I riscontri legati agli elementi chimici previsti
Tra i maggiori successi del Modello Cosmologico Standard esiste la perfetta, o quasi, previsione delle abbondanze chimiche. Una previsione che trova il solo problema del litio anche se fa riferimento a una piccola percentuale della materia presente.
Per quanto possa sembrare incredibile, è possibile verificare la veridicità delle ipotesi avanzate dal Modello Cosmologico Standard su quanto accaduto a materia e radiazione nei primi minuti di vita dell'Universo.
Nel grafico sono riportate le abbondanze primordiali di elementi previste dalla teoria, le abbondanze primordiali osservate e i parametri ricavati grazie alle precise osservazioni di WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe) prima e di Planck poi della prima fotografia disponibile del nostro Universo, quella che ci hanno lasciato i fotoni con la loro fuga dalla materia 380.000 anni dopo il Big Bang .
Le curve indicano le previsioni teoriche della nucleosintesi, le strisce orizzontali i valori che derivano dalle osservazioni. Sulle asse orizzontale è riportato, indicato dalla lettera greca eta η, il rapporto che esiste tra barioni e fotoni, ossia tra materia ed energia. Questo rapporto non solo è costante nel tempo ma è strettamente correlato alla densità dei nuclei nell'universo primordiale e corrisponde alla temperatura ed alla densità dell'universo iniziale. Il rapporto tra radiazione e materia è fondamentale, come abbiamo visto sopra, perché permette di determinare le condizioni alle quali avviene la produzione degli elementi attraverso la fusione nucleare. Sull'asse verticale sono invece riportate le diverse abbondanze.
Per l'elio-4 è indicato il rapporto di massa Y (la massa di nuclei di elio-4 diviso per la massa totale di tutti protoni e neutroni nell'universo). Per tutti gli altri elementi è indicato il numero diviso per il numero di nuclei di idrogeno, che è l'elemento più abbondante. In particolare, la presenza di particelle come protoni e neutroni nell'universo primordiale lascia un lieve, ma misurabile impronta sulla radiazione cosmica di fondo .
Il valore di η risultante dalle misurazioni di alta precisione di Planck è indicato dalla striscia gialla verticale e la concordanza tra i dati previsti e quelli osservati è a dir poco straordinaria. La striscia azzurra che indica il valore osservato per l'elio-4 è quasi perfettamente sovrapponibile alla curva teorica. La curva di deuterio incontra la striscia che indica il valore osservato quasi esattamente al valore indicato dalle osservazioni di Planck. Anche la curva dell'elio-3 ed il range osservato per l'elio-3 coincidono molto bene con le osservazioni di Planck e con le abbondanze previste. Solo per il litio-7 c'è un divario notevole tra la previsione e l'osservazione, però, date le incertezze di determinare l'abbondanza iniziale di questo elemento dalle osservazioni, questa discrepanza, come spiegheremo brevemente più avanti, potrebbe derivare da processi di nucleosintesi stellare ancora da interpretare. Mentre per determinare le abbondanze primordiali è sufficiente conoscere quali erano le condizioni di temperatura e densità nei primi momenti dell'universo, e i dati Planck sono tra i più accurati a disposizione dei cosmologi, vediamo quali sono i procedimenti utilizzati per dedurre le abbondanze primordiali degli elementi chimici presenti nell'Universo.
Elio-4 - L'elio-4 è prodotto dalla fusione nucleare stellare, per determinane l'abbondanza primordiale è quindi necessario rivolgere le osservazioni ad oggetti dell'universo primitivi studiandone le emissioni nello spettro elettromagnetico . Delle ottime candidate a tale scopo sono le galassie nane povere di ossigeno e di azoto che ospitano delle nubi di gas (chiamate regioni HII) formate da un plasma rarefatto di protoni ed elettroni che, se sufficientemente caldi, ci consentono di avere degli ottimi dati a disposizione . Data la correlazione lineare che esiste tra ossigeno ed elio-4, più ossigeno contiene una galassia nana più elio-4 troveremo. Con il ragionamento inverso, e tenendo presente che l'ossigeno è il prodotto della nucleosintesi stellare, possiamo determinare la quantità di elio-4 primordiale, ossia a nessuna fusione stellare avvenuta. Le osservazioni sono in accordo con le previsioni.
