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Il pianeta Venere

Venere è il secondo pianeta più vicino al Sole dopo Mercurio ed è oggi uno dei più conosciuti perché è il pianeta più facile da individuare nel cielo, sia al mattino che alla sera. e perché ha ricevuto la visita di diverse sonde, tra le quali la Venus Express. Un ex-gemello della Terra la cui storia ha preso una direzione molto diversa, tanto da risultare oggi come una sorta di inferno semi-fuso.

Generalità su Venere

Dati orbitali e dati fisici del secondo pianeta del Sistema Solare in ordine di distanza dal Sole. Numeri che parlano di un pianeta del tutto simile al nostro, la cui storia dovrebbe farci capire al meglio anche il nostro pianeta Terra

I numeri di Venere
Il pianeta Venere in ultravioletto ripreso dalla Pioneer Venus nel 1979. Crediti NASAripreso dalla sonda MESSENGER. Crediti NASA
Il pianeta Venere in ultravioletto ripreso dalla Pioneer Venus nel 1979. Crediti NASA

 

DATI FISICI
Diametro
  • Equatoriale: 12103,6 km
  • Polare: 12103,6 km
Schiacciamento 0
Masse terrestri 0.815
Densità media 5,204 g/cm3
Gravità 8.86 m/s2
Velocità di fuga 10,46 km/s
Rotazione siderale -243,0266 giorni
Obliquità su eclittica 2.6392°
Albedo 0.65
Magnitudine minima -4.7
Temperatura superficiale 480°C
DATI ORBITALI
Distanza dal Sole 108.208.926 km
Perielio 107.476.002 km
Afelio 108.941.849 km
Eccentricità 0,006765
Inclinazione su eclittica 3,3947°
Rivoluzione siderale 0,615 anni
Velocità media 35.02 km/s
Rivoluzione sinodica 583,92 giorni
Apogeo 38.637.000 km
Perigeo 259.650.000 km
Diametro 63'' (perigeo) - 9.6'' (apogeo)

 


Per lungo tempo gli astronomi - osservando il pianeta Venere al mattino ed alla sera - ritennero di trovarsi di fronte a due astri diversi, ai quali diedero il nome di Lucifero o di stella del Vespero. Omero lo indica quale “Espero, il più leggiadro astro del cielo”(Iliade XXII, 318).

La sua scoperta deve essere avvenuta certamente nella preistoria. Le osservazioni sistematiche più antiche che conosciamo sono quelle dei babilonesi, registrate su quella ad oggi conosciuta come “tavoletta di Venere” rinvenuta a Konyunjik da sir Henry Layard e conservata oggi al British Museum. I primi autori che menzionarono le ombre proiettate da Venere furono lo scrittore romano Plinio, attorno al 60 d.C., e il filosofo greco Simplicio nel suo commento al De Caelo di Aristotele del VI secolo d.C.

Venere è da sempre ritenuto simile alla Terra poiché molte delle sue caratteristiche fisiche (massa , diametro, densità, gravità) sono all’incirca uguali a quelle del nostro pianeta. Si credeva addirittura che su Venere potesse essersi sviluppata la vita. Tali ipotesi sono poi crollate in seguito ai risultati di ricerche fatte sia dalla Terra (indagini spettroscopiche e radar in principio) sia dallo spazio (con le sonde sovietiche Venera, quelle statunitensi Mariner e la missione Pioneer-Venus), le quali hanno messo in evidenza sostanziali differenze fra l’ambiente venusiano e quello terrestre. La prima sonda ad atterrare sul pianeta il 1 marzo 1966 fu il Venera 3 (URSS), la quale però non riuscì a trasmettere dati, schiantandosi a causa della intensa pressione a cui fu sottoposta. A trasmettere le prime informazioni fu Venera 7 (URSS) il 15 dicembre del 1970: 23 minuti di attività prima di essere messa fuori uso dalle condizioni estreme del pianeta.

Venere è il secondo pianeta più vicino al Sole dopo Mercurio, ed è anche uno dei più conosciuti poiché  è il pianeta più facile da individuare nel cielo, alternativamente al mattino e alla sera.

Dati orbitali

Con una distanza media di 108.208.926 chilometri dal Sole, corrispondenti a 0,7233 UA , Venere ha un periodo di rivoluzione siderale di 224,7 giorni e la sua distanza varia da 107.476.002 chilometri (0,7184 UA) al perielio a 108.941.849 chilometri (0,7282 UA) all'afelio . Inclinata di 3,4° rispetto al piano dell'eclittica e di 3,9° rispetto all'equatore solare, l'orbita di Venere ha una eccentricità limitata a 0,007, tale da essere quella più prossima al cerchio perfetto tra tutte le orbite dei pianeti del Sistema Solare . Nel punto di perigeo , Venere si avvicina alla Terra alla distanza di 38.150.900 chilometri (0,26 UA, oppure 2,1 minuti luce) che rappresenta la minore distanza alla quale un pianeta viene a trovarsi rispetto alla Terra. Marte, infatti, nel punto di perigeo è distante 16,4 milioni di chilometri in più. Nel punto di apogeo, invece, Venere dista 261.039.880 chilometri dal nostro pianeta. Visto da Terra, il periodo sinodico del pianeta (tempo che intercorre tra due congiunzioni eliache) è di 583,92 giorni, pari a circa cinque giorni solari di Venere. Dopo otto orbite terrestri e tredici orbite venusiane, i due pianeti assumono più o meno la stessa posizione relativa con un errore del solo 0,032% a dimostrazione di una risonanza orbitale 8:13 quasi perfetta. Lo scarto percentuale corrisponde a circa 1,5° (22 ore) di discrepanza. Nonostante questa quasi perfezione, il rapporto di 8:13 è considerato più una coincidenza piuttosto che una risonanza tra Terra e Venere visto che lo scarto, sebbene minimo, ripetuto in tempi astronomici porta ad una grande discrepanza. I due pianeti si trovano infatti in un punto esattamente opposto dopo soli 960 anni, il che influisce sui tempi dei transiti di Venere che si verificano a coppie separate da otto anni. Una coincidenza simile avviene anche tra Venere e Mercurio, con un tasso prossimo a 9:23 ma con un errore più grande rispetto a quello visto per la Terra e Venere. Ad ogni ciclo di orbite, infatti, Mercurio si trova spostato di 4° portando ad un disallineamento totale dei due pianeti in un periodo di soli 200 anni.

Venticinque anni fa gli scienziati scoprirono come la Terra si muova intorno al Sole in un anello gigante di polvere e anelli simili sono stati osservati anche nell'orbita di Venere tramite i dati delle sonde STEREO, prima nel 2007 e poi, per conferma, nel 2013. L'anello terrestre proviene essenzialmente dalla fascia principale degli asteroidi, zona in cui le collisioni tra corpi rocciosi sono all'ordine del giorno. Alla stessa origine è sempre stato fatto risalire anche l'anello nel quale si muove Venere ma le simulazioni concordano solo sullo spiraleggiamento che porta polvere in orbita terrestre: per Venere il discorso non sembra valere e questo ha spinto verso altre strade. Le simulazioni fatte girare sembrano avallare l'ipotesi della presenza di asteroidi, finora mai osservati, a condividere l'orbita del pianeta. Asteroidi che, se presenti, potrebbero anche essere in possesso della chiave per decifrare l'intero Sistema Solare. 

L'immagine completa dell'anello di polvere giunge nel 2021 grazie ai dati dello strumento WISPR del Parker Solar Probe, progettato per studiare il vento solare e quindi "costretto" a rimuovere lo sfondo di polvere dalle immagini. Proprio questo processo è stato talmente efficiente da far risaltare la banda luminosa dell'orbita venusiana, la cui densità dovrebbe essere del 10% superiore a quella delle zone adiacenti (Guillermo Stenborg et al. Pristine PSP/WISPR Observations of the Circumsolar Dust Ring near Venus's OrbitThe Astrophysical Journal - 2021).

La banda diagonale è l'anello di polvere osservato. Credits: NASA/Johns Hopkins APL/Naval Research Laboratory/Guillermo Stenborg and Brendan Gallagher
La banda diagonale è l'anello di polvere osservato dal Parker Solar Probe lungo l'orbita di Venere.
Credits: NASA/Johns Hopkins APL/Naval Research Laboratory/Guillermo Stenborg and Brendan Gallagher

Uno studio del 2019 riguarda la probabile origine di un anello di polvere all'altezza dell'orbita di Venere, data forse da un gruppo di asteroidi mai osservati prima e che condividono l'orbita con Venere stesso. L'anello è composto di grani più grandi in dimensioni, è ovviamente più ampio di quello di Mercurio ed è il 10% più denso rispetto allo spazio circostante. Le simulazioni hanno tentato di riprodurre in tutti i modi conosciuti ciò che si osserva oggi ma nessuna fascia nota o collisione ha riprodotto l'anello orbitale di Venere. Quando si è pensato a asteroidi molto più vicini a Venere le cose sono cambiate: potrebbero esistere degli asteroidi che co-orbitano con il pianeta e questo sembra portare a un match perfetto con le osservazioni. Se questi corpi fossero presenti nella parte verso il Sole sarebbero anche inosservabili da Terra e questo spiegherebbe come mai, a oggi, non siano mai stati visti. Ma come sarebbero arrivati questi asteroidi in questa zona? Sarebbe più semplice pensare che siano nati proprio dove li vediamo ora e le simulazioni hanno anche detto che di 10 mila asteroidi inseriti fin dall'inizio del Sistema Solare ben 8 mila potrebbero essere rimasti a oggi, ma c'è tanto da studiare ancora per poter avallare realmente questa ipotesi (Petr Pokorný et al, Co-orbital Asteroids as the Source of Venus's Zodiacal Dust Ring, The Astrophysical Journal - 2019). 

 

Dati Fisici

Come i primi quattro pianeti del Sistema Solare in ordine di distanza dal Sole, anche Venere è un pianeta terrestre composto prevalentemente da rocce silicie. Misura 12.104 chilometri di diametro equatoriale, quindi soltanto 650 chilometri in meno rispetto alla Terra. Non è ancora nota con precisione la differenza tra il diametro equatoriale e quello polare del pianeta, ma si pensa che debba essere molto leggera, più piccola ancora dei già pochi 43 chilometri di differenza esistenti sulla Terra.
Il volume del pianeta, racchiuso in circa 938 miliardi di chilometri cubici, è 0,857 di quello terrestre. La superficie è di circa 460 milioni di chilometri quadrati (0,9 della superficie terrestre), equivalente alla superficie terrestre meno l'Oceano Atlantico del Nord.

Proprio per queste misure simili alle nostre e per la sua vicinanza al nostro pianeta, Venere e Terra sono spesso indicate come pianeti gemelli sebbene sotto molti aspetti importanti ci siano differenze tali da far propendere per l'appellativo di "gemello diabolico" con riferimento al pianeta Venere. Come Mercurio. neanche Venere possiede propri satelliti naturali quindi la Terza Legge Keplero per misurare la massa del pianeta è stata utilizzata in relazione ai satelliti artificiali in orbita intorno al pianeta venusiano, arrivando ad una stima di 4,87x1024 kg, una massa pari all'81,5% della massa terrestre e che rende Venere il settimo oggetto più massiccio del Sistema Solare. La densità del materiale è di 5,204 g/cm3, poco meno di Mercurio e della Terra, mentre la gravità all'equatore è il 90% di quella terrestre, con velocità di fuga pari a 10,46 km/s.

Origine e rotazione retrograda

Alla formazione del Sistema Solare , quattro grandi protopianeti si sono composti principalmente di metalli e silicati: Mercurio, Venere, Terra e Marte, e sono cresciuti dominando il Sistema Solare interno in un periodo di circa 200 milioni di anni dal collasso della nube che ha formato il protosole. Nessuno di questi protopianeti aveva una massa tale da formare dischi di materiale dai quali creare satelliti naturali, ma tutto il materiale circostante venne attratto ed accorpato attraverso impatti successivi. Le alte temperature interne ai pianeti erano il risultato di impatti asteroidali, della pressione interna e del decadimento radioattivo di elementi: il risultato di questo calore si tradusse in una fusione dei materiali attratti dai protopianeti. La differenziazione fece sì che i materiali pesanti sprofondassero nei pianeti a costituirne il nucleo mentre i materiali più leggeri restarono a formare mantello e crosta dei pianeti.

Una cosa, però, rese i pianeti diversi. Attualmente Venere ruota in senso retrogrado e molto lento rispetto a quanto verificato per gli altri pianeti del Sistema Solare. Si ritiene che questo sia dovuto a qualche evento drammatico accaduto in tenera età, quando il pianeta si era appena formato dalla nebulosa solare. I modelli mostrano che i momenti angolari dei pianeti e le loro orbite hanno la stessa direzione del momento angolare della nebulosa primordiale che ha dato vita al Sistema Solare. Il senso di rotazione , ed il tasso di velocità, può variare a causa dell'interazione gravitazionale tra il corpo celeste , il Sole ed altri satelliti, ma questo non basta di certo a spiegare la rotazione retrograda di Venere. La soluzione più largamente accettata vede, invece, una collisione tra Venere ed un protopianeta più piccolo, piccolo ma abbastanza grande da ribaltare il pianeta o perlomeno il suo senso rotatorio. Non ci sono evidenze di questo impatto, così come non c'è evidenza dell'impatto dal quale sarebbe nata la Luna da una collisione della Terra con un corpo celeste delle dimensioni di Marte, tuttavia sembra che la spiegazione sia la più sensata e concreta. 

Venere è quindi il pianeta con la rotazione siderale più lenta del Sistema Solare, impiegando ben 243,02 giorni per compiere un giro intorno al proprio asse. Un giorno siderale su Venere quindi dura 18,3 giorni in più rispetto al periodo orbitale siderale intorno al Sole. Se il Sole fosse visibile dalla superficie venusiana, da un certo punto sull'equatore sarebbe possibile vederlo sorgere ad ovest (in un tempo di 4 ore e 45 minuti per uscire completamente dall'orizzonte) e tramontare ad est 116,75 giorni dopo (impiegando lo stesso tempo per sparire del tutto dietro l'orizzonte). All'equatore, la superficie di Venere ruota alla velocità di 6,5 km/h, circa la velocità di una camminata veloce, molto inferiore (di 246 volte) rispetto alla velocità della Terra ma anche a quella di Mercurio. La coltre di nubi che circonda il pianeta rende impossibile mirare un punto per potere osservare due passaggi di seguito e stimare con precisione il periodo di rotazione. Nel 1963 le osservazioni radar misurarono una rotazione di 243 giorni mentre successive osservazioni radar hanno portato a misurazioni sempre incoerenti, registrando fino a sei minuti di differenza. La sonda Magellan nel 1991 giunse a stimare 243.0185 giorni, con una incertezza di nove secondi, ma le missioni successive e le osservazioni terrestri hanno scoperto una velocità in realtà non costante, a causa delle coppie di marea solare e della resistenza dell'atmosfera sulla superficie. Sembra poco, ma per le missioni che andranno su Venere una incertezza come quella attuale corrisponde a una distanza in superficie di circa tredici miglia, più che sufficiente a perdere il punto di atterraggio. Per limitare gli errori, un team del CfA ha utilizzato ventinove anni di osservazione radar terrestre, tra il 1988 e il 2017, giungendo a misurare 243.0226 con errore di 0.00006 giorni, l'errore più piccolo mai ottenuto a oggi seppur privo delle oscillazioni a breve termine registrate (Bruce A. Campbell et al. The mean rotation rate of Venus from 29 years of Earth-based radar observations, Icarus - 2019). La rotazione, peraltro, dovrebbe essere stata molto più veloce nel passato: le maree agiscono come freno nella rotazione di un pianeta a causano dell'attrito tra correnti mareali e fondali marini. Sulla Terra questi fenomeni allungano la durata del giorno in misura di 20 secondi ogni milione di anni. Un nuovo studio ha quantificato questo effetto anche su Venere, mostrando come un oceano venusiano dovrebbe essere abbastanza grande da rallentare il tasso di rotazione di decine di giorni terrestri ogni milione di anni. Queste forze dovrebbero quindi aver rallentato la rotazione di Venere fino alla rotazione attuale nel giro di 10-15 milioni di anni, rendendo il pianeta non abitabile, quindi, in un periodo di tempo decisamente breve (Mattias Green - Bangor University's School of Ocean Sciences - Consequences of Tidal Dissipation in a Putative Venusian Ocean - The Astrophysical Journal Letters - 2019).

L'asse di rotazione di Venere è inclinato di 2,6392°(Jean-Luc Margot et al. Spin state and moment of inertia of VenusNature Astronomy - 2021) rispetto al piano della sua orbita intorno al Sole, perciò ci sono variazioni stagionali davvero trascurabili in tutto il pianeta. Il polo nord celeste si trova al punto di coordinate A.R. 18h 10,9m e declinazione 67° 9m, nella costellazione del Drago a metà strada tra le stelle Nodus I ed Altais. La stella Chi Draconis, di magnitudine 3,56, è la stella che per Venere approssima meglio il polo nord celeste, con un errore di 5,5°. Il polo sud celeste di Venere si trova invece nella costellazione del Pesce Dorato, a pochi gradi di distanza dalla Grande Nube di Magellano. Nessuna stella, tuttavia, è visibile dalla superficie di Venere a causa delle perenni formazioni nuvolose che avvolgono il pianeta. Non solo le stella, ma anche lo stesso Sole è sempre completamente oscurato da queste dense nubi, sebbene appaia con un diametro di 44 arcominuti e brilli di magnitudine -27,6.

Ultimo aggiornamento del: 29/04/2021 20:49:27

Il campo magnetico di Venere

Un campo magnetico che si discosta notevolmente da quello terrestre e che risente fortemente della lentissima rotazione planetaria e dello stato del nucleo di Venere

Sebbene la struttura interna di Venere sia molto simile a quella terrestre, abbastanza sorprendentemente il corpo celeste è in possesso di un campo magnetico massimo pari ad un centomillesimo di quello del nostro pianeta e i motivi sono essenzialmente riconducibili alla lenta rotazione e allo stato del nucleo. 

