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Gli insiemi di stelle dagli ammassi aperti alle associazioni

Le stelle possono essere raggruppate in base alla composizione chimica in popolazioni ma in genere tendono a raggrupparsi da sole grazie alla gravità in sistemi binari o multipli, in ammassi aperti o in ammassi globulari. Guida agli insiemi di stelle, alle associazioni e alle popolazioni stellari.

Gli ammassi globulari

Tra gli oggetti più misteriosi dell'intero universo, gli ammassi globulari sono gigantesche sfere di stelle caratterizzati da una densità elevatissima. L'origine di questi ammassi è ancora oggetto di indagine.

Gli ammassi globulari o ammassi chiusi, come contrapposizione agli ammassi aperti, sono insiemi di stelle, in numero di decine di migliaia, racchiuse in una forma pressoché sferica che va dai 60 ai 300 anni luce di diametro, con una concentrazione molto elevata verso il centro. In genere si trovano in orbita intorno al centro galattico, nella zona chiamata alone.

La storia

Tra gli oggetti che maggiormente fecero dannare Charles Messier nella sua caccia alle comete gli ammassi globulari ebbero sicuramente un ruolo di spicco se è vero che molto spesso, in presenza di un oggetto di questo tipo, lo stesso astronomo francese scrisse frasi tipo “nebuleuses sans etoiles” oppure “ne contient aucune etoiles”. Con gli strumenti dell'epoca, quindi, questi oggetti totalmente densi risultavano addirittura privi di stelle.  Al suo rifrattore da 6 o 7 centimetri di apertura, con i bassi ingrandimenti che poteva sfruttare, questi oggetti si presentavano quasi tutti come macchioline sfocate, dalla forma pressoché circolare. In pratica, davvero molto simili a una cometa . Soltanto per M4 nello Scorpione l'astronomo francese riuscì a captare la natura granulare della sfera, parlando finalmente di “ammasso di stelline molto piccole”.

Ammasso globulare M 13 in Ercole. Crediti Martin Pugh.
Ammasso globulare M 13 in Ercole. Crediti Martin Pugh.

Con il miglioramento della strumentazione gli astronomi hanno potuto osservare questi oggetti notando sempre più dettagli, fino a giungere alla loro caratterizzazione. In realtà, ancor prima di M4, il primo ammasso globulare di cui si ha notizia scritta è M22, nella costellazione del Sagittario. La scoperta sembra fatta risalire al 1665 ad opera del tedesco Johann Abraham Ihle, ma gli strumenti dell'epoca non mostrarono alcuna distinzione tra le singole stelle. La prima vera campagna osservativa di questi oggetti è stata operata da William Herschel nel 1782: proprio durante questa survey l'astronomo riuscì a risolvere i 33 ammassi globulari fino ad allora conosciuti e a scoprirne altri 37.

A quanto pare fu proprio Herschel ad usare per primo il termine ammasso globulare, prendendo spunto dal latino che indica con il termine globus proprio una forma sferica. Da allora il numero degli ammassi globulari è sempre andato crescendo: 83 nel 1915, 93 nel 1930 e 97 nel 1947 fino ai 158 presenti a oggi nel catalogo di William E. Harris della McMaster University, anche se si ritiene che possano essercene altri dieci o quindici nascosti alla nostra vista dalle nubi che avvolgono il centro galattico nella costellazione del Sagittario e del vicino Scorpione.

Proprio dalla localizzazione degli ammassi globulari intorno al centro galattico, Harlow Shapley nel 1914 iniziò una serie di studi che lo portò a pubblicare ben 40 articoli scientifici nell'ambito dei quali esaminò le variabili cefeidi presenti in queste sfere di luce utilizzandone le note proprietà per stimare la distanza di questi oggetti e di conseguenza la dimensione della Via Lattea , partendo dalla ipotesi per la quale gli ammassi globulari siano disposti in forma pressoché sferica intorno al centro. I suoi risultati risentirono tuttavia di un fenomeno allora sottostimato quale l'estinzione  stellare dovuta alla presenza di polveri nel piano galattico: proprio queste polveri attenuavano la luce stellare delle Cefeidi portando a sovrastimare la distanza delle stelle stesse e quindi di tutto l'ammasso. Tutti gli ammassi globulari galattici sono piuttosto piuttosto distanti dal Sole, basti pensare che il più vicino a noi è proprio M4 con una distanza di 10 mila anni luce. Proprio questa distanza fa sì che tra noi e gli ammassi globulari esista una notevole quantità di polvere interstellare in grado di affievolire la luce stellare e renderne la distanza apparente maggiore di quanto non sia in realtà. Questo errore si ripercuote anche sulla stima dell'età: un'incertezza del 10% nella stima della distanza provoca infatti  un errore di circa il 20% nella stima dell'età.

Localizzazione e formazione degli ammassi globulari

Centocinquantotto oggetti non è un numero elevato, non è una cifra “astronomica” come quelle che siamo abituati a pensare parlando di universo. In realtà ci sono galassie a noi vicine che ne contano molti di più. La Galassia di Andromeda, M31, ne dovrebbe contare circa cinquecento mentre nella galassia M87 dovrebbero essercene addirittura più o meno diecimila. Una caratteristica fondamentale degli ammassi globulari è data dalla loro posizione all'interno delle galassie che li ospitano: si tratta infatti di oggetti satellite del centro galattico, di oggetti che in pratica sono in orbita più o meno stretta intorno al centro delle galassie. Dei 158 oggetti della nostra Via Lattea, infatti, risulta che ben 79 sono visibili nelle costellazioni di Sagittario, Scorpione e Ofiuco, in prossimità di SgrA*.

La posizione degli ammassi globulari nell'alone galattico
La posizione degli ammassi globulari nell'alone galattico

Abbiamo detto che la grande galassia  M87 possiede migliaia di ammassi globulari e sappiamo che altre galassie di queste dimensioni viaggiano su numeri simili a quelli di M87. Galassie piccole, invece, sembrano avere un numero molto più ridotto se non assenza di ammassi globulari. Sembra un dato importante per cercare di capire uno dei misteri che ancora oggi regnano nel campo dell'astronomia, cioè la modalità di formazione di questi oggetti. Uno spunto di ricerca si è avuto nel 2008, quando un gruppo internazionale di astronomi ha pubblicato su Astrophysical Journal un articolo riguardante proprio la formazione degli ammassi globulari partendo dall'esame di quelli extra-galattici. Grazie al telescopio spaziale Hubble, infatti, gli astronomi sono stati in grado di identificare 11.000 ammassi globulari in un centinaio di galassie esterne alla nostra, tutte appartenenti all'ammasso della Vergine. I dati hanno portato ad osservare la presenza di ammassi globulari in galassie nane fino a 3 milioni di anni luce dal centro dell'ammasso galattico della Vergine, del quale fa parte la famosa M87. Sembrerebbe quindi che lo sviluppo e la presenza di ammassi globulari possa dipendere essenzialmente dall'ambiente: le galassie nane nei pressi del centro dell'ammasso della Vergine contengono più ammassi globulari rispetto a quanti ne contengano le galassie nane simili ma più lontane.

Terzan 7. Crediti Hubble Space Telescope/ESA/NASA
Terzan 7, un ammasso globulare acquisito dalla Via Lattea. Crediti Hubble Space Telescope/ESA/NASA

Si è sempre ritenuto che le migliaia di ammassi di M87 avessero una origine sconosciuta e si è sempre pensato che questi ammassi potessero essere stati strappati da galassie più piccole che si sono avvicinate troppo a M87. Ad avvalorare questa tesi è venuto incontro un altro dato: nelle galassie nel raggio di 130.000 anni luce da M87 sono stati trovati pochissimi o nessun ammasso globulare, ad indicare come questa galassia gigante possa davvero aver portato via gli ammassi dalle galassie più piccole. In più, in M87 ci sono ammassi globulari carenti di elementi pesanti come il ferro in numero superiore di ben tre volte rispetto alla media, il che porta a pensare come molti di questi ammassi siano originati dalle vicine galassie nane, solitamente povere di elementi pesanti. La galassia gigante M87 si trova al centro di una vasta concentrazione di materia oscura , in grado di rendere più efficiente il processo di formazione stellare, e tutti gli ammassi globulari prossimi al centro si sono probabilmente formati presto nella storia dell'ammasso della Vergine. Una prova dell'acquisizione di globulari da parte delle grandi galassie ai danni delle minori è offerta dalla Galassia Nana Ellittica del Sagittario e da quella del Cane Maggiore, entrambe in collisione con la Via Lattea e in fase di "donazione" dei proprio globulari. In particolare la Galassia del Sagittario potrebbe essere la casa di origine del globulare noto come Terzan 7, le cui stelle appaiono di una singola generazione e con una età di circa 8 miliardi di anni. Una età che al tempo della scoperta poteva apparire troppo giovane ma che con le revisioni delle stime può andar sicuramente bene. Finora si è fatto l'esempio di M87 ma in realtà i globulari sono presenti a migliaia intorno a molte delle galassie più massive che occupano la zona centrale di un ammasso galattico e molti di questi sembrano aver avuto origine negli ultimi miliardi di anni a partire dal gas freddo della galassia gigante di appartenenza, come osservato per l'ammasso del Perseo. Gli ammassi più giovani sarebbero quindi legati tra loro e appartenenti a una rete di gas freddo che si estende fino ai confini della galassia gigante: il gas freddo precipita concentrandosi verso il centro, creando questi oggetti. Una volta formatisi, questi piccoli ammassi globulari piovono verso l'interno della galassia, un fenomeno che nel tempo dovrebbe far aumentare la luminosità galattica (Jeremy Lim et al, Sustained formation of progenitor globular clusters in a giant elliptical galaxyNature Astronomy - 2019).

Si è sempre ritenuto - seppur come mera ipotesi - che la formazione degli ammassi globulari potesse essere facilitata, o addirittura potesse richiedere - una quantità minima di metalli ma una simile possibilità viene eliminata dalla scoperta del Phoenix Stream, un flusso di stelle con un contenuto di metalli davvero minimo e la cui formazione, quindi, risale a un universo davvero primordiale. Si tratta di un ex-ammasso globulare andato distrutto circa 2 miliardi di anni fa a causa delle forze mareali della Via Lattea, quanto basta - però - per capire come gli ammassi globulari possano nascere anche in condizioni primordiali (The tidal remnant of an unusually metal-poor globular clusterNature - 2020).  Crediti video: Sebastian Zentilomo, the University of Sydney

 

Diagramma HR e età degli ammassi globulari

Il diagramma HR pone in relazione la magnitudine  apparente sull'asse verticale con la temperatura  (o indice di colore o classe spettrale ) delle stelle che compongono l'ammasso in esame. In un diagramma stellare che non sia quello di un ammasso globulare, molte delle stelle viaggiano su una stessa retta definita di sequenza principale , caratterizzata da una proporzionalità tra magnitudine e temperatura. Le stelle di un ammasso globulare sono poste tutte alla stessa distanza dalla Terra, quindi la differenza tra la magnitudine assoluta e quella apparente sarà costante: le stelle dell'ammasso che appartengono alla sequenza principale sono distribuite lungo una linea esattamente come quelle delle stelle singole e più vicine al Sole. Mentre le stelle vicine al Sole si dispongono nel diagramma in modo abbastanza diversificato, fatta salva la maggior presenza lungo la sequenza principale, le stelle di un ammasso si trovano quasi tutte lungo una curva ben definita, caratteristica di stelle che si sono formate tutte in una stessa epoca a partire dalla stessa nebulosa di origine. L'unica differenza a quel punto è data dalla massa iniziale delle stelle.

Diagramma HR dell'ammasso globulare M3
Diagramma HR dell'ammasso globulare M3

La forma della curva varia al variare dell'età dell'ammasso, quindi proprio da questa analisi è possibile risalire all'età dell'ammasso intero. Nell'immagine è evidenziato il diagramma HR dell'ammasso M3: le stelle più massicce in fase di sequenza principale sono quelle che hanno la luminosità maggiore e saranno le prime ad evolvere nella fase di gigante, dove smettono di trasformare idrogeno in elio ed iniziano a bruciare le scorte di elio nel nucleo e di idrogeno negli strati più esterni. Con l'avanzare dell'età, anche le stelle più piccole iniziano a convergere verso la fase di gigante. Una curva di sequenza principale andrebbe dall'angolo in basso a destra all'angolo in alto a sinistra, invece il diagramma mostra una curva netta intorno a magnitudine 19. Gli ammassi più giovani avrebbero una curva a magnitudini maggiori (quindi più in alto), mentre in tal caso le stelle con magnitudine dalla 12 alla 18 sono già “deviate” verso la fase di gigante. Nell'ammasso M3 sono le stelle di magnitudine 19 che ora stanno passando in fase di gigante, mentre tra tantissimi anni, dal nostro punto di vista, inizieranno a deviare anche le stelle a magnitudine 20.

Da questa analisi e dalla temperatura di nane bianche trovate all'interno degli ammassi risulta evidente, quindi, come gli ammassi globulari siano oggetti molto antichi. In media l'età degli ammassi globulari è sempre stata stimata intorno ai 12,7 miliardi di anni, quindi un numero molto vicino a quello che esprime l'età dell'intero universo. Con stime poco accurate, gli astronomi si sono trovati spesso di fronte a risultati che parlavano di 30 miliardi di anni di età, quindi addirittura superiore a quella dell'universo, e proprio da questo si compresero gli errori compiuti nel processo di stima. Soltanto nel 2018 il valore intorno ai 13 miliardi di anni è stato messo in discussione: uno studio basato sui sistemi binari interni agli ammassi globulari ha portato infatti alla elaborazione del Binary Population and Spectral Synthetis (BPASS). L'evoluzione di questi sistemi binari interni e l'interazione tra le componenti ha portato a una stima di età ben inferiore, pari a circa 9 miliardi di anni.

Blue stragglers. Crediti Wikipedia
Blue stragglers. Crediti Wikipedia

A lungo alcune componenti degli ammassi globulari hanno fatto pensare alla presenza di stelle ben più giovani insieme alle stelle più antiche. Non poche osservazioni, infatti, hanno evidenziato la presenza di stelle giganti azzurre, tipicamente molto recenti. Questo vorrebbe dire che deve esserci abbastanza mezzo interstellare tra le componenti dell'ammasso da consentire la nascita di una nuova stella molto massiccia, ma questo mezzo interstellare non c'è. Così come risulta strana la nascita di una sola stella "vagabonda". Queste stelle vengono chiamate proprio blue stragglers (vagabonde azzurre) e in realtà non si tratta affatto di stelle neonate bensì di stelle ringiovanite. I processi di ringiovanimento sono essenzialmente due. 

  • collisione di due stelle di massa medio-piccola che uniscono le loro masse (e quindi i loro combustibili) a formare una stella unica di massa superiore e di calore superiore, dalla tonalità azzurra. 
  • interazioni mareali in sistemi binari di compagne di massa medio-piccola: in questi sistemi la stella con massa maggiore cannibalizza la sua compagna aspirandone materiale, del quale si accresce. In tali casi la stella maggiore accresce dimensione e calore fino a diventare una stella azzurra. 

Alcune di queste, infine, sono vere e proprie vagabonde dal momento che la botta presa, evidentemente al momento della collisione, fornisce alla stella nascente una velocità tale da spedirla al di fuori della galassia di origine.
Questo tipo di stelle è in realtà noto fin dagli anni Cinquanta, ma sul loro modo di nascere ci sono ancora titubanze e dubbi. Non si tratta, tuttavia, degli unici oggetti esotici che possono essere trovati all'interno degli ammassi globulari dal momento che sono state rintracciate pulsar al millisecondo, sistemi binari emittenti nello spettro X e qualche evidenza indiretta è presente anche in tema di buchi neri di taglia intermedia (IMBH - Intermediate Mass Black Hole).

La stima dell'età di un ammasso globulare è comunque sempre stata legata all'effetto di segregazione centrale, per il quale le stelle più massive tendono con il tempo a scivolare verso le zone centrali. Ammassi con un nucleo più denso, quindi, sono sempre stati associati a una età più avanzata. Questo è in effetti legato al concetto di età cronologica ma l'analisi di blue stragglers in cinque ammassi coevi ma strutturalmente differenti della Grande Nube di Magellano ha mostrato un concetto differente, quello di evoluzione dinamica, dipendente cioè dalle interazioni gravitazionali tra le componenti. La differenza tra le condensazioni centrali di ammassi coevi si spiega, quindi, con le diverse dinamiche, il che è abbastanza intuitivo. La Grande Nube è in possesso di ammassi giovani con nucleo compatto e di sistemi più antichi con nuclei di svariate dimensioni. L'invecchiamento dinamico fa sì che le stelle più  massive sprofondino verso il centro con l'aumentare dell'età (segregazione centrale) e le blue stragglers sono proprio tra queste stelle, rappresentando - con la loro luminosità - degli ottimi markers di età dinamica. Se ammassi uguali hanno nuclei diversi, quindi, quelli a maggior invecchiamento dinamico sono quelli con il nucleo più denso (Nature Astronomy - “Size diversity of old Large Magellanic Cloud clusters as determined by internal dynamical evolution”, - F.R. Ferraro et al.). La segregazione di massa è stata poi indagata nel 2021 su un campione di 35 globulari tramite i dati fotometrici di Hubble Space Telescope, verificando come la gran parte degli ammassi risulti effettivamente soggetta al processo, ma non tutti. Si ritiene che la presenza di un buco nero centrale di massa intermedia possa spegnere la segregazione di massa visto che le stelle in avvicinamento riescono a ottenere energia cinematica dall'incontro con il buco nero, accelerando di conseguenza. In questo modo, un ammasso con un nucleo più grande tende a essere meno segregato degli altri (Wenbo Wu et al. Mass Segregation as a New Indicator of Binary, IMBH, and Stellar-mass Black Hole Systems in Globular ClustersThe Astrophysical Journal - 2021). 

