamente l'esplosione di una stella non pulsante con un determinato raggio. Se invece la pulsazione non è solidale, allora ci sono situazioni in cui gli strati esterni si espandono mentre gli strati centrali si contraggono e viceversa. In questi casi, quando la luce fuoriesce da strati più profondi, le emissioni appaiono il risultato di supernovae di stelle di dimensioni differenti. La luce proveniente dalla parte più compressa è più debole, seguendo quanto scaturisce da una stella più piccola non pulsante. La luce proveniente dalle zone in espansione, al tempo stesso, simula l'esplosione di una stella più grande e non pulsante (Jared A. Goldberg et al. A Massive Star's Dying Breaths: Pulsating Red Supergiants and Their Resulting Type IIP Supernovae, The Astrophysical Journal - 2020)
Le statistiche dicono che le supernovae nella nostra Galassia dovrebbero essere in un numero di cento ogni anno, eppure non se ne vedono da secoli. L'ultima, nel 1987, è avvenuta nella Grande Nube di Magellano. Il motivo risiede nella forma della Galassia e nelle nubi oscure che ci nascondono una gran parte del cielo. Presumibilmente, molte supernovae sono esplose dietro queste nubi. Possiamo soltanto cercare di prevedere quali stelle potranno prima o poi esplodere, anche se non sappiamo quando. Ad oggi, buone indiziate sono Eta Carinae e Betelgeuse.
Le supernovae in bilico e i casi particolari
Ci sono esplosioni che difficilmente riescono a essere catalogate ed è il caso di PS1-10adi, una esplosione fortissima avvenuta 2.4 miliardi di anni fa e osservata soltanto nel 2010 (Nature Astronomy, Novembre 2017 - Queen's University). Si tratta di un evento che ha rilasciato una quantità di energia estremamente alta (dieci volte una esplosione "normale") e che è stato possibile osservare in dettaglio grazie all'andamento luminoso abbastanza lento in fase di ascesa. Gli scenari possibili sono due: una esplosione di supernova di una stella di massa pari a qualche centinaio di masse solari oppure un evento di distruzione mareale da parte del buco nero centrale della galassia di appartenenza. Non si tratta del primo evento e sembra che simili fenomeni energetici vadano a preferire le galassie attive. Fosse una supernova, avrebbe proprietà davvero estreme e mai osservate prima. Se fosse un evento di distruzione mareale, allora potrebbe dirci qualcosa riguardo l'ambiente più interno delle AGN .
Altro caso molto particolare è fornito dalla stella iPTF14hls, mortadue volte (Carnegie, Nature di Novembre 2017). Si tratta di una stella che nel giro di 50 anni ha sperimentato molteplici esplosioni, andando a distruggere le basi delle conoscenze relative alla morte delle stelle. L'esplosione è stata osservata a Settembre 2014 e da quel momento si è partiti con le osservazioni miranti a comprendere composizione chimica e velocità del materiale espulso. L'analisi indicava una Supernova type II-P, tutto secondo regola. Si tratta di esplosioni che restano brillanti per circa 100 giorni ma questa volta la durata si è spinta fino a oltre 600 giorni e, in aggiunta, i dati di archivio parlano di una esplosione nella stessa zona già nel 1954. Una stella esplosa, sopravvissuta e esplosa di nuovo, a spezzare ogni certezza, con ulteriori cinque picchi di luminosità raggiunti in tre anni.
Immagine IR di Apep. Credit: ESO
Un sistema di sicuro interesse per una "prossima" esplosione stellare è quello rappresentato da un sistema triplo contenente una coppia di stelle di Wolf-Rayet, un sistema decisamente raro e posto nella costellazione della Norma e avoolto da un vasto complesso di vento stellare e polvere cosmica derivante dall'altissima velocità di rotazione della stella primaria. Un vento che dà origine a una sorta di girandola tramite la gravità della stella secondaria. Proprio questo sistema - battezzato Apep - rappresenta il maggior candidato a esplodere come supernova con produzione di lampo gamma. Le due Wolf-Rayet hanno una massa di 10 e 15 masse solari e brillano centomila volte più del nostro Sole, con una temperatura superficiale di 25 mila gradi almeno. Il periodo di mutua orbita è di 125 anni (Y Han et al, The extreme colliding-wind system Apep: resolved imagery of the central binary and dust plume in the infrared, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).
Ciò che oggi possiamo ancora vedere, è quel che è rimasto delle supernovae passate: i resti di supernovae e proprio qui si indaga sempre di più: ad Agosto 2017 un articolo pubblicato su Astronomy & Astrophysics a firma di Federico Garcia dell'Istituto di radioastronomia dell'Argentina ha scavato ancora più a fondo nei resti della supernova della Vela, utilizzando la banda tra 0.44 e 2.04 keV. Il risultato ha mostrato una sorta di coppia di proiettili scaraventati in direzioni opposte dall'esplosione di supernova. Questi "proiettili" portano la chiara firma spettrale di una sovrabbondanza di silicio, interpretabile come prova che questi getti siano stati espulsi direttamente dalla parte più interna della stella esplosa.
Studi del 2008, portati avanti da ricercatori della Queen's University di Belfast e presentati ad una conferenza della Royal Astronomical Society, ipotizzano la possibilità per una stella superamassiccia di passare direttamente dallo stato di stella a tutti gli effetti allo stato di buco nero , senza alcuna esplosione di supernova, in modalità molto tranquilla. Affinché questo sia possibile, però, le stelle dovrebbero passare per la fase di nova . Questo potrebbe accadere a stelle dotate di una massa compresa tra le 18 e le 30 masse solari. In tal caso, il materiale che collassa non rimbalzerebbe su una stella di neutroni ma verrebbe risucchiato dal buco nero. La teoria tuttavia è molto incerta e si basa su campioni molto ristretti, quindi ci vuole ancora molto tempo prima di poter dire, se si potrà dire, che stelle con masse tra 18 e 30 masse solari non producono supernovae. Nel frattempo gli studi convergono su altri fattori, come ad esempio la velocità di rotazione delle stelle morenti. Alcune simulazioni, infatti, hanno indagato sul collasso di una nube di gas rotante in buco nero scoprendo come - in presenza di gas in rotazione troppo rapida - non sia possibile un collasso efficiente: il gas si blocca a formare un toro intorno all'equatore del buco nero. Il calore generato dalla caduta del gas che sbatte contro il toro rotante dovrebbe sciogliere gli strati esterni della stella creando una esplosione simile a una supernova. Una percentuale delle stelle, tuttavia, ruotava lentamente e in tal caso le simulazioni hanno evidenziato la possibilità di un collasso silenzioso in buco nero (Murguia-Berthier et al. On the maximum stellar rotation to form a black hole without an accompanying luminous transient. arXiv:2005.10212). Un oggetto molto interessante per lo studio "pre-supernova" è stato al centro delle osservazioni per diversi anni tra il 2001 e il 2011: si tratta di una stella la cui luminosità è 2.5 milioni di volte superiore a quella del Sole e si trova nella distante galassia nana chiamata Kinman. Alla distanza di 75 milioni di anni luce non è possibile vedere direttamente la singola stella ma astri di questo tipo generano degli spettri distinguibili dagli altri, il che rende possibile lo studio singolo. Nuove osservazioni nel 2019, portate avanti con diversi telescopi come il VLT, hanno tuttavia evidenziato la totale assenza di qualsiasi riga riconducibile alla stella osservata in precedenza, lasciando aperte due ipotesi: una esplosione di supernova coperta totalmente da densa polvere oppure, appunto, una morte diretta in buco nero, senza passaggio per la fase esplosiva ("The possible disappearance of a massive star in the low metallicity galaxy PHL 293B" Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).
Tipologie di supernova
La composizione delle stelle influenza l'esplosione di supernova e moltissime stelle massive sono accompagnate da un altro astro in mutua orbita : alcune stelle che esplodono come supernova possono rilasciare parte del proprio idrogeno a favore della compagna prima dell'esplosione.
Durante l'evoluzione stellare le stelle di un sistema binario interagiscono: quando una stella massiva evolve diviene una supergigante rossa e la presenza di un secondo astro può andare a distruggere gli strati più esterni della supergigante, quelli più ricchi di idrogeno. L'interazione binaria può rimuovere questi strati, parzialmente o totalmente, e quando la stella principale rilascia tutto questo idrogeno l'esplosione può essere osservata come supernova Type Ib oppure supernova IIb. Una stella ancora più massiva esplode come supernova Ic dopo aver perso anche gli strati di elio a causa del vento stellare, flussi di particelle energetiche che vengono spazzati via dalla superficie stellare. La stella che ha perso gli strati più esterni e che è accompagnata da una stella di neutroni ha una massa dieci volte superiore a quella del Sole ma un diametro inferiore a quello della nostra stella e lo stadio finale dell'evoluzione è una supernova che porta di nuovo a una stella di neutroni o a un buco nero, in base alla massa finale del nucleo. Le simulazioni mostrano come nel momento dell'esplosione alcuni strati esterni vengano espulsi rapidamente dal sistema binario mentre parte degli strati interni possono eventualmente ricadere verso l'oggetto compatto di nuova creazione. La quantità di materia accresciuta dipende dall'energia dell'esplosione: per una stella di dieci masse solari, se l'energia è bassa ciò che si forma è un buco nero mentre se l'energia è maggiore si crea una stella di neutroni. Questo spiega la formazione di sistemi di stelle di neutroni pesanti come quelli rivelati da GW190425 ma prevede anche la formazione di stelle di neutroni unite a buchi neri leggeri come quelli dell'evento GW200115 (Enrico Ramirez-Ruiz et al, Fallback supernova assembly of heavy binary neutron stars and light black hole-neutron star pairs and the common stellar ancestry of GW190425 and GW200115, Astrophysical Journal Letters - 2021).