Deuterio - Nei processi stellari di fusione nucleare, il deuterio è rapidamente convertito in elio-3 e, di conseguenza viene distrutto non appena prodotto. Pertanto ogni atomo di deuterio rilevato dalle osservazioni spettrografiche è stato prodotto nell'universo primordiale, ed ogni abbondanza misurata può essere considerata come parametro per determinare il limite inferiore del valore primordiale. Analizzando la luce dei quasar , che sono alcuni degli oggetti più lontani, e quindi più antichi, visibili possiamo studiare la luce dell'Universo di dieci miliardi di anni fa determinando, tra l'altro, l'abbondanza del deuterio. Allo stato attuale, i risultati indicano che, nell'universo primordiale, c'era circa un nucleo di deuterio per ogni 30.000 nuclei di idrogeno, in perfetto accordo con le osservazioni di Planck.
Elio-3 - Per determinare l'abbondanza primordiale dell'Elio3 dobbiamo invece guardare di nuovo le regioni HII ma questa volta molto più vicino, all'interno della nostra Via Lattea . Sappiamo che tanto più una regione è prossima al centro galattico quanto più le abbondanze degli elementi sono influenzate dalla nucleosintesi stellare. Il valore rilevato per l'elio3 invece è pressappoco identico per qualsiasi regione della Galassia osservata, indipendentemente dalla distanza dal centro galattico e ci consente di determinare il limite massimo per l'abbondanza primordiale di questo elemento.
Tra tutti gli elementi prodotti dalla nucleosintesi è quello per il quale risulta più difficile determinare il valore primordiale perché viene prodotto in notevoli quantità nelle stelle massicce e trasformato in nuclei di elio4 (che hanno simili proprietà).
Il litio viene prodotto e distrutto nella nucleosintesi stellare e la quantità di litio prodotta varia a seconda della massa della stella , della sua temperatura e della sua composizione iniziale. Tali processi di fusione nucleare, però, avvengono nella parte più interna delle stelle, dove la temperatura è più elevata, ma non negli strati più esterni. Osservando la composizione chimica degli strati più esterni di una stella si possono determinare le abbondanze degli elementi dei quali è composta internamente (i moti convettivi danno vita a un dredge-up che porta il materiale verso la superficie) e più è vecchia una stella osservata più la misura del litio presente dovrebbe essere vicino ai valori primordiali. Le osservazioni confermano questa ipotesi e riportano un valore di litio costante (pertanto non contaminato dai processi di fusione) per le stelle più vecchie ed un valore sempre diverso per le stelle di generazione successiva.
Sebbene il metodo utilizzato per la determinazione delle abbondanze primordiali di litio sia corretto esiste una incongruenza con le abbondanze previste e con i dati Planck: manca più della metà del Litio ipotizzato. Questo difetto di abbondanza del litio è però considerato una lacuna nella attuale conoscenza dei processi di nucleosintesi stellare più che un fallimento del Modello Cosmologico Standard.
Il difetto sembra essere presente anche in termini di distribuzione del Litio, visto che nelle stelle antiche se ne trova meno rispetto alle attese e nelle stelle giovani se ne trova di più. Nelle prime, la mancanza è spiegabile con il suo consumo, ma nelle seconde l'abbondanza è un mistero visto che, anche se prodotto, dovrebbe venir distrutto dalle temperature elevate. A Luglio 2018 è stata scoperta una stella che detiene il record di litio tra le stelle giganti: la sua abbondanza superava di tremila volte quella delle giganti normali. La stella si trova in Ofiuco e dista 4500 anni luce dalla Terra. Il tutto potrebbe essere spiegato con delle reazioni nucleari interne alla stella oppure con un "pasto" planetario da parte della stella stessa, ma c'è ancora da studiare e proprio da questa stella potrebbero provenire molte informazioni in grado di far rientrare il "problema del litio", evidenziato di nuovo a livello locale nell'ammasso globulare NGC 1261, distante 52 mila anni luce e nel quale una stella ha fatto registrare, nel 2020, un livello di litio mille volte superiore a quello medio (Astronomy & Astrophysics - “The Gaia-ESO Survey: an extremely Li-rich giant in globular cluster NGC 1261” - N. Sanna et al.).