Composizione degli ammassi globulari

Le stelle di un ammasso globulare, come detto, sono molto antiche ed a lungo si è pensato che dovessero appartenere ad una unica popolazione stellare. Data l'età molto antica degli ammassi globulari, la maggior parte delle stelle che ne fanno parte dovrebbero essere stelle di Popolazione III (molto raro a dire il vero) o, più facilmente, II. Negli ammassi globulari più grandi, tuttavia, sembrano coesistere diverse popolazioni stellari: è il caso di Omega Centauri ad esempio, che tuttavia sembra essere più il nucleo di una galassia nana spogliato degli strati più esterni piuttosto che un ammasso globulare propriamente detto. Non si tratta dell'unico caso: alla fine del 2007 è stato notata nell'ammasso globulare NGC 2808 la presenza di almeno tre differenti generazioni di stelle, e questa è stata una notizia a dir poco esaltante per il mondo astronomico. Il 2019 ha portato alla ribalta anche il globulare Hodge 6, caratterizzato da più popolazioni stellari nonostante una età di appena 2 miliardi di anni. Le generazioni di stelle si differenziano per le righe presenti nello spettro elettromagnetico , indicanti la presenza di elementi chimici anziché altri, e l'analisi comparativa ha portato ad evidenziare una differente composizione chimica. Sembrerebbe, quindi, che gli ammassi più massicci riescano a conservare una certa quantità di gas che viene arricchito dalle emissioni di venti stellari delle esistenti giganti rosse. Prima o poi questo serbatoio di gas si arresta, ma le stelle che possono ancora beneficiarne nascono da una nebulosa che si differenzia proprio per i materiali espulsi dalle giganti rosse. Lo studio, effettuato sugli ammassi della nostra Galassia, è stato esteso agli ammassi globulari della Grande Nube di Magellano ottenendo gli stessi risultati, a testimonianza - se ce ne fosse ancora bisogno - che viviamo in una parte di spazio esattamente uguale a tante altre. Un'altra soluzione potrebbe essere meno affascinante: neanche NGC 2808 e gli altri ammassi oggetto di studio sono ammassi globulari ma, magari come Omega Centauri, il nucleo di galassie spogliate del loro alone stellare.

Oggi, comunque, gli ammassi globulari sono considerati come dei laboratori perfetti per lo studio di diverse popolazioni stellari e delle evoluzioni chimiche e proprio per questo vengono tenuti costantemente sotto osservazione. Tramite HIRES installato sul Keck I e tramite UVES installato sul VLT (Very Large Telescope) è stato possibile analizzare lo spettro di undici globulari in NGC 147, NGC 6822 e Messier 33, galassie del Gruppo Locale , ottenendo dettagli interessanti in tema di abbondanze chimiche. Una fonte di gas per la produzione di nuove generazioni stellari potrebbe provenire, ad esempio, dal moto dell'ammasso nella galassia e quindi nell'attraversamento di banchi di gas dai quali attingere. Il processo è stato studiato nel 2014 dal Kavli Institute for Astronomy and Astrophysics (KIAA) ed è stato avallato da osservazioni del telescopio spaziale Hubble negli ammassi NGC 1783 e NGC 1696 nella Grande Nube di Magellano e NGC 411 nella Piccola Nube di Magellano: sono state riscontrate età iniziali di circa un miliardo e mezzo con ulteriori covate stellari datate 890 e 450 milioni di anni fa. Sicuramente la soluzione finale prevedrà un mix tra sorgenti interne e sorgenti esterne, ma si tratta della prima volta in cui la tesi dell'acquisizione di gas viene comprovata dalle osservazioni.  

In generale i globulari di galassie nane tendono a essere poveri di metalli, rispetto ai globulari posti nell'alone della Via Lattea o di galassie comunque più grandi, tuttavia si enfatizza come nessun globulare con metallicità (Fe/H) sotto -2.5 sia ad oggi mai stato trovato, in nessun tipo di galassia. Lo studio rivela come i tassi di abbondanze di alpha-elementi rispetto al ferro si comportino diversamente in funzione della metallicità nelle galassie nane e in Messier 33: gli ammassi poveri di metalli nelle galassie nane hanno tassi simili a quello del Sole mentre in Messier 33 gli ammassi restano alpha-potenziati. In Messier 33, poi, gli alpha-elementi seguono dei patterns simili a quelli osservati in ammassi globulari della nostra Galassia, il che lascia assumere che l'alone di Messier 33 sia stato sottoposto a un arricchimento chimico relativamente rapido, dominato dalle supernovae Type II. 
A basse metallicità, i pattern di abbondanza portano alla conclusione che gli ammassi globulari della Galassia, delle galassie nane e di M33 abbiano sperimentato arricchimenti simili o processi simili. 

Le stelle degli ammassi globulari sono composte di materiale che differisce dalle altre stelle della Via Lattea e questo, da mezzo secolo, è sempre stato un mistero soprattutto perché gli elementi chimici differenti richiedono temperature dieci volte superiori a quelle delle stelle stesse, quindi devono avere origini diverse. Un nuovo attore potrebbe essere rappresentato da stelle supermassicce, con masse decine di migliaia di volte superiori a quella solare e formatesi all'inizio della vita degli ammassi globulari, quando gli ammassi stessi erano pieni di gas denso per la formazione stellare. Quando le stelle si formano, acquisiscono massa e diventano sempre più grandi e questo, in un ambiente denso come gli ammassi globulari, può portare a continue collisioni tra protostelle fino alla formazione di stelle supermassicce, in grado di produrre gli elementi riscontrati. Per testare la teoria occorrono osservazioni prolungate da parte dei grandi telescopi in proto-ammassi globulari, quindi occorre guardare lontano, agli albori dell'universo.

All'interno degli ammassi globulari sono anche presenti buchi neri, alcuni forse di massa intermedia. Un esempio è dato da NGC 3201 nella Vela, stato osservato dallo strumento MUSE installato sul Very Large Telescope dell'ESO: i dati hanno evidenziato la presenza di una stella il cui movimento sembra determinato in modo periodico (167 giorni) dalla presenza di un buco nero di massa pari a circa 4.36 masse solari. Si è trattato del primo buco nero osservato in un globulare attraverso l'espressione diretta della gravità e non dalla fase di acquisizione e riscaldamento di materiale, e quindi dall'emissione X. La stella ha massa di circa 0.8 masse solari. Gli ammassi globulari possono essere, teoricamente, la sede di molti buchi neri di massa stellare vista la loro densità e la loro età.

Per quanto riguarda i buchi neri di massa intermedia, oggetto di studio è spesso 47 Tucanae. A tal fine il metodo utilizzato è duplice: da un lato è stato osservato il moto generale di tutte le stelle dell'ammasso, soprattutto quelle più esterne visto che la presenza di un buco nero intermedio nel centro avrebbe l'effetto di velocizzarne l'orbita  e di renderla più ampia; dall'altro sono state osservate pulsar a distanze troppo ampie rispetto a una configurazione priva di buco nero. Dai due fattori e dalle simulazioni è emersa la presenza di un candidato buco nero di 2200 masse solari. Un altro candidato a buco nero intermedio, con possibilità molto alte, si trova nella Via Lattea: la prova verrebbe dal comportamento anomalo di un ammasso di gas scoperto nel 2016 e chiamato CO-0.40-0.22. Parte del gas si muove a velocità diversa da quella del gas restante, cosa che ha fatto pensare alla presenza di un oggetto che, dati alla mano, potrebbe benissimo essere un raro buco nero di massa intermedia. 

In genere le stelle più massive tendono a sprofondare verso la parte centrale dell'ammasso globulare in un processo chiamato segregazione di massa. La luminosità di questi oggetti aumenta man mano che ci si sposta verso il nucleo fino ad annullarsi a circa 1 o 2 parsec di distanza del centro. Molti degli ammassi noti, tuttavia, hanno subito un processo noto come collasso del nucleo e ammassi di questo tipo presentano, invece, una forte luminosità centrale. Il processo di segregazione di massa dovrebbe derivare dall'incontro tra stelle massicce e stelle minori, incontro che toglie energia cinetica alla stella più grande che, quindi, sprofonda verso la zona centrale. Al pari, la perdita di massa fa migrare le stelle verso l'esterno e la prova osservativa viene da Hubble Space Telescope: HST ha osservato una struttura particolare all'interno dell'ammasso globulare 47 Tucanae con le nane bianche disposte quasi in anelli concentrici, con le più giovani presenti in zone più strette intorno al nucleo e le più anziane giunte ormai quasi in periferia. 

Ammasso globulare 47 Tucanae ripreso da Hubble Space Telescope. Crediti HST/ESA/NASA
Ammasso globulare 47 Tucanae ripreso da Hubble Space Telescope. Crediti HST/ESA/NASA

Come già accennato, la densità delle stelle in un ammasso globulare è molto elevata. La distanza media tra le stelle di una galassia è di circa 7 anni luce, che negli ammassi aperti si riduce a circa 2 anni luce. Negli ammassi globulari, invece, la distanza media tra le stelle è di appena sei mesi luce, quindi circa un ottavo della distanza che ci separa dalla stella a noi più vicina, Proxima Centauri. Un simile contesto non è certo il massimo per lo sviluppo di sistemi planetari dal momento che le orbite di eventuali pianeti sarebbero molto instabili. Ciò nonostante, sembra che intorno ad una pulsar all'interno di M4 sia stato trovato un sistema planetario . Si tratterebbe però di un caso raro, secondo uno studio del 2018 basato sulle stelle di 47 Tucanae: lo studio è partito da 470 mila stelle presenti nel nucleo dell'ammasso, isolando 350 mila astri il cui colore - indice di temperatura ed età - poteva risultare interessante ai fini biologici. Per ciascuna stella è stata poi calcolata la fascia di abitabilità, risultata molto vicina alla stella madre. Tutto sembrerebbe giocare a favore di un numero impressionante di sistemi planetari compatti, ma in realtà lo studio sostiene come questi non possano esistere in un ambiente come il nucleo dell'ammasso visto che la distanza media tra le stelle è di appena 0.16 anni luce, con incontri tra stelle vicine molto frequenti, stimati in uno ogni milione di anni.

Il problema della dicotomia di rotazione

Per circa ottanta anni si è pensato che all'interno dei globulari i periodi di rotazione delle stelle variabili RR Lyrae andassero inspiegabilmente a distinguersi intorno a due soli valori, senza una motivazione logica né tantomeno fisica. Si trattava di un falso problema visto che con il miglioramento dei dati ottenuto tramite Data Release 2 (DR2) di Gaia, satellite ESA, è stato possibile osservare come questa dicotomia non esista.

La dicotomia fu avanzata da Pieter Oosterhoff (da qui il nome dicotomia di Oosterhoff) alla fine degli anni Trenta del secolo scorso,  con la distinzione tra gruppo OoI con periodo medio di 0.56 giorni e gruppo OoII con periodo di 0.66 giorni. Come detto, per ottanta anni questa dicotomia sembrava avvalorata dalle osservazioni pur in assenza di logica. Data anche l'importanza cosmologica delle RR Lyrae, utilizzate come candele standard, iil mistero ha assunto nel tempo sempre più rilevanza. Lo studio del 2019, tuttavia, abbraccia un campione di più di 150 mila stelle con misura spettroscopica per tremila di queste. Dai risultati è emersa una linearità tra periodo di pulsazione e metallicità, con continuità nella distribuzione dei periodi. Probabilmente la dicotomia apparente è da imputare al fatto che gran parte dei globulari di media merallicità non contiene RR Lyrae (The Astrophysical Journal “On the use of field RR Lyrae as Galactic probes: I. The Oosterhoff dichotomy based on fundamental variables” - M. Fabrizio et al.)

Classificazione degli ammassi globulari

Una volta visto cosa sono gli ammassi globulari, la loro età e la loro composizione, non resta che classificarli.

Una prima classificazione distingue in base al contenuto di metallicità dell'ammasso, quindi alla presenza di materiali più pesanti di idrogeno ed elio. Si è detto che gli ammassi globulari hanno prevalenza di stelle di popolazione II, con bassa metallicità. L'astronomo olandese Pieter Oosterhoff distinse due popolazioni di ammassi globulari, oggi note come gruppi di Oosterhoff. I membri del tipo I presentano righe più marcate di elementi metallici rispetto ai membri del tipo II, quindi si parla anche di ammassi ricchi in metalli e di ammassi poveri in metalli. Si tratta di gruppi simili per età ma diversi per composizione. Queste diversità nascono forse dalla storia delle galassie che li ospitano in termini di fusioni, interazioni e tassi di formazione stellare.

Una seconda classificazione, più utilizzata nei cataloghi, è dovuta al già visto Shapley: tra il 1927 ed il 1929 l'astronomo catalogò gli ammassi globulari in base al grado di concentrazione rispetto al nucleo, assegnando un numero romano per ciascuna delle dodici classi individuate. Gli ammassi di Classe I sono quelli più concentrati mentre quelli di Classe XII sono quelli meno concentrati.

Ultimo aggiornamento del: 13/03/2021 20:51:23

Gli ammassi aperti

Le stelle nascono a gruppi e questi gruppi vengono chiamati ammassi aperti. Rappresentano una delle categorie di oggetti celesti più belle e il loro studio è fondamentale per la comprensione della nascita e dell'evoluzione stellare.

Gli ammassi aperti sono insiemi di giovani stelle (da una dozzina a centinaia di membri) legate dalle rispettive forze di gravità e caratterizzate tendenzialmente dalla stessa età, relativamente giovane perché di fresca formazione avvenuta a partire dalla stessa nebulosa.

L'insieme di stelle è solitamente poco popolato e di forma irregolare e le dimensioni occupate sono solitamente inferiori ai 300 anni luce, senza concentrazione centrale.

Pleiadi, M45 nel Toro. Crediti Elisa Cavalli
Pleiadi, M45 nel Toro. Crediti Elisa Cavalli

Gli ammassi più brillanti sono noti fin dai tempi antichi e la probabile rappresentazione delle Pleiadi nella grotta di Lascaux ne è testimonianza. Fin dal 1767 John Michell ipotizzò il legame esistente tra le stelle di un ammasso, misurando in 1 su 496.000 le probabilità che un allineamento come quello delle Pleiadi fosse casuale.

Formazione e composizione

Sappiamo già dal ciclo di vita stellare come una nebulosa in stato di quiete, ad un certo punto della propria vita, possa iniziare a collassare per svariati motivi e come da questo processo nascano le stelle. Abbiamo affrontato il discorso parlando di una singola stella ma non è possibile che da una massa di gas enorme come quella di una nube molecolare in collasso prenda origine soltanto un astro. In realtà queste nebulose sono molto meno massive di quanto non si possa ipotizzare osservandone le dimensioni: M42 in Orione, ad esempio, è talmente rarefatta che una "carota" del diametro di 2,5 centimetri presa da parte a parte risulta avere la stessa massa di una moneta da 2 euro. Nonostante questa enorme rarefazione, la massa della nebulosa è comunque davvero enorme poiché enormi ne sono le dimensioni.

Abbiamo accennato a come la nube in contrazione tenda a frammentarsi in base a fattori ancora non bene identificati (come la percentuale di metallicità, ad esempio) e a come questo processo di collasso che determina la formazione di una singola stella possa verificarsi in più punti della nube, dando vita quindi a diverse protostelle che diverranno nel futuro a diverse stelle. I punti di frammentazione e accumulo sono molto più densi rispetto alle zone circostanti e sono detti Globuli di Bok. I globuli appaiono quindi come bozzoli scuri che risaltano contro lo sfondo luminoso della nebulosa molecolare.
Laddove scorgiamo più Globuli di Bock, quindi, è in fase di nascita un ammasso aperto, conseguenza della frammentazione.