Non è semplice, ovviamente, assistere alle fasi che precedono una esplosione di supernova e a oggi la testimonianza più "diretta" che si possa avere è data dall'esplosione di una stella gialla distante 35 milioni di anni luce all'interno dell'Ammasso della Vergine: negli archivi di Hubble Space Telescope è stato infatti possibile risalire alla stella progenitrice dell'esplosione, stella risultata priva del guscio esterno di idrogeno. Una possibilità, proprio come si diceva, consiste nella presenza di una stella compagna in grado di sottrarre questo gas alla stella morente ma c'è anche una alternativa, a dire il vero più accreditata a causa della bassa temperatura della stella ai tempi della ripresa di Hubble: la stella morente avrebbe espulso il guscio esterno di idrogeno nel decennio precedente l'esplosione, il che sarebbe testimoniato dal fronte d'urto che ha incontrato il materiale in allontanamento dopo la morte stellare cozzando proprio con un mezzo interstellare ricco di idrogeno. In tal caso una bella testimonianza della perdita di massa che precede l'esplosione finale (Charles D Kilpatrick et al. A cool and inflated progenitor candidate for the Type Ib supernova 2019yvr at 2.6 yr before explosion, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2021).
La stella compagna non ha un ruolo significante in quel che accade allo strato di elio ma il vento gioca un ruolo chiave nel processo e la sua intensità dipende dalla massa iniziale della stella. Secondo modelli e osservazioni, gli effetti del vento stellare sulla perdita di massa della stella morente sono significativi soltanto per le stelle la cui massa è all'interno di un determinato range e uno studio di Agosto 2019 sembra evidenziare come gli stadi finali di una supergigante rossa siano caratterizzati da una forte perdita di massa a precedere l'esplosione. In alcuni modelli, l'emissione risultate dall'ejecta incontra il materiale espulso producendo variazioni nella curva di luce delle supernovae. Per test è stata osservata ASASSN-15oz in tutte le bande dello spettro elettromagnetico : si tratta di una supernova esplosa nel 2015 in una galassia distante cento milioni di anni luce e nota come HIPASS J1919-33. Lo spettro catturato per 750 giorni ha mostrato una espulsione di 1.5 masse solari prima dell'esplosione (K Azalee Bostroem et al. "Signatures of circumstellar interaction in the Type IIL supernova ASASSN-15oz", Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2019).
Il meccanismo ibrido indica come durante la vita della stella, questa possa perdere gradualmente parte della propria massa a favore della compagna come conseguenza dell'interazione binaria e del vento stellare (Qiliang Fang et al, A hybrid envelope-stripping mechanism for massive stars from supernova nebular spectroscopy, Nature Astronomy - 2019)
Le supernovae battezzate come IIP derivano dall'esplosione di giganti rosse grandi fino a mille volte il raggio solare, esplosione preceduta dalla generazione di nuclei instabili ricchi di ferro. Si è sempre ritenuto che la massa di simili stelle dovesse trovarsi in un range tra 10 e 20 masse solari ma una nuova analisi di dati di archivio di Hubble Space Telescope ha evidenziato come la luminosità della progenitrice sia inferiore alle attese. Prima dell'esplosione la luminosità deriva (dalla perdita di energie derivante) dalla conversione di fotoni in neutrini, neutrini che fuggendo via portano con sé una certa quantità di energia comunque non sufficiente a generare la luminosità osservata. Potrebbero così essere chiamate in ballo altre particelle non previste dal Modello Standard come gli assioni, ipotizzati negli anni Settanta per risolvere la simmetria Carica-Parità delle interazioni forti e spesso tirate in ballo per la materia oscura, sebbene a oggi nessun esperimento abbia portato ad alcun indizio di effettiva esistenza (The Astrophysical Journal - “The initial mass-final luminosity relation of type II supernova progenitors. Hints of new physics?“ - Oscar Straniero et al.)
Non sempre è semplice distinguere tra le diverse tipologie di supernova II: un esempio è la SN 2018ivc, scoperta a Novembre 2018 nell'ambito della survey DLT40 all'interno della galassia NGC 1068, distante 33 milioni di anni luce. La curva di luce osservata in follow-up è stata vista variare molto rapidamente, cosa insolita per una Supernova Type IIL. La pendenza della curva di luce è variata ogni dieci giorni per i primi quaranta giorni, prima di attestarsi su un declino lineare tipico delle IIL. Si tratta in effetti di una Type IIL ma la sua curva è stata fortemente influenzata dall'ambiente circostante, influenzato a sua volta dal comportamento della progenitrice - di 25 masse solari - che ha espulso gusci di idrogeno prima di esplodere (K. A. Bostroem, et al. Discovery and Rapid Follow-up Observations of the Unusual Type II SN 2018ivc in NGC 1068).
SN 2018ivc in NGC 1068 ottenuta dal Las Cumbres Observatory. Crediti Bostroem et al.
Le supernovae superluminose riescono a brillare, invece, tra 10 e 100 volte più delle supernovae "normali", ma sono anche molto più rare, contando su appena cento elementi a oggi e su un tasso che sembra pari a un evento su diecimila. Non è certo quale sia il processo che porti a una simile luminosità ma dovrebbe essere legato a stelle giovani, molto massicce (testimone è il guscio di materiale presente nelle zone adiacenti) contenute in galassie a bassa metallicità. I calcoli vedono la stella progenitrice in possesso di almeno cento masse solari iniziali. Le supernovae superluminose (SLSNe) sono una sottoclasse definita soltanto a inizio degli anni Duemila e possono appartenere, a loro volta, a due gruppi in base alla riga di emissione dell'idrogeno. Alcune SLSNe sono ricche di idrogeno e non mostrano segni di shock da un guscio, il che aumenta la complessità del processo sottostante. L'osservazione di ASASSN-18am ha studiato proprio una di queste supernovae superluminose ricche di idrogeno, e anche in questo caso non è stato trovato alcun indizio di gusci esterni il che porta a concludere come stelle di questo tipo, prima di esplodere, siano in possesso di modesti venti che spazzano soltanto due millesimi di masse solari all'anno (Subhash Bose et al. ASASSN-18am/SN 2018gk: an overluminous Type IIb supernova from a massive progenitor, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2021).
Non così luminosa ma comunque più luminosa della media, di un fattore minimo due, è stata la supernova SN 2016aps, la cui natura è stata indicata - con alta probabilità - in un rarissimo esempio di supernova "pulsational par-instability" originata da due stelle massive fuse prima dell'esplosione, un fenomeno previsto dalla teoria ma mai osservato. Le supernovae "normali" fanno registrare energia in spettro visibile in misura inferiore all'1% rispetto a tutta l'energia rilasciata ma SN2016aps ha portato a una radiazione cinque volte superiore a quella di una esplosione considerata normale. L'incremento è dovuto all'interazione tra materiale espulso prima dell'esplosione e materiale legato all'atto finale. Dopo due anni di osservazione la luminosità è calata all'1% rispetto al picco maggiore consentendo di calcolare masse in gioco tra 50 e 100 volte superiori a quella del Sole. A infittire il mistero è la quasi totale composizione di idrogeno, elemento che stelle di questo tipo dovrebbero aver perso tramite venti stellari prima di iniziare a pulsare. La spiegazione potrebbe risiedere proprio nella fusione pre-fusione di stelle meno massive, intorno alle 60 masse solari (An extremely energetic supernova from a very massive star in a dense medium, Nature Astronomy - 2020).
In aiuto alla catalogazione, anche senza analisi dello spettro, viene il machine learning: i dati della Pan-STARRS1 Medium Deep Survey riportanti 2315 supernovae sono stati catalogati da un algoritmo con una accuratezza dell'82%, semplicemente studiando la curva di luce ( A. Villar et al. SuperRAENN: A semi-supervised supernova photometric classification pipeline trained on Pan-STARRS1 Medium Deep Survey supernovae. The Astrophysical Journal, 2020 December 17)
I CASI IN CUI UNA STELLA MASSIVA NON PORTA A SUPERNOVA
Nei modelli delle grandi stelle morenti, le supernovae con collasso del nucleo si verificano per stelle con una massa superiore a 8-10 masse solari e fino a circa 40-50 masse solari. Al di sopra di questo limite massimo, le stelle sono così massicce che probabilmente collassano direttamente in un buco nero , senza diventare una supernova. Stelle estremamente massicce, dell'ordine di 150 masse solari o più, potrebbero esplodere invece come un'ipernova. Questi oggetti non esplodono a causa di un collasso del nucleo ma piuttosto per un effetto noto come instabilità di coppia, in cui i fotoni creati nel nucleo si scontrano creando coppie di elettroni e positroni. Dubbi ci sono sul limite massimo di massa per esplodere come supernova, ciò che è stato indicato in 40-50 visto che secondo uno studio del 2021 questa soglia potrebbe essere molto più bassa, fino a 27 masse solari. Il team dello studio ha infatti esaminato le abbondanze elementali di una coppia di galassie in collisione note come Arp 299. Poiché le galassie sono in fase di collisione, la regione è un focolaio di supernovae. Di conseguenza, le abbondanze di elementi di Arp 299 dovrebbero dipendere in gran parte dagli elementi rilasciati nelle esplosioni di supernova. E' stato misurato il rapporto di abbondanza di ferro rispetto all'ossigeno e il rapporto di neon e magnesio rispetto all'ossigeno, scoprendo come i rapporti Ne/O e Mg/O siano simili a quelli del Sole mentre il rapporto Fe/O sia molto più basso dei livelli solari. Il ferro viene lanciato nell'universo in modo più efficiente dalle grandi supernove. I rapporti osservati dal team non corrispondono ai modelli standard di collasso del nucleo, ma se si escludono le supernova su circa 23-27 masse solari le osservazioni sposano molto bene i modelli. Questo non dimostra in modo definitivo che il limite di massa superiore per le supernove sia più piccolo di quanto si pensasse visto che una alternativa è che le supernove producano livelli più elevati di neon e magnesio rispetto di quanto previsto dai modelli. Ad ogni modo, è chiaro che abbiamo ancora molto da imparare sugli ultimi sussulti delle grandi stelle morenti (Mao, Junjie, et al. Elemental Abundances of the Hot Atmosphere of Luminous Infrared Galaxy Arp 299. The Astrophysical Journal Letters arXiv).