Il campo magnetico dipolare terrestre è prodotto da un effetto dinamo che segue alle correnti convettive legate al nucleo di ferro (conduttore fluido) ed alla sua rotazione . Venere potrebbe aver avuto un campo magnetico simile al nostro, nella sua storia passata e magari durante il primo miliardo di anni della sua esistenza, ma nessuna forma di magnetismo fossile è stata trovata vista la relativa gioventù del suolo venusiano. La ionosfera interagisce comunque con il vento solare producendo una debole magnetosfera, con una leggerissima coda magnetica che si estende in direzione opposta a quella del Sole. La magnetosfera indotta di Venere non ha niente a che vedere con quella della Terra e di Mercurio: non possiede una definita coda magnetica e non presenta fasce in grado di intrappolare particelle come accade intorno alla Terra. Invece, i limiti di questo debole campo variano in base all'attività solare. Il confine della zona magnetica di Venere più estendersi fino ad una altitudine di 250 chilometri durante i periodi di intensa attività solare.

Campo magnetico a confronto: Terra e Venere. Crediti ESA
Campo magnetico a confronto: Terra e Venere. Crediti ESA

Nonostante questo possono verificarsi fenomeni inattesi come quello tra il 3 e il 4 agosto 2010, quando la Venus Express osservò una coda di plasma cresciuta dai 150-300 chilometri abituali fino a più di 15 mila chilometri. L'evento eccezionale fu dovuto a una variazione delle particelle di vento solare, da 10 particelle per centimetro cubo del periodo fino a 0.2 particelle per centimetro cubo. Un periodo di bonaccia clamorosa, con una pressione dal Sole diminuita di oltre cinquanta volte sul pianeta. Proprio la bassa pressione dovrebbe aver reso più semplice agli ioni del lato diurno fluire verso il lato notturno, allungando la coda. La minor pressione abbassa sicuramente la velocità, ma facilita il percorso e tra i due effetti vince il secondo. Una volta ripresa la normale attività solare, invece, è stato possibile assistere al distaccamento della coda con creazione di una bolla magnetica in uscita nello spazio interplanetario (Planetary and Space Science - “A teardrop-shaped ionosphere at Venus in tenuous solar wind“ - di Y. Weia,). Il 15 maggio 2006, invece, sempre la Venus Express è stata testimone di fenomeni di riconnessione magnetica intorno al pianeta, con la possibilità di fenomeni aurorali simili a quelli terrestri.

Ultimo aggiornamento del: 04/02/2020 20:54:50

L'atmosfera di Venere

Una atmosfera molto densa rende Venere unico all'interno del Sistema Solare. Un ambiente totalmente inospitale dato da una prevalenza di anidride carbonica e da un effetto serra portato ai livelli più estremi.

I dati precisi sull'atmosfera di Venere sono stati ottenuti soltanto in tempi molto recenti, dopo l'inizio dell'era spaziale, dal momento che è stato necessario spedire sonde sul gemello terrestre al fine di bucarne la spessa coperta di nuvole, alta ben 85 chilometri. Tanto per confronto, l'aria sulla Terra si accumula tutta nei primi 5,6 chilometri mentre tutti i fenomeni atmosferici avvengono entro i primi dieci chilometri a partire dal suolo.
L'atmosfera di Venere è circa mille volta più densa di quella terrestre ed è totalmente diversa da quella che respiriamo e che ci circonda. Anidride carbonica è la componente principale, rappresentando da sola circa il 96,4% dell'atmosfera venusiana (sulla Terra è presente allo 0,03%). Il restante 3,4% è composto da gas di azoto più tracce di biossido di zolfo (anidride solforosa), argon, vapore acqueo, monossido di carbonio, elio e neon.

Venere in infrarosso ripresa dalla camera IR2 di Akatsuki, con evidenza sul calore emanato dalla bassa atmosfera nel lato notturno. Crediti JAXA/ISAS/DARTS/DamiaBouic
Venere in infrarosso ripresa dalla camera IR2 di Akatsuki, con evidenza sul calore emanato dalla bassa atmosfera nel lato notturno.
Crediti JAXA/ISAS/DARTS/DamiaBouic

Dei dati ottenuti "fortuitamente" dalla sonda MESSENGER diretta verso Mercurio , la quale per testare gli strumenti ha dedicato un po' di tempo a Venere durante il secondo fly-by del 2007, hanno consentito di ottenere importanti informazioni riguardo l'alta atmosfera del pianeta mostrando un repentino aumento nella concentrazione di azoto a circa 50 chilometri di altitudine, a testimonianza di una atmosfera affatto uniforme contro ogni aspettativa.

Concentrazione di azoto nell'atmosfera di Venere. Crediti Johns Hopkins APL
Concentrazione di azoto nell'atmosfera di Venere.
Crediti Johns Hopkins APL

Nel grafico, la linea rossa è il trend che asseconda i dati di molte missioni spaziali, compresi dati di MESSENGER. I dati evidenziano una presenza di azoto in misura del 5% del volume totale, 1.5 volte più di quanto misurato in bassa atmosfera. Tutti i neutroni osservati provengono da una regione tra 50 e 80 chilometri sulla superficie del pianeta, proprio nella regione venusiana di maggiore incertezza.

Il motivo dell'impennata resta un mistero (Patrick N. Peplowski et al. Chemically distinct regions of Venus's atmosphere revealed by measured N2 concentrationsNature Astronomy - 2020).

Circa il 35% della luce solare che cade su Venere riesce a penetrare nell'alta atmosfera del pianeta e di questa una gran parte viene assorbita dalle nubi mentre il 2% riesce a giungere al suolo e ad essere assorbita dalla superficie del pianeta . La superficie si riscalda ed emette radiazione principalmente in infrarosso . Dal momento che il biossido di carbonio ed altri costituenti atmosferici sono opachi alla radiazione infrarossa, il calore viene intrappolato in ciò che anche da noi chiamiamo effetto-serra, che vede in Venere il suo massimo esponente visto che porta la temperatura del pianeta a circa 500°C. Ci sono soltanto piccole variazioni nella temperatura superficiale tra giorno e notte, proprio a causa del fatto che la luce del Sole che giunge è sempre poca, bloccata dall'atmosfera, e che la spessa atmosfera favorisce la distribuzione del calore. Venere si tova ad una distanza media dal Sole 50 milioni di chilometri maggiore di quella di Mercurio, eppure riceve soltanto il 25% dell'energia ricevuta dal più piccolo pianeta. A dispetto di ciò, la sua superficie è molto più calda di quella del suo piccolo vicino di casa, tanto da riuscire a fondere zinco e piombo. Se Venere avesse una atmosfera come quella terrestre, la sua superficie sarebbe più brillante di un ordine due rispetto a quella che vediamo sulla Terra mentre ora la visibilità su Venere è di 3 chilometri di distanza, come a Mosca in un giorno di metà inverno. Queste condizioni sono molto stabili, non cambiano per motivi naturali per miliardi di anni e questo rema contro gli speculatori che parlano di Venere come di un futuro pianeta abitabile da parte della razza terrestre.

Come ha fatto Venere a sviluppare simili condizioni?

Rappresentazione artistica di Venere coperta dagli oceani.Crediti NASA
Rappresentazione artistica di Venere coperta dagli oceani.
Crediti NASA

Relativamente poco tempo fa, Venere potrebbe essere stato simile alla Terra, con oceani di acqua liquida superficiali e questo potrebbe essere stato vero fino a tre miliardi di anni fa, o due. La trasformazione potrebbe essere avvenuta più di settecento milioni di anni fa. Le prime avvisaglie di una abitabilità passata di Venere vennero fornite quaranta anni fa in seguito ai dati della Pioneer Venus ma oggi sono le simulazioni a fornire risposte assumendo diversi livelli di copertura di acqua. In tutti gli scenari portati avanti, cinque in tutto, gli scienziati hanno evidenziato come Venere fosse in grado di mantenere temperature stabili tra un massimo di 50°C e un minimo di 20°C per circa tre miliardi di anni. La situazione avrebbe potuto durare fino a oggi se alcuni eventi non si fossero verificati a rilasciare l'anidride carbonica immagazzinata nelle rocce. Questi eventi risalirebbero a circa 700-750 milioni di anni fa. Condizioni abitabili, quindi, nonostante la vicinanza al Sole e la quantità di radiazione  doppia rispetto a quella della Terra. 

Circa 4.2 miliardi di anni fa, a ridosso della formazione, Venere dovrebbe aver completato un periodo di rapido raffreddamento, con una atmosfera dominata da anidride carbonica. Se il pianeta si fosse evoluto in stile Terra nei successivi tre miliardi di anni, il carbonio sarebbe stato assorbito da rocce di silicato e bloccato in superficie. Alla seconda epoca risalente a 715 milioni di anni fa, l'atmosfera sarebbe probabilmente dominata da azoto con tracce di anidride carbonica e metano, simile all'atmosfera terrestre attuale. Condizioni simili sarebbero rimaste stabili fino ai giorni nostri. La causa del degassamento che ha portato alla drammatica trasformazione di Venere è un mistero, sebbene probabilmente il fenomeno è legato all'attività vulcanica del pianeta. Una possibilità vede il gorgoglio di grandi quantità di magma con rilascio di anidride carbonica dalle rocce fuse nell'atmosfera. Il magma si sarebbe solidificato prima di raggiungere la superficie e questo avrebbe creato una barriera tale da impedire il riassorbimento del gas. La presenza di grandi quantità avrebbe innescato un effetto-serra in fuga e, in ultima istanza, le temperature torride di 462 gradi trovate oggi su Venere.

Ci sono ancora due principali incognite che devono essere affrontate prima di poter affermare l'antica abitabilità di Venere:

  • il primo riguarda la rapidità con cui il pianeta si è raffreddato inizialmente e, in primo luogo, se sia stato in grado di condensare acqua liquida sulla sua superficie;
  • la seconda incognita è se l'evento di resurfacing globale sia stato un singolo evento o semplicemente l'ultimo di una serie di eventi che risale a miliardi di anni nella storia di Venere.

La risposta potrà arrivare da future missioni spaziali e impatterà anche sulla comprensione dei pianeti che oggi vediamo in "zona Venere". Del resto c'è chi all'abitabilità passata di Venere non crede proprio, tanto che uno studio successivo alla presentazione in EPSC (Frank B. Wroblewski et al. - "Ovda Fluctus, the Festoon Lava Flow on Ovda Regio, Venus: Not Silica-Rich", Journal of Geophysical Research: Planets - 2019) rimette ogni simulazione in discussione. La lava presente su Venere (campionata in Ovda Regio) sarebbe infatti basaltica, una tipologia in grado di formarsi sia in presenza sia in assenza di acqua.

Di sicuro, essendo vicino al Sole, la temperatura atmosferica del pianeta era molto maggiore rispetto alla nostra, il che ha consentito l'accumulo di una grande quantità di vapore acqueo nell'atmosfera a partire dall'evaporazione degli oceani. Questo ha aumentato la temperatura ancora di più, e gli oceani hanno iniziato ad evaporare ancora più in fretta facendo entrare il pianeta in un ciclo senza possibilità di arresto, fino a che tutta l'acqua del pianeta non è evaporata addensandosi nell'atmosfera o fuggendone in parte. Tutto questo potrebbe essere avvenuto in circa 600 milioni di anni. L'acqua dell'atmosfera sarebbe stata spazzata dalla radiazione ultravioletta del Sole, mentre gli atomi di idrogeno sarebbero stati persi nello spazio. Gli atomi di ossigeno, invece, sarebbero stati riciclati per ossidare i minerali in superficie. In realtà sulla fuga di acqua è sorto qualche dubbio a fine 2020: i dati degli strumenti ASPETAR-4 e IRF a bordo di Venus Express, infatti, potrebbero essere testimoni di una fuga minima nello spazio, pari a pochi decimetri di acqua. La base della deduzione è la misurazione di ioni nelle vicinanze di Venere, con una media di due protoni in uscita per ogni ione di ossigeno ma con un vento solare che influenza molto il numero di protoni in fuga. Durante il minimo solare il numero di protoni in uscita è superiore rispetto al numero che si registra durante il massimo solare poiché molti protoni tornano su Venere durante questa ultima fase (Escape to space or return to venus: ion flows measured by Venus Express). 

Non tutti concordano con questo scenario: secondo uno studio del 2021, infatti, acqua liquida su Venere non può essere mai stata presente a causa dell'elevata temperatura. Ciò che si può arrivare ad ammettere come possibile sarebbe quindi una presenza di acqua allo stato di vapore, il che segna una discrepanza molto forte rispetto ai modelli accettati fino alla data dello studio, il quale ha utilizzato modelli climatici tridimensionali per studiare l'evoluzione atmosferica del pianeta. Le temperature risultati dal modello sono incompatibili con la presenza di acqua liquida superficiale, neanche quando il Sole brillava in misura del 30% in meno rispetto a oggi. Le nubi, infatti, non avrebbero agito da scudo per la temperatura ma, anzi, l'avrebbero mantenuta alta provocando un effetto serra quasi immediato (Nature - “Day–night cloud asymmetry prevents early oceans on Venus but not on Earth” - Martin Turbet et al.)

A fronte della teoria del raffreddamento, ne esiste un'altra che prende in causa la migrazione di Giove nel modello di Grand Tack: in base a questo, Venere potrebbe aver sfruttato acqua superficiale fino a un miliardo di anni fa. La migrazione di Giove non è un dato certo ed esistono diversi scenari che potrebbero aver influenzato l'orbita di Venere. In alcuni di questi scenari l'orbita di Venere è divenuta molto eccentrica, con una percentuale di ellitticità orbitale 44 volte superiore a quella osservata oggi. Dove è andata a finire questa eccentricità? Una delle risposte è molto interessante e prevede l'acqua liquida, la quale può smorzare l'eccentricità orbitale per lunghi periodi di tempo visto che il movimento superficiale tende a spingere verso uno schema più regolare in un processo noto come dissipazione delle maree. La dissipazione delle maree può causare un effetto serra notevole, anche se questo sul giovane Venere potrebbe non aver influito molto così come non dovrebbe aver influito molto la radiazione solare incidente. La radiazione, però, vedrebbe il proprio ruolo aumentare significativamente nel caso di orbita altamente ellittica. Una orbita altamente eccentrica, però, porta l'acqua a sparire attraverso un processo a due fasi: inizialmente orbite di questo tipo causano cambiamenti stagionali notevoli e possono portare a congelamenti alternati a evaporazioni. Durante il perielio, poi, il pianeta è soggetto a una quantità maggiore di radiazione ultravioletta, la quale spezza le molecole di acqua facilitando la rimozione dell'idrogeno dall'atmosfera. Il vapore acqueo è un gas serra superiore all'anidride carbonica che vediamo ora e avrebbe concorso notevolmente al periodo di "serra umida" di Venere. C'è da chiedersi, tuttavia, dove potrebbe essere finito tutto l'ossigeno in seguito alla dissociazione dell'idrogeno, ma a questo potranno rispondere anche future missioni spaziali. L'idea della migrazione di Giove è stata ripresa anche nel 2020 da nuove simulazioni (Stephen R. Kane et al, Could the Migration of Jupiter Have Accelerated the Atmospheric Evolution of Venus?The Planetary Science Journal - 2020)

Con una temperatura elevatissima ed una pressione atmosferica cento volte superiore alla nostra, Venere è un pianeta del tutto inospitale. I venti superficiali soffiano a meno di 7 km/h nello strato più basso dell'atmosfera, ma con una pressione tale da riuscire a spostare i massi. Temperatura e pressione diminuiscono salendo con l'altitudine. A circa 55-70 chilometri dal suolo si incontrano condizioni di temperatura e pressione simili a quelle terrestri. Acido solforico, prodotto dalla combinazione chimica tra diossido di zolfo e la piccola quantità di acqua nell'atmosfera, formano uno strato solforico a circa 20-50 chilometri dalla superficie. Quantità di biossido di zolfo atmosferico sono state trovate a vari fattori, a testimonianza che esiste una attività di fornitura di gas da parte di un gran numero di vulcani venusiani. Sono stati catturati lampi di luce sopra queste aree, probabilmente dovute alla generazione di grandi quantità di elettricità statica da parte di particelle vulcaniche e cenere.

Le nubi di Venere riflettono circa il 60% della luce solare che le colpisce, dando al pianeta una albedo incredibilmente alta ed un aspetto brillantissimo. Inoltre, queste nubi prevengono la superficie da sguardi indiscreti. Negli strati più alti ci sono flussi di aria che spirano da ovest ad est a velocità comprese tra 300 e 400 km/h. Più veloci all'equatore e più lenti ai poli, i venti spingono le nubi a ruotare intorno a Venere in un periodo di circa 4 giorni (confrontato con il periodo di rotazione del pianeta è un dato incredibile per velocità tanto da portare alla definizione di super-rotazione), producendo solitamente una classica forma a V nelle nubi osservabili. Nel 2017 un articolo apparso su Nature Geoscience riporta i dati della sonda giapponese Akatsuki, la quale ha fornito nuovi dati in merito alla super-rotazione dell'atmosfera venusiana rilevando un flusso equatoriale, una corrente a getto nello strato medio-basso delle nubi, sotto 57 chilometri di altitudine, zona in cui le nubi vengono spostate fino a 80 metri al secondo dai forti venti, facendo registrare un record di velocità. Si tratta di venti molto variabili per spazio e per tempo anche se la loro origine non è ancora compresa.

Ancora Akatsuki ha consentito, per la prima volta, di mappare il flusso atmosferico nell'emisfero notturno del pianeta con riguardo ai venti nord-sud (circolazione meridionale). Ciò che è stato scoperto è che questi corrono in direzione opposta rispetto agli omologhi diurni, con un cambiamento decisamente drammatico che non può verificarsi senza conseguenze degne di nota. (Nature - “Unveiling of nightside cloud-top circulation of Venus atmosphere” - Kiichi Fukuya)

Nel 2006 un atipico doppio vortice sopra il polo sud venusiano è stato osservato tra i 59 ed i 70 chilometri di altezza. I vortici sono spiegati dai modelli esistenti, ma il doppio vortice sta ad indicare che, probabilmente, Venere ha un ambiente molto più complesso di quel che ad oggi riusciamo a capire. 