Globuli di Bok nella Nebulosa della Carena. Crediti HST/ESA/NASA
Globuli di Bok nella Nebulosa della Carena. Crediti HST/ESA/NASA

Il processo che induce una nube molecolare a frammentarsi e quindi a contrarsi in più punti è abbastanza controverso ma trae origine dai campi magnetici, che vanno a contrastare la gravità, e da proprietà contenutistiche della nube stessa. Stelle singole di dimensioni mostruose sembrano essersi invece formate nell'universo primordiale, da nubi che non si sono minimamente frammentate: si tratta di una teoria frutto di simulazioni e derivante dal tempo molto giovane in cui sono apparsi i primi metalli nell'universo. Proprio nel contenuto di metalli molti astronomi ripongono il segreto della frammentazione. 
Le ragioni delle diversità delle stelle appartenenti a vari ammassi si fondano quindi sulle diverse condizioni di partenza al momento della nascita: è la nube insterstellare che determina, infatti, sia il numero sia i tipi di stelle che avranno vita in base a parametri quali la densità, la turbolenza, la temperatura , la metallicità e il campo magnetico . Nel caso di nubi molecolari giganti (GMC, Giant Molecular Clouds) le condizioni sono ideali per la nascita di stelle giganti di classe spettrale O e B, unitamente a stelle di tipo solare. Nelle piccole nubi molecolari (SMN, Small Molecular Clouds) potranno aver luce soltanto stelle di tipo solare, non più luminose delle stelle di classe B. La differenza è data quindi dalla disponibilità di gas e polveri a disposizione delle nuove stelle. Questo vale in linea generale, visto che a dicembre 2010 uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal ha rivelato come stelle grandi possano in realtà crearsi anche in ammassi molto piccoli, rubando in pratica la maggior parte del materiale a tutte le altre stelle. Come sempre, esiste una regola ma anche le eccezioni.

L'immagine mostra la formazione stellare nell'ammasso G286.21+0.17 in un mosaico di 750 osservazioni ottenute dai dati di ALMA e 9 da HST. In viola sono rappresentate le nubi di gas molecolare, ricadute nell'ammasso a formare i nuclei densi dai quali originano le stelle. Le stelle già formate sono evidenziate dall'infrarosso di Hubble e tra queste le più massive soffiano venti che spazzano via le nubi lasciando deboli fiocchi di polvere incandescente (giallo e rosso). Crediti: Alma (Eso/Naoj/Nrao), Y. Cheng et al.; Nrao/Aui/Nsf, S. Dagnello; Nasa/Esa Hubble 
L'immagine mostra la formazione stellare nell'ammasso G286.21+0.17 in un mosaico di 750 osservazioni ottenute dai dati di ALMA e 9 da HST. In viola sono rappresentate le nubi di gas molecolare, ricadute nell'ammasso a formare i nuclei densi dai quali originano le stelle. Le stelle già formate sono evidenziate dall'infrarosso di Hubble e tra queste le più massive soffiano venti che spazzano via le nubi lasciando deboli fiocchi di polvere incandescente (giallo e rosso). Crediti: Alma (Eso/Naoj/Nrao), Y. Cheng et al.; Nrao/Aui/Nsf, S. Dagnello; Nasa/Esa Hubble 

Uno studio del D. Bi-Qing For dell'International Centre for Radio Astronomy Research (ICRAR) a Perth, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, ha osservato in infrarosso , tramite Spitzer e Herschel, diversi ammassi aperti nella Grande Nube di Magellano scoprendo che, all'interno di ciascuno di essi, ci sono una quindicina di stelle molto più giovani rispetto alle altre. Il modello di evoluzione stellare ad oggi valido parte da quanto osservato negli ammassi aperti, dando per scontato che tutte le stelle componenti abbiano stessa età e stessa composizione, e vedere che anche in un ammasso aperto esistono stelle di generazione diversa getta nel caos un po' tutta la teoria evolutiva stellare. Ad alimentare la seconda ondata di formazione stellare potrebbe esserci una causa esterna, il che rappresenterebbe una eccezione gestibile dal punto di vista teorico, ma non esiste alcun legame tra i flussi di gas in entrata dal mezzo interstellare e le posizioni delle stelle giovani. Si ritiene che queste stelle derivino dai soffi ricevuti dalle morti delle stelle generate in precedenza e dal materiale da queste espulso, il che vorrebbe dire osservare generazioni multiple in uno stesso ammasso aperto.  Per ora le osservazioni sono possibili solo in infrarosso visto che le nuove stelle sono ancora avvolte nei bozzoli di polvere e gas, ma con il tempo soffieranno via questa protezione e potranno consentire una conferma a tutta questa possibile rivoluzione.  

Da una nebulosa molecolare si formano più ammassi aperti, insiemi di stelle che condividono, quindi, la genesi. Ogni ammasso aperto può contenere migliaia di stelle e queste, provenendo dalla stessa parte di nebulosa, possiedono una stessa età (anche se questo concetto, come visto, non è poi così scontato), una stessa composizione e anche una stessa inclinazione dell'asse di rotazione .  L'osservazione che avalla questa ultima conseguenza della formazione stellare prende origine da due ammassi aperti, NGC 6791 e NGC 6819, analizzati dal punto di vista dell'asterosismologia. I due ammassi distano rispettivamente 13 mila e 7 mila anni luce da noi e sono entrambi ricchi di giganti rosse. Di queste, ne sono state studiate 48 ed è stato verificato come le oscillazioni portino a misurare uno stesso angolo di inclinazione dell'asse. Gli assi di rotazione sono quindi allineati tra di loro e la causa risale alla genesi delle stelle. Questo accade sempre? Nei casi studiati almeno la metà dell'energia cinetica della nube molecolare era di carattere rotazionale. Il momento angolare globale della nube è stato, in tal caso, trasferito alle singole stelle nate ma questo non vale per stelle meno massicce del Sole.

Inizialmente i modelli di formazione stellare imputavano alla gravità ogni responsabilità nel processo di formazione di stelle e ammassi stellari mentre osservazioni più recenti rivalutano notevolmente il ruolo del campo magnetico e delle turbolenze, fino a poter dominare il processo di creazione stesso.

Gli ammassi stellari, secondo osservazioni di SOFIA, prendono vita dalla collisione delle nubi molecolari giganti. Studiare la distribuzione e il moto del carbonio ionizzato intorno alle nubi molecolari interessate dalla formazione stellare ha consentito di rivelare la presenza di due distinte componenti di gas molecolare in collisione a velocità superiori alle 20 mila miglia orarie. Velocità e distribuzione del gas sono consistenti con un modello di simulazione di collisione tra nubi molecolari indicando come la formazione degli ammassi stellari sia conseguenza dello shock derivante dalla collisione stessa.

Non c'è, ad oggi, consenso sulla formazione degli ammassi aperti ma le osservazioni di SOFIA hanno aiutato non poco a fare un passo avanti verso la risoluzione del mistero. Ora saranno necessarie ulteriori osservazioni per verificare se quanto osservato sia un caso isolato o se lo stesso processo sia in effetti alla base della formazione degli ammassi stellari in generale.

Evoluzione stellare e ammassi aperti

Diagramma HR dell'ammasso aperto NGC 2264
Diagramma HR dell'ammasso aperto
NGC 2264

Studiando gli ammassi aperti possiamo avere evidenza del processo di formazione stellare e dell'interazione tra stelle di grande e di piccola massa. Il diagramma HR presentato fa riferimento all'ammasso aperto NGC 2264 nella costellazione dell'Unicorno: tutte le stelle di grande massa (le più calde, con una temperatura di circa 20.000 Kelvin ) hanno già raggiunto la fase di sequenza principale mentre quelle con temperatura intorno ai 10.000 K si trovano ancora in fase di formazione, sebbene nelle ultime fasi dello stage di pre-sequenza principale (le reazioni nucleari sono appena iniziate). Gli astronomi hanno comparato questo diagramma con il modello teorico ed hanno dedotto come si tratti di un ammasso veramente giovane, con una età di circa 2 milioni di anni.

Diagramma HR dell'ammasso aperto M45
Diagramma HR dell'ammasso aperto M45

Per contro, possiamo commisurare il diagramma appena visto con un diagramma relativo all'ammasso aperto più popolare, le Pleiadi (M45 nel Toro): dal confronto risulta subito evidente come l'ammasso aperto delle Pleiadi sia senza dubbio più vecchio del primo visto che molte stelle sono già in fase di sequenza principale. L'ammasso infatti dovrebbe avere circa 50 milioni di anni. Inoltre, guardando nell'area compresa tra 10.500 K ed una luminosità tra 10 e 102 luminosità solari sarà possibile vedere poche stelle che non sembrano appartenere alla sequenza principale: non si tratta di stelle che si stanno ancora formando ma di stelle molto massicce che hanno già abbandonato la fase di sequenza principale. Sono le prime ad essersi formate e si stanno evolvendo verso altre forme stellari. Hanno in pratica terminato la scorta di idrogeno ed ora stanno bruciando elio. Per il resto, moltissime delle stelle più piccole e fredde hanno già raggiunto la fase di sequenza principale.

La storia della Via Lattea può essere recuperata studiando le informazioni incastonate nelle stelle e nel loro moto e spesso si ritiene che la composizione chimica di una stella possa essere un marcatore immutabile nel tempo del gas che l'ha formata. Questo però non è vero e la prova può venire di nuovo dagli ammassi aperti. In genere le indagini hanno mostrato come le stelle non evolute presenti negli ammassi aperti siano chimicamente omogenee, con una incertezza di analisi pari al 15% delle abbondanze. Una nuova analisi, portata avanti nel 2018 da un team guidato da Lorenzo Spina su cinque membri delle Pleiadi, ha portato la precisione al 5% per gran parte degli elementi chimici, rivelando anomalie chimiche che possono essere spiegate con eventi di distruzione planetaria a opera delle stelle stesse. I risultati mostrano come l'evoluzione dei sistemi planetari possa in effetti alterare la composizione chimica delle stelle, sfidando le nostre capacità di usare le stelle stesse come marcatore dell'ambiente in cui sono nate.

Si è detto di come gli ammassi aperti siano oggetti prevalentemente giovani e proprio la giovane età fa si che gli ammassi aperti siano popolati prevalentemente e quasi del tutto da caldissime nane azzurre, oltre che da gas interstellare, sebbene le stelle nate da una stessa nebulosa possano essere molto diverse in termini di massa e quindi possano raggiungere il limite della sequenza principale in tempi differenti. La conseguenza a livello di ammasso è data dal fatto che la radiazione  emessa dalle nuove, calde e brillanti stelle potrebbe disturbare la normale evoluzione delle stelle di massa minore, riducendone ulteriormente la massa finale.

Doppio Ammasso del Perseo. Crediti OneMinutAstronomer
Doppio Ammasso del Perseo. Crediti OneMinutAstronomer

DISPERSIONE E ISOLAMENTO

Nel tempo, comunque, le nursery stellari di giovani stelle tenderanno a disperdersi, soprattutto a causa dell'azione mareale esercitata dalla Galassia durante il moto di rivoluzione dell'ammasso intorno al centro, anche per orbite decisamente ampie: un esempio di ammasso andato distrutto e sparso ora per gran parte del cielo australe è stato rinvenuto nella Data Release 2 di Gaia a inizio 2019. Le stelle di grande massa hanno un ciclo di vita minore rispetto alle stelle di massa inferiore ed alcune non vivono abbastanza per fuggire dal loro nido al contrario delle loro "sorelline" le quali, vivendo miliardi di anni, hanno il tempo di allontanarsene. E' importante notare, in relazione alle stelle di masse comparabili a quella solare, come possano esserci migliaia di questi oggetti la cui attrazione gravitazionale combinata può senz'altro rallentare il processo di dispersione del gruppo. Sempre i dati di Gaia suggeriscono come le componenti di un ammasso aperto vengano disperse totalmente dopo un paio di miliardi di anni, contrariamente ai pochi milioni di anni ai quali si è sempre pensato. Tutto dipende dalla densità e dalla massa degli ammassi. Ciò che riteniamo essere "ammasso aperto", tuttavia, potrebbe essere soltanto la punta di un iceberg fatto di tantissime altre stelle che si sono disperse già prima ma che vanno a formare vasti aloni (corone) anche dieci volte più grandi di quanto non sia l'ammasso "propriamente detto". Questa ipotesi deriva dai ddati di Gaia e da un approccio di machine learning mirato a tracciare gruppi stellari nati insieme e con movimento solidale nel cielo: su dieci ammassi studiati sono stati identificate migliaia di componenti distanti deella stessa famiglia (S. Meingast et al, Extended stellar systems in the solar neighborhood. V. Discovery of coronae in nearby star clustersAstronomy & Astrophysics - 2020). Sempre Gaia ha puntato lo sguardo verso il più vicino ammasso aperto, quello delle Iadi, proprio per scoprire le dinamiche con le quali questo ammasso si stia disperdendo fino a confondersi con le stelle di background (maggiori dettagli nella scheda delle Iadi)

Agli ammassi aperti è probabilmente legata anche la tendenza all'isolamento di alcune stelle massive, con masse superiori a otto volte quella del Sole. Stelle di questo tipo generalmente fanno parte di ammassi ma ne esistono diverse che vivono invece isolate e queste rappresentano circa un quarto di tutte le stelle massive note. Gli studi più recenti indicano che questi astri possono essere stati espulsi dall'ammasso e questo potrebbe essere dimostrato dalla presenza di deboli ammassi stellari nei dintorni di queste stelle, ma in realtà spesso non è così. I meccanismi per produrre queste stelle "cacciate" sono essenzialmente due e si rifanno all'espulsione dinamica e all'espulsione da sistemi binari con supernovae. Nel primo scenario, le stelle massive vengono espulse fino a mezzo milione di miglia orarie a causa della instabile configurazione orbitale dei gruppi stellari; nel secondo, una stella massiva viene espulsa a causa dell'esplosione di un'altra stella esplosa. Il primo scenario dovrebbe essere più comune rispetto al secondo ma i dati osservativi mostrano come in genere la combinazione dei fattori sia quella più efficace (J. Dorigo Jones et al, Runaway OB Stars in the Small Magellanic Cloud: Dynamical versus Supernova EjectionsThe Astrophysical Journal - 2020).

NGC 752 è un ammasso aperto scoperto nel 1783 e posto a 1300 anni luce da Terra, uno dei più vicini. La sua età è stimata in circa 1.5 miliardi di anni risultando quindi abbastanza attempato, tanto da presentare al suo interno alcune nane bianche. La prima tra queste è stata scoperta nel 2018 ed è in coppia con una stella di sequenza principale a formare un sistema binario . I dati che hanno consentito la scoperta sono quelli di Gaia, satellite ESA designato all'astrometria che a Aprile 2018 ha fornito le misurazioni più precise mai ottenute per più di un miliardo di sorgenti galattiche. L'osservazione è ancora al limite ma l'analisi spettrale sembra evidenziare due picchi a due temperature diverse, indice chiaro di un sistema binario posto a 0.56 gradi dal centro dell'ammasso. La stella di sequenza principale dovrebbe avere una classe spettrale K/M, con magnitudine assoluta pari a 10.5. La nana bianca dovrebbe avere una magnitudine pari a 13.6 e una temperatura di 6750 K.  Con l'avanzare del tempo, quindi, ricomporre il quadro di quali stelle siano nate insieme non è semplice ma un dato può venire in aiuto: le stelle gemelle condividono una sorta di DNA chimico che può facilitare il loro ritrovamento nonché la scrittura sempre migliore della storia della Via Lattea. La conferma viene da 25 ampie coppie di sistemi binari identificati dal satellite Gaia di ESA, contenenti ciascuno due stelle nate insieme miliardi di anni fa. Le composizioni chimiche di tutte e cinquanta le stelle sono state analizzate profondamente e i risultati hanno parlato di una composizione chimica identica per gli astri nati insieme, una composizione che servirà quindi a capire quali stelle - oggi separate - abbiano tratto origine da una stessa nebulosa (The chemical homogeneity of wide binaries from Gaia DR2: arXiv)

Pochi ammassi aperti contengono un impressionante numero di stelle, con numeri paragonabili a quelli degli ammassi globulari, mentre altri sembrano più piccoli addensamenti stellari sovrapposti a normali campi stellari. Proprio queste differenze fanno si che gli ammassi aperti si presentino con dimensioni e forme molto varie: alcuni abbracciano diversi gradi di cielo ed il loro complessivo spettacolo è visibile soltanto attraverso un binocolo a largo campo, come  Messier 44 nel Cancro. Ci sono inoltre ammassi più piccoli che sembrano più che altro stelle multiple, come IC 4996 nel Cigno. Le dimensioni reali di un ammasso, indipendentemente dalla distanza, possono variare da poche dozzine di anni luce, come NGC 255 in Balena, fino a 70 anni luce come nel Doppio Ammasso del Perseo.

Ammasso aperto IC 4996. Crediti Greggs Astronomy
Ammasso aperto IC 4996. Crediti Greggs Astronomy

In alcuni casi, tutti i membri dell'ammasso sembrano avere la stessa luminosità come in Caldwell 71 (Poppa) ma ci sono altri casi in cui c'è una netta distinzione tra le stelle più brillanti e le altre, come in Messier 29 nel Cigno. Le stelle che compongono gli ammassi aperti sono dette di Popolazione I, essendo ricche di metalli e rintracciabili solitamente nei bracci della Galassia . Infatti, gli ammassi aperti si collocano in prevalenza lungo i bracci delle galassie a spirale, nelle zone formate in misura maggiore da gas interstellare sfruttabile per la formazione di nuove stelle.