Ultimo aggiornamento del: 16/01/2022 10:41:06
Le supernovae a cattura elettronica
A metà tra le supernovae derivanti da collasso gravitazionale (Type II) e quelle derivanti da sistemi binari (Type I), la teoria prevede anche supernovae legate a fattori ambientali particolari che renderebbero possibile la cattura elettronica
La teoria - portata avanti sostanzialmente dal Prof. Ken'ichi Nomoto dell'Università di Tokyo - prevede oramai dagli anni Ottanta del secolo scorso una terza tipologia di supernova non legata a un sistema binario come le Type I e neanche al collasso diretto del nucleo stellare come le Type II. Si tratta di una supernova a cattura elettronica, scenario nel quale ua stella del ramo asintotico delle giganti del Diagramma HR , con massa compresa tra otto e dieci masse solari, può portare i propri protoni degli atomi di magnesio e neon a catturare alcuni elettroni liberi che sostengono la pressione impedendo il collasso gravitazionale. Se la cattura, favorita da determinate condizioni di pressione, ha luogo, allora verrebbe a mancare la resistenza al collasso: l'elettrone catturato va a formare un neutrone liberando un neutrino e il collasso diviene inevitabile fino all'esplosione della stella.
Una stella leggermente più massiva darebbe vita a fusioni ulteriori e elementi più pesanti, resistendo al collasso, mentre una stella meno massiva sfuggirebbe al collasso stesso. Uno scenario simile è stato studiato a lungo nelle simulazioni tanto da sapere cosa andare a cercare nell'universo al fine di individuarne qualche esempio: le stelle del ramo asintotico perdono molta massa prima di esplodere e questa materia espulsa resta in zona creando delle firme spettrali ben precise. La perdita di massa determinerebbe, altresì, una minor energia nell'esplosione finale, con una supernova più debole del solito e in grado di generare più elementi ricchi di neutroni nonché una curva di luce compatibile con una ricaduta radioattiva più limitata dopo aver raggiunto la fase di plateau.
Tra i candidati al ruolo di supernova a cattura elettronica è sempre stata indicata l'esplosione del 1054 che ha dato vita alla Nebulosa del Granchio, visto che i dati dell'epoca parlano di un periodo di visibilità molto lungo. Si tratta, in tal caso, di un solo indizio riportabile visto che per gli altri indizi all'epoca non esistevano né conoscenze né strumentazioni. Un po' poco. Un candidato più recente per questa tipologia di supernova si chiama SN 2018zd ed è stata osservata da Las Cumbres nella galassia NGC 2146. Da immagini di archivio è stato possibile risalire alla stella progenitrice, compatibile con una stella del ramo asintotico. Anche gli altri elementi di distinzione sembrano essere presenti. Sicuramente da confermare, anche perché tra gli autori del paper c'è lo stesso Prof. Nomoto che da decenni porta avanti l'idea e, si sa, molto spesso nel cielo si finisce sempre per trovare quel che si cerca, non perché effettivamente ci sia ma solo perché lo si vuol trovare (Nature Astronomy - “The electron-capture origin of supernova 2018zd” - Daichi Hiramatsu et al.)
Ultimo aggiornamento del: 29/06/2021 15:19:02
I resti di supernova
L'esplosione di supernova determina l'allontanamento del materiale della stella dilaniata e questo materiale, acceso dalle altissime energie in gioco, rappresenta la parte maggiormente visibile da Terra, il resto di supernova
Contrariamente alle stelle di piccola massa, le quali perdono il proprio materiale con rilasci successivi relativamente tranquilli dando vita a una nebulosa planetaria , le stelle di grande massa sono sicuramente più devastanti. Una supernova non passa inosservata, né al momento dell'esplosione della stella né dopo. Abbiamo visto che durante l'esplosione la luminosità raggiunge e supera quella dell'intera galassia ospite mentre dopo l'esplosione resta una nebulosa in espansione, uno degli spettacoli più belli di tutto il cielo notturno, all'interno del quale si trova un oggetto compatto, ciò che resta del nucleo stellare. Si tratta dei resti di supernova, abbreviati con SNR.
Studiando queste nebulose e questi resti, lo spettro elettromagnetico e le righe che lo solcano, la temperatura e tutto il resto si riesce a carpire una gran mole di informazioni riguardanti la stella esplosa. A volte al centro di questa nebulosa c'è una stellina molto compatta, una stella di neutroni la quale, a volte, dirige il proprio fascio di radiazione polare verso la Terra, ruotando velocemente. In tal caso si parla di pulsar .
Il resto di supernova è il resto di una esplosione di una stella di grande massa, formato dagli strati esterni della stella che sono stati espulsi nello spazio, e dal resto del cuore della stella stessa (stella di neutroni o buco nero).
Si tratta di oggetti decisamente importanti visto che uno studio del 2019 ha evidenziato come proprio all'interno degli anelli di materia espulsi dalla SN 1987A abbia origine una nuova formazione di polvere cosmica, che servirà poi alla formazione di ulteriori pianeti. Il nome dei resti di supernovae prevede una G (iniziale di Green, che ha elaborato il catalogo) ed una serie di cifre rappresentanti le coordinate galattiche. Tuttavia, essendo alcuni resti stati scoperti da radiastronomi, alcuni hanno ancora il nome che queste persone hanno loro assegnato.
l materiale spazzato dall'esplosione subisce un ciclo di vita particolare, che può essere raccontato in fasi.
ESPANSIONE LIBERA - Nella prima fase, il materiale appena espulso tende a rarefarsi a causa del fatto che la nube è in espansione a grande velocità. Gli strati più esterni, invece, entrano in contatto con il mezzo interstellare circostante, un po' spazzandolo via ed un po' miscelandosi con la conseguenza di un aumenti di densità. Durante questa fase, nota come espansione libera, il gas del mezzo interstellare è talmente meno denso del materiale espulso dalla stella che l'espansione procede senza perdita di velocità e senza intoppi.
ESPANSIONE ADIABATICA - Dopo più o meno 200 anni (dipende dai fattori ambientali), quando l’espansione ha raggiunto qualche parsec di raggio, il materiale della nebulosa in espansione ha perso di densità e la densità del mezzo interstellare diventa maggiore. La conseguenza è che il fronte d’urto della nebulosa è maggiore, quindi l’espansione diminuisce. E’ un po’ come far passare dell’acqua in uno scolapasta: più grandi sono i fori e più acqua passa, ma se stringiamo i fori ne passa sempre meno perché aumenta il fronte d’urto che si oppone al materiale. Si parla di espansione adiabatica ad indicare questa fase: il gas in espansione, trovando un tappo, diventa più compresso e la temperatura aumenta fino a qualche milione di gradi, facendo ionizzare gli atomi. Questa fase dura un migliaio di anni.
FASE RADIATIVA - Per altri 100.000 anni circa, la nube irradia la propria energia attraverso dei processi fisici, in gradi di rendere i resti di supernova delle sorgenti radio. Questo fenomeno è dovuto al moto degli elettroni nel campo magnetico residuo. Tale moto ha una velocità simile a quella della lue e genera una radiazione di sincrotrone . Questa fase è detta radiativa.
La nebulosa Velo, un esempio di resto di supernova oramai molto rarefatta. Crediti Valeriano Antonini
Durante le prime due fasi, i resti di supernova sono fonti di raggi X e proprio dall'analisi dei raggi X è stato possibile verificare l'esistenza di righe legate a elementi pesanti come silicio, zolfo, argon.
Solitamente, i resti di supernova sono oggetti giovani, al massimo di qualche decina di migliaia di anni ma risulta molto difficile stimarne l'età precisa. Nel caso in cui al centro della nebulosa ci sia una pulsar , una indicazione può essere data dal periodo di pulsazione e dalla sua variazione nel tempo, ma negli altri casi risulta un compito veramente arduo. La giovane età è tuttavia accertata dal fatto che dopo un certo numero di anni la nebulosa interagisce troppo con il mezzo interstellare e non è più visibile. Dal momento che quelle che vediamo sono visibili, si deduce che non siano più vecchie di qualche decina di migliaia di anni.