Il doppio vortice dalla Venus Express. Crediti ESA
Il doppio vortice dalla Venus Express. Crediti ESA

La pressione atmosferica al suolo raggiunge il valore di 90 atmosfere (90.000 hPa), rendendo difficile anche l'esplorazione del pianeta da parte delle sonde automatiche. Le sonde sovietiche Venera, che per prime atterrarono con successo sulla superficie venusiana, furono strutturate come batiscafi e ciò nonostante sopravvissero solo un paio d'ore alle ostili condizioni atmosferiche del pianeta prima di venirne schiacciate.
Altra scoperta di notevole impatto riguarda una riga di assorbimento nello spettro alla lunghezza d'onda di 3,3 micron, una riga che dopo poco tempo è stata osservata anche nello spettro di Marte. Soltanto nel 2007, ad ottobre, si è riusciti a capire che si tratta di un isotopo della CO2, che su Venere - ai tassi di anidride carbonica registrati - svolge un importante ruolo nella ritenzione della radiazione solare e quindi dell'effetto serra.
Nel 2009, lo strumento VIRTIS (Visible and IfraRed Thermal Imaging Spectrometer) della sonda Esa Venus Express ha osservato una particolare rilucenza notturna nell'atmosfera. Il fenomeno, noto come nightglow, indica la presenza di ossido nitrico, a testimonianza delle condizioni estreme del pianeta. Studiando e seguendo i fotoni a certe lunghezze d'onda da parte di sostanze eccitate da particolari reazioni chimiche, si riesce a capire come l'ossido di azoto provenga da ossigeno e azoto prodotti dal lato illuminato del pianeta, derivanti dalla dissociazione di CO2, CO e N2 da parte della radiazione ultravioletta. I gas si combinano nel lato oscuro del pianeta trasportati dalla dinamica atmosferica, producendo le emissioni di nightglow.

Nightglow nell'atmosfera di Venere. Crediti ESA/Venus Express
Nightglow nell'atmosfera di Venere. Crediti ESA/Venus Express

Differenze eclatanti sono state riscontrate nell'atmosfera diurna di Venere rispetto a quella notturna, in base ai dati della Venus Express rielaborati da un team della JAXA e pubblicati su Nature Astronomy a Settembre 2017. Le differenze appaiono evidenti per tipologia, morfologia e dinamica delle nubi e sono state evidenziate dalla prima mappatura atmosferica a scala globale del lato notturno venusiano. Per decenni la super-rotazione di Venere ha cercato una soluzione teorica basandosi sui dati atmosferici catturati in ultravioletto nel lato diurno, ma nonostante gli sforzi non c'è mai stato nulla in grado di portare a risultati aderenti alle osservazioni.

Modello di formazione delle onde stazionarie su Venere. Crediti ESA
Didascalia

Evidentemente mancava un pezzo di informazione e così i dati di VIRTIS hanno consentito di vedere per la prima volta le proprietà atmosferiche nel lato notturno. VIRTIS ha acquisito centinaia di immagini a diverse lunghezze d'onda, in simultanea, consentendo di migliorare la visibilità a diverse altezze, rivelando fenomeni finora neanche ipotizzati e di certo non presenti nel lato diurno. Vengono quindi a cadere i Global Circulation Models (GCMs) che vedono la super-rotazione verificarsi uniformemente su tutta l'atmosfera venusiana visto che il fenomeno sembra molto più irregolare e caotico nel lato notturno. Le nubi più alte nel lato notturno danno vita a differenti forme e morfologie, spesso assumendo contorni altamente irregolari e caotici e soprattutto creando molteplici fenomeni immobili chiamati onde stazionarie. Queste onde sono state studiate in tre dimensioni combinando i dati di VIRTIS con quelli del Venus Radio Science Experiment (VeRa), sempre su Venus Express. La stazionarietà è stata poi confermata dalla sonda Akatsuki, giapponese. Queste onde, secondo i modelli, si generano in presenza di strutture superficiali come montagne in grado di spingere verso l'alto le masse di aria e i veloci venti, ma i dati ottenuti dalle missioni russe, lander compresi, dicono che i venti in superficie potrebbero essere troppo deboli per creare fenomeni simili. Inoltre, le zone dell'emisfero sud sono molto basse, prive di picchi notevoli. Di seguito l'incontro con la Dott.ssa Arianna Piccialli, all'epoca ricercatrice all'Osservatorio di Parigi, in merito all'atmosfera i Venere.

Stranamente, laddove esistono onde stazionarie in alta atmosfera ci sono inattese mancanze nell'atmosfera medio bassa il che va a spegnere ulteriormente il ruolo della topografia superficiale su questi fenomeni atmsoferici. 

Oltre a generare super-rotazione, tuttavia, deve esistere un processo in grado di mantenerla e la soluzione - anche stavolta - può venire dalla sonda Akatsuki: il mantenimento della super-rotazione a livello equatoriale è garantita da onde mareali atmosferiche formate dal riscaldamento - a opera del vento solare - sul lato diurno del pianeta e dal raffreddamento sul lato notturno. Vicino ai poli, invece, la turbolenza atmosferica e altre tipologie di onde hanno un effetto più pronunciato e rallentano l'effetto di accelerazione.

In giallo il sistema che mantiene la super-rotazione dell'atmosfera di Venere. La marea termica (rosso)verso l'equatore rafforza la super-rotazione. Crediti Planet-C project team
In giallo il sistema che mantiene la super-rotazione dell'atmosfera di Venere. La marea termica (rosso)verso l'equatore rafforza la super-rotazione. L'atmosfera è controllata da un sistema di circolazione duale: da un lato la circolazione meridionale (verticale, bianco) rallenta il trasporto di calore verso i poli, dall'altro la super-rotazione trasporta velocemente calore verso il lato notturno.
Crediti Planet-C project team

Le differenze di temperatura tra basse e alte latitudini sono così piccole che non possono essere spiegate senza una circolazione trasversale alle latitudini, una circolazione che deve alterare la distribuzione del vento e indebolire la super-rotazione e che implica, quindi, un altro meccanismo in grado di rafforzarla e di mantenerla ai livelli osservati. Questo processo è legato alla marea termica, una onda atmosferica eccitata dal riscaldamento solare, che fornisce l'accelerazione a bassa latitudine. In precedenza l'indice veniva puntato su turbolenza atmosferica e onde di altro tipo, ma lo studio più recente dimostra come questi fenomeni vadano invece ad agire in senso contrario, decelerando la rotazione a bassa latitudine giocando invece un ruolo importante a medie e alte latitudini (T. Horinouchi at Hokkaido University in Sapporo, Japan el al., "How waves and turbulence maintain the super-rotation of  Venu's atmosphere," Science - 2020). 

Nel 2015 i dati della sonda giapponese Akatsuki hanno evidenziato strutture che gli stessi giapponesi sono riusciti a spiegare tramite simulazioni climatiche a larga scala.  Il confronto dei dati della camera IR2 sulle nubi più basse con le simulazioni del programma di simulazione AFES-Venus mostra delle strutture giganti che attraversano gli emisferi. Una scala mai osservata prima né su Venere né sulla Terra e che potrebbe essere un fenomeno decisamente unico. Lo stesso pattern è stato ricostruito tramite il sistema di simulazioni numeriche AFES-Venus (lato destro dell'immagine) giungendo a un risultato del tutto simile.

 

Il pattern gigante visto dalla sonda (sinistra) e riprodotto dalla simulazione (destra). Crediti JAXA
Il pattern gigante visto dalla sonda (sinistra) e riprodotto dalla simulazione (destra). Crediti JAXA

Riprodotto il risultato, il team è stato in grado di fornirne l'origine: un fenomeno strettamente connesso anche al clima giornaliero terrestre, un fenomeno chiamato polar jet stream. A medie e alte latitudini terrestri, una dinamica di venti a larga scala forma cicloni extratropicali, sistemi di alta pressione e polar jet streams. Il risultato delle simulazioni ha evidenziato lo stesso meccanismo a lavoro anche negli strati più bassi di Venere, suggerendo una formazione degli stream a alte latitudini. A più basse latitudini, una onda atmosferica dovuta alla distribuzione dei flussi su larga scalae alla rotazione del pianeta (onda di Rossby) genera vortici molto ampi lungo l'equatore  fino a latitudini pari a 60°. Quando i jet stream si aggiungono a questo fenomeno, i vortici si inclinano e si stringono e la convergenza delle zone tra nord e sud crea la struttura osservata. 
Una struttura che deriva quindi dall'interazione tra onde, instabilità e jet streams.

Ancora i giapponesi, con la sonda Akatsuki, hanno evidenziato la presenza di una discontinuità su scala planetaria nelle nubi intermedie venusiane, un fenomeno periodico che si protrae da almeno 35 anni. Si tratta di una perturbazione gigantesca, mai vista altrove nel Sistema Solare, che si sposta rapidamente a una altitudine di 50 chilometri, e quindi nascosta sotto gli strati superiori e per questo rimasta sconosciuta fino alle osservazioni giapponesi. La discontinuità si estende fino a 7500 chilometri, attraverso l'equatore, da 30°N a 40°S, con range di altitudini tra 47.5 e 56.5 chilometri e periodicamente, almeno dal 1983, spazza il globo venusiano per cinque giorni alla velocità di 328 km/h. Si tratta della prima onda planetaria a bassa altitudine, scoperta in una regione atmosferica responsabile dell'effetto serra dilagante che caratterizza il pianeta, che potrebbe creare un link tra la superficie del pianeta e la dinamica dell'atmosfera globale dello stesso: un'onda in grado di trasportare quantità di moto dall'atmosfera più bassa e dissiparsi prima di arrivare nelle nubi più alte, depositando quindi la quantità di moto al livello al quale si registra la super-rotazione di Venere. Misterioso è quale possa essere il fenomeno in grado di alimentare questa onda per così tanto tempo e con cicli di intensità variabili. Qualcuno ha tirato in ballo le onde di Kelvin, classe di onde gravitazionali atmosferiche che condividono importanti caratteristiche con questa interruzione, propagandosi - ad esempio - nella stessa direzione dei super-venti senza influenzare apparentemente i venti meridionali, che soffiano dall'equatore ai poli (J. Peralta et al. A Long‐Lived Sharp Disruption on the Lower Clouds of VenusGeophysical Research Letters - 2020).

Interruzione atmosferica planetaria osservata a media altitudine su Venere.  Credit: Javier Peralta/JAXA-Planet C team
Interruzione atmosferica planetaria osservata a media altitudine su Venere.  Credit: Javier Peralta/JAXA-Planet C team

L' "anello" di Venere

Durante le congiunzioni con il Sole, l'atmosfera pesante di Venere è rivelata da un fenomeno particolare notato già nel Dicembre 1842 quando Mr.Guthrie notò un anello completo a circondare il pianeta. Resoconti simili sono stati poi aggiunti durante le congiunzioni del 29 novembre 1906 da parte dell'Università di Princeton con Venere distante 1°49' dal centro del Sole. Nel 2020 la congiunzione inferiore è stata nuovamente osservata - il 3 giugno - con Venere a 2°48' di distanza dal Sole (attenzione, si tratta di una osservazione molto pericolosa se fatta male). Le fasi di Venere si ripetono uguali con cicli di otto anni, dando vita a 13 orbite cicliche, con il pianeta che mostra sempre la stessa faccia alla Terra durante il momento di congiunzione inferiore.

Anello di Venere del 3 giugno 2020. Crediti: Shahrin Ahmad (@shahgazer)
Anello di Venere del 3 giugno 2020. Crediti: Shahrin Ahmad (@shahgazer)

 

 

Ultimo aggiornamento del: 17/10/2021 11:57:57

Superficie e vulcani di Venere

Un suolo molto giovane nasconde la storia più remota del pianeta Venere ma rivela l'esistenza di vulcani e fiumi di lava. Tre continenti principali e un numero ridotto di crateri caratterizzano il pianeta.

Soltanto nel 1989 il Magellan Probe della NASA riuscì a fornire la prima mappa dettagliata del pianeta: 80% di pianure lisce e vulcaniche con due continenti maggiori, Ishtar e Afrodite, più una serie di valli, monti, crateri e caldere.

Mappa di Venere in proiezione. Crediti NASA/USGS.
Mappa di Venere in proiezione. Crediti NASA/USGS.

L'accrescimento del protopianeta attraverso il materiale attratto gravitazionalmente ha lasciato la sua impronta sulla superficie di Venere, che presenta crateri e bacini, oltre a flussi di lava fuoriusciti dalla crosta planetaria riempiendo i fondali di molte strutture nate dagli impatti. Dovrebbero essere chiaramente visibili i resti di un intenso periodo di impatti di asteroidi che va sotto il nome di "Grande Bombardamento", terminato circa 3,8 miliardi di anni fa e in grado di lasciare altrettanti segni su Luna, Mercurio e Marte (sulla Terra sono stati coperti dall'attività geologica). Alcuni proiettili provenirono probabilmente dal Sistema Solare interno, ma molti si sono originati nel Sistema Solare esterno e sono stati attratti verso l'interno dalla gravità del Sole e dei giganti gassosi in formazione. Nessuna traccia ancora è stata trovata su Venere e Terra di questo periodo di grande bombardamento. Sebbene circa mille crateri da impatto siano stati identificati su Venere, circa quattro volte quelli trovati sulla Terra, si tratta di strutture molto giovani in confronto a quelle trovate su Luna, Mercurio e Marte. La motivazione è semplice: un processo costante di rimescolamento della superficie ha coperto gli impatti antichi ed una prova è data dal fatto che la superficie di Venere abbia una età stimata di circa 500 milioni di anni, davvero pochissimi. La differenza tra il numero di crateri da impatto trovati sulla Terra e su Venere - pianeti simili per dimensione - è spiegata da svariati fattori. Il 70% della superficie terrestre è coperta da acqua oceanica ed il fondale marino subisce un processo di rimescolamento molto più profondo e costante. Ad esempio, le rocce più antiche trovate nei fondali dei nostri oceani sono di soli 180 milioni di anni fa. Erosione, sedimentazione, placche tettoniche ed increspamenti della crosta aiutano inoltre a rinnovare la superficie nascondendo le strutture più antiche sulla Terra e lasciando soltanto pochi degli esempi più giovani.

Caratteristiche tettoniche

Come la Terra, Venere possiede un nucleo sostanzialmente composto da nichel e ferro, coperto da un mantello roccioso caldo e da una crosta rocciosa. La dimensione del nucleo dovrebbe essere simile alla dimensione del nucleo terrestre, intorno ai 3.500 chilometri di diametro secondo i dati radar più recenti risalenti al 2021. La crosta, composta da materiale basaltico simile ai fondali oceanici terrestri, si estende dai 20 ai 40 chilometri di spessore (sulla Terra la dimensione media è di 40 chilometri).

Struttura interna di Venere. Crediti Treccani
Struttura interna di Venere. Crediti Treccani

Per decenni gli scienziati planetari hanno provato a capire come due pianeti così simili per struttura e composizione si siano differenziati così tanto per quanto riguarda le caratteristiche della crosta.
Sembra che il processo tettonico su Venere sia spinto quasi esclusivamente da getti di materiale caldo che provengono dal mantello e si incuneano nella litosfera producendo attività vulcanica in aree note come hot spots (punti caldi). Si tratta di zone presenti anche sulla Terra, come nelle Isole Hawaii, dove i movimenti del fondale marino su un hot spot hanno creato una catena di strutture elevate, le più giovani delle quali sono ancora vulcanicamente attive.

Artemis Chasma. CreditiNASA
Artemis Chasma. CreditiNASA

Su Venere i movimenti convettivi del mantello nei punti caldi producono deformazioni della crosta sovrastante, producendo sia una compressione sia una tensione su scala regionale. Tutto questo include cascate o scarpate, molte delle quali corrono in parallelo o comunque nella stessa direzione della deformazione della crosta dovuta allo stress subito. Altra forma di struttura tettonica conosciuta come terreno a tessera (o a mosaico) è una caratteristica tipica di Venere e copre il 10% circa della superficie planetaria. Le zone più alterate del terreno di Venere consistono di sezioni collinari di crosta che sono state spezzate da reti di strapiombi a formare dei blocchi angolari che vanno da pochi chilometri a più di venti chilometri di diametro. Un simile terreno dovrebbe essersi formato come risultato di una compressione della crosta indotta dall'attività tettonica e rappresenta la crosta più antica di una particolare regione. E' possibile che la crosta di queste regioni fosse originariamente più debole di quella delle aree circostanti, magari per una differente composizione rocciosa, e fosse quindi più facilmente deformabile. Come alternativa, il terreno a mosaico può rappresentare una larga parte della superficie di Venere e le tessere affiorate potrebbero rappresentare soltanto un piccolo esempio della crosta più antica che è stata oggi coperta dai flussi di lava durante le fasi maggiori di rimescolamento superficiale. La stratificazione che è presente sulle tesserae, tuttavia, non sembra coerente con la spiegazione della crosta continentale e nel 2020 un team di ricercatori ha ipotizzato come questa stratificazione potrebbe essere correlata all'attività vulcanica. L'analisi delle immagini radar della missione Magellan (NASA - 1989) ha infatti confermato una ampia stratificazione, incompatibile con il granito che compone la crosta continentale. A parte l'ipotesi vulcanica potrebbe essere chiamata in causa una roccia stratificata da depositi sedimentari, come arenaria o calcare, ma nulla di questo tipo è presente su Venere. Tutto spinge, insomma, verso una origine di roccia vulcanica (Paul K. Byrne et al, Venus tesserae feature layered, folded, and eroded rocksGeology - 2020). 