Un interessante aspetto degli ammassi aperti risiede nella loro distribuzione del cielo notturno, che potrebbe sembrare del tutto randomica. Le survay del cielo mostrano invece come delle migliaia di ammassi che sono stati scoperti solo pochissimi di essi distano più di 25° dall'equatore galattico. Alcune zone di cielo sono molto ricche di ammassi, come le costellazioni di Cassiopea e Poppa, il che è dovuto all'assenza di polveri lungo la linea visuale che ci consente di scorgere il piano della spirale della Galassia. Molti degli ammassi qui citati giacciono in differenti bracci della nostra spirale. In genere gli ammassi più luminosi si trovano, stranamente, in direzione opposta al centro galattico, da Auriga a Toro fino a Orione, Poppa, Vele e Carena. La dislocazione è legata alla presenza del Braccio di Orione la cui periferia ospita il nostro Sistema Solare .

Una volta che l'ammasso si è formato, rimarrà apparentemente immodificato per pochi milioni di anni anche se al suo interno cambiamenti ce ne sono. Due fattori sono responsabili di questi cambiamenti e dipendono da:

  • contenuto iniziale
  • forza gravitazionale

Per il primo aspetto, se un ammasso contiene stelle di tipo O, B e A, queste stelle diventeranno probabilmente supernova lasciando nell'ammasso stesso le stelle a più lenta formazione ed evoluzione, le meno massicce e meno luminose di classe A ed M. Un esempio famoso di questo tipo di ammassi è lo Scrigno dei Gioielli nella Croce del Sud. Per quanto riguarda la forza gravitazionale, prima o poi l'ammasso sarà destinato a cadere sotto l'effetto dell'attrazione esercitata dagli ammassi globulari e dal mezzo interstellare . L'effetto cumulato farà si che le stelle meno massicce dell'ammasso andranno ad acquisire la velocità di fuga necessaria a fuggirne. Il risultato sarà una riduzione dell'ammasso stesso. Gli ammassi non hanno una lunga durata: durante il loro movimento interno alle galassie, le varie stelle vengono liberate una ad una, sotto la maggiore attrazione degli altri oggetti cosmici. All'interno della galassia dovrebbero esserci, infatti, masse enormi di materia oscura che attraggono le componenti dell'ammasso fino a farle distaccare dalla loro nebulosa di origine. Un ammasso, in pratica, può durare qualche centinaia di milioni di anni.

La radiazione infrarossa che riesce a fuggire dalle regioni dense di formazione stellare è una radiazione difficilmente osservabile al fine di determinare massa, età, attività di accrescimento e altre proprietà delle singole stelle che stanno nascendo: le nubi di polvere oscurano la radiazione e quella che riesce a filtrare è una somma confusa della radiazione di più stelle. Astronomi del CfA hanno tuttavia elaborato un algoritmo in grado di aggirare il problema: tramite un approccio statistico si è riusciti a determinare il contributo di ciascuna stella a onde molto più corte, riuscendo a giungere a stime riguardanti i parametri stellari e di ambiente finora confusi.

Classificazione degli ammassi aperti

Proprio per le notevoli differenze, ci sono vari parametri che consentono la classificazione degli ammassi aperti.
Gli ammassi vengono classificati in base a quattro parametri, secondo la classificazione proposta da Harlow Shapley.

In base al grado di concentrazione:

Classificazione di Shapley in base alla concentrazione
Numero Concentrazione Caratteristiche
I Isolato Forte concentrazione di stelle intorno al nucleo
II Isolato Debole concentrazione di stelle intorno al centro
III Isolato Nessuna concentrazione di stelle intorno al centro
IV Non isolato Ammasso confuso con le stelle limitrofe

Mentre in una galassia come la nostra le stelle distano l'una dall'altra in media 6-7 anni luce, all'interno di un ammasso la distanza tra le stelle scende a circa 2 anni luce.

In base alla variazione di splendore delle stelle viene assegnato un numero arabo:

Ammassi aperti e variazione di splendore
Numero Variazione splendore Caratteristiche
1 Modesta Le stelle differiscono per una modesta variazione di splendore
2 Moderata Le stelle differiscono per una moderata variazione di splendore
3 Ampia Le stelle differiscono per una ampia variazione di splendore

In base alla ricchezza di oggetti, invece, viene assegnata all'ammasso una lettera minuscola:

Classificazione per numerosità
Numero Ricchezza Caratteristiche
p Povero Meno di 50 stelle
m Moderato Stelle tra 50 e 100
r Ricco Più di 100 stelle
n Nebulosità L'ammasso presenta ancora i resti della nebulosa dalla quale è nato

Un'altra classificazione, meno dettagliata, assegna una lettera soltanto in base a caratteristiche di ricchezza e concentrazione. E' la classificazione di Trumpler:

Classificazione di Trumpler
Lettera Caratteristiche
c Ammasso molto ampio e irregolare
d Ammasso ampio e povero di stelle
e Ricchezza intermedia
f Ammasso ricco
g Ammasso molto ricco e concentrato

Due punti possono provocare problemi: la magnitudine e la dimensione dell'ammasso. La magnitudine stimata di un ammasso potrebbe essere il risultato delle stelle più brillanti di esso oppure il risultato di un grande numero di stelle meno brillanti. Inoltre, il diametro di un ammasso è spesso stimato male, sulla base di piante fotografiche che hanno una somiglianza molto bassa con quanto visto effettivamente nell'oculare.

Ultimo aggiornamento del: 24/03/2021 17:38:55

Sistemi binari e altri sistemi stellari

Le stelle tendono a nascere insieme e la maggior parte degli astri che vediamo nel cielo sono in realtà sistemi stellari, astri legati gravitazionalmente tra di loro. La differenza con le stelle doppie sta proprio nel termine "sistema".

I sistemi stellari sono insiemi composti da due o più stelle che appaiono molto vicine nel cielo e le cui componenti sono effettivamente legate da reciproca attrazione gravitazionale.

Il sistema di Albireo, una delle "stelle doppie" più famose del cielo sebbene la binarietà è stata a lungo in discussione. Crediti Palomar Observatory
Il sistema di Albireo, una delle "stelle doppie" più
famose del cielo sebbene la binarietà sia stata a
lungo in discussione. Crediti Palomar Observatory

Importante è il motivo di questa vicinanza: se le stelle sembrano vicine ma in realtà sono distanti tra loro, si parla di sistema ottico o semplicemente di stella doppia: è soltanto la prospettiva dalla Terra che fa sembrare le stelle come un sistema e solitamente queste stelle non sono più di due. Si preferisce chiamare stelle doppie le coppie puramente prospettiche, riservando il termine di sistema stellare per gli astri effettivamente legati da gravità. Esistono esempi di sistemi molteplici di stelle, come ad esempio Castore nei Gemelli che vede ben sei stelle gravitazionalmente legate.

I sistemi ottici, come detto, sembrano composti da stelle molto vicine ma in realtà la loro distanza è notevole e le stelle che li compongono non hanno nulla a che fare l'una con l'altra se non il fatto di occupare, prospetticamente, una zona molto vicina. Ad occhio non ci si accorge della distanza tra gli astri perché declinazione ed ascensione retta  sono molto simili, quasi uguali. Tuttavia, se l'occhio umano potesse spaziare anche in profondità ci accorgeremmo come queste stelle siano in realtà distanti. Noi però le proiettiamo sulla stessa sfera celeste esattamente come facciamo con le costellazioni.

Il primo a parlare di sistema binario fu Sir William Herschel nel 1802, scrivendo "Se due stelle dovessero essere veramente posizionate l'una vicino all'altra [...] esse comporrebbero un sistema separato tenuto unito dal legame della loro mutua attrazione gravitazionale. Questo sistema dovrebbe essere chiamato una vera stella doppia e ogni coppia di stelle che sono così mutualmente connesse forma il sistema binario siderale".

I sistemi stellari caratterizzati oggettivamente da una attrazione gravitazionale, invece, sono composti da stelle realmente vicine tra loro, tanto vicine da influenzarsi gravitazionalmente se non addirittura tramite scambio di materiale. Per la nomenclatura, la stella più luminosa viene chiamata principale e indicata con la lettera A mentre la stella meno luminosa è chiamata secondaria o compagna e si indica con la lettera B. Se il sistema si compone di più sistemi binari legati tra di loro, invece, si inserisce una lettera a indicare i singoli sistemi binari (A, B, C e così via) e un numero progressivo a indicare le stelle in ordine di luminosità decrescente (1, 2, 3 e così via). 

Si distinguono diverse tipologie di sistema stellare:

  • Visuali: le stelle sono ben distinguibili attraverso un telescopio , a volte anche a occhio nudo, il che consente di "vedere" tutte le stelle facenti parte del sistema o almeno una parte. Un esempio è la coppia formata da Mizar ed Alcor nell'Orsa Maggiore, mentre altre coppie sono separate in maniera molto più ristretta fino ad arrivare al massimo grado risoluzione consentita dai telescopi in relazione all'atmosfera terrestre: 0'',1;
  • Binaria a eclisse e relativa curva di luce. Crediti Wikipedia
    Binaria a eclisse e relativa curva di luce.
    Crediti Wikipedia
    Sistemi fotometrici o ad eclisse: sono riconosciuti a partire dalle variazioni di luminosità che le stelle facenti parte del sistema producono periodicamente eclissandosi a vicenda lungo la nostra linea di vista. In tal caso si parla più propriamente di stelle variabili ad eclisse. Gli astri non sono separabili visualmente, dato che la loro distanza si aggira solitamente intorno a 0'',01. In pratica uno dei membri del sistema passa davanti ad un altro rispetto alla nostra vista, dando vita a diverse configurazioni visuali. Se un corpo più freddo passa davanti ad uno più caldo assistiamo ad un calo di luminosità più profondo, mentre se la stella che passa davanti è più grande della compagna si assisterà a una occultazione. La variabilità si esprime con un grafico chiamato curva di luce, che lega la luminosità al tempo. Il sistema avrà una luminosità "normale", che si verifica quando entrambe le stelle sono visibili, e cali peridici più o meno intensi nei momenti di eclisse o di occultazione . Un esempio evidente è la stella Algol nella costellazione di Perseo
    Non sempre, però, il passaggio di una stella di fronte alla compagna determina un calo di lumonosità: nel 1973 André Maeder, astronomo svizzero (Rolle, 10 gennaio 1942), avanzò l'ipotesi per la quale in presenza di un oggetto molto compatto potrebbe innescarsi un fenomeno di microlente gravitazionale tale da aumentare la luminosità della stella più grande eclissata. A distanza di quaranta anni osservazioni della Università di Washington hanno dimostrato la teoria misurando un rialzo dello 0.1% nella luminosità del sistema binario KOI 3278, rialzo durato cinque ore e in grado di ripetersi ogni 88 giorni. Nel caso di KOI 3278 l'oggetto compatto è una nana bianca ma fenomeni simili possono aiutare a scoprire stelle di neutroni e buchi neri.
  • Sistemi fotometrici: quando una delle due stelle non risulta visibile in alcun modo, perché troppo debole oppure perché la sua luce viene abbagliata da quella della stella primaria più luminosa, è possibile dedurre la binarietà del sistema analizzando con precisione la posizione della stella primaria nel cielo durante il suo moto proprio . Una stella singola avanza nel cielo (lentamente, quindi il discorso può essere fatto solo per stelle vicine con moto proprio maggiore) in linea retta ma se esiste una compagna e quindi un baricentro comune la stella visibile percorre il proprio tragitto disegnando una sinusoide, data dalle orbite percorse internamente al sistema. Un esempio è Sirio, nel Cane Maggiore
  • Sistemi spettroscopici: le stelle sono molto più vicine e sono distinguibili soltanto attraverso una periodica divisione del loro spettro elettromagnetico . La velocità degli astri ed il loro movimento fanno sì che lo spettro sia infatti caratterizzato da un effetto doppler misurabile, con le righe di assorbimento che a volte denotano un blueshift (avvicinamento) e altre volte un redshift (allontanamento) come conseguenza del moto relativo verso la Terra, moto legato alle reciproche orbite delle componenti. A volte queste stelle si scambiano addirittura materia in favore della stella con massa maggiore, come nel caso di una nana bianca accoppiata a una gigante rossa ma non solo. Se dallo spettro risultano visibili soltanto le righe di una stella si parla di sistema binario spettroscopico a singola linea mentre se sono presenti le righe di entrambi gli astri si parla di sistema binario spettroscopico a doppia linea (SB2).
  • Sistemi a sola evidenza gravitazionale: a oggi se ne conosce un solo esempio, forse due. Entrambi sono stati "osservati", o meglio dedotti, da GAIA, satellite ESA, nel 2016. Il caso più probabile è quello di Gaia 2016aye, lente gravitazionale  caratterizzata dal fatto di accendersi e spegnersi (molto repentinamente) mostrando due picchi consecutivi. Cinquecento giorni di osservazioni sembrano aver confermato il fatto che la curva di luce sia legata a una lente composta da un sistema binario, non visibile in spettro elettromagnetico ma soltanto nel suo effetto gravitazionale (approfondimento)

Una nuova tipologia di sistema binario potrebbe essere rappresentata da una coppia di stelle osservata da MeerKAT a fine 2019 e salita alla ribalta grazie a un burst in grado di aumentare la luminosità di un fattore tre per più di tre settimane. La coppia ha un periodo di mutua rivoluzione di 22 giorni circa e, sebbene la natura del burst non sia chiara, si ritiene possa derivare da una corona attiva. La luminosità del sistema varia con periodo di tre settimane, in linea con il periodo orbitale. Le caratteristiche non si adattano a nessuna configurazione binaria nota e proprio per questo potrebbero rappresentare una nuova classe ancora da caratterizzare (L N Driessen et al, MKT J170456.2−482100: the first transient discovered by MeerKATMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2019). Altro sistema particolare è quello di OGLE-BLG-ECL-157529 nel Sagittario, la cui variazione però sembra legata a ritmi diversi di accrescimento da parte del disco che circonda la stella più calda, composto di materia sottratta alla compagna (R.E. Mennickent et al, Long photometric cycle and disk evolution in the beta Lyrae-type binary OGLE-BLG-ECL-157529Astronomy & Astrophysics - 2020). 

Effetto doppler legato alle variabili spettroscopiche. Le righe nere indicano la frequenza in stato di stella ferma mentre in alto è evidente lo spostamento verso destra, indice di allontanamento, e in basso lo spostamento verso sinistra, indice di avvicinamento.. Crediti Henrykus, Wikipedia
Effetto doppler legato alle variabili spettroscopiche. Le righe nere indicano la frequenza in stato di stella ferma mentre in alto è evidente lo spostamento verso destra, indice di allontanamento, e in basso lo spostamento verso sinistra, indice di avvicinamento.. Crediti Henrykus, Wikipedia

A inizio 2020 la survey Extremely Low Mass (EML) - parte della Sloan Digital Sky Survey (SDSS) ha portato alla scoperta di novantotto sistemi binari composti esclusivamente da nane bianche di massa inferiore a 0,3 masse solari, sistemi particolarmente interessanti poiché in futuro - con l'avvicinamento delle componenti - daranno vita a onde gravitazionali e poiché testimoni di copiose perdite di massa da parte delle stelle di origine, visto che in assenza di reciproche influenze gravitazionali l'età dell'universo non sarebbe stata sufficiente ad assistere alla morte di stelle così poco massive. Le stime indicano come nella sola Galassia dovrebbero esistere cento milioni di oggetti di questo tipo (The Astrophysical Journal - “The ELM Survey. VIII. 98 Double White Dwarf Binaries” - Warren R. Brown et al.). I sistemi binari di nane bianche possono presentare allo stesso tempo le righe spettrali di entrambe le compagne: in tal caso si parla di Double-Lined Spectroscopic Binaries (SB2) e gli esempi sono ancora molto pochi: a inizio 2020 sono soltanto diciassette i sistemi per i quali è stato possibile stimare anche massa e parametri orbitali. Durante la reciproca orbita, in pratica, i due astri sono disposti in modo tale da mostrare a volte le stesse righe di assorbimento, che quindi appaiono doppie, e a volte una sola a testimonianza del transito. Una survey importante per la scoperta di nuovi campioni si avvale del Gemini Multi-Object Spectrograph (GMOS) installato al Gemini Telescope, il quale ha potuto - ad esempio - scoprire i sistemi WD 0311-649 e WD 1606+422 a Febbraio 2020 (Two new Double-lined Spectroscopic Binary White Dwarfs).

Nei dintorni del Sistema Solare - entro i 3000 anni luce dalla Terra - il satellite Gaia di ESA ha rilevato 1.3 milioni di sistemi binari, un numero enorme rispetto alle duecento coppie trovate da Hipparcos. In questi si contano circa 17 mila nane bianche ma la gran parte degli astri è rappresentato da stelle di sequenza principale (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “A million binaries from Gaia eDR3: sample selection and validation of Gaia parallax uncertainties” - Kareem El-Badry et al.)