Il resto di supernova M1, Crab Nebula, un oggetto relativamente giovane e ancora compatto. Crediti Sid Leach
La visibilità del resto di supernova dipende da vari fattori, quindi, quali l'età, la presenza di una fonte di energia che li alimenta ed il tipo di supernova dal quale hanno avuto origine.
Estendendo un attimo il discorso alle supernovae di tipo Ia, i resti della supernova di Keplero (SN 1604) sono stati studiati ai raggi X dal telescopio spaziale Chandra osservando una velocità di espansione superiore ai 20 milioni di miglia orari, 25 mila volte la velocità del suono sulla Terra. In particolare sono stati osservati quindici piccoli grumi di detriti, con il più veloce in allontanamento a 23 milioni di miglia orarie che fanno segnare il record fino a ora mai osservato. La velocità media dei nodi è di circa 10 milioni di miglia orarie, con onda d'urto che si espande a 15 milioni di miglia orarie. Si tratta di velocità misurate in supernovae molto recenti, il che lascia pensare come questa espansione non sia stata affatto rallentata dal materiale circostante nel giro di 400 anni. Dei nodi osservati, soltanto due puntano verso la Terra a fronte di altri 15 che se ne allontanano, il che racconta la storia di una asimmetria nel movimento anche se in realtà può dipendere dalla scarsità del campione osservabile. La velocità potrebbe essere legata a una supernova Ia particolarmente potente oppure a un ambiente circostante non in grado di opporre una grande resistenza (Matthew J. Millard et al. An Ejecta Kinematics Study of Kepler's Supernova Remnant with High-resolution Chandra HETG Spectroscopy, The Astrophysical Journal - 2020).
Ancora supernova Ia dovrebbe essere quella registrata dai cinesi nel 1181 d.C., per la quale non è mai stato rinvenuto un resto fino al 2021. Si tratta di un evento che brillò in cielo per 185 notti prima di sparire del tutto e di nascondere persino il proprio resto, oggi damolti ricondotto alla nebulosa in rapida espansione Pa 30 la quale, per posizione e spettro, potrebbe realmente essere quanto cercato. Al suo interno è presente la stella di Parker, un raro tipo di stella massiva. Il resto in questione si espande a oltre 1100 chilometri al secondo (The Astrophysical Journal Letters - “The Remnant and Origin of the Historical Supernova 1181 AD” - Andreas Ritter et al.)
Tipologie di resti di supernovae
Tipologia |
Caratteristiche |
Resto a guscio |
Sono i resti più giovani, di forma prevalentemente circolare più densa ai bordi che all'interno |
Plerioni |
Sono anch'essi resti giovani, ma è presente una pulsar e la luminosità è maggiore al centro della nebulosa. Tale luminosità, inoltre, è rafforzata dalla stessa pulsar |
Irregolari |
Non si intravede più neanche la sembianza del guscio a causa della forte interazione con il mezzo interstellare |
Scoperto nel 1966 attraverso emissioni radio, il resto di supernova HBH 3 irradia anche in banda ottica ed è uno dei più ampi resti di supernova della nostra Galassia. L'immagine in alto è dello Spitzer Space Telescope e mostra venature di gas ionizzato e gas molecolare acceso dall'onda d'urto generato dall'esplosione. La formazione bianca è parte di un complesso di formazione stellare formato da tre regioni distinte chiamate W3, W4 e W5, che si estendono ben oltre l'immagine. La distanza è di circa 6400 anni luce. Il diametro di HBH3 è di circa 150 anni luce e oltre a essere tra i più grandi resti di supernova è anche tra i più antichi, con l'esplosione compresa tra 80 mila e un milione di anni fa. Nel 2016 il telescopio gamma Fermi ha osservato raggi gamma provenire da una regione vicina.
I resti di supernova sono generalmente molto complessi, oggetti in tre dimensioni il cui studio pone molte sfide soprattutto quando le osservazioni riguardano l'emissione di raggi X . Per fronteggiare il problema è stato messa a punto una nuova tecnica, flessibile, per inquadrare le osservazioni di oggetti estesi consentendo ai modelli di trattarli come "palle" di plasma. Il nuovo modello, chiamato SPI, consente di caratterizzare le emissioni X di un resto di supernova ed è stato sperimentato su DEM L71, già osservato da XMM-Newton e posto nella Grande Nube di Magellano. Con una età di 4 mila anni e derivante da una supernova di tipo Ia, lo studio ha consentito di ottenere analisi delle abbondanze chimiche del materiale espulso da confrontare con le previsioni dei modelli. La massa è stata stimata in 228 masse solari ed è stato confermato un eccesso di ferro, conforme alla tipologia Ia di origine (SPI Analysis and Abundance Calculations of DEM L71, and Comparison to SN explosion Models, arXiv:2001.10129 [astro-ph.HE] arxiv.org/abs/2001.10129).
DEM L71: Mappa di emissione con densità caldolata tramite SPI
L'espansione di un resto di supernova è stato mostrato anche da Chandra X-ray Observatory relativamente a Cassiopeia A, osservato per anni. Distante undicimila anni luce, risale a una esplosione avvenuta nel 1680 sebbene non sia una data verificabile. Il resto è stato uno dei primi obiettivi di Chandra, che non lo ha mai perso di vista fino a giungere a un video del gas caldo in espansione, riscaldato fino a 20.000 Fahrenheit. Il video mostra Cassiopeia A dal 2000 al 2013, con una trasformazione di dettagli decisamente visibile.
Ultimo aggiornamento del: 18/09/2021 14:41:33
Stelle di neutroni e pulsar
Dal collasso finale di una stella di grande massa ha origine un oggetto esotico e compatto come una stella di neutroni. Teorizzate dagli anni Trenta, queste stelle hanno caratteristiche peculiari come rotazione molto veloce e campo magnetico potente
Ciò che resta della stella morente, oltre agli strati esterni al nucleo visibili come resto di supernova, è un nucleo degenere compatto, costituito essenzialmente da neutroni tenuti insieme dalla gravità. Si tratta di una stella di neutroni. Molte informazioni su corpi celesti di questo tipo derivano dal primo segnale multimessenger, che ha visto la fusione di due stelle di neutroni esprimersi come onda gravitazionale e come onda elettromagnetica.
Prima di essere visti, questi oggetti sono stati predetti dalle teorie e dai modelli, a iniziare da Walter Baade e Fritz Zwicky che nel 1934 ipotizzarono l'esistenza di stelle composte totalmente da neutroni e da Robert Oppenheimer e George Volkoff i quali ne calcolarono le proprietà teoriche nel 1939.
La stella di neutroni è una stella estremamente densa e di piccole dimensioni, costituita da materia degenere composta essenzialmente da gas di neutroni.
La prima stella di neutroni immortalata in via diretta, RX J185635-3754.
Crediti F.Walter/NASA/State University of NY
La superficie della stella di neutroni dovrebbe essere dieci miliardi di volte più resistente della più forte lega metallica conosciuta sulla Terra. Si tratta di oggetti caldissimi (circa 10 milioni di gradi) e si manifestano essenzialmente ai radiotelescopi. La prima stella di neutroni è stata scoperta nel 1967 grazie a impulsi radio ripetitivi e regolari. Proprio la pulsazione fece parlare di "pulsating radio star", o pulsar.
Non è ancora nota la completa struttura di queste stelle ma ci sono molti modelli che rispecchiano accuratamente le osservazioni. Molte proprietà di una stella di neutroni sono simili a quelle di una nana bianca quindi un incremento nella massa di una stella di neutroni fa quindi diminuire il raggio del corpo celeste .
Poco è noto, come detto, circa la struttura interna ma proprio il segnale multimessenger ha consentito di elaborare nuove ipotesi. Il nucleo delle stelle di neutroni potrebbe essere composto da materia di quark, uno stato molto denso dato da particelle subatomiche note - appunto - come quarks. Si tratta di una fase della materia che sulla Terra può essere raggiunta per brevi istanti al CERN ma il cui comportamento generale non è ben compreso e la presenza all'interno del nucleo delle stelle di neutroni potrebbe aiutare a definirne alcuni limiti. Secondo alcuni scienziati il nucleo potrebbe essere formato non solo da neutroni e protoni (in tutto, nucleoni) ma anche da altre particelle subatomiche esotiche note come iperoni (barioni che presentano quark strani). Queste particelle, la cui massa minima è di poco superiore a quella dei nucleoni, potrebbero formarsi nel nucleo dal momento che, ad alte densità, è energicamente conveniente convertire parte dei nucleoni in iperoni abbassando l'energia del sistema. Il "puzzle degli iperoni" legato alle stelle di neutroni parte dalla presenza di alcuni di questi corpi celesti con massa superiore alle attese teoriche, data la presenza delle particelle esotiche. Queste, infatti, rendono il corpo celeste più morbido, abbassando la massa limite di trasformazione in buco nero. Due nucleoni e un iperone potrebbero essere legati da una forza in grado di far dormare iperoni a densità maggiori riducendone notevolmente la concentrazione. Il processo aumenta la pressione interna alla stella consentendo la presenza di stelle "dure" di tipo iperonico, con masse in accordo alle osservazioni (European Physical Journal A - “Impact of chiral hyperonic three-body forces on neutron stars” - Domenico Logoteta et al.). Al fianco di queste ipotesi decisamente esotiche, a inizio 2020 se ne affaccia un'altra che porta a un nucleo delle stelle di neutroni decisamente più "normale": al MIT, infatti, hanno portato avanti esperimenti di laboratorio tramite acceleratore Clas, del Jefferson Laboratory, bombardando nuclei atomici con milioni di miliardi di elettroni e dimostrando come la forza nucleare forte tra i neutroni - in presenza di una densità estremamente alta - tenda a divenire repulsiva. Una simile reazione andrebbe a far fronte al collasso del nucleo, impedendolo. Se questo è vero, allora il nucleo della stella di neutroni risponde alle interazioni tra protoni e neutroni, senza dover tirare in ballo particelle più esotiche e complesse come quark e gluoni (Nature - “Probing the core of the strong nuclear interaction” - Schmidt, J. R. et al.).