Un paradigma diverso potrebbe aiutare, ipotizzando come stelle come il Sole - in realtà - non si limitino a distruggere il litio ma procedano anche a ricrearlo durante la fase di gigante rossa . Per giungere a questa ipotesi, i ricercatori hanno utilizzato i dati della survey LAMOST e della survey australiana GALAH, costruendo un database di spettro di dieci milioni di stelle. Proprio dalle osservazioni è stata evidenziata una produzione tardiva di litio, cosa non prevista dai modelli teorici (Yerra Bharat Kumar et al, Scoperta della produzione ubiquitaria di litio nelle stelle a bassa massa, Nature Astronomy - 2020). Una conferma alla produzione di litio proviene da un nuovo studio del 2021, che scopre un meccanismo più comune di quanto non fosse ritenuto fino alla data della pubblicazione coinvolgendo almeno il 30% degli astri di piccola massa in fase di red clump (elio bruciato nel nucleo). I dati, ottenuti dalla survey Gaia-ESO su centomila spettri galattici, hanno consentito di seguire l'evoluzione lungo tutta la sequenza principale fino al Red-Giant Branch (RGB): i processi di convezione portano a una continua diminuzione dell'abbondanza di litio e questo porta a stringenti vincoli nella produzione di litio nelle fasi precedenti il red clump: più di un terzo delle stelle in questa fase, infatti, mostra abbondanze di litio superiori alle attese (Astronomy & Astrophysics - “The Gaia-ESO survey: Lithium abundances in open cluster Red Clump stars” - L. Magrini et al.)
A fine 2020 del litio è stato identificato e misurato, per la prima volta, nell'atmosfera di nane bianche da un team della University of North Carolina il che potrebbe venire in soccorso dell'annoso problema legato a questo elemento non tanto in termini di quantità osservata quanto in termini di ulteriore metodo di detection. L'osservazione è stata possibile analizzando i resti di una collisione di oggetti asteroidali nelle atmosfere di due nane bianche di circa 9 miliardi di anni di età, il che ha consentito di misurare la composizione chimica dei corpi impattanti nonché la presenza di litio e potassio per un corpo roccioso extrasolare. Si tratta di una misurazione che quindi rende possibile la rilevazione del litio, un'arma in più per cercare la soluzione al problema (B.C. Kaiser el al., "Lithium pollution of a white dwarf records the accretion of an extrasolar planetesimal," Science - 2020). Una ulteriore stretta viene da uno studio del 2021, il quale ha indagato su una delle relazioni della nucleosintesi del Big Bang nella quale il berillio-7 e un neutrone decadono in litio-7 (l'isotopo più comune del litio) e un protone. Dall'analisi risultano livelli di abbondanza di litio-7 inferiorei al previsto nella misura del 10% in meno circa. Se questo fosse vero (nonostante le difficoltà di calcolo legate all'instabilità di berillio-7 e neutroni) allora la forchetta di differenza tra teoria e pratica sarebbe ancora un po' più piccola rispetto a quanto pensato (The Astronomical Journal Letters - “Constraining the Primordial Lithium Abundance: New Cross Section Measurement of the 7Be + n Reactions Updates the Total 7Be Destruction Rate” - Hayakawa et al).
Ultimo aggiornamento del: 14/11/2021 11:29:27
Analisi della Radiazione Cosmica di Fondo
La prova più schiacciante della precisione del Modello Cosmologico Standard risiede nella radiazione fossile del primo universo, quella uscita dalla superficie dell'ultimo scattering. La radiazione cosmica di fondo scoperta nel 1964 ma già teorizzata
Quando la temperatura dell'universo scese a circa 3.300°K (era stellare), la creazione degli atomi rese l'universo stesso trasparente alla luce ma non solo: la scomparsa degli elettroni, unitisi ai nuclei per formare gli atomi, consentì alla radiazione di lasciare la materia e di espandersi attraverso i fotoni. La lunghezza di onda della radiazione dell'epoca, secondo il Modello Cosmologico Standard, è stata shiftata verso il rosso dall'espansione dell'universo, fino a raggiungere oggi la zona delle microonde. La temperatura della radiazione, inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda, dovrebbe essere visibile oggi a 3 Kelvin . Per la scoperta della Radiazione Cosmica di Fondo, prova definitiva della validità del modello, si rimanda alla sezione dell'astronomia a microonde lasciando in questa sede alcune riflessioni sull'analisi della radiazione stessa.