WD 0311-649 ha un periodo orbitale di 0.79 giorni e le compagne hanno masse di 0.38 e 0.55 masse solari, con temperature rispettivamente di 12600 K e 1300 K. WD 1606+122 ha componenti di 0.6 e 0.44 masse solari e temperature di 13300 K e 11500 K, con periodo orbitale di 0.84 giorni.

Un nuovo modo di scoperta di un sistema binario che può sfuggire ai metodi adatti a scovare sistemi dei tipi finora citati è stato presentato a inizio 2019 e sfrutta la luce polarizzata delle stelle compagne: solitamente la luce stellare non è polarizzata ma è stato dimostrato come anche le stelle riflettano la luce incidente e come questo polarizzi la radiazione (link all'articolo).

Esopianeti e sistemi stellari

Il fatto di presentare più stelle in orbita reciproca non esclude affatto la possibilità di rinvenire pianeti intorno a una delle stelle compagne o addirittura intorno a tutto il sistema. Le stime assegnano circa il 55% di probabilità di trovare un pianeta terrestre in un sistema binario stabile. I pianeti che orbitano intorno a una singola stella del sistema vengono indicati come "tipo S" mentre quelli che orbitano intorno a tutto il sistema vengono chiamati circumbinari o "tipo P". Un esempio di disco circumbinario si trova intorno al sistema Oph-IRS67AB, distante 500 anni luce in direzione dell'Ofiuco con componenti separate da 90 UA. Il disco misura 620 x 124 UA, è inclinato di 80° e presenta una massa di 2.2 masse solari. Un esempio decisamente più particolare è rappresentato, invece, da un disco circumbinario disposto in maniera polare rispetto al moto delle due stelle centrali, qualcosa di teorizzato ma che soltanto nel 2019 ha visto la conclamazione osservativa tramite ALMA (articolo).

Allo stesso modo, a oggi, ci sono più di trenta esopianeti che orbitano intorno a una stella di un sistema triplo ma uno di questi potrebbe orbitare, secondo le simulazioni, addirittura intorno a tutte e tre le componenti: si tratterebbe di un pianeta massivo distante dal sistema più di 100 UA, nel sistema GW Orionis distante dalla Terra 1300 anni luce. GW Ori è un sistema triplo con età di appena dieci milioni di anni, con una coppia di stelle centrali distanti tra loro 1 UA e una terza stella distante 8 UA dalla coppia. Intorno a tutto il sistema vi è un disco di detriti con tre anelli di polvere osservati da ALMA, con raggi di 45, 188 e 366 UA rispettivamente. Proprio la massa di questi anelli sembra consentire la formazione di un esopianeta ciascuno, con massa rispettivamente pari a 75, 170 e 245 masse terrestri. Per scartare altre possibilità sono stati condotti diversi studi ma il fatto che questo pianeta esista davvero è ancora da dimostrare (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “GW Ori: circumtriple rings and planets” - Jeremy L. Smallwood et al)

Distanza tra le compagne

Il baricentro del sistema dipende dalla massa relativa degli astri che lo compongono: se una stella è molto più massiva e compatta di un'altra il baricentro si trova più vicino a lei ma le interazioni di materia tra i due assi sono collegati essenzialmente a due concetti, entrambi riconducibili all'astronomo francese Edouard Roche (Montpellier, 17 ottobre 1820 - Montpellier, 18 aprile 1883). 

Limite di Roche: distanza minima dal centro di un corpo celeste al di sotto della quale un secondo corpo celeste minore che vi orbita attorno e che si mantenga coeso solo grazie alla propria forza di gravità, si frammenta per effetto delle forze di marea, cioè per la distorsione indotta dalla differenza di forza di gravità che agisce sulla parte del corpo celeste minore più vicina al corpo celeste maggiore, rispetto a quella più lontana (fonte Wikipedia).

Lobo di Roche: Regione di spazio attorno ad una stella che fa parte di un sistema binario, all'interno del quale il materiale orbitante è gravitazionalmente legato a questa stella. Il materiale esterno al lobo può invece cadere sull'altra stella. Questo succede quando la stella stessa si espande oltre il proprio lobo di Roche, e i suoi strati esterni finiscono per cadere sull'altra stella. Un lobo di Roche ha una forma somigliante a quella di una goccia, con la parte appuntita rivolta verso l'altra stella. Il vertice è il punto Lagrangiano L1 del sistema (fonte Wikipedia).

Nel caso in cui una stella vada ad espandersi durante il proprio ciclo di vita, il materiale più esterno potrebbe oltre passare il lobo di Roche e finire nel campo di attrazione gravitazionale della stella compagna, avviando quindi uno scambio di materia.

  • Due astri che si mantengono ciascuno all'interno del proprio lobo di Roche danno vita a un sistema binario distaccato.
  • Se una delle stelle sconfina oltre il proprio lobo di Roche si parla di sistema binario semidistaccato. Come detto, in tal caso il materiale viene rilasciato dalla stella e va a formare un disco di accrescimento intorno alla seconda stella, che andrà quindi a beneficiare della massa in entrata. 
  • Se entrambe le stelle eccedono il proprio lobo di Roche si parla di sistema binario a contatto. In tal caso i due astri vanno a creare un guscio atmosferico unico e possono andare incontro a una futura fusione. Esistono due sub-tipologie di sistemi a contatto: A e W. L'esame della stella secondaria nei sistemi binari a contatto di tipo W Uma ha evidenziato un eccesso in raggio e luminosità rispetto alle attese, a evidenziare un percorso di evoluzione diverso tra binarie a contatto di tipo A e di tipo W. L'eccesso di luminosità nei sistemi di tipo A dipende dalle componenti secondarie evolute a partire da stelle massive (superiore a 1.8 masse solari) mentre quello nei sistemi di tipo W è dovuto a trasferimento di energia. Lo studio si basa su un campione di 117 oggetti, divisi tra 48 sistemi di tipo A e 69 di tipo W, analizzato in via spettroscopica e fotometrica (Xu-Dong Zhang et al. Different evolutionary pathways for the two subtypes of contact binaries, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).
Un sistema binario con trasferimento di massa, rappresentazione.
Un sistema binario con trasferimento di
massa, rappresentazione. 

Questi processi di trasferimento di materia e di fusione sono alla base delle esplosioni di nova e di supernova Type Ia. visto che il materiale viene a cadere sulla stella più compatta, solitamente una nana bianca , che acquisendo materia vede la propria massa superare il Limite di Chandrasekhar e implodere sotto il proprio peso, in un fenomeno cosmologico fondamentale visto che viene utilizzato come metodo di misura delle distanze e di espansione dell'universo. 

Un caso particolare è dato da stelle binario molto massicce, i cui venti stellari molto potenti vanno in collisione nella zona che separa le stelle creando energetiche emissioni a raggi X mentre dettagli sul processo di trasferimento di massa possono venire da oggetti come il sistema binario a eclisse GK Cepheus (GK Cep), composta da due componenti di classe A, del tutto simili tra di loro per massa, temperatura e raggio, con periodo orbitale prossimo al giorno. Delle due, la componente leggermente meno massiva è quella più calda che va a riempire il lobo di Roche. La configurazione semi-staccata del sistema, unitamente all'aumento del periodo orbitale, può suggerire un trasferimento di massa dalla secondaria alla primaria, il che potrebbe essere testimoniato da un hot spot rinvenuto sulla curva di luce (E-G Zhao et al, Rapid mass transfer between the twin components in the hierarchical triple system GK CepMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2021).

 

 

La nascita dei sistemi stellari

Nessuno ha mai visto la nascita di una stella doppia dal momento che la formazione stellare è ben tenuta segreta da una spessa coltre di polveri e gas, quindi si possono fare soltanto teorie. Una di queste consiste nel pensare che una stella possa aver catturato l'altra nella propria orbita (cattura gravitazionale), ma ciò implicherebbe che due stelle possano essere giunte a distanze molto brevi, con geometria e velocità estremamente favorevoli, il che è un evento molto raro rispetto alla enorme quantità di sistemi stellari osservati (si stima che a fronte delle stelle più piccole, che tendono a essere singole, il 44% delle stelle simili al Sole sia almeno binario mentre più del 70% è la percentuale di sistemi binari nel caso di astri di massa elevata).

Una seconda teoria prevede la scissione dalla stella principale a causa della grande velocità di rotazione , ma anche questa è difficilmente percorribile anche per le diverse inclinazioni orbitali rispetto all'inclinazione dell'asse di rotazione.

La terza ipotesi parte dalla nascita delle stella a iniziare da una stessa nube stellare: in tal caso due nuclei vicini si sarebbero sviluppati in via autonoma senza fondersi in un'unica stella. Difficile pensare, tuttavia, che per le coppie di stelle molto vicine il processo di creazione non abbia portato i due nuclei ad unirsi. Osservazioni di Hubble Space Telescope sembrano avvalorare comunque la formazione di sistemi binari sin dalla nascita e le prove sono date da globuli di Bok estremamente allungati, ben concordanti con la formazione di più stelle, e dalla presenza di sistemi binari giovanissimi, con le componenti ancora in fase di pre-sequenza principale .

Ma non solo. Nel 2015 uno studio dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics ha rivelato la presenza di sistemi binari le cui componenti risultano estremamente diverse per massa. Solitamente stelle che si formano insieme tendono a dividersi la massa a disposizione in modo alquanto simmetrico ma per diciotto esemplari della Grande Nube di Magellano osservati da OGLE (Optical Gravitational Lensing Experiment) le differenze di massa sono notevoli, con primarie che spaziano tra le 6 e le 16 masse solari a fronte di secondarie con masse simili a quella del Sole. Le primarie appaiono come stelle di sequenza principale mentre le secondarie devono ancora divenire stelle vere e proprie. Differenze di questo tipo sono rimaste un mistero fino all'osservazione, a fine 2018, del sistema ancora in formazione di Mm1, la cui componente principale ha massa pari a 40 masse solari mentre la secondaria sta prendendo vita dal disco circumstellare della primaria, cosa mai osservata fino ad allora. Dalla stima del disco, la secondaria avrà una massa pari a 0.5 masse solari.  

Si ritiene ad oggi, quindi, che stelle che nascono dalla formazione di due separati nuclei all'interno dello stesso bozzolo possano dar vita a sistemi binari bilanciati per massa mentre esistono casi in cui la secondaria si forma esattamente come i pianeti, per frammentazione del disco circumstellare, dando vita a sistemi binari totalmente sbilanciati (articolo ufficiale). 

Dischi per il sistema multiplo di AS 2015. Crediti ALMA
AS 2015 è un sistema multiplo in fase di formazione, qui ripreso dalle antenne di ALMA. nell'ambito del Resolution Project (Dsharp). Sebbene il progetto sia rivolto allo studio della formazione planetaria, l'immagine mostra un sistema multiplo ancora in formazione: il disco in basso a destra infatti circonda un sistema binario.

Nel 2020, all'interno del disco della giovane stella di pre-sequenza principale MWX 297 è stato rinvenuto un corpo celeste compagno di piccola massa . La stella principale ha classe spettrale B1.5, temperatura effettiva di 23.700 K ed età di appena un milione di anni, con raggio di 9.17 raggi solari e massa di 17 masse solari. Il suo disco ha due componenti: la parte più interna si estende da 7.5 a 43.5 UA dalla stella mentre la seconda va da 300 a 450 UA, il che è spiegabile con la presenza di un oggetto compagno tra 43.5 e 300 UA di distanza, confermato nel 2020 tramite Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch (SPHERE) installato al VLT. L'oggetto, chiamato MWC 297B, si trova a 244.7 UA dalla stella, con angolo di 176.4 gradi e - data la distanza - dovrebbe essere nato da instabilità gravitazionali del disco. Dovrebbe trattarsi di una nana rossa di classe M con età inferiore al milione di anni e massa pari a 0,25 masse solari (Discovery of a low-mass companion embedded in the disk of the young massive star MWC 297 with VLT/SPHERE

I casi più frequenti sono i sistemi composti da due stelle, i cosiddetti sistemi binari. In questo caso, il moto degli astri è ben spiegato dalla legge di gravità. Più il numero degli astri sale e più si va incontro a moti tendenti a sposare la teoria del caos. Si presume che questi sistemi siano destinati a distaccarsi in periodi relativamente brevi. I sistemi a più componenti che possono durare, invece, sono i sistemi quadrupli formati in modalità stabile da due coppie di sistemi binari, anch'esse legate gravitazionalmente. 

Ciò che sembra certo è che anche nei sistemi multipli esista una gerarchia di legami gravitazionali, senza la quale il sistema non sarebbe quindi stabile. Un sistema si stabilizza, in pratica, quando si può ricondurre a coppie: un sistema triplo, ad esempio, è stabile se due stelle sono talmente strette da essere approssimabili con una sola, con la terza che orbita a maggior distanza. In tal caso il sistema sarebbe assimilabile ad un sistema binario. Il fatto che un sistema formato, ad esempio, da tre corpi equidistanti non sia stabile è ben spiegato in meccanica celeste dal problema dei tre corpi: mentre due oggetti isolati continueranno a percorrere le stesse orbite prevedibili per sempre, tre corpi con masse e separazioni simili stabiliscono orbite caotiche, così instabili da divenire imprevedibili. I tre corpi sono quindi destinati a raggiungere una configurazione più stabile. Le configurazioni stabili, quindi, sono gerarchiche e tutti i sistemi che vediamo hanno una organizzazione gerarchica. Le eccezioni sono due. La prima si ha in presenza di stelle molto giovani in gruppo instabile, come nel caso del Trapezio in Orione: la composizione non ha avuto ancora il tempo di disporsi gerarchicamente. Alcune stelle, con il tempo, sfuggono portando via energia orbitale che consentirà alle stelle rimanenti di organizzare al meglio le proprie orbite. La seconda eccezione è data dai sistemi i cui membri sono in numero tale da configurare un ammasso: in tal caso la rete gravitazionale è talmente complessa da annullare gli effetti singoli.

Dischi di accrescimento di un giovane sistema binario. Crediti ALMA
Le antenne di ALMA sono riuscite a immortalare una giovanissima coppia nel sistema [BHB2007] 11, all'interno dell'ammasso stellare inglobato nella nebulosa Barnard 59, parte della Nebulosa Pipa. La sensibilità di ALMA ha consentito di risolvere la struttura interna dell'oggetto, fatto di due dischi circumstellari a circondare le giovani stelle. I due dischi sono circondati, a loro volta, da un disco più grande, con massa pari a 80 masse gioviane, e da una rete complessa di strutture di polvere a forma di spirale. Per la formazione stellare, nella prima fase la massa passa dal disco grande ai dischi minori tramite anelli rotanti mentre nella seconda fase le stelle strappano massa ai dischi minori (Science - “Gas flow and accretion via spiral streamers and circumstellar disks in a young binary protostar” - F. O. Alves et al.).

Magnitudine dei sistemi stellari

Una curiosità deriva dalla magnitudine del sistema binario o multiplo e dal grado con il quale le compagne concorrono alla determinazione della magnitudine totale del sistema, così come ci appare ad occhio nudo. La formula per la determinazione è data da:

m = -2,5 log(10-0,4m1 10-0,4m2)

Ad esempio, un sistema in cui le compagne hanno magnitudini individuali pari a 3 e 6, avrà una magnitudine pari a

-2,5 log (0,0631 0,00398) = 2,934

I sistemi binari non riguardano soltanto stelle di sequenza principale ma anche oggetti più compatti e corpi celesti in generale, visto che anche il sistema Plutone-Caronte viene spesso definito come sistema binario.

Una delle coppie più strette mai osservate è stata dettagliata a maggio 2018 attraverso i dati del radiotelescopio di Arecibo: si tratta di una pulsar che ruota 600 volte al secondo e una nana bruna con una scia di gas in coda, distanti da noi 65 mila anni luce ma separate tra di loro da appena due milioni di chilometri.

Lo strano caso della popolazione G

Orbite degli oggetti G al centro della Galassia. Crediti Anna Ciurlo, Tuan Do / UCLA Galactic Center Group
Orbite degli oggetti G al centro della Galassia. Crediti Anna Ciurlo, Tuan Do / UCLA Galactic Center Group

Negli anni Duemila hanno destato stupore alcuni oggetti apparentemente nebulari battezzati con la lettera G. Il primo venne scoperto nel 2005 e venne chiamato G1, al quale seguì l'oggetto G2 scoperto nel 2012 da astronomi tedeschi. G2, in particolare, si stava avvicinando notevolmente al buco nero supermassivo SgrA* tanto da destare l'interesse mondiale in attesa di un evento in diretta di distruzione mareale. Nulla di fatto, invece: attraverso le analisi e le osservazioni effettuate al Very Large Telescope, infatti, non evidenziarono alcuna distruzione ma soltanto una sorta di allungamento nel momento di vicinanza e una ripresa di forma compatta con l'allontanamento. Si attendevano fuochi artificiali, con una parte della nube a finire nel disco di accrescimento del buco nero emettendo non poco nello spettro più energetico. G1 e G2, tra l'altro, si muovevano lungo una stessa orbita, con G1 a precedere di 14 anni G2. 