La microscopica deformazione della stella di neutroni nel sistema binario PSR J1023+0038. Credit: Sudip Bhattacharyya
Ad oggi si ritiene generalmente che il corpo celeste abbia un diametro di circa 10-12.4 chilometri con una massa in genere compresa tra 1 e 2.7 masse solari. Il diametro massimo è stato fissato in 12,4 chilometri dalla Università di Turko in uno studio basato sull'osservazione del sistema binario 4U 1702-429 ma si tratta di una misura sottoposta a diverse revisioni: ad esempio, a metà 2018 uno studio basato sul segnale multimessenger GW170817 ha ottenuto una misura di diametro tra 12 e 13.5 chilometri, con una probabilità di errore intorno a 1.5 chilometri. Un ulteriore miglioramento nella stima è giunto a inizio 2020 dal Max Planck Institute for Gravitational Physics combinando le nozioni di base con le osservazioni multimessenger dell'evento GW170817. Il raggio di una stella di neutroni tipica è quindi fissato in 11 chilometri per una massa di circa 1.4 masse solari. Precisamente tra 10.4 e 11.9 chilometri (Collin D. Capano et al. Stringent constraints on neutron-star radii from multimessenger observations and nuclear theory, Nature Astronomy - 2020). Ancora nel 2021, un nuovo studio sullo strato più esterno di una stella di neutroni ha portato a dimensioni possibili ancora superiori, visto che proprio lo spessore di questo strato implica un raggio tra 13,25 e 14,25 chilometri in media (Brendan T. Reed et al. Implications of PREX-2 on the Equation of State of Neutron-Rich Matter, Physical Review Letters - 2021). Tra i metodi più efficaci per studiare la dimensione di una stella di neutroni ci sono quelli basati sui sistemi binari a raggi X di massa ridotta, nei quali una stella normale cede massa alla compagna stella di neutroni. La gravità superficiale della stella di neutroni è molto alta, cento miliardi di volte rispetto a quella terrestre, e le condizioni per l'esplosione della combustione termonucleare si verificano sul fondo della materia accumulata. La durata di un lampo va da 10 a 100 secondi e - dopo il massimo - la luminosità a raggi X decade in modo rapidissimo, quasi esponenziale dopo aver provveduto a emettere come un corpo nero con una certa temperatura (~ 10M gradi). La connessione tra luminosità e temperatura non è fissa ma dipende dalla struttura fisica degli strati superiori della stella (atmosfera), calcolabili per varie masse e raggi. Confrontando la diminuzione di temperatura e raggi X in alcuni lampi con le previsioni del modello si ottengono masse e raggi (metodo della coda di raffreddamento - Valery Suleimanov, Juri Poutanen, Mike Revnivtsev, Klaus Werner) e i calcoli hanno portato a un raggio tra 11 e 13 chilometri, sulla base di una ipotesi di stella non rotante, con forma sferica e temperatura superficiale uniforme. Si tratta di ipotesi poco realistiche visto che ad oggi la stella di neutroni più veloce nella rotazione impiega appena 0.0016 secondi a fare un giro su sé stessa (4U 1608-52) e la forma ne risente, con un rigonfiamento equatoriale. Questa discrepanza tra ipotesi e realtà può portare a una sovrastima del diametro e il modello ha necessitato di una rivisitazione, che ha fissato la sovrastima in 0.5-1 chilometro in base all'angolo di inclinazione dell'asse di rotazione rispetto alla linea di vista (Valery F. Suleimanov et al, Observational appearance of rapidly rotating neutron stars, Astronomy & Astrophysics - 2020).
Anche per la massa il discorso è simile: per una stella di neutroni non rotante il limite massimo è stato fissato a 2.16 masse solari a inizio 2018. Il limite è dato dalla capacità del nucleo degenere di resistere alla gravità. Un esempio di stella di neutroni molto pesante è PSR J0348+0432 con 2.01 masse solari, una densità enorme corrispondete all'intero Himalaya racchiuso in un boccale di birra. Oltre il limite fissato, basta un solo neutrone in più a far collassare la stella di neutroni in buco nero anche se qualche dubbio è stato sollevato sul passaggio diretto tra stella di neutroni e buco nero: la resistenza della stella di neutroni proviene dall'equilibrio tra contrazione gravitazionale e una forza repulsiva chiamata "degeneracy pressure", di origine quantomeccanica. Oltre una certa massa, pari a circa tre volte la massa solare pur con tutte le rimostranze espresse in precedenza, la resistenza di pressione viene meno e la stella di neutroni collassa ulteriormente sotto l'effetto gravitazionale. Uno studio di inizio 2018 sostiene che questo ulteriore collasso possa dar vita a qualcosa di intermedio tra stella di neutroni e buco nero, una sorta di buco nero privo dell'orizzonte degli eventi ma comunque in equilibrio. Questi nuovi equilibri, sconosciuti per esistenza in natura e stabilità, sarebbero consentiti dall'effetto di polarizzazione del vuoto quantistico. Il limite massimo di massa di una stella di neutroni si dovrebbe quindi aggirare tra 2 e 3 masse solari anche se tutto dipende dalla natura della materia interna, attualmente abbastanza sconosciuta. Una mano viene dalle onde gravitazionali, i cui eventi registrati spingono quasi sicuramente verso un valore di 2.2 sfociando in alcuni casi verso i 2.5, valore quest'ultimo che desta qualche perplessità. Perplessità che sembrano avallate da uno studio del 2021 che sembra fissare la massa massima a 2.2 masse solari, lasciando le masse di 2.5 masse solari al campo dei buchi neri (The Astrophysical Journal Letters - “GW170817 and GW190814: Tension on the Maximum Mass” - Antonios Nathanail et al.).
La velocità di fuga di oggetti simili dovrebbe aggirarsi sui 100.000 km/s (un terzo della velocità della luce nel vuoto) contro i "soli" 11 km/s necessari a sfuggire dal campo gravitazionale terrestre.
Una alternativa, in genere sempre sottovalutata, è la creazione di oggetti simili ai buchi neri dall'esterno ma con la singolarità rimpiazzata dall'energia oscura. Si tratta di Generic Objects of Dark Energy (GEODEs).
Rotazione e campo magnetico
Due proprietà di queste stelle sono ben note: rotazione e campo magnetico .
Una stella di neutroni ruota molto velocemente, fino a migliaia di volte ogni secondo se alimentate da materiale proveniente dall'esterno, il che è spiegato con la legge fisica della conservazione del momento angolare: sebbene la legge sia un po' astrusa, nella pratica è semplicemente osservabile. Un pattinatore su ghiaccio che inizia a ruotare su sé stesso ha una velocità maggiore quando tiene le braccia adese al corpo piuttosto alla velocità raggiunta con le braccia allargate. Allo stesso modo, il Sole ruota in circa 30 giorni ma se la sua massa venisse compressa in 10 chilometri di diametro lo farebbe per 1000 volte in un secondo. Una veloce rotazione è quindi sintomo di stella di neutroni molto giovane (la Crab Nebula ha 950 anni e ruota 30 volte al secondo) mentre una rotazione rallentata starebbe a indicare una stella di neutroni antica, una età avanzata che in genere si accompagna a un campo magnetico più debole. Trovare un sistema binario composto da una stella di neutroni con potenti flare X e da una gigante rossa molto antica è quindi un ritrovamento molto strano, ma presente nell'universo poiché osservato da Integral, satellite ESA. In tal caso si presume che l'oggetto compatto fosse inizialmente una nana bianca, divenuta poi stella di neutroni in seguito al materiale sottratto gravitazionalmente alla gigante rossa. Come detto, la presenza di una stella compagna in grado di fornire materiale ulteriore può far aumentare la velocità di rotazione fino a migliaia di volte al secondo. In assenza di un fenomeno simile, la rotazione rallenta a causa del rilascio di energia da parte del campo magnetico, arrivando a ruotare in diversi secondi o minuti (frenamento magnetico). Si tratta comunque di un rallentamento molto lento, nell'ordine tra 10-12 e 10-19 secondi ogni secolo. Altre volte il periodo di rotazione subisce delle variazioni improvvise, variazioni fatte di accelerazioni molto piccole dovute probabilmente a una riorganizzazione della struttura interna. Le cause dei glitches sono ad oggi un mistero che potrebbe trovare soluzione in processi interni o esterni alla pulsar, anche se l'ipotesi più accreditata parla di una origine dal trasferimento di momento angolare dal nucleo alla crosta tramite vortici di superfluidi o spaccature sulla crosta stessa (Detection of a glitch in PSR J0908−4913 by UTMOST, arXiv). Queste variazioni sono presenti sia nelle stelle di neutroni in sistemi binari sia nelle stelle di neutroni singole e vanno sotto il nome di glitches. Una delle pulsar più regolari in termini di glitches è la Pulsar della Vela, la quale ne sperimenta in media uno ogni tre anni. Proprio studiando il glitch del 2016 un team di astronomi ha potuto fare congetture sulla struttura interna della stella distinguendo tre componenti. Un primo componente è una zuppa di neutroni superfluidi interno alla crosta, strato che si sposta verso l'esterno colpendo la crosta stessa, rigida, causandone la rotazione. Una seconda zuppa di superfluido si muove poi nel nucleo raggiungendo la prima e causando un rallentamento nella rotazione stellare. La pulsar, tuttavia, ha mostrato una fase di rallentamento prima dell'accelerazione del glitch e questo, a oggi, è poco spiegabile (Nature Astronomy - “Rotational evolution of the Vela pulsar during the 2016 glitch” - Gregory Ashton et al.).