Su scala temporale di centinaia di milioni di anni, gli hot spot di Venere producono una serie di caratteristiche nella crosta superficiale. Innanzitutto, un flusso convettivo nel mantello di Venere crea una regione rialzata. Gli stress subiti da questa parte di crosta producono cedimenti, slavine e vallate chiamate chasma. Le emissioni calde fondono le rocce circostanti e l'attività vulcanica irrompe in superficie creando vulcani e depositando grandi quantità di lava. Inoltre, la crosta si arricchisce di uno strato di pianura vulcanica sopra gli hot spots.

Tutto questo può far pensare che Venere abbia avuto e possa avere ancora un sistema tettonico simile al nostro, ma le cose non stanno così visto che si tratta di fenomeni locali. Una tettonica vera e propria potrebbe non esserci mai stata e la prova deriverebbe dagli anelli creati dall'impatto che ha generato - tra 300 milioni e un miliardo di anni fa - il cratere Mead, il più grande bacino da impatto del pianeta. Le increspature rocciose che circondano il cratere sono congelate dal tempo esattamente come si sono formate il che implica una litosfera venusiana molto spessa, molto più della nostra e tale da inibire ogni forma di tettonica globale. La posizione degli anelli è fortemente legata al gradiente termico della crosta, la velocità con la quale la temperatura aumenta all'aumentare della distanza dalla superficie. Affinché gli anelli possano apparire come appaiono oggi, questo gradiente termico deve essere relativamente basso il che implica un aumento relativamente graduale della temperatura con la profondità e quindi, in ultima istanza, una litosfera spessa (E. Bjonnes et al, Estimating Venusian thermal conditions using multiring basin morphologyNature Astronomy - 2021). Dall'altro lato, invece, continuano a giungere prove di fenomeni di tettonica locale, come il pattern di deformazione osservato in Lavinia Planitia grazie alle immagini radar della missione Magellano della NASA. Anche in questo caso i modelli di simulazione hanno puntato l'indice sulle deformazioni del mantello - derivanti dal moto di convezione - come causa di quanto osservato in superficie (Proceedings of the National Academy of Sciences - “A globally fragmented and mobile lithosphere on Venus” -Paul K. Byrne et al.)

Venere è caratterizzata da tre altopiani molto estesi: Ishtar Terra, Aphrodite Terra e Lada Terra, ciascuna comparabile con le dimensioni di un continente terrestre, più un altopiano minore chiamato Beta Regio.

  • ISHTAR TERRA (70N, 28E) domina l'emisfero settentrionale del pianeta . Misura qualcosa come 5.600 chilometri da est ad ovest con un'area di circa 8 milioni di chilometri quadrati, equivalenti all'Australia intera. Una vasta parte, estesa circa 2.345 chilometri di diametro, è occupata dalla Lakshmi Planum (69N, 339E), una pianura limitata da quattro grandi catene montuose chiamate Maxwell Montes ad est, Frejya Montes a nord, Akna Montes ad ovest e Danu Montes a sud. Di queste catene, i picchi di Maxwell Montes raggiungono le altezze maggiori, più di 11 chilometri. Lakshmi Planum ed i suo confini montuosi ricordano un po' le montagne del Tibet terrestri. Probabilmente l'origine delle due strutture è simile, legata a placche che si sono scontrate innalzando il territorio sovrastante, ma la struttura venusiana è il doppio di quella terrestre.
Maxwell Montes - Photo courtesy of NASA
Maxwell Montes - Photo courtesy of NASA
  • Theia Mons in Beta Regio. Crediti NASA/JPL
    Theia Mons in Beta Regio.
    Crediti NASA/JPL
    APHRODITE TERRA (6S, 105E) è lunga circa 10.000 chilometri e si snoda per circa un terzo intorno a Venere, dall'equatore alla zona a sud dello stesso. Ha un'area di circa 15 milioni di chilometri quadrati (metà dell'Africa) e comprende terreno rugoso che raggiunge altezze fino a 7 chilometri. C'è evidenza che le forze che hanno corrugato la crosta provengono da più di una direzione, dando luogo a strutture complesse e fratture. E' possibile che questa regione sia sottoposta a tensione tettonica e che sia una formazione molto recente.
  • LADA TERRA (63S, 20E) occupa un diametro di 8.600 chilometri ed è l'altopiano meno precipitoso di Venere. Contiene molto terreno a mosaico e qualche grande corona. Un gran numero di profondi canyon può essere visto a tagliare il continente nella sua parte settentrionale.
  • BETA REGIO (25N, 283E) misura 2.860 chilometri di diametro ed è uno dei maggiori esempi di struttere vulcaniche di Venere. Al suo centro, il maggior vulcano è Theia Mons (23N, 281E), che misura 226 chilometri di diametro alla base e 4,5 chilometri di altezza. Una caldera di 50x75 chilometri marca la sua sommità. Il vulcano è circondato da una estesa pianura lavica. Theia Mons è posto al centro di un sistema di rift valley che attraversa Beta Regio, molte delle quali corrono radialmente a partire dal vulcano per lunghezze che vanno dai 40 ai 160 chilometri di lunghezza e dai 40 ai 60 chilometri di larghezza, e spesso hanno margini rialzati tra i 500 ed i 1000 metri di altezza. La loro formazione dovrebbe essere imputata al rialzamento del Beta Regio.

I vulcani e i crateri da impatto di Venere

Venere è il pianeta maggiormente vulcanico del Sistema Solare. Distribuiti in diverse centinaia di agglomerati, il pianeta presenta più di 55.000 vulcani con basi superiori ad un chilometro di diametro. Il numero totale di vulcani supera i 100.000 e potrebbe essere tranquillamente prossimo al milione. Sebbene sia quasi certo che il vulcanismo su Venere sia ancora argomento molto attuale, non si sa ancora quanti di questi vulcani siano attivi. La Terra presenta circa 1.500 vulcani attivi, molti dei quali compresi nell'anello di fuoco dell'Oceano Pacifico, mentre ci sono tanti altri vulcani sommersi ancora da scoprire. Uno studio del 2020 ha identificato 37 strutture vulcaniche recentemente attive, non veri e propri vulcani come siamo soliti intenderli sulla Terra ma corone (strutture ad anello) generate dalla fuoriuscita di materiale lavico proveniente da caldere sottostanti. La zona subisce cedimenti concentrici che producono anelli dal diametro che può raggiungere i mille chilometri. Le corone - quindi - non sono segni di antica attività vulcanica ma raccontano anche la storia di vulcani attivi o dormienti, ma ancora non morti (Nature Geoscience - Corona structures driven by plume–lithosphere interactions and evidence for ongoing plume activity on Venus di Anna J. P. Gülcher et al.). Una ulteriore prova sembra essere messa a disposizione da nuovi algoritmi di analisi dei dati della sonda Magellano riguardanti Narina Tholus, una cupola vulcanica al bordo di Aramaiti Corona. Il vulcano sembra deformare il terreno circostante, in una deformazione che ricorda molto quelle del fondale marino intorno alle Hawaii. Proprio dalla deformazione sembra possibile dedurre il flusso di calore in prossimità del vulcano, una caratteristica dalla quale è possibile desumere la giovane età della struttura e del vulcanismo associato (Journal of Geophysical Research Planets - “Evidence for a Locally Thinned Lithosphere Associated With Recent Volcanism at Aramaiti Corona, Venus” - B. Russell et al.)

La superficie di Venere comprende circa 150 ampie zone vulcaniche, ciascuna delle quali larga tra i 100 ed i 700 chilometri e con altezze comprese tra i 300 ed i 5.500 metri. Le aree vulcaniche di Venere sono sparse per il pianeta e non ci sono tracce di catene vere e proprie. Le pianure più basse e gli altopiani contengono pochi vulcani. Similmente ai vulcani terrestri, le pendici dei vulcani venusiani sono coperte da flussi radiali di lava provenienti dalla caldera centrale.

Mappa delle corone attive (rosso) e inattive (bianco). Crediti: Anna Gülcher
Mappa delle corone attive (rosso) e inattive (bianco). Crediti: Anna Gülcher
Principali vulcani di Venere
Nome Locazione Base (km) Altezza (m) Caldera (km)
Theia Mons 23N 281E 226 4.500 75x50
Sif Mons 22N 352E 300 2.000 50x40
Gula Mons 22N 359E 276 3.000 40x30
Sapas Mons 9N 188E 217 1.500 25
Ushas Mons 24S 325E 413  2.000 15

La tabella riassume le principali aree vulcaniche del pianeta Venere. Il vulcanismo del pianeta mostra uno stile eruttivo modificato, comprendente flussi di lava fluida che si propagano da una caldera centrale attraverso le fessure. C'è una qualche prova di eruzioni esplosive, in grado di formare nubi di cenere, e di flussi di lava ricchi di silicati. Ci sono svariati esempi di strutture arrotondate con cime smorzate costituite da lava viscosa e/o depositi di cenere. Solitamente queste forme sono associate a aree ricche di deformazioni della crosta, come quelle tipiche delle corone e dei mosaici. Nel 2010, uno strumento a bordo della sonda europea Venus Express ha rivelato tracce di colate laviche recenti e probabilmente si tratta di vulcani attivi ancora oggi. Lo strumento italiano VIRTIS (lo spettrometro) ha registrato colate risalenti, nella più cauta delle ipotesi, a circa due milioni e mezzo di anni fa che, geologicamente parlando, è veramente pochissimo tempo. Stime più ottimistiche fanno risalire le colate a circa un migliaio di anni fa, forse qualche centinaio di anni, ed è dunque molto probabile che l'attività vulcanica continui ancora oggi.

I responsabili della missione hanno scandagliato tre delle nuove zone calde (hot spots) individuate su Venere (Imdr, Themis e Dione), rilevando temperature che differiscono di 2-3°C rispetto a quanto previsto. Queste zone sono localizzate nell'emisfero meridionale e mostrano colate di lava provenienti, probabilmente, da vulcani adiacenti. Proprio nelle colate laviche sono state rintracciate rocce giovani. Quando avviene una colata, il colore delle rocce è molto scuro ma con il passare del tempo i processi chimici deteriorano le rocce superficiali e la lava si schiarisce. In base al grado di schiarimento si può risalire al periodo dell'eruzione, ed in tal caso le rocce sono molto scure ed emettono radiazione infrarossa in quantità molto superiore rispetto al resto del territorio. Tutto avvalora anche la tesi che vuole delle colonne di magma provenienti dal mantello sotto la crosta del pianeta, a testimoniare una attività geologica ancora in corso. Una prova - da dimostrare ancora - potrebbe venire da Idunn Mons, un vulcano nella Imdr regio alto circa 2.4 chilometri e in grado di coprire 200 chilometri di area. La ricerca, basata su una noteole serie di dati ottenuti da diversi strumenti, mostra flussi di lava con calore che degrada molto più velocemente di quanto pensato, tanto velocemente da lasciare ipotizzare una origine entro gli ultimi mille anni. I venti intorno alla regione, tra l'altro, vengono anche distrutti il che potrebbe essere legato al calore dal vulcano, il che suggerirebbe una attività contemporanea (P. D'Incecco et al, Idunn Mons: Evidence for Ongoing Volcano-tectonic Activity and Atmospheric Implications on VenusThe Planetary Science Journal - 2021). 

Numerosi fattori hanno concorso alle eruzioni esplosive di Venere. L'alta pressione atmosferica del pianeta indica che le eruzioni debbano contenere una quantità di gas molto alta rispetto a quella terrestre per produrre una eruzione esplosiva in superficie. In più, le eruzioni terrestri hanno un grande contenuto di acqua nel magma che fuoriesce, mentre si tratta di una sostanza atipica per Venere. Soltanto una piccola parte dei piccoli vulcani di Venere si trova nelle regioni degli altopiani. Molti possono essere trovati invece nei territori più bassi o nelle pianure. Circa l'80% delle basse pianure è composto da flussi di lava vulcanica che coprono un gran numero di piccoli vulcani. La maggior parte delle tantissime aree vulcaniche di Venere è composta da strutture piccole, con un diametro di base compreso tra i 30 ed i 40 chilometri. Un paio di dozzine tra questi sono noti come "anemoni": si tratta di strutture che consistono di un picco centrale circondato da striature simili ad un fiore di flussi lavici che, alle onde radar, appaiono brillanti a circondare il vulcano.

Molti esempi di coni vulcanici, simili a quelli terrestri e lunari, sono presenti sul pianeta. Sono principalmente circolari, alti tra i 200 ed i 1.700 metri. Generalmente sono presenti in piccoli gruppi sulle pianure ed alcuni sono stati formati da cedimenti della crosta.

Flussi di lava

I flussi di lava coprono gran parte della superficie di Venere, con tre strutture tipiche: i campi di lava (fluctus), i canali di lava e depressioni vulcaniche.

  • Fluctus - Venere ha più di 50 campi di lava, molti dei quali hanno una lunghezza compresa tra i 100 ed i 700 chilometri ed una larghezza media tra i 50 ed i 300 chilometri. Molti si trovano intorno ai bordi elevati dei bassopiani ma altri sono presenti nei pressi delle aree vulcaniche. Uno dei più grandi campi è il Mylitta Fluctus (56S, 354E), lungo 1.250 chilometri e largo 500 chilometri, coprendo un'area di circa 400 volte il campo di lava basaltica più grande degli USA (il cratere del Moon National Monument, Idaho). Ci sono ampie prove di una serie di eruzioni provenienti da singole sorgenti su periodi di diversi anni. In alcuni casi la natura dei flussi può essere dedotta dalla riflettitivà al radar. I flussi scuri indicano materiale tipicamente basaltico, mentre quelli più brillanti indicano un flusso più superficiale.
  • Canali - Formati dall'azione dei flussi di lava, appaiono superficialmente come letti di fiumi. Circa 200 canali sono stati identificati, molti dei quali scendono dalle aree vulcaniche. Si trovano spesso in gruppi e la loro larghezza media va dai 500 metri ai 1,5 chilometri. La lunghezza invece va da poche decine di chilometri fino a diverse centinaia. Baltis Vallis (37N, 161E) è il canale più grande di Venere e di tutto il Sistema Solare, con i suoi 6.800 chilometri di lunghezza. Traccia un percorso da ovest di Atla Regio verso nord fino ad Atlanta Planitia. Nonostante la lunghezza, la sua larghezza è stranamente uniforme, sui 1,8 chilometri. Inizio e fine del canale sono nascosti da flussi lavici, quindi la sua estensione è un po' imprecisa.
  • Depressioni - Oltre ai riconoscibilissimi vulcani eruttivi, il vulcanismo di Venere si basa anche sulla attività tettonica, sugli stress della crosta e sui cedimenti dovuti al magma che affiora. Vari tipi di strutture, differenziate dalla natura, sono state perciò identificate.

Le caldere sono oggetti nei quali grandi intrusioni di magma sono affiorate nella litosfera deformando la superficie e producendo tensioni sulla crosta e compressioni, creando alla fine fessure, cedimenti concentrici ed estensioni della crosta stessa. Spesso, questo è stato associato ad attività vulcanica. In molti casi il magma ha cessato di risalire, raffreddandosi prematuramente e producendo il collasso nella camera di risalita, formando un grande cratere circolare oppure una depressione allungata nella superficie del pianeta, chiamata caldera. Spesso trovate negli altopiani, le caldere possono essere distinte dai crateri da impatto per la mancanza del bordo e del terrazzamento delle pareti interne. Mancano inoltre di un anello interno e di un elevato massiccio centrale, e non sono neanche circondate da raggi di ejecta. Non esistono strutture simili sulla Luna né su Mercurio, ma sulla Terra ce ne sono svariati esempi più piccoli (Ngorongoro in Tanzania). 

Le corone sono grandi caldere racchiuse da cedimenti concentrici ed anelli, con raggiera di flussi di lava. Sono generalmente ellittiche e con un diametro che va dai 100 ai 1000 chilometri, sebbene molte siano comprese tra 200 e 250. Formate da getti di magma, l'attività vulcanica è stata essenzialmente breve per dar vita al riempimento della vasca creata. Si conoscono più di 200 corone su Venere, molte delle quali occupano la parte più alta delle pianure nelle aree che hanno sperimentato maggiormente la compressione della crosta.
Molte sono presenti in catene o piccoli ammassamenti intorno a Beta Regio, Atla Regio, Themis Regio.

Sacajawea Corona su Venere, diametro di 420 chilometri. Crediti NASA
Sacajawea Corona su Venere, diametro di 420 chilometri. Crediti NASA

Le aracnoidi prendono il nome dai ragni o dalle ragnatele, e sono considerate la controparte in piccola scala delle corone, condividendone la modalità di origine. Sono strutture circolari tra i 50 ed i 250 chilometri di diametro, che mostrano anelli che racchiudono completamente le caratteristiche radiali. Presentano minori evidenze di attività vulcaniche e circa il 60% è presente in quattro grandi ammassi.

Aracnoide sul suolo venusiano, nella Fortuna Regio. Crediti NASA
Aracnoide sul suolo venusiano, nella Fortuna Regio. Crediti NASA

Le novae sono fratture superficiali disposte ad "esplosione stellare". Simili per dimensione alle aracnoidi, molte sono comprese tra i 150 ed i 200 chilometri di diametro. Mostrano piccole tracce di attività vulcanica e ne sono note più di 50. Rappresentano forse il primo stadio della formazione di aracnoidi. Le catene di piccoli crateri sono scorte talvolta nei tratti di estensione della crosta. Simili ad impatti secondari, sono formate dal collasso superficiale della crosta.

Nova su Venere, una frattura posta a 14S 164E. Crediti Crumpler e Aubele.
Nova su Venere, una frattura posta a 14S 164E. Crediti Crumpler e Aubele.

 

Ripercorrere la conoscenza di Venere vuol dire ripercorrere un po' le missioni che ci hanno portato a scoprire questo pianeta e i primi dettagli riguardo una possibile attività vulcanica ancora in essere vengono da alcune oscillazioni nella misura di diossido di zolfo (SO2) presenti nell'atmosfera venusiana: che Venere fosse circondato da una densa coltre di nubi era già noto e il fatto che questa - ricca di anidride carbonica - producesse al suolo condizioni di vita inaccettabili era anch'esso noto. Anidride carbonica ma anche acido solforico, che potrebbe raccontare di una attività vulcanica di tempi che furono. Il Pioneer Venus Orbiter (PVOPioneer Venus 1 o Pioneer 12) è parte del programma Pioneer. Lanciato da Cape Canaveral a Maggio 1978 a bordo di un Atlas-Centaur, è stato immesso in orbita venusiana il 4 dicembre 1978 dove ha operato fino al 1992.Già dopo quattro giorni inizia una attività di monitoraggio dell'anidride solforosa che terminerà soltanto dieci anni dopo, ottenendo una mappa di oscillazioni davvero interessante.