Oggetti di questo tipo rappresentano a oggi una nuova classe, con ulteriori quattro membri che si sono affiancati ai primi due grazie a un lavoro del Galactic Center Orbits Initiative dell'UCLA. Le orbite vanno da cento a mille anni luce di distanza dal buco nero centrale e la tendenza attuale è inquadrare gli oggetti G come sistemi binari molto particolari. Le orbite di G3, G4, G5 e G6 sono diverse da quelle dei primi due oggetti ma in tutti i casi gli scienziati sono d'accordo sull'ipotesi di un sistema binario che, per la forte gravità del buco nero, si fondono in un oggetto molto massiccio, con un processo che richiede circa un milione di anni per essere completato. Una prova può venire proprio dal comportamento di G2 nel momento di vicinanza al buco nero: mentre il gas si allungava notevolmente, la polvere sembrava mantenere una sua forma grazie a qualcosa in grado di mantenerla compatta, un oggetto stellare quindi (A population of dust-enshrouded objects orbiting the Galactic black holeNature - 2020). Dubbi tuttavia nascono a fine 2021: l'oggetto G2 potrebbe consistere in un sistema di tre stelle con età massima di un milione di anni. Questo andrebbe anche a spiegare l'elevata temperatura dell'oggetto, ben al di sopra della media. Queste tre stelle sarebbero avvolte dalla polvere (The Astrophysical Journal - “The apparent tail of the Galactic center object G2/DSO” - Florian Peißker et al.)

Ultimo aggiornamento del: 19/12/2021 10:59:52

Evoluzione e trasferimento di massa nei sistemi binari: binarie X, novae e supernovae Ia

Stelle compagne che oltrepassano il proprio lobo di Roche o con masse molto differenti possono innescare un trasferimento di materia che porta a tipologie di sistema binario molto interessanti oppure a esplosioni stellari più o meno distruttive.

Sistemi binari X

Le due stelle del sistema binario (o del sistema stellare in generale) evolvono indipendentemente come stelle singole passando per le fasi evolutive normali, ma l'ampliamento delle dimensioni nella fase di gigante rossa può comportare il superamento del lobo di Roche con la conseguenza che gli strati più esterni possano essere attratti gravitazionalmente dalla compagna. Il materiale non fluisce direttamente sulla superficie della seconda stella (salvo rari casi legati al tasso di acquisizione di materia) ma si dispone in un disco di accrescimento nel quale il materiale stesso, per attrito, inizia a scaldarsi rendendosi visibile. Il fluire della materia, quindi, priva la stella cedente di massa e la aggiunge alla stella secondaria alterandone l'evoluzione. In genere queste alterazioni fanno sì che una delle due stelle raggiunga più rapidamente lo stadio più avanzato di stella degenere, nana bianca , stella di neutroni o buco nero che sia dipendentemente dalla massa al momento della fine delle fusioni nucleari. In tal caso, in presenza di una compagna espansa come una gigante rossa, il materiale inizia a fluire verso l'oggetto compatto e più denso creando un disco di accrescimento in cui l'attrito fa perdere momento angolare e aumentare la temperatura via via che il disco si approssima alla stella centrale, il che dona un aspetto a spirale. Si giunge al punto in cui la velocità angolare del disco eguaglia quella della stella (boundary layer): il gas che cade sulla superficie stellare ne aumenta la velocità di rotazione e dissipa la propria energia residua come radiazione. La temperatura raggiunge livelli tali da produrre una emissione in raggi X osservabili, dando vita ai sistemi binari a raggi X. Un esempio ben noto è Cygnus X-1, il sistema binario che per primo venne indicato come contenitore di un buco nero. Tra questi sistemi, i Low-mass-X-ray Binaries (LMXB) hanno compagne di massa uguale o inferiore a quella solare dando vita a un disco di accrescimento, mentre i sistemi binari a raggi X transitori sono quelli in cui la quantità di massa in accrescimento sul buco nero è inizialmente piccola e la luminosità troppo bassa per essere osservata da Terra ma in cui un successivo stato eruttivo produce fenomeni osservabili di diversi mesi, con ampia emissione di raggi X e luce ottica. 

I sistemi binari che emettono a raggi X vedono quindi una stella normale o una nana bianca  trasferire massa verso una stella di neutroni  o un buco nero . In base alla massa si distingue tra Low-Mass-X-Ray Binaries (LMXB) e High-Mass-X-Ray-Binaries (HMXB). Quando la radiazione  X scintilla a determinate frequenze si parla di oscillazioni quasi periodiche (QPOs - Quasi Periodic Oscillations), fenomeni che potrebbero essere legati a una emissione X che avviene nei pressi del bordo interno di un disco di accrescimento in cui il gas spiraleggia verso l'oggetto compatto. Dati più raffinati giungono a fine 2019 dal team di scienziati di Insight-XHMT, in grado di studiare le QPO fino a 100 keV (valore aumentato a 200 nel 2020), aumentando il limite superiore che era di 30. Oltre ai maggiori dettagli è stato possibile condurre uno studio di temporizzazione della sorgente X Scorpius X-1, giungendo alla conclusione per cui:  

  • tutti i QPO provengono da emissioni non termiche;
  • la regione più interna del disco di accrescimento è di natura non termica;
  • la corona è geometricamente non omogenea.
  • Le osservazioni hanno avallato una previsione di cinquanta anni fa per la quale la pressione di radiazione della luce provoca una mutazione strutturale del disco di accrescimento. 

Quali siano i processi in grado di generare le diverse fasi sono ancora un mistero: questi sistemi emettono flussi continui dai venti prodotti durante l'eruzione di un buco nero e tali emissioni sono state sempre osservate a raggi X oppure nello spettro visibile. A Agosto 2020 si è registrata la prima emissione continua in infrarosso , il che fornisce la prima evidenza del fatto che i venti sono presenti durante l'evoluzione dell'eruzione indipendentemente dalla fase attraversata. L'oggetto si chiama MAXI J1820+070 ed è stato osservato in infrarosso tra il 2018 e il 2019. Il vento sembra essere lo stesso per tutte le fasi, con variazioni nelle lunghezze d'onda durante la fase eruttiva che indicano come il sistema stia perdendo massa e momento angolare (J. Sánchez-Sierras et al, Near-infrared emission lines trace the state-independent accretion disc wind of the black hole transient MAXI J1820+070Astronomy & Astrophysics (2020). Questo stesso sistema è sede del più energetico QPO a bassa frequenza, addirittura sopra i 200 keV. Il segnale proviene dalla precessione del getto relativistico nei pressi dell'orizzonte degli eventi del buco nero.I QPO a bassa frequenza sono stati scoperti negli anni Ottanta del secolo scorso e sono un fenomeno comune, oggi, nei sistemi di questo tipo. Sono quasi-periodici, non precisamente periodici, e per più di trenta anni la loro origine è stata un mistero, andando dall'instabilità del disco di accrescimento dovuto alla materia che spiraleggia per poi cadere nel buco nero fino alle modulazioni prodotte dalla precessione della corona del buco nero (Xiang Ma et al. Discovery of oscillations above 200 keV in a black hole X-ray binary with Insight-HXMTNature Astronomy - 2020). 

Le Novae

Se il materiale fluisce su una nana bianca si verificano fenomeni che in campo astrofisico e cosmologico assumono importanza notevole. La nana bianca accresce la propria massa attraverso i gas che provengono dalla stella compagna, gas che vengono compressi dalla gravità della nana bianca stessa fino al raggiungimento, in superficie, diel punto di fusione dell'idrogeno in elio. Si innesca quindi un processo di fusione nucleare sulla superficie della nana bianca, fenomeno che viene chiamato nova.

La nova è un fenomeno di rilascio di energia dovuto a fusioni nucleari superficiali dell'idrogeno in seguito al trasferimento di massa all'interno di un sistema binario. Si manifesta come un aumento della luminosità della durata di pochi giorni prima di una lenta discesa. 

Si tratta di stelle variabili cataclismiche e il termine "nova" è dovuto al fatto che, al momento dell'esplosione, la luminosità molto maggiore del solito è tale da rendere visibili stelle che generalmente non lo sono, come se nel cielo si fosse accesa una "nuova" stella. 

Nova Delphini, accesa nel 2013. Crediti Stefano Capretti (AA)
Nova Delphini, accesa in estate 2013. Crediti Stefano Capretti (AstronomiAmo)

Le stelle novae sono quindi sistemi binari, con periodi orbitali tra 0,05 e 230 giorni, all'interno dei quali una stella è una nana bianca mentre l'altra è solitamente una stella di sequenza principale oppure una gigante rossa , una subgigante o una nana di classe spettrale K-M. L'orbita delle due stelle è molto stretta e si conclude in poche ore. L'evoluzione della stella compagna la porta ad aumentare le proprie dimensioni, il che assottiglia la distanza dalla nana bianca durante le rivoluzioni . Questo accrescimento fa si che la distanza tra le compagne scenda sotto il Limite di Roche, e la forza di attrazione della nana bianca (che ha una massa notevole e quindi una grande forza di attrazione) fa si che il materiale della gigante rossa inizi a prendere la strada della nana bianca, spiraleggiando nel suo disco di accrescimento fino a terminare la sua corsa sulla superficie della compagna nana. Già nella fase di minimo, il disco di accrescimento instabile provoca variabilità fotometrica nella stella. Il materiale si accumula sulla nana, ad una temperatura già altissima di per sé, e quando questa nuova massa porta a temperature e pressioni adatte, si innescano reazioni nucleari esplosive che comportano ovviamente un aumento di luminosità molto ampio in termini di magnitudine . Le esplosioni avvengono a livello superficiale, nello strato caratterizzato da idrogeno, nuclei di carbonio e ossigeno. La brillantezza varia da 7 a 19 magnitudini in visuale nel giro di giorni (fino a centinaia di giorni) e poi scende di nuovo al punto di partenza impiegando anche anni o decenni.

Le Novae possono essere classificate in tipologie:

Novae classiche: l'analisi della curva di luce di una nova classica mostra come la magnitudine raggiunta dipenda dal tempo impiegato per la variazione di luminosità. Se il tempo impiegato per aumentare la luminosità è elevato, la magnitudine varia di poco (relativamente poco).
La variazione di magnitudine arriva fino a 12 livelli, arrivando a magnitudine assolute comprese tra i -6 ed i -9, raggiunti più o meno in poche ore. La nova resta al suo culmine per un periodo che va da qualche giorno a qualche mese e poi inizia a spegnersi, tornando alla sua visibilità iniziale nel giro di pochi anni. Raggiungendo più o meno le stesse magnitudini assolute (il -6 ed il -9 dipendono dal tempo che ci vuole a raggiungere il massimo, come spiegato), l'analisi delle novae può essere utile per determinare le distanze di altre galassie: basterà confrontare il valore della magnitudine assoluta, dato per noto, con la magnitudine apparente per avere la distanza.
Le novae classiche possono essere: 

  • Novae veloci NA: Le novae veloci mostrano rapidi aumenti di luminosità per poi calare di circa 3 magnitudini in visuale nell'arco massimo di 100 giorni. Le magnitudini raggiunte sono più alte, a confermare che minore è il tempo impiegato dalla variazione e più la variazione stessa è ampia.
  • Novae lente NB: Le novae lente sono caratterizzate da un abbassamento di circa 3 magnitudini in un periodo di 150 giorni. La magnitudine raggiunta è minore rispetto alle NA.
  • Novae molto lente NC: Lo sviluppo delle novae molto lente è caratterizzato da una stasi al punto di massima brillantezza che dura più di dieci anni per poi calare molto lentamente. Il pre-allarme all'esplosione è dato da una variazione di magnitudine visuale del tipo di 1-2 unità, per poi passare ad ampiezze di 10 magnitudini nel momento di massima luminosità.

Novae ricorrenti NR: Come lo stesso nome dice, le novae ricorrenti sono caratterizzate dal ripetersi di due outbursts nel raggio di periodi che vanno dai 10 agli 80 anni. Di solito sono novae veloci in cui la nana bianca è vicina al  Limite di Chandrasekhar . La nova si concretizza in una esplosione superficiale che non intacca la struttura stellare, con la conseguenza che possono esserci più fenomeni  di esplosione nel tempo, ogni volta che il materiale in ingresso fa raggiungere la temperatura di fusione dell'idrogeno (novae ricorrenti). Questo tempo si riduce sempre più fino ad arrivare a casi limite in cui una nova è stata vista ricorrere ogni anno all'interno di una piccola galassia in Andromeda: si presume che questa nana bianca sia molto prossima al Limite di Chandrasekhar e che quindi questo periodo molto breve porterà tra non molto a una esplosione finale di Supernova Ia.

La curva di luce della Nova Delphini del 2013. Crediti AAVSO
La curva di luce della Nova Delphini del 2013. Crediti AAVSO

Ogni anno si registrano circa 50 novae, alcune delle quali sono molto più potenti della media tanto da indurre a chiedersi quali processi siano alla base di simili anomalie. Secondo una teoria non sarebbe la nana bianca in sé a dominare la luminosità di questi eventi ma lo shock sul materiale circostante: all'inizio dell'esplosione verrebbero espulse onde più lente seguite poi da onde più veloci e quindi da materiale più caldo. La collisione dei due step di espulsione produrrebbe una onda d'urto che darebbe vita a una spettacolare esplosione di calore e luce. Maggiore è questa onda d'urto e più luminosa sarà la nova: sarebbe quindi la velocità della seconda onda a dominare la luminosità dell'esplosione. 

Le supernovae Ia Type

Se l'acquisizione di massa non comporta il superamento della temperatura necessaria a fondere l'idrogeno ma al tempo stesso determina una massa totale della nana bianca che supera il Limite di Chandrasekhar , allora il nucleo degenere della nana non è più sufficiente a mantenerne il peso e la stella esplode generando una supernova di tipo Ia. Un caso simile si può verificare quando una nana bianca prossima al limite di Chandrasekhar acquisisce ulteriore massa da una stella compagna, solitamente gigante rossa, in sistema binario o quando due nane bianche sub-Chandrasekhar si fondono tra di loro. 

La Supernova Typa Ia deriva dal superamento del Limite di Chandrasekhar da parte di una nana bianca e si manifesta con un aumento di luminosità ben preciso, tanto preciso da essere utilizzato come candela standard nel calcolo delle distanze cosmologiche. L'aumento di massa può avvenire per sottrazione ai danni di una stella compagna (degenerazione singola) oppure per fusione tra nane bianche sub-Chandrasekhar (degenerazione doppia).

Tra i due casi che possono portare alla supernova Ia esistono differenze marcate in termini di evoluzione di abbondanze chimiche, con particolare riguardo alla manganese. Questo dato è emerso da simulazioni portate avanti nel 2020 al Kevli Institute, simulazioni che hanno evidenziato alte temperature e alte densità nel primo caso, con ampia formazione di manganese, e minori densità e temperature (e di manganese) nel secondo caso. Questo dato consente anche di modellizzare ancor meglio l'evoluzione degli elementi della Via Lattea: confrontando i dati osservativi e i risultati di modelli è stato visto come il 75% almeno delle Supernovae Ia sia derivante da sottrazione di materia (caso near-Chandrasekhar). La produzione di ferro sembra invece la stessa in entrambi i casi, dieci volte più ampia rispetto alle supernovae di tipo II derivanti dal collasso diretto di stelle di grande massa, mentre il Nickel è tipico dell'accrescimento a differenza del silicio e dello zolfo tipici delle fusioni (Chiaki Kobayashi et al. New Type Ia Supernova Yields and the Manganese and Nickel Problems in the Milky Way and Dwarf Spheroidal GalaxiesThe Astrophysical Journal - 2020).

Produzione di elementi nei due tipi di supernovae Ia. The Astrophysical Journal
Produzione di elementi nei due tipi di supernovae Ia. The Astrophysical Journal

Per essere candele standard, quindi, siamo di fronte a oggetti che possono nascere da un certo numero di processi differenti e questo può rappresentare un problema, anche perché problemi di estinzione possono falsare le curve di luce osservate. A oggi la curva di luce più pulita mai osservata è giunta a inizio 2021 e proviene dalla SN 2017cbv a opera di un team di astronomi cinesi. Un set di dati unico per un periodo di tempo che abbraccia totalmente la vita dell'esplosione, grazie al quale è possibile impostare precisi vincoli sulla massa del nichel sintetizzato durante l'esplosione, sul modello di esplosione stessa e derivare un limite superiore di 0.1 masse solari per la massa dell'idrogeno, ad esempio (Lingzhi Wang et al. Optical and Near-infrared Observations of the Nearby SN Ia 2017cbvThe Astrophysical Journal - 2020). 