La radiazione a microonde prevista
Il discorso ci spinge a capire cosa accade alla radiazione mentre l'universo si espande e per farlo occorre smettere per un po' di pensare alla radiazione come ad una onda e vederla dal punto di vista quantistico. La radiazione è composta da particelle note come fotoni. Una onda luminosa, quindi, è composta da un immenso numero di fotoni che viaggiano insieme. L'energia totale del fascio di luce, tuttavia, sarà sempre un multiplo di una unità ben definita che è data dall'energia di un singolo fotone (energia quantizzata). Il quanto di energia di un fotone è in genere molto piccolo, quindi alla fine è come se il fascio di luce potesse avere qualsiasi energia, somma dei vari quanti. I fotoni hanno massa assimilata allo zero (in realtà il limite massimo è fissato in 10-51 grammi, pari a 7x10-19 eV) e carica elettrica nulla, ed il fascio di luce non interagisce con la materia come un'onda unitaria ma fotone per fotone. Nonostante la massa nulla, ogni fotone trasporta energia e quantità di moto, ed inoltre ruota intorno alla sua direzione di moto.
Allo stato attuale dell'universo, un fotone riesce spesso a raggiungerci senza subire variazioni durante il tragitto dalla sorgente che lo ha emesso, anche se distante 10 miliardi di anni luce. Il mezzo intergalattico , quindi, sembra trasparente tanto da consentire ai fotoni di viaggiare senza subire interazioni per una distanza pari ad una buona frazione dell'età dell'universo. Non è sempre stato così: il fatto che l'universo si stia espandendo implica che un tempo passato gli oggetti erano molto più vicini rispetto a quanto non siano adesso. La temperatura del materiale che compone l'universo era conseguentemente più alta, in base al principio per il quale un fluido vede aumentare la propria temperatura quando viene compresso. La temperatura era tanto alta da non consentire non solo la formazione di stelle e galassie, ma anche la formazione di atomi stabili formati da nucleo ed elettroni. Con un tale tumulto, un fotone difficilmente avrebbe trovato terreno libero in cui correre senza imbattere in qualche ostacolo, nucleo o elettrone che sia. Se un fotone viene diffuso da un elettrone , cede (se ha più energia dell'elettrone) o acquista (se ha meno energia dell'elettrone) energia all'altra particella. Si stima che il tempo di "viaggio libero" del fotone, prima di imbattersi in qualcosa, fosse molto breve, e ancora più breve era il viaggio libero di elettroni e nuclei. Il tempo di espansione di queste particelle fu quindi molto lungo: anche se l'universo si espandeva a velocità vertiginose, un fotone veniva assorbito e riemesso tantissime volte. Sistemi di questo tipo sono destinati a raggiungere un equilibrio, inteso come modo in cui le particelle sono distribuite per posizione, energia, ecc.
Si parla di equilibrio termico ad indicare che il sistema è caratterizzato da una bel definita temperatura, uniforme in tutto il sistema.
L'universo nel suo complesso non è mai stato un sistema in equilibrio perfetto, proprio perché è in espansione. Nel periodo iniziale, quando la rapidità di interazione delle particelle era molto più elevata rispetto al ritmo di espansione cosmica, si sarebbe potuto considerare l'universo come impegnato in una evoluzione lenta da uno stato di equilibrio termico quasi perfetto ad un altro. Secondo le conclusioni della meccanica statistica, le proprietà di ogni sistema in equilibrio termico sono completamente definite una volta che si siano specificate la temperatura del sistema e le densità di alcune quantità che si conservano. L'universo, pertanto, conserva soltanto una memoria molto limitata delle sue condizioni iniziali. E' uno svantaggio per chi vuole conoscere le condizioni iniziali, ma possiamo sempre inferire il corso degli eventi senza dover fare troppe ipotesi arbitrarie.
Siamo giunti a dire che la radiazione a microonde trovata da Penzias e Wilson è un residuo del tempo in cui l'universo si trovava in uno stato di equilibrio termico. Detto questo, quali caratteristiche ci attendiamo di trovare da una radiazione di questo tipo, in equilibrio con la materia? Proprio questa domanda ha dato origine alla teoria quantistica. Era già noto dall'Ottocento che le proprietà della radiazione in equilibrio termico con la materia dipendono soltanto dalla temperatura. Per la precisione: la quantità di energia per unità di volume in una tale radiazione all'interno di un determinato ambito di lunghezze d'onda è data da una formula universale implicante solo la lunghezza d'onda e la temperatura. Tale formula indica anche la quantità di radiazione all'interno di un corpo cavo con pareti opache e quindi può essere utilizzata per interpretare l'intensità del rumore radio osservato in relazione ad una temperatura equivalente. La stessa formula esprime infine anche la quantità di radiazione emessa per secondo e per centimetro quadrato a qualsiasi lunghezza d'onda da una superficie ad assorbimento totale, per cui la radiazione di questo tipo è nota come emissione del corpo nero .