Rappresentazione di una stella di neutroni. Crediti Casey Reed/Penn State University
Altri glitches sono stati rinvenuti, ad esempio, dal Molonglo Observatory Synthesis Telescope (MOST) nella pulsar PSR J0908-4913, con una variazione registrata il 9 ottobre 2019 che ha modificato la classica rotazione di 107 millisecondi di circa 0,203 microHerz . Proprio MOST, che ha celebrato il cinquantesimo compleanno nel 2015, riesce a portare avanti osservazioni di centinaia di pulsar ogni due settimane consentendo di scoprire sempre nuovi glitches misurando la potenza del rumore di spin. Proprio da questo è stato possibile evidenziare, su 280 pulsar rappresentative di pulsar normali per evoluzione, un decremento del rumore con l'età della pulsar, con una relazione inversa tra forza del rumore, velocità di rotazione e velocità di rallentamento nel tempo (M E Lower et al. The UTMOST pulsar timing programme II: Timing noise across the pulsar population, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).
Ogni stella, inoltre, ha un campo magnetico ma se il campo viene compresso in un diametro minimo la sua forza aumenta a dismisura. Se il Sole avesse le dimensioni di una stella di neutroni, il suo campo magnetico sarebbe 10 miliardi di volte maggiore. A lungo si è ritenuto che questo forte campo magnetico inibisse la formazione di getti espulsi da una stella di neutroni ma esistono osservazioni radio compatibili con strutture a getto per i sistemi binari Her X-1 e GX 1+4, osservati tramite il K. Jansky Very Large Array (VLA) (MNRAS - 2018). Le stelle di neutroni sono in genere caratterizzate da un campo magnetico che possiede un polo nord e un polo sud, come sulla Terra, ma un semplice dipolo non riesce a spiegare molti aspetti di questa particolare tipologia di fossile stellare. Uno tra questi aspetti è la presenza di parti essenzialmente più calde rispetto alla temperatura media e i supercomputer, attraverso simulazioni, sembrano aver trovato il bandolo per svelare la complessa struttura magnetica interna: l'instabilità dei campi magnetici all'interno delle stelle di neutroni può creare degli hot spots di magnetismo talmente intenso da rimanere per milioni di anni, persino dopo il declino del campo magnetico generale della stella stessa. Una stella di neutroni appena nata non ruota in maniera uniforme, il che deforma il campo magnetico fino a dar vita a punti di maggiore intensità. Questi punti producono forti correnti elettriche e queste rilasciano energia producendo calore. I punti possono raggiungere un raggio di pochi chilometri con campo magnetico in eccesso nell'ordine di 10 miliardi di Tesla, il che può durare anche diversi milioni di anni. Questo meccanismo potrebbe spiegare fenomeni particolari come il basso tasso di rotazione di SGR 0418+5729, legato a un campo magnetico molto basso ma con rilasci di energia molto intensa.
In particolare esistono stelle di neutroni in cui il campo magnetico è osservabile nell'intero ciclo di spin e altre il cui campo magnetico non è mai osservabile. Una perla rara è data dalla stella di neutroni GRO J2058 + 42, il cui campo magnetico è osservabile soltanto a volte, in determinate condizioni di inclinazione. Scoperta dal Compton Gamma Ray Observatory da decenni, questa caratteristica è stata osservata soltanto di recente da NuSTAR: si tratta di una pulsar a raggi X con emissione osservabile solo durante esplosioni luminose. Un comportamento spiegato dal fatto che la stella compagna è una stella di classe spettrale Be, velocissima nella rotazione e in grado di formare quindi un disco di materia che lentamente cade sulla stella compatta fino all'esplosione superficiale S. Molkov et al, Discovery of a Pulse-phase-transient Cyclotron Line in the X-Ray pulsar GRO J2058+42, The Astrophysical Journal - 2019).
Stelle di neutroni particolarmente interessanti sono:
- Pulsar: stella di neutroni che emette impulsi direzionali rilevabili come un effetto faro da Terra. Le pulsazioni consentono, tra l'altro, di stimare l'età di una pulsar visto che la velocità di rotazione dipende anche, forse soprattutto, dall'età. la pulsar perde infatti energia tramite la radiazione di dipolo magnetico, con conseguente rallentamento della rotazione. ma sembra che un ruolo importante possa essere giocato anche dal vento relativistico di elettroni, positroni e dal campo magnetico emesso. Questo evento, se intenso, genera una nebulosa chiamata "Pulsar Wind Nebula" (PWN) che interagisce con il materiale circostante. La prova osservativa è stata ottenuta da PSR B0540-69 nella Grande Nube di Magellano, che a dicembre 2011 ha fatto registrare una aumento percentuale di rallentamento del 36%, da allora stabile, in concomitanza con un aumento del 32% nel flusso emesso entro 400 giorni dal rallentamento (Nature Astronomy - “The brightening of the pulsar wind nebula of PSRB0540−69 after its spin-down-rate transition” - M. Y. Ge). Esistono pulsar a millisecondo transizionali che emettono raggi X e onde radio in modalità alternata: l'accrescimento ai danni di una stella compagna provoca pulsazioni a raggi X mentre il segnale radio dovrebbe derivare dal campo magnetico dell'oggetto stesso. La magnetosfera della pulsar dovrebbe passare da un accrescimento a una espansione e proprio questo andrebbe a generare l'alternanza tra i segnali. A settembre 2019, tuttavia, i dati di XMM-Newton hanno osservato luce visibile e raggi X totalmente sovrapposti nella pulsar PSR J1023+0038, segnando la capostipite di pulsar al millisecondo con pulsazioni in banda ottica e soprattutto un processo in grado di generare nello stesso momento entrambe le frequenze di segnale. Il processo in questione non è ancora noto ma potrebbe derivare da uno scenario, totalmente nuovo, in cui un forte vento elettromagnetico vada a interagire con il disco di accrescimento del sistema. Il vento colpisce il disco dando vita a un'onda d'urto di elettroni accelerati che, interagendo con il campo magnetico, generano radiazione di sincrotrone osservabile in spettro visibile e raggi X. In tal caso il disco non raggiunge la superficie della pulsar proprio a causa del vento, e si ferma fino a cento chilometri dalla crosta non contribuendo ai raggi X e alla rotazione (Pulsating in Unison at Optical and X-Ray Energies: Simultaneous High Time ResolutionObservations of the Transitional Millisecond Pulsar PSR J1023+0038 di A. Papitto et al.). Il motore delle pulsazioni dovrebbe essere riconducibile al campo magnetico derivante dalla rotazione, campi in grado di strappare elettroni dalla superficie stellare accelerandoli ad altissime energie. Gli elettroni accelerati emettono raggi gamma che, assorbiti dal campo magnetico, producono sciami di elettroni e di positroni. Queste particelle, a coppia materia-antimateria - creano campi elettrici in grado di opporsi e di affievolire il campo elettrico iniziale della pulsar, il quale ultimo diventa così debole da azzerarsi oscillando tra valori positivi e valori negativi. Proprio queste oscillazioni provocherebbero l'emissione di onde dai poli corrispondenti alle onde radio pulsanti osservate (Physical Review Letters - “Origin of Pulsar Radio Emission” - Alexander Philippov, Andrey Timokhin e Anatoly Spitkovsky). Osservazioni multi-frequenza, per inciso, sono riuscite a tracciare il materiale all'interno del disco di accrescimento mostrando come - a fronte di previsioni di due o tre giorni per passare dall'esterno alla stella di neutroni centrale - il tempo impiegato sia decisamente lungo, intorno ai dodici giorni (la stella in questione è SAX J1808.4−3658, con rotazione di 400 volte al secondo e distante 11 mila anni luce nel Sagittario). Oltre alle classiche emissioni X, il 2021 ha portato alle prime emissioni ultraviolette e ottiche da una pulsar al millisecondo chiamata SAX J1808.4-3658 (quelle ottiche erano in realtà state captate in altri cinque sistemi). Queste emissioni, tra l'altro, pongono un serio problema poiché la loro misura non è giustificabile con i modelli teorici esistenti di accrescimento: anche in tal caso potrebbe essere legato tutto alla magnetosfera e alla rotazione del dipolo magnetico il che porterebbe a ipotizzare la convivenza - o la rapida alternanza - tra accrescimento in grado di generare raggi X e rotazione che invece genererebbe le altre emissioni. Le teorie prevalenti vedono i due effetti eliminarsi a vicenda, scartando quindi la convivenza (Nature Astronomy - “Optical and ultraviolet pulsed emission from an accreting millisecond pulsar” - F. Ambrosino et al). Le pulsar possono anche essere alla base di uno dei misteri che "circondano" la Terra: tra le pulsar più brillanti in raggi gamma c'è sicuramente la nota Geminga, scoperta nel 1972 dallo Small Astronomy Satellite 2 (SAS2) della NASA alla distanza di 800 anni luce in direzione dei Gemelli. Identificata a marzo 1991 dal satellite ROSAT a raggi X , si è rivelata una pulsar con rotazione di 4.2 volte al secondo. Generalmente una pulsar si circonda di una nube di elettroni e positroni (antiparticella dell'elettrone), il che è dovuto all'intenso campo magnetico che allontana le particelle dalla superficie accelerandole fino a limiti relativistici, creando quelli che chiamiamo raggi cosmici extra-solari. I raggi cosmici risentono dei campi magnetici incontrati lungo il tragitto e questo rende molto complicato determinare la loro sorgente. Un mistero di svariati decenni riguarda la presenza di positroni ad alta energia nei dintorni della Terra in quantità decisamente più elevata rispetto alle attese e la soluzione potrebbe venire proprio da Geminga visto che intorno a questa pulsar è stato scoperto un alone di particelle altamente energetiche che nel cielo apparirebbe grande come quaranta lune piene, se solo potessimo osservarei raggi gamma. L'alone dovrebbe derivare dalla collisione tra elettroni e positroni con la luce stellare. Inizialmente si è pensato che l'alone fosse comunque insufficiente a giustificare una origine da pulsar per la quantità di positroni rinvenuta vicino alla Terra ma le nuove stime rivalutano notevolmente il ruolo di questi oggetti. Geminga potrebbe essere responsabile per più del 20% dei positroni "vicini", il che ci dice che unendo il contributo di altre pulsar potremmo davvero aver trovato la soluzione (Mattia Di Mauro et al. Detection of a gamma -ray halo around Geminga with the Fermi -LAT data and implications for the positron flux, Physical Review D - 2019). A oggi, invece, il record di potenza del campo magnetico registrato nell'intero universo spetta alla pulsar a raggi X GRO J1008-57, scoperta da Insight-HXMT (satellite a raggi X cinese) durante un outburst in Agosto 2017: la registrazione di un Cyclotron Resonand Scattering Feature (CRSF) a 90 keV corrisponde a un campo magnetico di un miliardo di Tesla (decine di milioni di volte più potente di quanto riproducibile sulla Terra) circa sulla superficie stellare con significatività superiore a 20σ (M. Y. Ge et al. Insight-HXMT Firm Detection of the Highest-energy Fundamental Cyclotron Resonance Scattering Feature in the Spectrum of GRO J1008-57, The Astrophysical Journal - 2020).