L'esplosione di supernova Ia determina quindi la distruzione della stella, con la conseguenza che la stella compagna potrebbe venir investita dall'onda d'urto ed essere spazzata via dando vita a una stella con moto proprio molto elevato (stella fuggitiva). L'estrema luminosità, tanto forte da essere vista fino alla metà della dimensione attuale dell'universo, è generata in maniera preponderante dal decadimento del nichel

La curva del picco in UV. Crediti: A. A. Miller / Northwestern University
La curva del picco in UV. Crediti:A.A.Miller / Northwestern University

La materia della gigante rossa che si trova nel lobo di Roche della gigante stessa è legata gravitazionalmente alla stella, ma può accadere che il lobo sia pieno e che la materia della gigante rossa sia costretta a fluire in direzione della nana bianca . La conseguenza è che la nana bianca, con il nuovo materiale ricevuto, può superare il limite di Chandrasekhar  incrementando la pressione interna e causando la reazione del carbonio al suo interno. La temperatura aumenta e questo incremento fa aumentare la pressione con conseguente espansione della nana bianca. L'espansione determina un raffreddamento e la combustione del carbonio ha termine. Sappiamo che la nana bianca è composta da materia degenere, ed un incremento della temperatura comporta reazioni del carbonio a tassi crescenti. La temperatura diviene presto talmente alta che gli elettroni della nana bianca cessano di essere degeneri e determinano l'esplosione della nana bianca stessa. Ad agosto 2017 è stato possibile osservare i primissimi istanti dell'esplosione di una stella all'interno di una galassia relativamente vicina, a soli 55 milioni di anni luce da noi. Tramite il Las Cumbres Observatory (LCO) è stato possibile osservare il bagliore ultravioletto generato dall'onda d'urto della stella esplosa, una nana bianca, con la compagna. E' proprio la scoperta di questo bagliore azzurro che ha confermato la presenza di una compagna di tipo gigante rossa anziché nana bianca. La supernova in questione è SN 2017cbv ma la radiazione ultravioletta è moto rara da scorgere, tanto che il secondo flash è giunto soltanto nel 2020 e può esser molto utile anche per comprendere l'energia oscura e l'accelerazione dell'universo, nonché la generazione di metalli pesanti come il ferro. Per ottenere tutti questi dati occorre tuttavia attendere l'allargamento del materiale espulso e l'assottigliamento del materiale che copre il nucleo della nana bianca, cosa che dovrebbe accadere in un anno dall'esplosione. La supernova in questione è la SN 2019yvq  esplosa a 140 milioni di anni luce da noi nella costellazione del Drago. Il lampo UV è durato un paio di giorni e indica una temperatura molto calda nella zona della nana bianca, a fronte di un relitto che invece è sempre più freddo man mano che l'evoluzione stellare procede. Una supernova di questo tipo non è in grado di produrre il calore necessario e questo ha aperto un dibattito. Ci sono diverse teorie che portano a una esplosione di supernova Ia con emissione UV: 

  1. sottrazione di materiale alla stella compagna, con collisione tra materiale espulso nell'esplosione e compagna stessa; 
  2. il materiale caldo del nucleo si mescola agli strati esterni, riscaldandoli fino a farli emettere in UV; 
  3. uno strato esterno di elio accende il carbonio all'interno della nana bianca provocando una doppia esplosione e un lampo UV;
  4. due nane bianche si fondono, emettendo radiazione UV (The Astrophysical Journal - “The spectacular ultraviolet flash from the peculiar type Ia supernova 2019yvq” - A. A. Miller).
Rappresentazione di una supernova Ia
Rappresentazione di una supernova Ia

Un processo di interazione in sistema binario tra una nana bianca e una stella che cede materia può essere scoperto attraverso una classica forma "a goccia" della stella compagna, legata proprio al passaggio di materia verso la nana. Proprio questa forma è stata osservata nel sistema HD265435 a opera del Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS) a metà 2021: si tratta di un sistema composto da una subnana calda e da una nana bianca in orbita mutua di circa 100 minuti. Le masse in gioco pesano in tutto 1.65 masse solari il che significa che prima o poi la nana supererà il Limite di Chandrasekhar esplodendo in supernova Ia (non prima di settanta milioni di anni, secondo le stime). Altra possibilità si ha con l'avvicinamento tra i due astri, il che potrebbe dare luogo a una fusione anziché una esplosione per sottrazione di massa. In particolare la nana ha una massa pari a una massa solare racchiusa in un diametro simile a quello terrestre (Nature Astronomy - “A hot subdwarf–white dwarf super-Chandrasekhar candidate supernova Ia progenitor” - Ingrid Pelisoli et al.)

Le supernovae I Type, in generale, si caratterizzano per l'assenza di righe di emissione dell'idrogeno e in ciò si differenziano dalle Supernovae II Type, le quali derivando da esplosione di stelle di grande massa accolgono tutto l'idrogeno ancora presente negli strati più esterni. 

Queste supernovae si dividono in tre sottoclassi: 

  • Supernovae Ia: presentano righe di assorbimento del silicio ionizzato;
  • Supernovae Ib: non presentano righe di assorbimento del silicio ionizzato ma presentano righe di assorbimento dell'elio;
  • Supernovae Ic: non presentano alcuna delle righe precedenti. 
SN 2006gy in NGC1260. Crediti NASA/HST/Foz et al
SN 2006gy in NGC1260. Crediti NASA/HST/Foz et al

Discorso a parte meritano le supernovae superluminose, tra le esplosioni più brillanti del cosmo e in grado di raggiungere picchi di luminosità superiori a quelli dell'intera galassia ospite. Tra le più famose è SN 2006gy, esplosa nel 2006 e inizialmente indicata come interazione tra una supernova di tipo IIn e il materiale circumstellare. Lo spettro della stella esplosa ha evidenziato righe mai osservate fino ad allora, righe ricondotte dieci anni dopo al ferro neutro, una forma molto rara visto che le alte energie in gioco tendono a rimuovere elettroni. Proprio la presenza di ferro in abbondanza gioca a favore di una supernova Ia, quindi di una nana bianca: all'origine dovrebbe quindi trovarsi un sistema binario composto da una nana bianca e una stella gigante ricca di idrogeno. L'espansione della stella rifornisce di materiale la nana bianca fino all'esplosione. L'onda d'urto si scontra con il materiale espulso in precedenza dalla stella e proprio questa seconda collisione spiegherebbe la luminosità e le righe di ferro (Science - “A type Ia supernova at the heart of superluminous transient SN 2006gy” - Anders Jerkstrand et al.).

Tornando alle supernovae Ia in generale, la curva di luce di queste supernovae vede una forma particolare confermata nel 2019 con lo studio di SN2012gc, osservata rispettivamente 500 e 1000 giorni dopo l'esplosione: le osservazioni ottiche hanno evidenziato un affievolimento della luminosità molto più lungo di quanto ritenuto fino ad allora, con una fase di plateau in grado di durare fino a un anno. Fino alla osservazione, un plateau "lungo" era ipotizzato di circa cento giorni, mentre si tratta di una fase che inizia tra 150 e 500 giorni dopo l'esplosione e dura circa 350 giorni. Lo studio ha visto la firma illustre del Premio Nobel Adam Riess della Johns Hopkins University ("A year-long plateau in the late-time near-infrared light curves of type Ia supernovae"Nature Astronomy 2019).

In genere le supernovae di Tipo I si trovano nelle galassie in cui la formazione stellare è minima o è già terminata. Questo implica che la loro formazione deriva da processi differenti rispetto alla morte delle stelle di grande massa, che vivendo meno esplodono quando la formazione stellare delle stelle minori è ancora attiva.

L'accrescimento delle nane bianche ai danni di stelle compagne è un processo importante in termini astrofisici e cosmologici. Molte nane bianche sono state a lungo considerate non magnetiche: quando una nana cresce a basso ritmo, guadagna massa tramite burst improvvisi e distinti derivanti da "pasti" di breve periodo. I dati di Kepler mostrano nane bianche non magnetiche comportarsi come se fossero dotate di un forte campo magnetico : sono stati osservati episodi di flare potenti di accrescimento interrotti da periodi di apparente quiete e questa sporadica attività si spiega al meglio con la presenza di un campo magnetico potente. Questo campo magnetico disciplina l'accrescimento causando l'accumulazione di materia nel disco fino a quando l'attrazione gravitazionale diventa più forte del campo magnetico stesso, il che dimostra come anche le nane non magnetiche possano in realtà essere dotate di campi decisamente forti. 

L'universo è tuttavia molto grande e può presentare fenomeni molto rari e particolari. Tra questi vi è la supernova Ia battezzata LSQ14fmg, distante cento milioni di anni luce da noi e caratterizzata da una rampa di salita della luminosità molto lenta nonché da una luminosità molto alta, una volta raggiunta. Si tratta di una delle poche supernovae appartenenti alla famiglia delle super-Chandrasekhar, proprio per queste caratteristiche, ma oltre alla luminosità dovuta al decadimento del nichel in cobalto e ferro sono state trovate le prove di impatto tra il materiale in espansione e materiale posto nelle zone adiacenti, con evidenza di produzione di monossido di carbonio. Una simile configurazione coincide benissimo con l'esplosione come Supernova Ia di una nana bianca in orbita all'interno degli strati più esterni di una stella AGB che sta diventando nebulosa planetaria. La stella AGB perde una notevole quantità di massa attraverso vento stellare, il che va a creare un anello che un giorno sarà nebulosa planetaria. L'esplosione stellare ha creato un impatto con questo anello producendo una luce aggiuntiva, dando come risultato la luminosità registrata (E. Y. Hsiao et al, Carnegie Supernova Project II: The Slowest Rising Type Ia Supernova LSQ14fmg and Clues to the Origin of Super-Chandrasekhar/03fg-like EventsThe Astrophysical Journal - 2020).

Alcuni scienziati ritengono da diversi anni che non sempre la detonazione di una supernova Ia porti alla distruzione della nana bianca: a volte l'energia sviluppata non è così forte da uccidere del tutto la stella, producendo soltanto un'onda d'urto in grado di allontanarla. In questo caso si parla di Supernovae Iax (un esempio sarebbe la nana bianca velocissima LP 40-365 riportata sul numero di Agosto 2017 di Science). 

Sembra che l'evoluzione cosmologica abbia cambiato le cose anche per le supernovae Ia visto che al Caltech hanno evidenziato, nel 2019, come un tempo le nane bianche esplodessero a masse inferiori a quella indicata oggi (Limite di Chandrasekhar ), implicando come le cause in grado di far esplodere una stella di questo tipo siano varie. Quando una nana bianca esplode come Supernova Ia contamina l'ambiente galattico con gli elementi di proprietà e con quelli generati dall'esplosione. Elementi che formeranno nuove stelle. In particolare, la quantità di nichel dice molto riguardo la stella esplosa e le osservazioni del Keck II hanno mostrato come molte stelle siano effettivamente esplose prima del raggiungimento del Limite di Chandrasekhar. Il nichel è maggiore nelle galassie più recenti, il che vuol dire che le nane bianche con il tempo hanno iniziato a esplodere con masse superiori a quanto fatto in passato. Questo ha implicazioni anche sull'utilizzo di questi oggetti come candele standard nel calcolo delle distanze ("Evidence for Sub-Chandrasekhar Type Ia Supernovae from Stellar Abundances in Dwarf Galaxies," Evan Kirby et al., 2019, to appear in the Astrophysical Journal).

Un caso molto particolare di questo tipo di supernova dovrebbe essere rappresentato da SDSS J1240+6710, la quale presenta una velocità decisamente elevata (900.000 chilometri orari) e delle abbondanze chimiche assolutamente particolari: mancanza di elio e idrogeno (contrariamente alle tipiche nane bianche) e presenza di un insolito mix di ossigeno, neon, magnesio e silicio nonché di carbonio, sodio e alluminio, tutti prodotti delle prime reazioni di una supernova. Assente è anche il gruppo del ferro, come ferro, nichel, cromo e manganese. Questa combinazione - e una massa particolarmente bassa (40% della massa solare) dovrebbe raccontare la storia di una supernova parziale avvenuta in un sistema binario, nel quale le due componenti sono state sparate in direzioni diametralmente opposte (Gänsicke et al. SDSS J124043.01+671034.68: The partially burned remnant of a low-mass white dwarf that underwent thermonuclear ignitionMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).

 

Nel 2020 è stato pubblicato un video rappresentante un time-lapse delle immagini ottenute da Hubble Space Telescope relativamente alla supernova Ia SN2018gv, esplosa in NGC 2525 e scoperta dall'astrofilo Koichi Itagaki. Il filmato, di pochi secondi, mostra lo spegnimento della supernova tra febbraio 2018 e febbraio 2019. 

 

 

 

Ultimo aggiornamento del: 15/07/2021 20:04:45

Le Associazioni Stellari

Insiemi di stelle sparse in una zona molto ampia di cielo e legate da un debolissimo effetto gravitazionale, ridotto ormai a un moto proprio molto simile. Le associazioni parlano della storia evolutiva della galassia.

Le associazioni stellari sono insiemi di stelle che abbracciano zone di cielo molto ampie. 

Associazione Stellare Perseus III
Associazione Stellare Perseus III

Scoperte da Viktor Ambartsumian nel 1947, le associazioni stellari sono particolari tipologie di ammassi stellari caratterizzati da un legame gravitazionale molto debole ed in diminuzione. Le sue componenti, infatti, sono destinate ad allontanarsi nel giro di pochi milioni di anni, sfilando via una ad una. 

Non si tratta di associazioni strettamente legate alla nascita delle stelle, sebbene riguardino comunque una loro fase evolutiva e siano formati da gruppi di stelle molto giovani, che possono essere ancora avvolti nel guscio di gas e polveri dal quale sono nate ed in cui la formazione stellare è ancora possibile.

Associazione Scorpius-Centaurus
Associazione Scorpius-Centaurus

La differenza dagli ammassi aperti è riconducibile essenzialmente alle enormi dimensioni che occupano nel cielo. Ad esempio, l'associazione Scorpione-Centauro (nella foto) occupa uno spazio di 760 anni luce circa in estensione, coprendo 80° di cielo (circa 160 lune piene). 

Possono contenere stelle blu molto calde oppure stelle rosse. Il numero di stelle varia da una decina ad un centinaio, disposte, quindi, su centinaia di anni luce.

Ci sono tre principali tipologie di associazione stellare:

ASSOCIAZIONE OB

Le componenti di questa tipologia di associazione sono giovani stelle, giganti e supergiganti, molto calde, appartenenti alla classe spettrale O e B, di sequenza principale , con massa grande e in rapida evoluzione. Si tratta di oggetti davvero enormi che coprono centinaia di anni luce di cielo, necessitando di gigantesche nubi molecolari per poter nascere. Un noto esempio di associazione OB è quella presente nella costellazione di Orione, l'Associazione Orion OB1

Orion_3008_huge.jpg: Mouserderivative work: Roberto Segnali all'Indiano [CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0)]
Associazione Orion OB1 Credit: Roberto Segnali all'Indiano
[CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0)]

Orion OB1 comprende 4 sottogruppi principali: Orion OB1a, il più antico, individuabile a nordovest della Cintura di Orione; Orion OB1b, che comprende; Orion OB1c, che comprende le stelle della Spada di Orione posizionate attorno e davanti alla Nebulosa di Orione.

ASSOCIAZIONE B

Questa associazione comprende soltanto stelle di classe B di sequenza principale e stelle giganti, ma con totale assenza di stelle di classe O. Si tratta di stati più avanzati dell'associazione OB, stelle più vecchie, laddove le più veloci stelle di classe O sono già esplose come supernova.

ASSOCIAZIONE T

Le componenti di questa associazione sono in fase pre-sequenza principale, come T-Tauri. Si tratta di stelle variabili irregolari che si stanno ancora contraendo ed evolvendo per divenire stelle di tipo A, F o G. Essendo ancora avvolte nel loro guscio di formazione, sono visibili come nebulose a riflessione ed emissione. Si tratta delle associazioni più piccole che comprendono soltanto pochi anni luce in estensione e spesso sono localizzate all'interno o nei pressi di associazioni OB.

Al di fuori di queste tre tipologie ne esiste un'altra non riconosciuta, però, da tutta la comunità scientifica. Si tratta della cosiddetta Associazione R, composta da giovani stelle blu immerse in nebulose che amplificano e riflettono la luce da loro stesse emessa, creando un vero e proprio spettacolo.

Le associazioni si trovano nei bracci della spirale di una galassia e sono sistemi instabili destinati a sciogliersi nel giro di pochi milioni di anni a causa della rotazione della galassia stessa. La coerenza e l'identità del gruppo può esistere solo per il tempo in cui le componenti più brillanti si trovano nella stessa area dei bracci di spirale, avendo quindi un movimento galattico simile. Si tratta, quindi, di associazioni di breve corso. Le stelle di tipo O vengono perse nel giro di "poco" tempo a causa della tendenza ad esplodere presto come supernova . Con il passare del tempo, le stelle di classe B spariscono nelle fasi di evoluzione stellare e le stelle meno massicce e meno luminose divengono visibili in spazi più grandi, lasciando che l'unico elemento a legarle sia il moto comune all'interno della galassia. A questo punto, l'associazione viene chiamata stellar stream.