Grafico dell'anidride solforosa. Crediti Pioneer Venus Orbiter/Space Phisics Center
Grafico dell'anidride solforosa. Crediti Pioneer Venus Orbiter/Space Phisics Center

Il grafico in alto mostra l'andamento dell'abbondanza di SO2 nell'alta atmosfera venusiana mappata proprio dall'orbiter Pioneer Venus Orbiter (PVO) dal 1978, con ripresa dei dati da SPICAV negli ultimi periodi. E' evidente un calo di concentrazione nel tempo. A far compagnia al calo della SO2, i poli venusiani vedevano una diminuzione di una cappa di "nebbia". Non nebbia normale, ovviamente, ma addensamenti di aerosol, goccioline di acido solforico. Interessante sapere che A. Dolfus già negli anni Cinquanta tramite osservazioni polarimetriche notò un aumento di questo aerosol. 

Siamo quindi davanti a qualcosa di non occasionale, ad un fenomeno che su Venere si ripete abbastanza spesso. A cosa può essere dovuto un andamento simile? Basta guardare in casa e scoprire che lo stesso innalzamento di SO2 in atmosfera si è registrato anche sulla Terra in occasioni particolari, quali le eruzioni del vulcano El Chinchon del 29 marzo 1982 e del Krakatoa del 1883. La prima eruzione riversò in atmosfera 10 milioni di tonnellate di anidride solforosa facendo aumentare del 10% l'opacità delle regioni polari (registrazioni del GOES-5, satellite geostazionario, e del Nimbus-7, satellite a orbita polare). Il Krakatoa ebbe invece un effetto dieci volte maggiore e dello stesso ordine di misura del picco registrato su Venere. Sulla Terra fenomeni simili si verificano ogni uno o due secoli, ma se fossero più ravvicinati quali conseguenze potremmo registrare? 

Il tutto porta a pensare ad una attività vulcanica ancora ben presente sul pianeta Venere, con eruzioni gigantesche che vengono registrate a intervalli di tempo molto più brevi rispetto a quelli terrestri. Quale può essere il motivo di questa differenza di periodo? Una indicazione viene dalle mappe radar della superficie venusiana. In realtà si tratta di mappe con risoluzione di 100 chilometri, quindi inadatte a fornire dettagli piccoli come può essere un vulcano, ma qualcosa è comunque ben visibile. O meglio, invisibile. Disse Baricco per bocca di Novecento "Rimasi impaurito da quel che non vidi", e per la mappa di Venere può valere la stessa cosa. Non la fine di una città, come nel caso di Novecento fermo sulla scala che lo avrebbe portato a scendere dalla sua culla-nave, ma strutture geologiche che sulla Terra sono presenti e che sembrano non esistere su Venere. Terra e Venere sono simili come dimensione e densità, e quindi probabilmente sono simili anche in termini di calore interno sviluppato. Il calore interno deve uscire e sulla Terra esiste un sistema molto ampio di fratture superficiali che corrisponde alle dorsali oceaniche, cosa che invece manca del tutto su Venere. La superficie di Venere mappata dal radar del PVO parla di un suolo piatto, con picchi oltre i 2 chilometri di altezza per una quantità di aree che coprono soltanto l'8% del pianeta , suddivise in Ishtar Terra a nord, Beta Regio e Aphrodite dalle parti dell'equatore . Il calore interno che deve uscire, quindi, può trovare sfogo soltanto in vulcani. Altra prova dell'attività vulcanica poteva essere rintracciata nei dati di altri orbiter, quali le Venera sovietiche: tempeste di fulmini dedotte da scariche a bassa frequenza, tra i 100 e i 300 Hz. Le scariche non erano fattori meteorologici visto che venivano registrate soltanto in zone che appartenevano alle "terre emerse", quelle più alte: sopra Beta Regio e sopra Atla Regio. Dalla Terra sappiamo che spessissimo le eruzioni vulcaniche sono accompagnate da tempeste di fulmini, e questo non fa altro che chiudere il cerchio: regioni più alte, tempeste di fulmini che combaciano con esse e aumenti periodici di SO2 in atmosfera. La Venera 15 è una sonda spedita su Venere dall'URSS allo scopo di mappare il pianeta a grande risoluzione. Identica alla Venera 16, ambedue derivate dalle prime Venera, la Venera 15 è stata lanciata da Baikonur il 2 giugno 1983 ed è entrata in orbita venusiana il 10 ottobre dello stesso anno, operando fino all'ultimo contatto del luglio 1984. La Venera 16 è stata lanciata il 7 giugno 1983 ed è entrata in orbita l'11 ottobre, operando fino a luglio 1984. La Magellan è partita il 4 maggio 1989 dal Kennedy Space Center a bordo dello Shuttle Atlantis. In orbita venusiana dal 10 agosto 1990, ottenne numerosi dati sul pianeta fino a bruciare nell'atmosfera il 13 ottobre 1994 dopo attività di aerobracking. Inizia quindi una mappatura del pianeta in termini di strutture superficiali ma anche di struttura interna, con metodi che oggi diamo per scontati quali il rimbalzo radar e la misura dell'effetto doppler nei segnali giunti a Terra. Ovviamente il tutto è migliorato con la Venus Express, con otto anni di orbite intorno al pianeta caldo terminati sul finire del 2014 con le ultime attività di aerobreaking. In pratica, misurando il tempo di rimbalzo del radar emesso dalla sonda si riesce a capire l'altimetria della superficie del pianeta (in realtà non è così semplice visto che dipende dall'inclinazione del raggio emesso e dalla caratteristica superficiale del pianeta) mentre dall'attrazione gravitazionale esercitata dal pianeta sull'orbita della sonda derivano lievissime oscillazioni che portano a effetto doppler nei segnali, legate a zone più o meno dense che rispettivamente avvicinano e allontanano la sonda stessa alla superficie. 

Proprio grazie a queste tecniche si riuscì a conoscere meglio l'ambiente venusiano, pur con qualche "svarione" molto curioso: le Venera, ad esempio, mostrarono una quota media di 5000 metri rispetto al raggio medio del pianeta nella zona di Ishtar, con un massiccio enorme di 11.500 metri di altezza (Maxwell) sulla cui cima era posizionata una struttura circolare  chiamata Cleopatra (immagine a sinistra), con 95 chilometri di diametro e 1,5 chilometri di profondità, al cui interno vi era un altro cratere. Montagna di più di 11 chilometri con in cima un cratere, facilissimo pensare ad un enorme vulcano. La Magellan, con osservazioni più precise, ci raccontò invece di un cratere da impatto aperto proprio sulla cima del monte: nessun vulcano quindi in questa regione ma la semplice fatalità di un cratere capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato, tanto per fuorviarci. Con l'aumento dei dettagli, tuttavia, si vanno rafforzando le convinzioni e le certezze: il calore interno di Venere non gode di fessure superficiali per uscire, e del resto il ciclo di diffusione del calore deve essere per forza diverso dal nostro visto che il gradiente termico tra interno e superficie su Venere è molto inferiore a quello terrestre: la temperatura in superficie è di 500 gradi e la pressione è molto maggiore.

Quale meccanismo avrà mai escogitato Venere per liberare questo calore? 

I dati delle sonde nel frattempo definiscono un raggio medio del pianeta di 6.051 chilometri, con il 27% della superficie in media o sotto la media, con il 65% in posizione compresa entro i 2 chilometri sopra la media e l'8% a superare i 3 chilometri. Tra le "terre", immense pianure basaltiche che per composizione chimica appaiono toleitiche (simili alle dorsali oceaniche terrestri) oppure leucitiche (ricche di potassio, più rare sulla Terra ma simili, ad esempio, a quelle delle lave vesuviane).

Gran parte dei vulcani sembra accorparsi in una regione chiamata BAT (Beta, Atla e Themis Regio), il che fornisce indizi importanti visto che anche sulla Terra i vulcani si ammassano in zone ben precise, laddove le zolle terrestri si scontrano (subduzione) o si espandono (dorsali). Qualcosa di particolare, quindi, questa zona deve pur averla. Anche perché è una zona che ricorda molto anche la zona del Tharsis su Marte, guardacaso un altro pianeta che non sviluppa una tettonica globale. 

Crateri da impatto su Venere
Cratere Coordinate Diametro (km)
Mead 13N 57E 270
Isabella 30S 204E 175
Meitner 56S 322E 149
Klenova 78N 105E 141
Baker 63N 40Re 109
Stanton 3S 199E 107
Cleopatra 66N 7E 105
Rosa Bonheur 10N 289E 104
Cochran 52N 143E 100
Sayers 68S 230E 98
Maria Celeste 23N 140E 98
Potanina 32N 53E 94
Greenaway 23N 145E 93
Bonnevie 36S 127E 92
Joliot-Curie 2S 62E 91
Addams 56S 99E 87
Sanger 34N 289E 84

Venere, come detto, ha una superficie molto giovane, risalente a 500 milioni di anni fa al massimo quindi non è possibile tracciare la storia degli impatti subiti dal pianeta. Niente riguardante il bombardamento pesante, così chiaramente visibile su Mercurio e Luna. I crateri più giovani sono più giovani di tutti i crateri lunari visibili con un telescopio, molto più giovani del cratere Copernicus. I mille crateri da impatto di Venere, formati tutti negli ultimi 500 milioni di anni, sono distribuiti a caso sulla superficie del pianeta. Soltanto nove sono più grandi di 100 chilometri di diametro. Mead (13N, 57E) è il più ampio, con un diametro di 270 chilometri, più o meno come il secondo più grande cratere terrestre (Sudbuty in Ontario, 1,8 miliardi di anni di età). Tra i pianeti del sistema solare, Venere è quello con un minor numero di piccoli crateri. I più piccoli sono larghi appena 1,5 chilometri, come il Meteor Crater in Arizona. Questo può essere spiegato con la pesante atmosfera di Venere, che riesce a disintegrare molti dei corpi celesti che fanno da proiettile. Si stima che qualsiasi corpo di ferro più piccolo di 30 metri di diametro bruci completamente nell'atmosfera venusiana, senza giungere mai al suolo.

Soltanto i meteoroidi maggiori ed i piccoli asteroidi, quindi, riescono a penetrare l'atmosfera di Venere e colpirne il suolo. Questi impatti generano una grande pressione e la conversione dell'energia cinetica in onda d'urto innalza la temperatura riscaldando la crosta che circonda la zona d'impatto. La crosta si comprime sotto l'impatto ed il materiale circostante viene sparato fuori. Una bolla molto calda di materiale fuso con una temperatura di diversi milioni di gradi si forma al momento dell'impatto e la roccia circostante viene vaporizzata istantaneamente. Il perimetro del cratere si deforma e si solleva. Al momento della decompressione, il rimbalzo produce un rialzamento centrale nei crateri maggiori e roccia fusa si accumula nel fondo del nuovo cratere. Il materiale scavato si distribuisce intorno al cratere formando una raggiera di ejecta. Il primo materiale espulso comprende materia che è stata vicina al punto di impatto ed è spedita a grande velocità lungo la superficie del pianeta, lontana dal cratere. Man mano che l'impatto scava, il materiale è preso più in profondità ma l'energia totale dell'impatto si è dissipata. Le espulsioni avvengono quindi a velocità decrescenti ed il materiale va a formare l'ejecta in zone più vicine al cratere. Il materiale più profondo può essere scagliato proprio ad innalzare il bordo del cratere. Molti degli ejecta su Venere sono distribuiti in macchie ad alta riflettività radar nei pressi del cratere, molte con forma allungata, come risultato del mix di gas caldo, ejecta fuso e materiale preso dal fondo del cratere.

Ci sono differenti tipologie di cratere da impatto su Venere. 

  • Bacini multiring: Il più grande esempio di bacino multianello su Venere è Klenova, con un anello interno di 70 chilometri di diametro e due strutture concentriche di 105 e 141 chilometri rispettivamente. La lava ha riempito la porzione centrale della regione e parte dello spazio tra gli anelli esterni. L'anello esterno è formato da scarpate arcuate, mentre raggiere di ejecta ed un impatto secondario circonda la struttura.
  • Cratere doppio anello: Tipicamente formano anelli con un rapporto 2:1, hanno un bordo esterno ben definito ed un anello interno abbastanza netto. Molti superano i 40 chilometri di diametro, come il Mona Lisa di 79 km e Stanton di 107 chilometri.
  • Cratere con picco centrale: Circa un terzo dei crateri di Venere ha un picco centrale di rilievo.
  • Cratere con fondo liscio: Molti dei crateri più piccoli, con diametro sotto i 15 chilometri, non presentano alcuna struttura sul fondo risultando circondati da pareti terrazzate.
  • Cratere irregolare: Molti crateri presentano forma irregolare, con pavimentazione rugosa e brillante al radar. In molti casi l'irregolarità è congiunta ad un insieme di crateri formati dalla spaccatura del corpo che ha impattato il pianeta, spaccatura dovuta all'erosione da parte dell'atmosfera al momento dell'ingresso.
  • Macchia: Tipici di Venere sono crateri presenti sulle pianure consistenti in forme irregolari, oscure ai radar, nelle quali si possono trovare crateri o depressioni. Sono prodotte da grandi meteoroidi completamente frammentati dall'aria attraverso una esplosione prima di finire al suolo. L'onda d'urto attraversa la superficie seguita da una nube di impatti di piccoli meteoriti.

La seguente topografia del pianeta Venere si divide in tre zone di uguale area, in grado di coprire entrambi gli emisferi in sezioni longitudinali di 120°. Le aree sono Ishtar-Alpha-Lada da 300 a 60E, Niobe-Aphrodite-Artemis da 60 a 180E e Kawelu-Atla-Helen da 180 a 300E. Ciascuna regione sarà esplorata da nord a sud e da ovest ad est. Le coordinate di un pianeta del Sistema Solare partono da un meridiano arbitrario, incrementato nella direzione opposta a quella di rotazione. Venere ha una rotazione retrograda, quindi la longitudine è misurata verso est a partire dal meridiano 0°E che per convenzione è  fatto coincidere con il piccolo cratere Ariadne nella Sedna Planitia.

Regione Ishtar-Alpha-Lada

Ishtar-Terra. Crediti Wikipedia
Ishtar-Terra. Crediti Wikipedia

La regione è centrata sul primo meridiano , ad est del grande Heng-o Corona (2N, 355E, 1.060 km), la maggior parte della porzione centrale è coperta da vaste pianure, come Sedna Planitia (43N, 341E, 3.570 km) a nord e Lavinia Planitia (47S, 347E, 2.820 km) a sud. Nei pressi dell'equatore si distende Eistla Regio (11N, 22E, 8.015 km), un terreno collinare dal quale si erge l'altopiano noto come Alpha Regio (26S, 0E, 1.897 km) nella porzione centromeridionale della regione. A controbilanciare questa struttura ci sono due ampie regioni continentali, l'imponente altopiano Ishtar Terra (70N, 28E, 5.610 km) nella parte nord e la grande, sebbene più stretta, Lada Terra (63N, 20E, 8.615 km) verso sud.

Louhi Planitia (81N, 121E, 2.440 km) occupa una buona parte della porzione nord della regione posta dietro il bordo nordorientale di Ishtar Terra. Molte creste attraverso la sua superficie, la più grande della quale, Tezan Dorsa (81N, 47E) si espande per più di 1.000 chilometri lungo la pianura. Verso ovest, Snegurochka Planitia (87N, 328E, 2.775 km) forma una pronunciata indentazione nel bordo settentrionale di Ishtar Terra.

Ishtar Terra, un vasto altopiano continentale, si spande nella regione nord per 5.610 chilometri tra le longitudini 300 e 80E. Ha un'area di circa 8 milioni quadrati di chilometri, equivalente all'area occupata dall'intera Australia. Risulta una regione molto varia dal punto di vista topografico, comprendendo tre distinte regioni. Sul lato occidentale è presente la pianura, circondata da montagne, Lskshmu Planum (69N, 339E, 2.345 km). Il componente centrale è presidiato dal gigantesco massiccio di Maxwell Montes (65N, 3E, 797 km) mentre il lato orientale è composto da vaste colline a mosaico note come Fortuna Tessera (70N, 45E, 2.801 km). 

Lakshmi Planum è una vasta pianura circondata da alte montagne, simile all'altopiano del Tibet che conosciamo bene. Ha una forma ovale che si estende da ovest ad est e raggiunge altezze comprese tra i 2.500 ed i 4.000 metri. Due larghe cupole vulcaniche con caldere si ergono dalla pianura: Colette Patera (66N, 323E, 149 km) ad ovest e Sacajawea Patera (64N, 335E, 233 km) ad est. La prima, la sorgente di numerosi raggi brillanti di flussi lavici, ha una caldera rasente che misura 90x50 chilometri circondata da fratture concentriche. La seconda, la più larga di Venere con le sue caratteristiche, è una corona con una caldera allungata di 120x215 chilometri circondata da un sistema di imperfezioni e scarpate, particolarmente dense nel lato ovest. Sul lato est di Sacajawea Patera può essere trovato un insieme di creste lineari formate, probabilmente, da spaccature della crosta e vulcanismo.