- X-ray binary pulsar: stella di neutroni parte di sistema binario chee strappa materiale alla stella compagna. Il materiale finisce nelle regioni del polo magnetico della stella di neutroni ad una velocità pari alla metà di quella della luce fino a che non precipita sulla stella dando vita a violente emissioni nello spettro X. Il totale della luminosità nella banda X può essere circa 100.000 volte maggiore rispetto alla luminosità totale del Sole in tutte le bande di emissione. Ciascuno di questi bursts di emissioni X dura pochi secondi prima di declinare in energia e brillantezza. Questi sistemi sono noti come X-ray binary pulsar e ne sono esempi Hercules X-1 e Centaurus X-3;
- Magnetar: stella di neutroni con campo magnetico molto potente, tra le principali indiziate come sorgente dei FRB . La formazione delle magnetar è da sempre al centro del dibattito scientifico e le simulazioni hanno dimostrato come la fusione di due stelle possa effettivamente creare i forti campi magnetici osservati e qualora questa stella esplodesse, allora la magnetar sarebbe la giusta conclusione. In realtà esistono differenti teorie per giustificare l'esistenza delle magnetar e alcune riconducono la potente magnetizzazione alla stella progenitrice, il che significa enorme magnetizzazione del nucleo di ferro della stella prima del collasso. Una tale ipotesi, tuttavia, si scontra con il fatto che un simile campo magnetico avrebbe rallentato la rotazione del nucleo stellare e, di conseguenza, la rotazione della successiva stella di neutroni, impedendo di osservare le energie che invece vediamo al momento dell'esplosione finale, raggi gamma compresi. In virtù di queste obiezioni, nuovi modelli spiegano la genesi dei campi magnetici tramite processi di amplificazione di campi minori preesistenti, un "effetto dinamo" già noto per il campo magnetico terrestre: nei primi secondi che seguono il collasso della stella, la stella di neutroni appena formata si raffredda emettendo neutrini e questo raffreddamento genera forte convezione interna che potrebbe alimentare i campi magnetici preesistenti, il tutto in dieci secondi appena (Science Advances - “Magnetar Formation Through a Convective Dynamo in Protoneutron Stars” - R. Raynaud et al).
Sebbene le stelle più massive non siano in possesso di un involucro la cui convezione possa generare un campo magnetico continuo, sono stati osservati forti campi superficiali in circa il 10% di esse. Le prime osservazioni in tal senso sono datate 1947 ma l'origine di questo campo è sempre rimasta misteriosa. E' così stata tirata in ballo, a inizio nuovo millennio, la fusione stellare e soltanto nel 2019 i modelli hanno confermato questa intuizione teorica per la stella Tau Scorpii, distante 500 anni luce dalla Terra. Si tratta di una [V]blue straggler[/V], risultato di una fusione stellare tipica degli ammassi globulari (Stellar mergers as the origin of magnetic massive stars, Nature - 2019). Spesso dalle magnetar provengono variazioni di luminosità notevoli e anche questo puù essere legato al campo magnetico, in grado di interrompere la distribuzione uniforme del calore creando regioni più calde e regioni più fredde, con differenze di un milione di gradi Celsius. Il tutto si traduce in una variazione di radiazione X osservata (Andrei P. Igoshev et al. Strong toroidal magnetic fields required by quiescent X-ray emission of magnetars, Nature Astronomy - 2020). Ma come nascono le magnetar? Uno studio di fine 2020 a opera della Nortwestern University ritiene di aver individuato la nascita di uno di questi corpi celesti in una esplosione gamma legata alla fusione di due stelle di neutroni, con produzione di una brillante kilonova la cui luce ha raggiunto la Terra il 22 maggio 2020 sotto forma di GRB breve. Il lampo è stato rilevato dal Neil Gehrels Swift Observatory della NASA, inizialmente, e poi da Hubble Space Telescope, dal Very Large Array e dal Keck Observatory a frequenza minori. Soprattutto le osservazioni di Hubble in infrarosso vicino hanno evidenziato un livello dieci volte superiore a quello previsto ("The broadband counterpart of the short GRB 2005221 at z = 0.5536: A luminous kilonova or a collimated outflow with a reverse shock?" arXiv).
Simulazione della nascita della stella magnetica Tau Scorpii.
Crediti Schneider/Ropke
Con riguardo alle pulsar, una conoscenza sempre più approfondita si deve allo strumento NICER (NASA Interior Composition Explorer) a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, uno strumento in grado di osservare anche dettagli superficiali di questi cadaveri stellari. L'oggetto si chiama J0030+0451, si trova nella costellazione dei Pesci a 1100 anni luce di distanza e ruota su sé stessa 205 volte al secondo. Il modello di funzionamento più semplice di una pulsar vede un campo magnetico molto potente a forma di magnete a barra per uso domestico: il campo è talmente forte da strappare le particelle dalla superficie della pulsar e accelerarle. Alcune di esse seguono il campo magnetico colpendo il lato opposto, scaldando la superficie e creando hot spot ai poli magnetici. Tutta la pulsar emette debolmente a raggi X ma gli hot spot appaiono più luminosi e sono proprio questi a creare l'effetto faro legato alla rotazione stellare. I dati di NICER, però, raccontano una storia differente e più complessa. Due team di scienziati sono arrivati a misurazioni decisamente simili: una massa di 1.3 masse solari e un diametro di 25.4 chilometri per il primo, 1.4 e 26 chilometri per il secondo. I punti caldi osservati da entrambi i team sono tre e si trovano tutti nell'emisfero "australe" della pulsar, qualcosa di nettamente differente da quanto ipotizzato come funzionamento e qualcosa - quindi - su cui indagare (Zaven Arzoumanian & Keith C. Gendreau. Focus on NICER Constraints on the Dense Matter Equation of State. The Astrophysical Journal Letters).