Uno di questi stream è un esempio lampante e sorprendente: l'Orsa Maggiore. Al contrario di tutte le altre costellazioni o quasi, infatti, le stelle che la compongono sono realmente legate tra loro e non soltanto da effetti prospettici. Si tratta di un enorme gruppo di stelle, con cinque stelle centrali a rappresentare le più concentrate e le più brillanti. Lo stream è noto come Supercluster di Sirio, proprio a tener memoria del suo membro più brillante. Il Sole dovrebbe far parte attualmente di questo stream "allargato".

Le associazioni e gli stream più noti e brillanti sono i seguenti:

Nome Distanza Caratteristiche
Associazione di Orione 1600 a.l. L'Associazione di Orione include molte delle stelle di magnitudine inferiore a 3,5 ad eccezione di Gamma e Pi Orionis, nonché stelle di magnitudine 4, 5 e 6. La meravigliosa nebulosa M42 è parte di questa spettacolare associazione. Altre nebulose (oscure, ad emissione o a riflessione) sono localizzate all'interno di una Gigante Nube Molecolare, sede della nascita di tutte le stelle O, B, giganti e stelle di sequenza principale in Orione. L'associazione dovrebbe avere una larghezza di 800 anni luce per una profondità di 1000 anni luce. Si trova all'interno del braccio galattico noto come Cigno-Carena.
Associazione Scorpione-Centauro 550 a.l. E' una associazione più anziana, ma più vicina a noi rispetto a quella di Orione, che include molte stelle di magnitudine 1, 2 e 3 dello Scorpione fino al Lupo, al Centauro e fino alla Croce del Sud.
E' classificata come associazione di tipo B data la mancanza di stelle di classe O. Nel cielo, occupa circa 80° e la sua dimensione reale è stimata in 750x300 anni luce, con 400 anni luce di profondità. Il centro dell'associazione si trova nei pressi della stella alfa della costellazione del Lupo.
La sua forma allungata dovrebbe derivare dagli effetti rotazionali del centro galattico. Le stelle più brillanti dell'associazione sono date da beta e delta Ophiuchi, da ro Scorpii, da alfa e gamma Lupi, da epsilon, delta e mu Centauri e da beta Crucis.
Nell'associazione Scorpius-Centaurus  è stato scoperto un nuovo gruppo di giovani stelle che condividono il movimento, precisamente all'interno del sottogruppo Upper Centaurus Lupus (UCL). Il gruppo è stato battezzato V1062 Sco Moving Group (V1062 Sco MG) ed è risultato dai dati di Gaia-TGAS, nel catalogo del 2016, con conferma tramite il telescopio MPG/ESO a La Silla. Le stelle del gruppo sono 63 e si trovano a 570 anni luce di distanza da noi: 12 sono state confermate tramite velocità radiale, 31 con parallasse e 20 sono candidate. Stelle giovani ma non tutte coetanee.
Associazione di Zeta Persei 1300 a.l. Anche nota come Per OB2, si tratta di una associazione che include zeta Persei nonché 40, 42 ed omicron Persei. La nebulosa California, NCG 1499, è parte di questa associazione.
Ursa Major Stream 75 a.l.     Lo stream dell'Orsa Maggiore include cinque stelle centrali che formano il corpo dell'orsa. Occupa un'area di circa 24° di cielo, con una dimensione reale di circa 20x30 anni luce in estensione. Include membri come Sirio, Gemma della Corona Boreale, delta Leonis, beta Eridani, delta Aquarii e beta Serpentis. Vede predominare stelle di classe A1 e A0, e la sua età è stimata in 300 milioni di anni.
Sebbene qualcuno non ne sia del tutto convinto, lo stream dell'Orsa Maggiore potrebbe essere compreso in uno stream più grande e più anziano che accoglie al suo interno M44 nel Cancro e Hyades (Iadi) nel Toro, con questi due ammassi aperti a rappresentare il cuore di un gruppo di stelle molto ampio, ma ormai disperso. Questo stream includerebbe Capella e alfa Canum Venaticorum, oltre a delta Cassiopeiae e lambda Ursae Majoris. Lo stream sarebbe esteso oltre 200 anni luce, tra Iadi e Sole, quindi anche il Sole dovrebbe farne parte.
Ursa Major Stream 540 a.l. Anche noto come Melotte 20, si tratta di un gruppo di circa 100 stelle che include alfa Persei, 29 Persei e 34 Persei. Anche delta ed epsilon Persei dovrebbero appartenere a questo stream, dato il loro moto coerente con il resto del gruppo. La regione centrale di questo stream misura oltre 33 anni luce in lunghezza.
Cygnus OB2 4700 a.l. L'associazione Cygnus OB2 si trova a 4700 anni luce di distanza ed è la più ricca in termini di numero di stelle di classe O e B, associata al Complesso Cygnus. La popolazione di stelle O e B è molto omogenea e sebbene si tratti di una associazione molto studiata i suoi censimenti sono ancora parziali. A Novembre 2017 sono state scoperte ulteriori 42 stelle massive (arXiv, 19 novembre 2017, University of La Laguna) all'interno di un campione di sessantuno astri candidati. Undici sono di tipo O mentre trenta hanno spettri B0 e B1, con un solo esemplare di tipo B2. Delle stelle O, una è di classe O6 mentre il resto va da O7 a O9. Le altre candidate sono di tipo A, F e G. Due stelle sono binarie (J20272099+4121262 e HD228973) mentre per ulteriori sette candidate binarie si attendono conferme.La stella più calda è J20423509+4256364 con una temperatura di 38.192 K. 

Formazione stellare

Ad Agosto 2018 viene annunciata la scoperta di circa un migliaio di stelle potenzialmente appartenenti ad associazioni stellari ai bordi della Via Lattea, il che potrebbe essere un grande aiuto nello studio dell'evoluzione stellare. Si tratta di stelle che si muovono nella Via Lattea come uno stormo di uccelli, insieme, condividendo una stessa velocità di crociera. Scoprire gruppi di stelle, associazioni, fornisce molte informazioni riguardanti la storia della formazione stellare galattica. L'età di questi oggetti varia da pochi milioni di anni fino a miliardi di anni, in base al gruppo di appartenenza, un range in grado di mostrare un campione molto importante. Principalmente si è davanti a nane rosse, difficili da osservare ma sicuramente le più comuni. In queste associazioni sono state scoperte anche 111 nane brune. 

Ultimo aggiornamento del: 14/04/2019 12:55:23

Popolazioni stellari

Una popolazione stellare è un insieme di stelle, all'interno di una galassia, composto da elementi con caratteristiche omogenee

Le distinzioni tra le stelle vengono effettuate sulla base di determinate caratteristiche, come l'età, la composizione chimica, lo spettro elettromagnetico , la luminosità, la dimensione, ecc.

Un insieme di stelle, all'interno di una galassia , composto da elementi con caratteristiche omogenee costituisce una popolazione stellare.

Principalmente vengono comunque suddivise in base alla composizione chimica e, quindi, allo stadio di evoluzione. In base a questo parametro, le stelle si suddividono in due macro-categorie, alle quali è stata poi affiancata una terza ancora non generalmente riconosciuta: Popolazione I, Popolazione II e Popolazione III.

Delta cephei credit assumed by Rafael Cercedilla
Delta Cephei - Credit assumed by Rafael
Cercedilla

Popolazione I

Le stelle di Popolazione I sono stelle di recente formazione, quindi la loro composizione è più simile alla composizione della materia interstellare attuale. Il mezzo interstellare di oggi risulta da eventi di miliardi di anni, soprattutto da esplosioni di supernova , che lo hanno arricchito di elementi pesanti.

Una stella che si forma oggi, in pratica, avrà sicuramente più materiali pesanti di una stella vecchia, formata da un mezzo interstellare primordiale in cui prevalevano i materiali leggeri.

Le stelle di Popolazione I, quindi, sono stelle relativamente giovani, ricche di materiali pesanti, che si posizionano prevalentemente nei bracci delle galassie a spirale (Popolazione di disco). In genere sono stelle blu, con temperatura quindi maggiore. Solitamente, essendo stelle giovani, le appartenenti alla Popolazione I si trovano ancora negli ammassi aperti in cui sono nate. Un esempio è dato dalle Cefeidi.

M80
M80 ammasso globulare. Credit by TCAA

Popolazione II

Le stelle di Popolazione II si sono formate a partire dal mezzo interstellare primordiale, quindi sono povere di metalli pesanti creati dalle prime esplosioni di supernovae. Sono stelle prevalentemente rosse e si trovano soprattutto all'interno della galassia, nell'alone vicino al nucleo galattico (Popolazione di alone). Non è raro rintracciarle in ammassi globulari, come ad esempio M80. Esempi di stelle di questo tipo sono anche RR Lyrae e W Virgins.

Popolazione III

Non riconosciuta formalmente, la categoria della Popolazione III abbraccia stelle molto vecchie del tutto prive di materiali pesanti e che quindi rappresentano le prime stelle formate nell'Universo. La potenza di Hubble Space Telescope consente di giungere alla distanza di 500 milioni di anni dopo il Big Bang eppure anche a questa epoca le stelle di Popolazione III non sono riscontrabili, segno che si tratta di astri nati e morti molto presto nella storia dell'Universo. 

L'epoca di formazione, quindi, influisce non poco sulla composizione stellare: le nubi primordiali erano formate da elementi primordiali, non arricchiti dai materiali pesanti formatisi con le esplosioni di supernova. Quindi, se una stella è composta da materiali pesanti vuol dire che la sua formazione è seguita se non altro alle prime esplosioni di supernova.

A Agosto 2019 uno studio del Centre of Excellence for All Sky Astrophysics in 3 Dimensions (ASTRO 3-D) ha confermato l'esistenza di una gigante rossa che fa segnare il record di povertà di metalli nell'alone della Via Lattea , a 35 mila anni luce da noi. Il contenuto di ferro è di una parte su 50 miliardi, come una goccia di acqua in una piscina olimpionica. La nascita di questa stella si attesta quindi poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang : un livello di ferro 1.5 milioni di volte inferiore a quello del Sole e che segna l'esistenza di una classe di stelle che si pensava fosse a oggi totalmente estinta. La stella si chiama SMSS J160540.18-144323.1 e dovrebbe essere nata proprio a ridosso delle prime esplosioni di supernvoae (T Nordlander et al. The lowest detected stellar Fe abundance: the halo star SMSS J160540.18−144323.1Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters - 2019)

Le stelle povere di metalli sono fondamentali per gli studi cosmologici poiché ci mostrano come era un tempo l'universo, prima dell'arricchimento da parte della morte stellare. Le osservazioni effettuate tramite SEGUE (Sloan Extension for Galactic Understanding and Exploration), BOSS (Baryonic Oscillations Spectroscopic Survey) e LAMOST (large sky Area Multi-Object Fiber Spectroscopic Telescope) hanno rinvenuto una stella nell'alone galattico molto povera di metalli, ricca di carbonio e ancora non evoluta. E' stata battezzata J0815+4729, dista cinquemila anni luce in direzione della Lince e fa parte di un campione di circa cento elementi. Si tratta di una stella di sequenza principale con indice di metallicità e di carbonio che suggeriscono una composizione altamente interessante. La stessa stella è stata poi osservata dal Keck di Mauna Kea alle Hawaii, confermando una composizione chimica di calcio e ferro in misura un milione di volte inferiore a quella del Sole mentre carbonio, azoto e ossigeno sono presenti in misura pari a 10, 8 e 3% rispetto alle abbondanze solari, misure apparentemente basse ma comunque decisamente alte per una stella di questo tipo. La stella dovrebbe essere nata entro poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, come prodotto delle primissime supernovae, e dovrebbe quindi rappresentare una stella di seconda generazione (The Astrophysical Journal Letters - “The Extreme CNO-enhanced Composition of the Primitive Iron-poor Dwarf Star J0815+4729*” - Jonay I. González Hernández et al.).

Anche J0023.0307SDSS è una stella molto povera di metalli, una delle più povere al momento della scoperta (17 febbraio 2018). Si tratta di un oggetto che quindi rispecchia molto la composizione del primo universo e che appartiene a una rara classe di oggetti che vede SMSS J03013-6708 detenere il record in termini di ferro, con una abbondanza - di ferro appunto - [Fe/H] pari a -7.1. Poche hanno un tasso inferiore a -5 e la neo scoperta registra un valore di -6.6. Anche il livello di carbonio appare molto basso il che la rende unica e forse la più primordiale, visto che le altre stelle povere di ferro presentano sempre una abbondanza comunque alta di carbonio.

Nel 2011 venne scoperta una stella di 13 miliardi di anni di età nella costellazione del Leone. A scoprirla fu Elisabetta Caffau dell'Osservatorio di Parigi e la stella, formalmente nota come SDSS J102915+172927, venne chiamata Stella di Caffau. La sua caratteristica sorprendente era che, a fronte di una massa di 0.8 masse solari, la quantità di metalli fosse 20 mila volte inferiore a quella del Sole, una stella che, secondo i modelli, non poteva esistere. La natura è sempre stata dibattuta tra una nana distante 4.400 anni luce e una subgigante distante 20.200 anni luce. Nel 2018, l'elevatissima precisione dei dati forniti da GAIA su quasi due miliardi di stelle ha consentito di misurare la parallasse più precisa di sempre per la stella, rivelando la distanza dell'oggetto e consentendo di ottenere misure precise di massa e luminosità. La distanza è di 1.37 kpc è quindi decisamente in linea con la natura di stella nana. La massa è confermata su 0.734 masse solari. L'oggetto dei misteri, quindi, è una nana.

Le stelle povere di metalli sono sempre interessanti e a Maggio 2018 è arrivata la caratterizzazione di altri due esemplari di questo tipo: SDSS J082625.70+612515.10 e SDSS J134144.60+474128.90, con tassi di ferro su idrogeno pari a -3.1 e -3.2 rispettivamente. La campagna osservativa è stata condotta tra Novembre 2015 e Novembre 2016. La prima stella ha magnitudine 11.44 e una temperatura di 4300 K, con composizione confrontabile con quella dell'alone galattico: assenza di azoto e litio, basso livello di sodio e alluminio e abbondanza di magnesio. La seconda ha magnitudine 12.38 e una temperatura di 5450 Kelvin, con bassa presenza di litio, sodio e alluminio.

Dai dati della release 12 della Sloan Digital Sky Survey (SDSS DR12) sono emerse sei stelle in particolare il cui spettro denota l'appartenenza alla categoria EMPs, Extremely Metal-Poor stars. Si tratta di stelle a bassissimo contenuto di metalli che, si pensa, vadano a rappresentare al meglio quelle che furono le prime stelle nate nell'universo, quando il materiale a disposizione era dato soltanto da elio e idrogeno. Le osservazioni di dettaglio effettuate tramite X-Shooter montato su Very Large Telescope in Cile hanno evidenziato rapporti Fe/H da -5.0 a -3.5 con temperature effettive tra 6.050 e 6.530 K. Tre delle sei stelle risultano particolarmente povere in Calcio mentre per tutte e sei risulta molto basso il rapporto tra Magnesio e Ferro. 

A inizio 2020 un team di scienziati, tramite il Very Large Telescope (VLT) di ESO favorito da un effetto di lente gravitazionale offerto dall'ammasso galattico MACS J0416, annuncia la possibile scoperta di una dozzina di stelle di Popolazione III nella costellazione di Eridano. Dopo la lente, in grado di amplificare di quaranta volta il segnale dell'ammasso distante, il lavoro è stato portato avanti dallo spettrografo MUSE, il quale ha fornito una firma dell'idrogeno (Lyman-alpha) decisamente molto marcata, tipica di stelle molto antiche caratterizzate da idrogeno, appunto, elio e al massimo litio (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “Candidate Population III stellar complex at z=6.629 in the MUSE Deep Lensed Field” - E. Vanzella et al.)

Si tratta di un campo molto fertile nella ricerca astronomica, un campo che trova tra i massimi esponenti gli astronomi dell'ICRAR (International Centre for Radio Astronomy Research) che possono contare su centinaia di ore di osservazione tramite il Murchison Widefield Array (WMA) attraverso la All-Sky Astrophysics in 3D (ASTRO-3D), in grado di fornire a inizio 2020 circa 200 TB di dati.

Ancora il 2020 ha portato alla detection di ben diciotto stelle molto povere in contenuto metallico nella galassia nana del Sagittario (la galassia satellite più massiva della Via Lattea , con 400 milioni di masse solari), una delle quali - Sgr-180 - presenta un indice di metallicità pari a -3.0. I dati sono stati forniti dallo spettrografo MagE a bordo del Magellan-Baade Telescope coiadiuvato dallo studio del moto stellare operato con Gaia. Nove delle diciotto stelle hanno un indice di metallicità inferiore a -2.0, il che va a raddoppiare il contenuto di stelle di questo tipo rinvenuto finora nella nana del Sagittario. Le stelle in esame hanno una temperatura tra 1380 e 5170 K (Discovery of 18 stars with −3.10 < [Fe/H] < −1.45 in the Sagittarius dwarf galaxy, arXiv).

Ultimo aggiornamento del: 01/09/2020 16:22:18