Formando un lungo bordo di 579 chilometri nel lato nord di Lakshmi Planum, la catena montuosa Freyia Montes (74N, 334E) si erge a circa 1.000 metri sopra la pianura posta a sud e circa 3.000 metri in più rispetto alla zona continentale di Itzpapolotl Tessera (76N, 318E, 380 km) posta a nord. Ad est di Lakshmi Planum, Maxwell Montes domina la parte centrale di Ishtar Terra. Vista dall'alto, questa catena montuosa ha la forma di una testa di cavallo. La catena contiene i picchi più alti di Venere, che si ergono a circa 10.000 metri sopra il bassopiano Sedna Planitia posto a sud-ovest. La compressione della crosta dovrebbe essere la causa della formazione di Maxwell, come accade per le catene montuose terrestri. La catena è formata da una serie parallela di creste tra i 2 ed i 7 chilometri. Il fianco ovest è molto inclinato verso Lakshmi Planum, mentre la parte est è più gentile nelle forme e scende dolcemente al livello della Fortuna Tessera. Il cratere Cleopatra (66N, 7E, 105 km) forma un grande occhio nel cavallo di cui parlavamo prima: il suo bordo forma un poligono con un fondo scuro. Nella parete di nord-est la lava ha riempito la Anuket Vallis (67N, 8E, 350 km) al limite di Fortuna TesseraDanu Montes (59N, 334E, 808 km) curva verso il limite meridionale di Lakshmi Planum, dove le colline si uniscono a Clotho Tessera (56N, 335E, 289 km). Più ad ovest, si trova la scarpata Vesta Rupes (58N, 324E, 788 km) che definisce il confine di sud-ovest della pianura. Verso nord-ovest, le creste striate di Akna Montes (69N, 318E, 830 km) forniscono la prova che la zona è formata da una compressione della crosta.

A sud di Fortuna Tessere troviamo Haumea Corona (54N, 22E, 375km), una delle più grandi fratture di origine vulcanica di Venere sebbene molto giovane, come dimostra la netta forma concentrica delle fratture di cui si compone. Da Haumea Corona si dirama Sigrun Fossae (51N, 18E, 970 km). Come molte strutture venusiane, si tratta di una ampia prova che queste strutture sono state prodotte in più di una fase di deformazione della crosta, insieme alla Ausra Dorsa (49N, 25E, 8459 km) ad est. Ishtar contiene Laima Tessera (55N, 49E, 971 km), che si estende a sud da Fortuna Tessera. Si tratta di una formazione correlata a quella di Lada Planitia (44N, 65E, 890 km) che si sviluppa attraverso un mantello perimetrato da creste e fratture. Nella parte di nord-ovest è adagiato il bassopiano di Sedna Planitia: delle sue caratteristiche maggiori è bene ricordare Beiwe Corona (53N, 307E, 600 km), Xilonen Corona (51N, 321E, 300 km), Bethune Patera (47N, 321E, 94 km) e Sachs Patera (49N, 334E, 65 km). Le due porzioni più basse di Sedna Planitia sono separate da una stretta elevazione sulla quale scorre la Zorile Dorsa (40N, 338E, 1.041 km), una struttura compressa che si estende fino alla parte più occidentale di Eistla Regio. Una area collinare marcata ad est dalla Sedna Planitia, nella quale ci sono ammassi di strutture vulcaniche, include Ashnan Corona (50N, 357E, 300 km), Ba'het Corona (48N, 0E, 145 km) e Onatah Corona (49N, 6E, 298 km).

Il bordo a sud di Sedna è caratterizzato dall'estensione di Eistla Regio. L'area contiene un gran numero di coronae, comprese Renenti Corona (33N, 326E, 200 km), la nova Mesca Corona (27N, 343E, 190 km), Purandhi Corona (26N, 344E, 170 km), Tutelina Corona (29N, 348E, 180 km), Nissaba Corona (26N, 356E, 300 km) e Idem-Kuva Corona (25N, 358E, 230 km). Due grandi vulcani sono disposti verso sud, Sif Mons (22N, 352E, 300 km) e Gula Mons (22N, 359E, 276 km). Il primo ha una altezza di 2.000 metri con una caldera di 50x40 chilometri ed un bordo contenente altre piccole caldere annidate. Gula è alto 3.000 metri ed ha una doppia caldera di 40x30 chilometri. I fianchi dei vulcani sono coperti da lava scura. 

Guivenere Planitia (22N, 325E, 520 km) si stende dal lato ovest di Sedna Planitia fino all'equatore. Di natura collinare, termina ad est sulla Undine Planitia (13N, 303E, 2.800 km) dove ci sono numerose corone compresa l'aracnoide Madderakka Corona (9N, 316E, 220 km). Var Mons (1N, 316E, 1.000 km) è il vulcano più laterale, con tre coni principali di 1.500, 700 e 1.700 metri di altezza rispettivamente. Quattro bacini di lava circondano questi coni, il più giovane dei quali è stato creato dal cono centrale. Atanua Mons (10N, 309E, 1.000 km) è un grande vulcano sul lato nord dei tre coni, alto 1.600 metri e circondato da un numero sostanzioso di flussi lavici. Ad est di Guinevere c'è l'anello di Benten Corona (16N, 340E, 310 km) e la seconda corona di Venere per dimensione, la Heng-o Corona di 1.060 chilometri di diametro. Dentro l'anello di Heng-o ci sono molti piccoli crateri da impatto ed un intricato sistema di due insiemi di fratture, uno che punta a nord e l'altro verso nord-ovest. 

Sotto Sedna, continuando verso est, giace Bereghinya Planitia (29N, 24E, 3.900 km) che è circondato ad est dal terreno a mosaico al margine di Bell Regio (33N, 51E, 1.778 km)  ed al sud da Eistla Regio. Beyla Corona (27N, 16E, 400 km) occupa la parte centrale di Bereghinya, mentre verso est le colline portano allo spettacolare cratere da impatto Mona Lisa (26N, 25E, 79 km). Mosaici e creste circondano Bereghinya da nord ad est, con una serie di strutture come Kruchina Tesserae (36N, 27E, 1.000 km) e Hera Dorsa (36N, 30E, 813 km). Insieme a queste, da segnalare Bezlea Dorsa (30N, 37E, 807 km) e Metelitsa Dorsa (16N, 31E, 1.300 km), una cresta ed un sistema di vallate sul lato ovest di Bell Regio.

La parta est di Eistla Regio mostra una grande varietà superficiale. Guor Linea (20N, 3E, 600 km) è un sistema di vallate che si estende verso est dal fianco di Gula Mons. Un insieme di cunette vicine, Carmenta Farra (12N, 8E) misura 180 chilometri di diametro. La più larga ha 65 chilometri di diametro ed è alta 1.000 metri. Molte coronae e vulcani sono disposti ad est, come il Kali Mons (9N, 29E, 325 km) e Dzalarhons Mons (1N, 34E, 120 km), ad est del quale c'è il bacino di lava vulcanica Nekhebet Fluctus (0N, 35E, 400 km).

Bell Regio consiste di due altopiani vulcanici separati da bassopiani ma al contrario di altre strutture simili non presenta rotture dovute a deformazione della crosta. nella parte settentrionale di Bell sono presenti diverse patarae e coronae, la più grande delle quali è Nefertiti Corona (36N, 48E, 317 km). Qui si trova il grande vulcano Tepev Mons (29N, 44E, 301 km) che si erge per circa 5.000 metri rispetto alla zona circostante. Come il vicino Nyx Mons (30N, 49E, 875 km), Tepev è circondato da centinaia di metri di depressione prodotta dalla deformazione della crosta dovuta al peso della massa del vulcano stesso. La parte a sud di Bell presenta una collezione molto ricca di novae e coronae, comprese Didilia Corona (19N, 38E, 320 km), Pavlova Corona (14N, 39E, 370 km) e Isong Corona (12N, 49E, 540 km) oltre a Calakomana Corona (7N, 44E, 575 km).

Ad est si trova Mead (13N, 57E, 270 km), il più grande cratere da impatto di Venere, caratterizzato da un bacino multiring. Probabilmente, Mead era inizialmente un semplice cratere corrispondente all'anello interno mentre l'anello esterno si sarebbe aggiunto con la conseguente slavina nel territorio adiacente, che ha creato una scarpata di circa 1.000 metri di altezza. La parte a sud di Eistla Regio è occupata da una linea di coronae che corrono lungo l'equatore per circa 3.500 chilometri, nota come Kuan-Yin Corona (4S, 10E, 310 km), Thouris Corona (7S, 13E, 190 km), Cybele Corona (8S, 21E, 500 km), Thermuthis Corona (8S, 33E, 330 km) e la congiunta corona Mukylchin Corona (13S, 46E, 525 km) oltre alla nova Nabuzana Corona (9S, 47E, 525 km). Tra le longitudini 300 e 60E, la regione a sud dell'equatore è formata da pianure, da Navka Planitia (8S, 318E, 2.100 km) a Tahmina Planitia (23S, 80E, 3.000 km) passando per Kanykey Planitia (10S, 350E, 2.100 km) e Tinatin Planitia (15S, 15E, 2.700 km). Sono strutture che contengono piccoli vulcani e coronae, con numerose creste. Bathsheba (15S, 50E, 32 km) è una struttura a nord di Tahmina, un cratere da impatto con un brillante mantello di ejecta. Dione Regio (32S, 328E, 2.300 km) si dirama dalla parte sudovest di questa regione. Diversi vulcani si ergono lungo la sua superficie ondulata. Ushas Mons (24S, 325E, 413 km) nella zona nord è alto 2.000 metri ed i suoi fianchi sono coperti da lava scura. A sud di Dione ci sono diversi vulcani come Tefnut i(39S, 304E, 182 km), Nepthys Mons (33S, 318E, 350 km), Hathor Mons (39S, 325E, 333 km) e Innini Mons (35S, 329E, 339 km). Lavinia Planitia, una vasta pianura a sud di Dione Regio, è attraversata da diverse linee tra le quali Morrigan Linea (55S, 311E, 3.200 km), Hippolyta Linea (42S, 345E, 1.500 km), Antiope Linea (40S, 350E, 850 km), Molpadia Linea (48S, 355E, 1.600 km), Penardun Linea (54S, 344E, 975 km) e Kalaipahoa (61S, 337E, 2.400 km) con alcuni chiari esempi di cedimenti nella crosta. Mylitta Fluctis (56S, 354E, 1.250 km) sul lato sud-est di Lavinia è uno dei più grandi bacini lavici di Venere.

Lada Terra. Crediti Wikipedia
Lada Terra. Crediti Wikipedia

Alpha Regio, una compatta e ben definita pianura montana occupa il primo meridiano di Venere ma contiene poche strutture vulcaniche come cupole, bacini e flussi lavici. Eve Corona (32S, 360E, 330 km) nella parte sud-occidentale è la sola struttura degna di nota associata ad Alpha Regio. Invece, la zona comprende un quadrilatero di terreni a mosaico di circa 3,25 milioni di chilometri quadrati - la dimensione dell'India - circa 1.000 o 2.000 metri sul livello delle zone circostanti. La formazione può essere riconducibile allo scontro di croste. Una serie di coronae a sud di Alpha Regio si estende fino a Lada Terra e contiene Carpo Corona (38S, 3E, 215 km), Tamfana Corona (36S, 6E, 400 km) e Seia Corona (3S, 153E, 225 km) oltre alla grande vallata Hanghepiwi Chasma (49S, 18E, 1.100 km). Quest'ultima è una vallata profonda da 500 a 1.000 metri riempita di lava da Astkhik Planum (45S, 20E, 2.000 km) ad est. Vaidilute Rupes (44S, 22E, 2.000 km) è una larga scarpata che si dirama dal nord di Seia Corona intorno alla parte nord-est di Astkhik Planum, delimitata a sua volta da Lada Terra e Fonueha Planitia (44S, 48E, 3.000 km), una pianura ondulata il cui bordo settentrionale si erge fino al sistema di valli di Artio Chasma (36S, 39E, 450 km). Lada Terra è un altopiano di 8.600 chilometri di diametro comprendente numerose coronae, cedimenti e bacini lavici. La più grande area del continente si trova in una cupola a sud-ovest del meridiano zero, dominato da Quetzalpetlatl Corona (68S, 357E, 780 km) e Boala Corona (70S, 359E, 220 km), parte della quale raggiunge altezze di 4.000 metri. Eithinoha Corona (57S, 8E, 500 km) e Otygen Corona (57S, 31E, 400 km) occupa il bassopiano a nord di questo rialzo. Due pianure, Aibarchin Planitia (73S, 25E, 1.200 km) e Mugazo Planitia (69S, 60E, 1.500 km), separate dal vulcano contenente Okhin-Tengri Corona (71S, 40E, 400 km) si irradiano da Lada alla regione polare. Da Ekhe-Burkhan Corona (50S, 40E, 600 km) alla parte est di Lada Terra si erge un sistema di rift valley chiamato Xaratanga Chasma (54S, 70E, 1.300 km).

Regione Niobe-Aphrodite-Artemis

La regione di Niobe-Artemis nella mappa geologica di JGR Planets - 2018
Il pattern gigante visto dalla sonda (sinistra) e riprodotto dalla simulazione (destra). Crediti JAXA

Ad una prima occhiata, la regione potrebbe essere racchiusa in due regioni di pianura separate da una vasta area sub-equatoriale data dal continente di Aphrodite Terra (6S, 105E, 10.000 km). A nord si trova un insieme di pianure separate da terreni a mosaico, dorsali e coronae. Particolare è la Tellus Tessera (43N, 77E, 2.329 km), un isolato altopiano a mosaico di dimensioni ed apparenza simili alla Alpha Regio. Un insieme di pianure si snoda anche nella parte sud, in genere con lineamenti più smussati rispetto alle controparti settentrionali. Nella regione sub-equatoriale si trovano Juno Chasma (31S, 111E, 915 km), Quilla Chasma (24S, 127E, 973 km), Diana Chasma (15S, 155E, 938 km) e Artemis Chasma (41S, 139E, 3.087 km) che curva ad est verso la Artemis Corona (35S, 135E, 2.600 km). Il bassopiano di Louhi Planitia (81N, 121E, 2.440 km) si snoda tra le regioni polari del nord. Il bordo a sud-ovest comprende il terreno a mosaico della parte est di Ishtar Terra mentre il bordo meridionale è definito dalle colline di Tethus Regio (66N, 120E, 2.000 km). Tethus, nella zona est, è dominato da Nightngale Corona (64N, 130E, 471 km) e Earhart Corona (70N, 136E, 414 km). Più ad est il terreno scende alla profondità del bassopiano di Atalanta Planitia (46N, 166E, 2.50 km), nell'area più depressa compresa in un bacino del diametro di 450 km e posta a ben 3.000 metri sotto la superficie principale. Atalanta Planitia dovrebbe essere stata prodotta dalla compressione della cintura di creste da nord ad est.

Aphrodite Terra, mappa geologica. Crediti JGR Planets
Aphrodite Terra, mappa geologica. Crediti JGR Planets

Audra Planitia (60N, 92E, 1.860 km) e Tilli-Hanum Planitia (54N, 120E, 2.300 km) è costituita da terreno collinare che circonda la zona sud di Tethus Regio. Dalle ultime parti si innalza Fakahotu Corona (59N, 106E, 290 km), una frattura a forma di cuore circondata da un insieme di flussi radiali. Diversi territori a mosaico circondano questa zona, da Dekla Tessera (57N, 72E, 1.363 km) verso ovest fino a Ananke Tessera (53N, 137E, 1.060 km). Ananke mostra una chiara evidenza di cedimento della crosta e presenta verso il bordo orientale il cratere, con doppi anelli, noto come Cochran (52N, 143E, 100 km). Tellus Tessera è una pianura poligonale con una area di più di 4 milioni di metri quadrati, equivalente al nostro deserto del Sahara. Come molte altre aree a mosaico, Tellus è una area segnata dalla compressione della crosta seguita da un successivo rilascio e dal riempimento da parte di lava vulcanica. Nella sua parte nord è possibile trovare Apgar Patera (43N, 84E, 126 km) e Eliot Patera (39N, 79E, 116 km). Ancora più a nord, un bassopiano lavico occupa lo spazio tra Tellus e la più piccola pianura di Meni Tessera (48N, 78E, 454 km). Il margine di nord-est di Tellus è occupato da Medeina Chasma (46N, 89E), una vallata lunga più di 600 chilometri. Tellus ha la zona più alta nel margine est, dove una serie di montagne si erge a più di 3.000 metri rispetto al resto della superficie. La parte a sud di Tellus raggiunge i 2.000 metri di altezza, scendendo poi gradualmente fino alla Lowana Planitia (43N, 98E, 2.700 km). La valle Kottravey Chasma (31N, 78E) curva attraverso le altezze sud occidentali di Tellus. Leda Planitia e Akhtamar Planitia (27N, 65E, 2.700 km), separate da Merdezh-Ava Dorsa (32N, 69E, 906 km) si snodano nella parte occidentale di Tellus Tessera.

Niobe Planitia (21N, 112E, 5.008 km) è una delle più grandi pianure di Venere, posta alle latitudini medio-settentrionali. Numerose strutture attraversano Niobe, da Akkruva Colles (46N, 116E, 1.059 km) nella parte nord a Uni Dorsa (34N, 114E, 800 km), un insieme di creste che connette Kutue Tessera (40N, 109E, 653 km) alla più settentrionale Gegute Tessera (17N, 121E, 1.600 km). Un insieme di piccole coronae occupa la parte meridionale di Niobe e Sogolon Planitia (8N, 107E, 1.600 km), comprese Dhisana Corona (15N, 112E, 100 km), Allatu Corona (16N, 114E, 125 km), Bhumiya Corona (15N, 118E, 100 km) e Omeciuatl Corona (17N, 119E, 175 km).