La radiazione del corpo nero è caratterizzata cioè da una distribuzione definita dell'energia per lunghezza d'onda, espressa da una formula che dipende soltanto dalla temperatura. Il problema era trovare la formula, ed a questo pensò Max Karl Ernst Ludwig Planck.
Densità di energia, per intervallo unitario di lunghezza d'onda, in funzione della frequenza , per un'emissione di un corpo nero con una temperatura di 3°K. La parte rettilinea della curva a destra è descritta dalla più semplice distribuzione di Rayleigh-Jeans; una linea con questa pendenza è attesa per un'ampia varietà di casi oltre che per l'emissione di un corpo nero. La caduta ripida a sinistra è dovuta alla natura quantica della radiazione, ed è un carattere specifico dell'emissione del corpo nero.
La distribuzione di Planck prevede che l'energia in ogni gamma di lunghezze d'onda cresca rapidamente, raggiunga un massimo e decresca rapidamente e questa è una distribuzione universale che dipende soltanto dalla temperatura della materia e non dalla sua natura. L'emissione del corpo nero è qualsiasi radiazione la cui energia si distribuisce secondo la formula di Planck.
Durante il primo milione di anni circa, con radiazione e materia in equilibrio termico, l'universo era pieno di radiazione del corpo nero, con temperatura uguale a quella dei materiali dell'universo. L'innovazione maggiore della formula di Planck è l'introduzione dei quanti, che sono i pacchetti minimi, i "granuli" sotto la cui forma si presenta l'energia. Proprio da questa pacchettizzazione dell'energia, che Planck previde soltanto per la radiazione in equilibrio termico, Einstein arrivò a parlare di quantizzazione della radiazione in generale e quindi di fotoni. Nasce così, tra il 1920 ed il 1930, la meccanica quantistica.
Analizziamo la forma della distribuzione di Planck. A destra del picco la curva decresce rapidamente ed il motivo è facilmente intuibile senza ricorso alla meccanica quantistica e rimanendo nell'ambito della più classica teoria ondulatoria della radiazione: non si può adattare la radiazione ad un volume le cui dimensioni sono inferiori alla lunghezza d'onda. La rapida diminuzione sul lato sinistro del picco, invece, richiede l'aiuto della meccanica quantistica: ad ogni temperatura data è difficile produrre un tipo di particella o di onda la cui energia sia superiore ad una certa quantità ben definita, proporzionale alla temperatura. Se invece le onde brevi potessero avere energie piccole a piacere, non ci sarebbe alcun limite alla quantità totale della radiazione del corpo nero di lunghezza d'onda molto brevi. Una cosa del genere porterebbe ad una radiazione del corpo nero infinita, il che è impossibile. L'unico modo per sfuggire a questa evenienza è supporre che l'energia si presenti in quantità discrete (quanti) e che la quantità di energia di ogni quanto aumenti al diminuire della lunghezza d'onda, in modo che ad ogni temperatura data ci sarebbe pochissima radiazione alle lunghezze d'onda minori, in corrispondenza delle quali i quanti hanno energie molto elevate. Quindi: l'energia di un fotone è inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda (Einstein). Per ciasuna temperatura data, l'emissione del corpo nero conterrà pochissimi fotoni dotati di energia eccessiva e quindi pochissimi con lunghezza d'onda breve. Proprio questo spiega la caduta della distribuzione di Plank per lunghezze d'onda brevi.
Quali sono allora le proprietà attese dalla radiazione? Per la meccanica statistica l'energia fotonica tipica è proporzionale alla temperatura, mentre per la formula di Einstein la lunghezza d'onda di ogni fotone è inversamente proporzionale all'energia del fotone stesso. Ne segue che la lunghezza d'onda tipica dei fotoni nella radiazione del corpo nero è inversamente proporzionale alla temperatura.
Inoltre. Abbiamo visto che la diminuzione nella densità di energia dell'emissione del corpo nero a grandi lunghezze d'onda sia dovuta alla difficoltà di contenere una radiazione in un volume le cui dimensioni siano inferiori al valore della lunghezza d'onda. Di fatto, la distanza media tra fotoni nella radiazione del corpo nero è circa uguale alla lungheza d'onda tipica del fotone. Ma sappiamo anche come questa lunghezza sia inversamente proporzionale alla temperatura, per cui la distanza media tra fotoni è essa stessa inversamente proporzionale alla temperatura. Il numero di oggetti di qualsiasi genere all'interno di un volume determinato è inversamente proporzionale al cubo della loro distanza media. Nella radiazione del corpo nero la norma è quindi che il numero dei fotoni in un volume dato è proporzionale al cubo della temperatura.