Dettagli superficiali e hot spot osservati da NICER. Crediti NICER/NASA
A oggi la magnetar più giovane (probabilmente) mai scoperta ha appena 240-320 anni, con misurazioni che vengono sia dal periodo di rotazione sia dalla velocità di rallentamento nel tempo (con tutte le approssimazioni del caso): si chiama SWIFT J1818.0-1607 e dista 15 mila anni luce da noi. Tra le sue particolarità vi è anche la rotazione più rapida per una magnetar, riportata in un giro ogni 1.36 secondi, nonché il fatto di emettere pulsazioni anche in banda radio, appartenendo così a una ristretta popolazione formata da sei componenti. Il campo magnetico è 70 miliardi di volte più intenso di quello terrestre (Astrophysical Journal Letters - “A very young radio-loud magnetar” - P. Esposito). Questa magnetar è stata scoperta il 12 marzo 2020 dal telescopio spaziale Swift. Gli impulsi della magnetar diventano molto più deboli man mano che si passa a frequenze radio più alte e, rispetto alle altre magnetar del campione, l'emissione radio è più ripida ma anche più rapida e, nel giro di due settimane appena, il corpo celeste è divenuto dieci volte più luminoso a fronte di una costanza delle altre "sorelle". Somiglianze esistono invece con una radio pulsar altamente energetica chiamata PSR J1119-6127, che ha mostrato un impulso iniziale simile a una magnetar nel 2016, con successivo aumento di luminosità e ampio spettro radio: se questo è vero, allora anche SWIFT J1818.0-1607 dovrebbe iniziare ad apparire come le altre magnetar radio osservate. J1818.0-1607 potrebbe aver iniziato la propria vita come radio pulsar ordinaria, acquisendo le proprietà rotazionali di una magnetar nel corso del tempo forse perché il campo magnetico e i poli di rotazione si allineano rapidamente se il materiale della supernova ricade sulla stella di neutroni seppellendone il campo magnetico. Questo campo magnetico potrebbe poi essere emerso di nuovo in migliaia di anni (Marcus E. Lower et al. Spectropolarimetric Properties of Swift J1818.0–1607: A 1.4 s Radio Magnetar, The Astrophysical Journal - 2020). Il fatto di legare una emissione radio a una magnetar era ritenuto molto difficile e l'oggetto - insieme ad altri osservati con le stesse proprietà - si pone quindi a metà tra magnetar e stella di neutroni, così come l'oggetto SWIFT J1818.0-1607, scoperto il 12 marzo 2020 dal Burst Alert Telescope a bordo del Neils Gehrels Swift Observatory e seguito in follow-up da NICER a bordo della ISS. Questa "magnetar" ha una pulsazione ogni 1.36 secondi (il periodo più breve noto alla data) con una rotazione in rallentamento, a indicare emissioni alimentate dalla rotazione (processo tipico delle stelle di neutroni in generale) anche se il campo magnetico di 2.7x1014 Gauss indica l'appartenenza alle magnetar, con una età decisamente giovane. L'oggetti è quindi un link tra magnetar e stelle di neutroni (Chin-Ping Hu et al. NICER Observation of the Temporal and Spectral Evolution of Swift J1818.0−1607: A Missing Link between Magnetars and Rotation-powered Pulsars, The Astrophysical Journal - 2020).
Il 15 aprile 2020 lo strumento ASIM (Atmosphere-Space Interactions Monitor) a bordo della ISS ha registrato, alle ore 08:48:05 italiane, un segnale molto intenso proveniente dalla galassia NGC 253 posta a dieci miliardi di anni luce da noi. Si è trattato di un flare gigante prodotto da una magnetar, che in un sesto di secondo ha rilasciato una energia pari a quella irradiata dal Sole in centomila anni ma, soprattutto, ha consentito di ottenere finissimi dettagli su due oscillazioni quasi-periodiche ad alta frequenza che aggiungono tantissime informazioni alla conoscenza teorica di questi oggetti (Nature - “Very-high-frequency oscillations in the main peak of a magnetar giant flare” - A. J. Castro-Tirado et al.).
Nel 2020 un team di astronomi è riuscito a determinare la parallasse della magnetar XTE J1810-197, ottenendone la distanza. Questa misurazione, la prima per una magnetar, consente anche di calcolare accuratamente la potenza delle pulsazioni radio originate dalla stessa e se l'energia è simile a quella di un FRB allora il legame tra oggetto e fenomeno può essere ancora più ribadito (H Ding et al. A magnetar parallax, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).
Una magnetar - o presunta tale - molto particolare si fa apprezzare per il lento periodo di variabilità, accendendosi ogni 18 minuti e dieci secondi fino a diventare una delle sorgenti più potenti della galassia. Si tratta di un comportamento a oggi del tutto unico per l'oggetto battezzato Gleam-X J162759.5-523504.3, scoperto nel 2021 e calato proprio a metà tra gli oggetti a variazione lenta e quelli a variazione veloce. A indicare una possibile magnetar è anche una forte polarizzazione della radiazione osservata, tipica di un campo magnetico molto potente (Nature - “A radio transient with unusually slow periodic emission” - N. Hurley-Walker et al.).
L'emissione delle stelle di neutroni e dei buchi neri
La regione che ospita stelle di neutroni e buchi neri è permeata da un gas estremamente caldo fatto di particelle cariche e linee di campo magnetico guidate dai moti caotici del gas, il che determina vigorose riconnessioni magnetiche. Proprio grazie a questo campo indotto dalle riconnessioni e dalla turbolenza che le particelle vengono accelerate alle energie più estreme, di gran lunga superiori a quelle raggiungibili al CERN. Il moto caotico del gas turbolendo non è prevedibile con precisione ma le simulazioni ai supercomputer tentano di risolvere le equazioni che ne descrivono le caratteristiche. Calcolando la traiettoria di centinaia di miliardi di particelle cariche si ottiene una mappa del campo magnetico, il quale dice alle particelle stesse come muoversi. Proprio le simulazioni mostrano come le riconnessioni siano la chiave per la selezione delle particelle che saranno accelerate dai campi magnetici, rivelando altresì come le particelle acquisiscano una energia maggiore rimbalzando randomicamente a velocità elevatissime contro le fluttuazioni turbolente. Quando il campo magnetico è forte, l'accelerazione è molto rapida ma i campi forti forzano anche le particelle a viaggiare in percorsi curvi, emettendo radiazione elettromagnetica. Proprio questa è la radiazione emessa dalle zone circostanti i buchi neri e le stelle di neutroni, fenomeno osservabile da Terra (Luca Comisso et al, The Interplay of Magnetically Dominated Turbulence and Magnetic Reconnection in Producing Nonthermal Particles, The Astrophysical Journal - 2019).
Stelle di neutroni particolari
Negli anni Novanta sono state identificate sette stelle di neutroni la cui emissione a raggi X era di pura origine termica, derivante quindi dal graduale raffreddamento. Questi sette oggetti sono stati battezzati "i magnifici sette" e tra questi un astro in particolare venne battezzato "Calvera", come un protagonista di un film western. Rispetto alle altre sei sorelle, Calvera apparve subito più giovane con appena trecentomila anni contro il milione di anni delle altre. Anomala risultò anche la posizione: in direzione dell'Orsa Minore e quindi esterna al piano galattico ma appartenente all'alone. Oggi sappiamo che questa stella è anche molto più distante di quanto calcolato in origine: almeno diecimila anni luce. La sua origine potrebbe risiedere nell'esplosione di una stella in fuga dalla galassia (massive runaway star) ma anche nel collasso di una nana bianca di alone dovuto all'accrescimento ai danni di una compagna (The Astrophysical Journal - “NICER study of pulsed thermal X-rays from Calvera: a neutron star born in the Galactic halo?” - S. Mereghetti et al)
Ultimo aggiornamento del: 29/01/2022 18:04:34
Il caso di SN 2016iet
Anni di osservazioni di follow-up su una supernova scoperta nel 2016 mostrano una nuova categoria di esplosione, una supernova che potrebbe distruggere totalmente la stella progenitrice senza lasciar nulla. Una supernova atipica sotto ogni aspetto.
Immagine di SN2016iet e della sua galassia ospite. Crediti Gemini
Una nuova tipologia di supernova potrebbe derivare dall'osservazione di SN 2016iet e potrebbe contenere importanti indicazioni sul modo di morire delle primissime stelle dell'universo. Questa supernova appare atipica sotto ogni punto di vista la si voglia osservare, a partire dal fatto che non esistono resti della stella progenitrice: né stella di neutroni né buco nero . I dati sono di Gaia, satellite ESA, e riguardano osservazioni che il 14 novembre 2016 fecero risaltare la supernova battezzata SN 2016iet. Dopo tre anni di follow-up ottenuto con il Gemini North e altri spettrografi e telescopi, i dati sembrano parlar chiaro. Risulta una debolissima emissione di idrogeno nella posizione della supernova, a testimonianza di una posizione isolata e di un tasso di formazione stellare molto ridotto nella zona, un ambiente decisamente insolito per una stella la cui massa iniziale è stimata in 200 masse solari. A rendere questa supernova unica è anche la durata estremamente lunga, l'energia straordinariamente alta e la chimica del tutto anomala. Le duecento masse solari stimate rendono questa stella del tutto simile a quanto stimato per le primissime stelle dell'universo il che, unitamente alla formazione in galassie quasi prive di metalli, riporta ai modelli di supernova a instabilità di coppia materia-antimateria, modelli creati proprio per spiegare la morte delle stelle primordiali. La supernova è esplosa a un miliardo di anni luce di distanza in una galassia nana ma posta a ben 54.000 anni luce di distanza dal centro della galassia ospite, una posizione del tutto inspiegabile rapportandola alla massa raggiunta. Nei nostri dintorni stelle di grande massa nascono soltanto in ambienti molto densi. Per spiegare l'estrema luminosità e durata dell'esplosione si ritiene come la perdita di massa da parte della stella sia avvenuta alla velocità di tre masse solari all'anno per almeno un decennio prima della detonazione finale. L'esplosione si è poi scontrata con il materiale espulso generando l'emissione osservata. La distanza dal centro fa sì che l'evento sia osservabile per un tempo molto lungo senza confusione con l'emissione del centro galattico di appartenenza. Si tratta del primo esempio, probabile, di supernova a instabilità di coppia, qualcosa teorizzato da decenni ma finora mai osservato (Sebastian Gomez et al. - "SN 2016iet: The Pulsational or Pair Instability Explosion of a Low-metallicity Massive CO Core Embedded in a Dense Hydrogen-poor Circumstellar Medium", The Astrophysical Journal - 2019).
Ultimo aggiornamento del: 29/06/2021 15:19:56