Ad est di Gegute Tessera, sia Llorona Planitia (18N, 145E, 2.600 km) sia Vellamo Planitia (45N, 149E, 2.155 km) al suo nord sono costellate da un numero consistente di creste, da Lokho Tesserae (40N, 134E, 1.200 km), Nephele Dorsa (40N, 139E, 1.937 km), Frigg Dorsa (51N, 151E, 896 km) e Vedma Dorsa (42N, 159E, 3.345 km). Queste dorsali si estendono attraverso la zona a nord di Llorona fino alle vicinanze di diverse grandi coronae, chiamate Boann Corona (27N, 137E, 300 km), Cauteovan Corona (32N, 143E, 553 km) e Ved-Ava Corona (33N, 143E, 200 km). Un insieme di crateri da impatto tra i quali Maria Celeste (23N, 140E, 98 km), Greenaway (23N, 145E, 93 km), Callirhoe (21N, 141E, 34 km), Bourke-White (21N, 148E, 34 km) sono posti nella zona centrale di Llorona. Al loro sud ci sono diverse coronae tra le quali Abundia Corona (19N, 125E, 250 km) e Kubebe Corona (16N, 133E, 125 km) mentre ad est ci sono impressionanti aracnoidi come Ituana Corona (20N, 154E, 220 km) ed il flusso di lava associato noto come Praurime Gluctus (16N, 154E, 750 km) che si espande verso sud fino alla Rusalka Planitia (10N, 170E, 3.655 km). Quest'ultima è un bassopiano circondato al nord da Nemesi Tesserae (40N, 181E, 355 km) e Athena Tessera (35N, 175E, 1.800 km). Rusalka ha verso sud un rialzo noto come Lamashtu Mons (3N, 173E, 260 km), Hannahannas Corona (0N, 171E, 200 km), Nirmali Corona (6S, 172E, 60 km) e le aracnoidi Saunau Corona (1S, 173E, 220 km) e Eigin Corona (5S, 175E, 200 km). Due estesi flussi lavici, Argimpasa Fluctus (0N, 176E, 950 km) e Dotetem Fluctus (6S, 178E, 530 km) attraversano in basso le pianure fino al nord di Eigin Corona. Larghi tratti della zona est di Rusalka sono attraversati da dorsali, tra le quali Zaryanitsa Dorsa (0N, 170E, 1.100 km), Yalyane Dorsa (7N, 177E, 1.200 km) e Poludnitsa Dorsa (5N, 180E, 1.500 km).

Manatum Tessera (4S, 64E, 3.800 km), la seconda tessera più grande di Venere, occupa la parte più occidentale di questa regione formando una estensione del gigante continente Aphrodite Terra. Topograficamente, Manatum ha la forma di un anello con margini elevati oltre i 3.000 chilometri sopra una relativa depressione centrale che giace sulla superficie principale, formata probabilmente dallo scorrimento del mantello e dal raffreddamento della litosfera. La struttura è più alta al nord, est e sud mentre ad ovest presenta una pianura triangolare. La zona centrale è presidiata da Verdandi Corona (65S, 65E, 180 km), una struttura circolare con una zona scura interna. La zona nord è ben delineata da una scarpata di 2.000 metri di altezza, la Hestia Rupes (6N, 71E, 588 km) oltre il quale si trova H'uraru Corona (9N, 68E, 150 km) con la sua raggiera di fratture ed il giovane cratere da impatto Adivar (9N, 76E, 30 km) che, oltre a flussi di ejecta scuri, è circondato da una nube di ejecta molto brillante. La pianura è attraversata dalle dorsali Lemkechen Dorsa (19N, 69E, 2.000 km) e Unelanuhi Dorsa (12N, 87E, 2.600 km).

Il bordo est di Manatum è definito dal bordo di Kaltash Corona (1N, 75E, 450 km), una struttura la cui parete nord potrebbe essere stata aperta da uno scivolamento della crosta. Un'altra struttura, la Tawera Vallis (12S, 68E, 500 km) forma un confine di 80 chilometri a sud-est, separando Manatum dall'area montana di Ovda Regio (3S, 86E, 5.280 km), il componente centrale di Aphrodite Terra. Con un'area di 10 milioni di chilometri quadrati, Ovda Regio è grande più o meno come gli Stati Uniti. La maggior parte dell'area è presa da un altopiano a mosaico alto in media 5.000 metri circondato da una zona continentale di 2.000 metri di altezza. Mentre le strutture tettoniche della zona tendono generalmente da est ad ovest, indicando una compressione della crosta da nord a sud, la zona centrale è girata in un insieme di creste e vallate orientate da nord a sud. La parte nord-occidentale di Ovda è delimitata da creste parallele comprendenti Nayunuwi Montes (2N, 83E, 900 km), formata da compressione tettonica che curva a sud di Habonde Corona (3N, 82E, 125 km). Al sud giace Kokomikeis Chasma (0N, 85E, 1.000 km), una vallata riempita di lava larga in media 50 chilometri. La parte a sud di Ovda contiene una corona (10S, 89E, 100 km), sul cui fianco meridionale è posta Lo Shen Valles (15S, 95E), il più grande canale lavico del pianeta. Il canale attraversa un'area di circa 10.000 chilometri quadrati, molti dei quali appartenenti alla Tahmina Planitia (23S, 80E, 3.000 km). La parte a mosaico a nord est di Ovda arriva alla Sogolon Planitia, dove le creste di Unelanuhi Dorsa corrono parallele alla costa di Ovda ad una distanza di circa 100 chilometri. Alcuni crateri da impatto, come de Beauvoir (2N, 96E, 53 km) indicano l'antica età di Ovda e la mancanza di una attività tettonica recente. Nella zona est la presenza di mosaici dà modo alle fratture dovute alla compressione ed alle dorsali di conformare il limite est di Ovda. A sud di Ovda, due ampie vallate tendono ad est: la Kuanja Chasma(12S, 100E, 890 km) e la Ralk-umgu Chasma (15S, 105E, 840 km). L'ultima separa due pianure come la Turan Planum (13S, 117E, 800 km) e la Viriplaca Planum (20S, 112E, 1.200 km).

Thetis Regio (11S, 130E, 2.801 km) forma l'altopiano est di Aphrodite Terra e si estende soprattutto a sud dell'equatore. Ha un'area di circa 5 milioni di chilometri quadrati, circa la metà di Ovda Regio, comparabili con la dimensione dell'Europa occidentale. L'altezza massima si erge sui 4.000 - 5.000 metri rispetto alla zona circostante. Come altri altopiani a mosaico, Thetis mostra una complicata storia di fratture dovute a movimenti tettonici e stress della crosta originati dai movimenti del mantello. Nel terreno c'è evidenza del fatto che l'area ha subito una rotazione in senso orario con tendenza a muoversi da nord-est a sud-ovest fino a Vir-ava Chasma (17S, 124E, 1.700 km), in direzione sud. Oltre a Turan Planum e Viriplaca Planus, numerose altre formazioni possono essere trovate tra la parte sud di Thetis e la gigantesca Artemis Corona. Artemis ha un diametro di 2.600 chilometri con forma circolare e bordi est e sud chiaramente sopraffatti dalla Artemis Chasma, una vallata lunga più di 3.000 chilometri, larga 140 chilometri e profonda 2.000 metri. Nella parte nord, Artemis Chasma si dirama fino a Quilla Chasma ed alla parte nord di Britomartis Chasma (33S, 130E, 1.000 km). Britomartis Chasma corre lungo il centro di Artemis Corona fino al confine ovest. Una componente continua ad ovest in Juno Chasma mentre un'altra verso sud a ricongiungersi con Artemis Chasma. Il bordo est di Thetis giunge ad una pianura (15S, 140E, 950 km) di natura simile a quella di Lakshmi Planum, in Ishtar Terra. La zona presenta un gran numero di valli comprese Veden-Ema Vallis (15S, 141E, 300 km), Diana Chasma e Dali Chasma (18S, 167E, 2.077 km), dando vita ad una complessa rete di vallate. Diana Chasma, lunga più di 900 chilometri, si estende ad est fino alla nova Miralaidji Corona  (14S, 164E, 300 km), mentre Dali Chasma si unisce alla Atahensik Corona (19S, 170E, 700 km). Ancora più profonde e prominenti vallate si snodano da Atahensik Corona fino a Sith Corona (10S, 177E, 350 km) e Zemina Corona (12S, 186E, 530 km), mentre verso sud arrivano a Agraulos Corona (28S, 166E, 170 km). Dalla zona a sud-ovest di questa regione, Tahmina Planitia si estende dalla Region one, scorrendo sotto Manatum Tessera e Ovda Regio. Lungo la pianura sud di Tahmina può essere trovato Xi Wang-mu Tessera (30S, 62E, 1.300 km) e le ben formate coronae Nishtigri Corona (25S, 72E, 275 km), Aramaiti Corona (26S, 82E, 350 km) e Ohogetsu Corona (27S, 86E, 175 km), ognuna con una pavimentazione circondata da pianure più alte. Un punto molto evidente di questa area è il Kunapipi Mons (34S, 86E, 220 km) che raggiunge i 3.000 metri.

A sud di Tahmina Planitia, Aino Planitia (41S, 95E, 4.985 km) discende in un bacino la cui parte sud-ovest contiene un ammasso di coronae come Khotun Corona (47S, 88E, 200 km), Iang-Mdiye Corona (47S, 86E, 300 km), Cailleach Corona (48S, 88E, 125 km) e Makh Corona (49S, 85E, 200 km). Il bordo sud-occidentale di Aino Planitia è marcato da una regione contenente varie strutture, comprese la nova Copia Corona (43S, 76E, 500 km), sorgente dei flussi lavici di Ilaheva Fluctus (43S, 84E, 900 km) che lambisce Aino, Zimcerla Dorsa (48S, 74E, 850 km), Oshumare Dorsa (59S, 79E, 550 km) e Dunne-Musun Corona (60S, 85E, 630 km). Xaratanga Chasma, una rift valley lunga 1.300 chilometri, e Geyaguga Chasma (57S, 70E, 800 km) corre lungo il lato nord di Mugazo Planitia (69S, 60E, 1.500 km). Crateri da impatto mostrano molto bene la pianura di Mugazo. Alcuni crateri sono Marsh (64S, 47E, 48 km), Berggolts (64S, 53E, 30 km), Danute (64S, 57E, 12 km), Rand (64S, 60E, 24 km), Sartika (64S, 67E, 19 km), Lucia (62S, 68E, 16 km) e Kitka (62S, 71E, 13 km).

La Laimdota Planitia (58S, 117E, 1.800 km) si unisce alle vicine pianure nei lati sud-est e nord-est. Di particolare rilievo è il cratere da impatto Addams (56S, 99E, 87 km), le cui ejecta asimmetriche lambiscono il territorio. Una cresta ad est di Laimdota è occupata da Sunna Dorsa (53S, 134E, 500 km) e si getta in Tellervo Chasma (60S, 125E, 600 km) con Latmikaik Corona (64S, 123E, 500 km) e Deohako Corona (68S, 118E, 300 km) a sud. Molti fluctus sono presenti nell'area, tra cui Arubani Fluctus (55S, 132E, 620 km) e Nambubi Fluctus (61S, 135E, 850 km).

Poche strutture topografiche di rilievo si trovano nella zona a sud est della regione in esame, che include comunque Zhibek Planitia (40S, 157E, 2.000 km), Imapinua Planitia (60S, 142E, 2.100 km) e la parte ovest di Nsomeka Planitia (53S, 195E, 2.100 km). Un altopiano alla congiunzione delle tre pianure forma Dsonkwa Regio (53S, 167E, 1.500 km), una zona collinare presidiata da Tonatzin Corona (53S, 164E, 400 km) attraversata da Nortia Tesserae (49S, 160E, 850 km) nella parte nord e dal paesaggio striato di Mena Colles (53S, 160E, 850 km) ad ovest. Infine, la pianura di Alma-Merghen Planitia (76S, 100E, 1.500 km) si estende a sud verso il polo.

Regione Kawely-Atla-Helen

La terza regione di Venere è un assortimento di dorsali e pianure, vallate e singole montagne. Tra le pianure ad est, la Vinmara Planitia (54N, 208E, 1.635 km) e la Ganiki Planitia (40N, 202E, 5.160 km) sono le più pesantemente deturpate da creste che si rincorrono in un'area di terreno a mosaico, mentre ad est Kawelu Planitia (33N, 247E, 3.910 km), Libuse Planitia (60N, 290E, 1.200 km) e Guinevere Planitia sono più lisce. A sud, una serie di regioni - da Atla Regio (9N, 200E, 3.200 km) ad ovest fino a Beta Regio (25N, 283E, 2.869 km) ad est, sono legate da una grande catena di chasma, da Dali Chasma attraverso Zewana Chasma (9N, 212E, 900 km) e Hecate Chasma (18N, 254E, 3.145 km) a Devana Chasma (16N, 285E, 4.600 km).

L'altopiano levigato, a nord, di Snegurochka Planitia (87N,  328E, 2.775 km) è delimitato dalla dorsale Dennitsa Dorsa (86N, 206E, 872 km) ad ovest. Si tratta dell'estensione più settentrionale del sistema di dorsali che attraversa Vinmara Planitia, una delle aree più increspate del pianeta. La struttura maggiore è Lukelong Dorsa (73N, 179E, 1.566 km), insieme a Lauma Dorsa (65N, 190E, 1.517 km), Ahsonnutli Dorsa (48N, 197E, 1.708 km), Pandrosos Dorsa (58N, 208E, 1.254 km). Pandrosos Dorsa si estende tra due insiemi di coronae quali Muzamuza Corona (66N, 205E, 163 km), Cassatt Corona (66N, 208E, 152 km) e Nzingha Corona (69N, 206E, 140 km) nel nord e Cerridwen Corona (50N, 202E, 217 km) e Neyterkob Corona (50N, 205E, 211 km) al sud.

Metis Regio (71N, 252E, 729 km) si erge a sud di Snegurochka Planitia, dalla quale Thallo Mons (76N, 234E, 216 km) e Renpet Mons (76N, 236E, 138 km) spiccano. La parte più bassa ma collinosa della zona est di Metis sfuma in Mnemosyne Regio (66N, 280E, 875 km), un'area contenente le novae Feronia Corona (68N, 282E, 360 km), Coatlicue Corona (63N, 273E, 199 km) e Rananeida Corona (63N, 264E, 448 km). Ad est di Mnemosyne, il cratere da impatto Duncan (68N, 292E, 40 km) è visibile come una macchia scura con numerose fratture lineari.

Okipeta Dorsa (68N, 240E, 1.200 km) sul bordo meridionale di Metis corre lungo il perimetro di una vallata (66N, 245E) lunga 1.090 chilometri ed ampia circa 120 chilometri. Al sud, il terreno irregolare di Virilis Tesserae (56N, 240E, 782 km) è molto ben definito  a sud-ovest, fino a raggiungere Kawelu Planitia. Ganiki Planitia, un'area molto frastagliata, si insinua da Vellamo Planitia (45N, 149E, 2.155 km) fino a Ulfrun Regio. Mosaici di Nemesis Tesserae (40N, 181E, 355 km) e Lahevhev Tesserae (29N, 189E, 1.300 km) portano a Ganiki, lungo la struttura di Fornax Rupes (30N, 201E, 729 km). Ulfrun Regio al bordo est di Ganiki si erge su una lunga serie di creste separate da numerosi fossati, da Bellona Fossae (38N, 222E, 855 km) al nord, vicino Sakwap-mana Mons (35N, 220E, 500 km), a Fea Fossae (28N, 224E, 620 km) e Zisa Corona (12N, 221E, 850 km). Ulfrun forma una specie di giunzione tra due grandi sistemi, come Zewana Chasma in Atla Regio ad ovest e Hecate Chasma in Asteria Regio (22N, 268E, 1.131 km) ad est.

Dalla smussata pianura di Kawelu Planitia, a nord di Ulfrun Regio, si erge un insieme di grandi vulcani, come Sekmet Mons (45N, 241E, 285 km), Venilia Mons (33N, 239E, 320 km) e Atira Mons (52N, 268E, 152 km) sul bordo occidentale con Guinevere Planitia. Kawelus sfuma in Asteria Regio al suo sud, attraverso un terreno a mosaico e collinoso chiamato Sudenitsa Tesserae (33N, 270E, 4.200 km) e Yuki-Onne Tessera (39N, 261E, 1.200 km). La parte meridionale di Asteria è condivisa con Hecate Chasma, una vallata di 3.145 chilometri increspata dalla tensione di crosta e mantello, con indicazione di una attività tettonica elevata. Hecate si estende tra la nova Taranga Corona (17N, 252E, 525 km) e Polik-mana Mons (25N, 264E, 600 km).

Da Asteria Regio, continuando lungo il sistema di terreni a mosaico, si giunge a Beta Regio, dominata dalla brillante struttura di Theia Mons (23N, 281E, 226 km), uno dei più grandi vulcani di Venere, alto più di 4.000 metri, affiancato da Rhea Mons (32N, 282E, 217 km) verso nord e dall'altopiano Phoebe Regio (6S, 283E, 2.852 km) verso sud. Il lato occidentale di Beta Regio contiene Zverine Chasma (19N, 271E, 1.300 km) e Latona Chasma (26N, 268E, 530 km), con l'ultima data da una estensione di Hecate Chasma ad est di Polik-mana Mons. Ad est di Beta Regio si raggiunge Hyndla Regio (23N, 295E, 2.300 km), un altopiano increspato con terreno a mosaico di Zirka Tessera (33N, 300E, 450 km) e Nedolya Tesserae (5N, 294E, 1.200 km).

Atla Regio occupa la parte equatoriale della regione, verso ovest. Simile a Beta Regio, ma più alta e contenente un maggior numero di vulcani. Maat Mons (1N, 195E, 395 km) è un vulcano gigante equatoriale, alto 1.700 metri sul resto del territorio circostante ma la sua vetta raggiunge gli 8.000 metri rispetto al livello superficiale di Venere. Al suo sud ci sono le altezze di Ongwuti Mons (2S, 195E, 500 km) che giace in una vallata di Atla Regio. A nord di Maat Mons, Ganis Chasma (15N, 194E, 615 km) occupa la regione da Ozza Mons (5N, 201E, 507 km) a Nokomis Montes (20N, 189E, 486 km). Verso ovest, Sapas Mons (9N, 188E, 217 km) è un vulcano isolato con una caldera di 25 chilometri di diametro, che si erge a 1.500 metru al di sopra delle colline circostanti nella Rusalka Planitia. Sapas si trova al centro di una zona molto riflettiva e di flussi lavici che si stagliano contro il panorama scuro. La zona est di Rusalka vede von Schuurman (5S, 191E, 29 km), un cratere da impatto circondato da una larga e brillante corona di ejecta. Chasma convergono nella zona limitrofa di Ozza Mons: Tkashimapa Chasma (13N, 206E, 1.100 km) da nord, che taglia attraverso il fianco est della corona Nahas-tsan Mons (14N, 205E, 500 km), Zewana Chasma da nord-est e Kicheda Chasma (3S, 213E, 1.500 km) da est. A sud di quest'ultima è possibile trovare una varietà di struttura quali Ningyo Fluctus (6S, 206E, 970 km), la nova Oduduwa Corona (11S, 212E, 150 km) e la corona Jotuni Patera (7S, 214E, 80x104 km) oltre a Maram Corona (8S, 222E, 600 km).