Detto questo, è possibile trarre alcune conclusioni sulla quantità di energia presente nella radiazione del corpo nero. L'energia per litro, o densità di energia, è il numero di fotoni per litro moltiplicato per l'energia media per fotone. Sappiamo che il numero di fotoni è proporzionale al cubo della temperatura mentre l'energia media del fotone è semplicemente proporzionale alla temperatura. L'energia per litro nella radiazione del corpo nero è quindi proporzionale al prodotto del cubo della temperatura per la temperatura, ossia alla quarta potenza della temperatura (Legge di Stefan-Boltzmann). Se il rumore a microonde scoperto da Penzias e Wilson è una emissione del corpo nero con una temperatura di 3°K, allora la sua densità di energia deve essere di 4,72 (densità di energia della radiazione del corpo nero alla temperatura di 1°K) elettronvolt per litro moltiplicati per 3 elevato alla quarta potenza, cioè 380 elettronvolt per litro.
Cosa vuol dire 3 K?
Abbiamo detto che la radiazione si trova a 3°K, ma che conseguenze ha questa temperatura dal punto di vista cosmologico? La temperatura di radiazione ci consente di determinare un numero fondamentale per capire la storia dell'universo nei suoi primi tre minuti. Data una temperatura, come visto, il numero di fotoni per unità di volume è inversamente proporzionale al cubo di una lunghezza d'onda tipica e quindi direttamente proporzionale al cubo della temperatura. Per la temperatura di 1°K si avrebbero 20.282,9 fotoni per litro, quindi il fondo a 3°K contiene circa 550.000 fotoni per litro. La densità di particelle nucleari nell'universo attuale è compresa tra 6 e 0,03 particelle ogni mille litri quindi, in dipendenza del valore effettivo della densità di particelle, per ogni particella nucleare oggi presente ci sarebbero da 100 milioni a 20 miliardi di fotoni, in un rapporto che è rimasto costante per un tempo lunghissimo, sia dopo che la temperatura è scesa sotto i 3.000°K sia prima.
Per comodità, si può arrotondare la media a un miliardo di fotoni per ogni particella nucleare, in linea con il Principio Cosmologico.
Una conseguenza fondamentale è che la formazione di galassie e stelle non poté aver inizio prima della discesa della temperatura al di sotto dei 3.000°K, quando i protoni iniziarono ad essere in grado di catturare elettroni. Affinché la gravità potesse avere effetto addensando materia, occorreva che la gravitazione stessa riuscisse a superare la pressione della materia e della radiazione associata. La pressione non dipende dalle dimensioni dell'addensamento, mentre la gravità cresce al crescere dello stesso quindi per ogni valore di densità e pressione esiste una massa minima suscettibile di addensamento gravitazionale. Questa massa minima è stata calcolata da Sir James Jones nel 1902 ed è nota come massa di Jeans. Questa massa è proporzionale alla pressione elevata alla potenza di 3/2.
Poco prima della combinazione nucleare a 3.000°K, la pressione di radiazione era enorme e la massa di Jeans era corrispondentemente grande, circa un milione di volte maggiore della massa di una grande galassia. Galassie ed ammassi galattici non sono abbastanza grandi da essersi formati in questo momento. Poco dopo, però, elettroni e nuclei si combinarono e l'universo divenne trasparente alla radiazione visto che i fotoni erano ora sgombri da ostacoli vaganti. In tali condizioni la pressione di radiazione perse efficacia e la massa di Jeans diminuì sensibilmente fino a circa un milionesimo della massa di una galassia. Da allora in poi la sola pressione della radiazione sarebbe stata troppo debole per resistere all'agglomerazione di materia nelle galassie.
Siamo ancora lontani dal capire come si sono formate le galassie, ma per ora siamo certi che quando la temperatura dell'universo era superiore ai 3.000°K non esistevano stelle e galassie ma soltanto un mix ionizzato di materia e radiazione.
Altra conseguenza del rapporto tra fotoni e particelle nucleari è l'indicazione che è esistito un tempo in cui l'energia di radiazione era maggiore dell'energia contenuta nella materia dell'universo. L'energia contenuta nella massa di una particella nucleare è data dalla formula di Einstein E = mc2 ed è pari a 939 milioni di elettronvolt.
L'energia media di un fotone nell'emissione di corpo nero di 3°K è molto inferiore, pari a circa 0,0007 elettronvolt: pur ipotizzando un rapporto di un miliardo ad uno tra fotoni e particelle nucleari, la maggior parte dell'energia dell'universo attuale è sottoforma di materia e non di radiazione. Ma agli inizi dell'universo, con la temperatura più elevata, era più elevata anche la temperatura di ogni fotone mentre l'energia contenuta nelle particelle nucleari era sempre la stessa. Con il rapporto di 1.000.000.000:1, perché l'energia di radiazione superasse l'energia della materia era sufficiente che l'energia media di un fotone del corpo nero fosse superiore a un miliardesimo della energia della massa di una particella nucleare, ossia di un elettronvolt circa. Tale condizione sussisteva quando la temperatura era intorno ai 4.000°K, che segna la transizione da un'epoca dominata dalla radiazione e l'era presente dominata dalla materia.
Le informazioni nella Radiazione Cosmica di Fondo
Altra caratteristica fondamentale per la cosmologia è rappresentato dalle informazioni che la CMB (Cosmic Microwave Background) si porta dietro. La Radiazione Cosmica di Fondo porta con sé l'impronta indelebile della formazione delle strutture dell'universo. Quando i fotoni iniziarono ad uscire dall'empasse che li vedeva sbattere continuamente con gli elettroni iniziando a prendere la via dell'universo, le strutture avevano già iniziato a formarsi. Punti con massa un po' più accorpata riuscirono ad attrarre altra massa dando luogo, con il tempo, a superammassi, ammassi, galassie. I fotoni che passavano da quelle parti dovevano per forza cedere una parte della propria energia alla maggiore attrazione gravitazionale esercitata da questi punti di accumulo di materia. Ne segue che quei fotoni erano più freddi.
La mappa della Radiazione Cosmica di Fondo ottenuta prima dal satellite COBE (COsmic Background Explorer) e poi da WMAP (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe), un altro satellite NASA, e infine da Planck dell'ESA (la cui prima mappa risale a Marzo 2013), consente di distinguere le aree in base alla temperatura riscontrata. I differenti colori indicano variazioni di temperature nell'ordine di 0,0002 gradi Kelvin rispetto alla temperatura media. Queste minuscole variazioni sono dovute alle primordiali fluttuazioni quantistiche.
Si ritiene anche che le increspature nella radiazione cosmica di fondo possano contenere le tracce dell'inflazione cosmica (polarizzazione Mode B), una informazione tuttavia cento volte più piccola delle increspature stesse. Non solo difficili da scovare, ma questi effetti possono essere nascosti da fenomeni non correlati risultando tuttavia più grandi - e questa è una buona notizia - rispetto al sottofondo extra-galattico (N Gupta et al. Fractional polarization of extragalactic sources in the 500 deg2 SPTpol survey, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (2019).
La CMB, a prima vista, presenta delle note non uniformi in quantità di una parte su mille in ciascuna direzione, ma si tratta di un effetto Doppler legato al movimento della nostra galassia. Verso la direzione che asseconda il moto della galassia, infatti, la radiazione appare più schiacciata mentre in direzione opposta appare più allungata. Tolta questa impurità di calcolo, la radiazione appare uniforme con uno scarto di uno ogni centomila con radiazioni leggermente maggiori o leggermente minori corrispondenti alle zone dove, all'età universale 380.000, la materia era più presente o meno presente, incubazione delle attuali strutture cosmiche che vediamo (e che non vediamo, come materia oscura ). Le anisotropie in termini di densità vengono riconosciute come omogenee e casuali su una certa scala, oltre la quale l'universo non appare poi così omogeneo come si pensava. I punti di diverso colore indicano zone più o meno fredde (non pensate a differenze abissali, stiamo parlando di centesimi di grado). Le differenze di temperatura sono il risultato, stirato dall'inflazione, delle primordiali differenze di massa e quindi delle primordiali fluttuazioni di densità. Studiare la distribuzione delle temperature equivale a capire l'intensità del campo gravitazionale nell'universo giovane e quindi l'accumulo di materia primordiale che ha portato alle attuali grandi strutture. Possiamo stabilire quanta materia, ordinaria ed oscura, e quanta energia compongono l'universo (4.9%, 26.8% e 68.3% rispettivamente).
Non basta: possiamo capire anche la curvatura dell'universo, la quale influenza il cammino dei fotoni che attraversano l'universo stesso. Attualmente la stima effettuata da WMAP al riguardo fornisce una somma tra densità di materia e densità di energia pari all'incirca ad 1, con la conseguenza di un universo piatto, come peraltro già è provato da altri studi.