Il bassopiano di Hinemoa Planitia (5N, 265E, 3.700 km) si estende attraverso la parte equatoriale centrale della regione. Aruru Corona (9N, 262E, 450 km), un altopiano vulcanico con una linea distorta, si trova lungo la adiacente Lama Tholus (8N, 266E, 110 km) nella parte nord-est di Hinemoa. Ad est si trova il vulcano isolato Tuulikki Mons (10N, 275E, 520 km) e Xochiquetzal Mons (4N, 270E, 80 km). Chimon-mana Tessera (3S, 270E, 1.500 km) forma una curva verso Phoebe Regio e verso est a Uretsete Mons (12S, 261E, 500 km) nella parte sud-est di Hinemoa. Gran parte della zona centrale e sud-occidentale di Hinomea è elevata ed occupata da coronae quali la nova Javine Corona (6S, 251E, 450 km), la nova Dhorani Corona (8S, 243E, 200 km), la Erkir Corona (16S, 234E, 275 km), la Atete Corona (16S, 244E, 600 km) e la Ludjatako Corona (13S, 251E, 300 km).

Larghi tratti della zona ovest di Wawalag Planitia (30S, 217E, 2.600 km), una vasta pianura tra la zona sud di Atla Regio e Imdr Regio (43S, 212E, 1.611 km) sono increspati da una catena di creste in direzione nord-sud quali Aditi Dorsa (30S, 189E, 1.200 km) e Sirona Dorsa (44S, 194E, 700 km). Isabella (30S, 204E, 175 km) è il secondo cratere da impatto più grande del pianeta ed occupa la parte centrale di Wawalag. Due grandi bacini si estendono a sud e sud-est di Isabella, il primo parzialmente ingolfato dai fianchi dell'aracnoide Nott Corona (32S, 202E, 150 km) mentre il flusso a sud-est è sovrapposto da ejecta del più recente cratere da impatto Cohn (33S, 208E, 18 km). Imdr Regio è un altopiano a forma ovale con una area di circa 850.000 chilometri quadrati, di natura vulcanica nel lato sud di Wawalag Planitia. Attraversato da numerose catene, comprese Nuvakchin Dorsa (53S, 212E, 2.200 km) e Arev Dorsa (52S, 216E, 420 km) a sud, che percorre la fiancata di Idunn Mons (47S, 215E, 250 km). Una grande vallata, Olapa Chasma (42S, 209E, 650 km) si estende a nord-est dai fianchi di questo monte. Mezza dozzina di catene montuose si estende ad est di Nsomeka Planitia fino a Nuptadi Planitia (73S, 250E, 1.200 km), la più larga delle quali include Nuvakchin Dorsa e Rokapi Dorsa (55S, 222E, 2.200 km). Nuptadi si estende fino al polo sud del pianeta. Nella sua zona nord ci sono due regioni corrugate: Ishkus Regio (61S, 245E, 1.000 km) e Neringa Regio (65S, 288E, 1.100 km). Ishkus è più elevata di Neringa e conta il vulcano Awenhai Mons (60S, 248E, 100 km).

Helen Planitia (52S, 264E, 4.360 km) è la terza pianura più larga di Venere, comprendendo  gran parte della regione centrale. Molte coronae punteggiano il territorio, da Oanuava Coronae (33S, 256E, 375 km) a nord a Naotsete Corona (58S, 250E, 200 km) a sud. Il bacino ad ovest di Helen è attraversato da un numero copioso di catene come Tinianavyt Dorsa (51S, 239E, 1.500 km) e Kastiatsi Dorsa (53S, 245E, 1.200 km), strutture derivate dallo sprofondamento della crosta e dai movimenti del mantello.

Infine, a sud-est, si trova Themis Regio (37S, 284E, 1.811 km). 

Ultimo aggiornamento del: 04/12/2021 16:16:01

Possibilità di vita su Venere

Date le caratteristiche della temperatura e della pressione sembra assurdo poter parlare di vita su Venere, ma in realtà esiste una tipologia di vita che potrebbe trovare nel pianeta venusiano il luogo ideale per esistere

Temperatura a 500 gradi, acqua quasi totalmente assente, ambiente molto acido e radiazione ultravioletta molto più intensa rispetto a quella terrestre: giusto un pazzo andrebbe ad abitare su Venere ma è chiaro che non si tratta di andare a cercare forme di vita evolute: si parla di batteri, al punto che già a settembre 2002, durante il secondo Convegno mondiale di Astrobiologia di Graz, Dirk Schulze-Makuch del Dipartimento di scienze geologiche dell'Università del Texas, e David Grinspoon del Southwest Research Institute di Boulder in Colorado giungono a sostenere che una forma di vita su Venere non sia solo possibile, ma addirittura probabile. In base a cosa una simile "eresia"?

Il Pioneer Venus Orbiter, nel lontano 9 dicembre 1978, sganciò quattro capsule nell'atmosfera venusiana (Pioneer Venus Multiprobe) che riuscirono a fornire una buona quantità di dati circa la composizione chimica dell'atmosfera del pianeta: 

  • scarsa quantità di monossido di carbonio, contrariamente alle previsioni che lo vedevano molto intenso vista l'elevata concentrazione di anidride carbonica (CO2): era come se qualcuno o qualcosa lo eliminasse, visto che la fotodissociazione della CO2 doveva portare per forza alla presenza di CO;
  • presenza contemporanea di anidride solforosa (SO2) e di solfuro di idrogeno (H2S): si tratta di composti dello zolfo che tendono a reagire insieme e che si trovano entrambi soltanto in presenza di alcuni batteri in grado di produrli.

Dalle due analisi, sembra coerente pensare alla presenza di batteri in grado di far reagire CO con SO2 e H2 per formare H2S e SCO (solfuro di carbonile). La protezione dall'intensa radiazione ultravioletta deriverebbe dalla presenza di un composto ciclico dello zolfo (S8), derivante dalla decomposizione della SO2. Proprio questo meccanismo, e la presenza di S8, andrebbe a giustificare anche una riga di assorbimento a 285 nm da sempre considerata un mistero.

Profilo della media e bassa atmosfera di Venere in base ai dati della Pioneer Venus. Crediti Encyclopedia Britannica
Profilo della media e bassa atmosfera di Venere
Dati della Pioneer Venus.
Crediti Encyclopedia Britannica

Ok, batteri possibili quindi, ma di certo non a 500 gradi di temperatura e sotto 100 atmosfere di pressione. Eppure negli strati delle nubi di Venere, a una altezza compresa tra 50 e 70 chilometri dalla superficie, la temperatura è di circa 30-40°C e la pressione è simile a quella terrestre sul mare (1 Atm). Proprio in questa fascia, del resto, è anche presente la maggior parte dell'acqua venusiana, sebbene in forma fortemente acida (80% di acido solforico e 20% di acqua).

Ferroplasma Acidarmanus. Crediti Science Magazine
Ferroplasma Acidarmanus. Crediti Science Magazine

Batteri sospesi in aria, quindi, il che può apparire ancora strano se non fosse che nel 2001 B. Sattler scoprì batteri in grado di crescere e di riprodursi in nubi terrestri. Ovviamente il fattore che entra in gioco qui è un altro: le nubi sono formazioni molto instabili, ma se questi batteri sono possibili sulle instabili nubi terrestri, a maggior ragione possono esserlo nelle nubi venusiane che notoriamente perdurano per settimane o mesi. Per quanto riguarda l'acidità, invece, nel 2000 Katrina Edwards dell'Università del Wisconsin ha scoperto in una miniera di pirite (solfuro di ferro) un batterio (Ferroplasma acidarmanus) in grado di decomporre la pirite in un ambiente ricco di acido solforico concentrato. Altri batteri sono stati scoperti da B. Rzonca nel 2003, nel New Mexico, in prossimità di sorgenti acquifere ricche di acido solforico (pH pari a 1 o 2).  Su questa scia, uno studio del 2004 ha puntato la presenza di zolfo, che potrebbe essere utilizzato dai microbi per convertire luce ultravioletta in altre lunghezze d'onda utilizzabili per la fotosintesi, mentre nel 2018 le macchie scure ceh appaiono nell'atmosfera sono state accostate a una sorta di alga.

E chi avrebbe portato in quota questi batteri? Si deve dare per scontato che un tempo Venere fosse simile alla attuale Terra: ricca di acqua superficiale. Un pianeta in grado di sviluppare le prime forme vitali che poi, al cambiare delle condizioni, si sono spostate sempre più per restar legate all'ambiente più idoneo alle proprie esigenze. Ma questo è vero? Proprio la maggior radiazione subita da Venere portò la dissociazione dell'acqua, favorita dalla tendenza dell'idrogeno a disperdersi nello spazio. Dopo un miliardo di anni dalla formazione l'acqua venusiana deve essere già diminuita di parecchio, rallentando di conseguenza l'assorbimento di anidride carbonica che, ora in eccesso, inizia a riversarsi nell'atmosfera aumentando quell'effetto serra che ha portato ad una sempre più rapida evaporazione dell'acqua residua.

Per verificare la bontà di questa idea è sufficiente calcolare il rapporto tra deuterio (che sostituendosi all'idrogeno dà vita alla cosiddetta acqua pesante) e idrogeno in quel che resta dell'acqua venusiana: il deuterio è più pesante dell'idrogeno e fugge con meno piacere nello spazio rispetto all'idrogeno: l'acqua di Venere deve quindi essere tanto più arricchita quanto maggiore è la quantità che si è persa nello spazio. Se il rapporto D/H fosse uguale a quello terrestre, vorrebbe dire che Venere è stato secco in tutta la sua storia. Quantità elevate di deuterio invece ci parlerebbero di una storia venusiana ricca di acqua. I dati delle Pioneer Venus Multiprobe prima e delle sonde successive poi (fino alla Venus Express) ci parlano di un rapporto che giunge fino a 150, a testimonianza indiretta che un tempo Venere offriva quantità di acqua notevoli. Addirittura si può giungere a pensare che la vita sulla Terra sia stata portata da meteoriti giunte da Venere, visto che nei primi tempi del Sistema Solare, a fronte di un pianeta Venere ricco di acqua, la Terra era ancora gelida e inabitabile, dato che il Sole produceva soltanto il 60% della radiazione che ci raggiunge ora. Con il cambiamento climatico su Venere, i batteri sviluppatisi fino ad allora si sono trasferiti nelle nicchie a loro idonee, sempre più in alto, fino a occupare la fascia tra 50 e 70 chilometri di altezza dell'atmosfera venusiana. 

Rappresentazione della fosfina. Crediti: Eso/M. Kornmesser/L. Calçada & Nasa/JPL/Caltech
Rappresentazione della fosfina.
Crediti: Eso/M. Kornmesser/L. Calçada

Certo, avere una prova empirica di questa teoria è difficile: non tanto per le implicazioni tecnologiche quanto per la difficoltà di non contaminare i dati. Un fly-by stretto nell'atmosfera per prelevare campioni e riportarli a Terra, ma resterebbe sempre il dubbio di contaminazioni. Le teorie su Venere sono ancora tutte aperte: recentemente si parla di una grande quantità di acqua, desunta del deuterio, che però non era presente sul suolo ma sottoforma di vapore. Una possibile prova, tuttavia, viene dal James Clerk Maxwell Telescope e dalle antenne di ALMA (Atacama Large Millimeter/submilimeter Array) a Settembre 2020, quando la Royal Astronomical Society pubblica un lavoro che rivela la presenza di fosfina nell'atmosfera venusiana. Si tratta di una molecola ritenuta un biomarcatore, composta da tre atomi di idrogeno e uno di fosforo (PH3), che su Venere non dovrebbe essere presente, date temperatura, pressione e concentrazione. Sulla Terra la fosfina, altamente tossica, viene prodotta nel settore industriale (contro i parassiti) oppure tramite un processo biologico tramite sintesi da batteri anaerobici (che vivono in assenza di ossigeno, assorbendo fosfati dai minerali ai quali aggiungono idrogeno per espellere fosfina). La presenza di fosfina potrebbe quindi essere un segno della presenza di vita, di microrganismi in grado di trovarsi nelle acide nubi venusiane, ma potrebbe anche essere legata a processi che ignoriamo e che la vita non la prevedono affatto (Nature Astronomy - “Phosphine gas in the cloud decks of Venus” - Jane S. Greaves et al.). Il segnale, peraltro, è stato fortemente dibattuto e anche negato da alcuni scienziati in un paio di articoli successivi a quello di Greaves, tanto da costringere il team della scoperta a rianalizzare il tutto salvo poi giungere alla stessa conclusione. Tra gli "oppositori" vi è il Goddard della NASA che il 26 ottobre ha pubblicato su Nature Astronomy un lavoro che ha gettato ombre sulla fosfina osservata, indicando come i dati spettroscopici fossero molto vicini al diossido di zolfo più che alla fosfina. Astronomy & Astrophysics ha pubblicato un lavoro della Leiden University il 17 novembre mostrando come le righe viste da ALMA siano spiegabili con la presenza di composti diversi da quelli dichiarati, concludendo quindi per una ricerca statisticamente non significativa. La nuova analisi del team di Greaves è stata presentata al Venus Exploration Analysis Group (VEXAG) e sembra confermare la presenza di fosfina scartando ogni altro composto ma a un livello più basso rispetto a quanto inizialmente sostenuto. La nuova stima è di 1 parte per miliardo, circa un settimo della stima iniziale e variabile in base alla locazione un po' come accade al metano su Marte (Alexandra Witze. Prospects for life on Venus fade—but aren't dead yetNature - 2020). Di certo il discorso non è chiuso e a ribattere ancora sull'anidride solforosa è un team del Regno Unito, per il quale il segnale proviene da zone superiori di atmsofera, laddove la fosfina sarebbe stata subito distrutta. Del resto proprio l'anidride solforosa sarebbe molto più compatibile con Venere, con la sua composizione e con la sua storia evolutiva e i due elementi tendono a creare assorbimento proprio intorno alla riga  dei 266.94 gigahertz, risultando quindi molto confondibili. I dati che parlano di fosfina, tra l'altro, vedono quantità di anidride solforosa molto basse, troppo basse per quel che sappiamo di Venere.

La microbiologia è ovunque e uno studio della vita presente nella stratosfera terrestre potrebbe essere di fondamentale importanza anche per comprendere possibili forme di vita su altri pianeti, proprio come Venere e i suoi famosi 70 chilometri di altezza in atmosfera. Gli studi sono attualmente pochissimi ma un "atlante di microbi stratosferici" potrebbe dire molto visto che le condizioni in stratosfera sono davvero proibitive tra freddo, clima secco, bassa pressione e radiazione UV. La vita nella stratosfera esiste e si è adeguata proteggendo il DNA dai raggi UV, sviluppando capacità di sopportare mancanza di acqua grazie a proteine in grado di trattenerla maggiormente e tanti altri meccanismi. Se questo succede sulla Terra, e succede, potrebbe succedere anche altrove. Si tratta di microbi trasportati dai cicli atmosferici e riuscire a sopravvivere alla condizioni esposte non vuol dire poterci prosperare, quindi non è detto che possa esserci riproduzione. 

Si è concordi nel ritenere, comunque, che se vita fosse presente nello strato atmosferico la sua durata non sarebbe così lunga visto che tenderebbe a sprofondare verso strati più bassi e invivibili, ma nel 2020 un articolo di Sara Seager ha suggerito come i microbi potrebbero in realtà beneficiare di un ciclo di vita sostenibile, riuscendo a sopravvivere per milioni di anni. I microbi potrebbero vivere nell'ambiente liquido all'interno delle goccioline sospese di acido solforico: quando le goccioline crescono, vengono forzate dalla gravità a cadere in uno strato sottostante più caldo ma quando iniziano a evaporare lo strato inferiore potrebbe divenire un deposito di vita dormiente. Più tardi, lo spostamento verso l'alto potrebbe portare in vita i microbi dormienti tramite reidratazione. Questo, ovviamente, assumendo che la vita possa risiedere all'interno delle goccioline. Sulla Terra, esistono tantissimi microbi trovati in ambienti aridi e questo può aumentare le probabilità di trovare qualcosa anche su Venere (Sara Seager et al. The Venusian Lower Atmosphere Haze as a Depot for Desiccated Microbial Life: A Proposed Life Cycle for Persistence of the Venusian Aerial BiosphereAstrobiology - 2020).

Il possibile ciclo di vita della vita microbica su Venere.  Credit: Seager et al, 2020
Il possibile ciclo di vita della vita microbica su Venere.  Credit: Seager et al, 2020

A remare contro la presenza di vita "come la conosciamo", comunque, è anche un altro fattore: la quantità di acqua presente nell'atmosfera di Venere. A oggi, infatti, gli organismi più estremofili in questi termini sono alcuni funghi che necessitano di una percentuale del 58.5% di umidità relativa mentre l'analisi dei dati venusiani porta a una percentuale massima di appena 0.4%, ovvero più di cento volte inferiore rispetto a quanto richiesto da questi funghi. Nulla ovviamente esclude che possano esistere ambienti diversi con estremofili ancora più estremi, ma ragionando in termini di vita "comune" lo scoglio dell'umidità appare insormontabile per poter affermare che su Venere possano esserci organismi viventi (Water activity in Venus's uninhabitable clouds and other planetary atmospheresNature Astronomy - 2021). 

Ultimo aggiornamento del: 29/06/2021 11:56:47