La prima mappa di Planck fornisce anche un universo più "vecchio" di circa 80 milioni di anni rispetto a quanto non si sia pensato fino ad allora, con una espansione più lenta. L'età viene fissata in 13,81 miliardi di anni mentre la costante di Hubble veniva fissata in 76,3 chilometri al secondo per megaparsec (i dati di Planck sono in contrasto con quelli di Hubble Space Telescope).
A febbraio 2014 i risultati di uno studio di Lyang Day della John Hopkins University ipotizza la possibilità di scovare le onde gravitazionali primordiali a partire dalla polarizzazione dei fotoni della radiazione cosmica di fondo. L'inflazione avrebbe quindi "stirato" i fotoni ma li avrebbe anche allineati. Le particelle subiscono allineamenti durante i passaggi vicino a centri di massa ma anche nei pressi di onde gravitazionali. Se si riuscisse a scorporare la parte legata ai centri di massa, la differenza tra allineamento osservato e allineamento teorizzato potrebbe fornire una indicazione quantitativa dell'effetto delle onde gravitazionali e quindi sarebbe la prova della loro esistenza ma anche una osservazione abbastanza diretta. A inizio marzo 2014, una conferenza da parte degli scienziati della Royal Astronomical Society. sembrava aver annunciato proprio la detection di queste onde. Innanzitutto, le onde gravitazionali sono previste dal modello cosmologico standard ma non esiste un modello unico. All'interno della "linea guida" esistono diverse misurazioni e conclusioni leggermente diverse. Per la precisione, gran parte della gara si gioca sull'ampiezza delle onde gravitazionali per sapere dove andare a cercarle. L'ampiezza è data dal rapporto tra le fluttuazioni dovute alle onde gravitazionali (chiamate Modi B, o fluttuazioni tensoriali) e le fluttuazioni di densità viste in precedenza. Finora si era ipotizzato un rapporto massimo di 0,1 ma le diverse teorie giungono ad assegnare, in base a ipotesi iniziali diverse, valori diversi. Il 17 marzo è stato comunicato che il valore osservato è di 0,2 con una confidenzialità pari a Sigma 5. Il dato è stato ottenuto attraverso la sofisticata strumentazione installata sul telescopio sudpolare della NASA chiamato BICEP2. Proprio i dati di Planck hanno ridimensionato il tutto, visto che hanno evidenziato come la polarizzazione osservata fosse dovuta in realtà a polvere cosmica. Sette anni dopo, nel 2021, il matching tra i dati di Planck e dei programmi BICEP2, BICEP3 e Keck Array hanno consentito di migliorare il margine di errore sulla polarizzazione attesa di un fattore due, fornendo una guida molto potente sul modo in cui l'inflazione potrebbe aver influito sulla radiazione cosmica di fondo. Ciò ha consentito di eliminare diversi modelli ancora in piedi lasciando valenza alla classe di modelli che predicono onde gravitazionali primordiali a livelli tali da consentirne l'osservazione nel prossimo decennio, dopo il miglioramento dei telescopi al Polo Sud (P. A. R. Ade et al, Improved Constraints on Primordial Gravitational Waves using Planck , WMAP, and BICEP/ Keck Observations through the 2018 Observing Season, Physical Review Letters - 2021).
Il problema della densità della materia
Attualmente esistono due differenti filoni di studio per calcolare la densità e la struttura della materia nell'universo, due filoni che portano a risultati differenti. Il primo - portato avanti dal Planck Research Consortium - si basa sull'analisi della Radiazione Cosmica di Fondo mentre il secondo - scelto da survey come la Kilo-Degree Survey e dalla Dark Energy Survey - il secondo sull'osservazione degli effetti di lente gravitazionale. In particolare, la Kilo-Degree Survey ha affiancato alle tipiche osservazioni anche un maggior numero di dati ottenuti in infrarosso, ottenendo un risultato ancora più differente da quello ottenuto con il primo metodo. Le deviazioni tra i risultati appaiono sistematiche e aggiungendo informazioni al metodo delle lenti gravitazionali la forchetta sembra aprirsi sempre di più, il che può nascondere un problema per il Modello Cosmologico Standard (H. Hildebrandt et al. KiDS+VIKING-450: Cosmic shear tomography with optical and infrared data, Astronomy & Astrophysics - 2019).
Ultimo aggiornamento del: 11/10/2021 21:18:35