Le prove della materia oscura
Esistono movimenti nell'universo, specialmente nelle galassie e negli ammassi di galassie, che non riescono a trovare giustificazione gravitazionale conteggiando la sola materia visibile. Proprio dagli studi di Zwicky e Rubin nasce la materia oscura
Per funzionare, il Modello Cosmologico Standard ha bisogno della presenza di una componente oscura rappresentante oltre il 95% della composizione dell'universo stesso, il che potrebbe rappresentare un forte freno nell'accettazione del modello stesso. I dati ottenuti dai telescopi orbitanti sulla radiazione cosmica di fondo forniscono infatti una composizione dell'universo suddivisa tra materia normale, o barionica, in misura del 4.9%, materia oscura con effetto gravitazionale attrattivo in misura del 26.8% ed energia oscura, con potere gravitazionale repulsivo, in misura del 68.3%.
In particolare, uno studio del 2020 ha fissato nel 31% la percentuale dell'universo formata da materia (barionica e oscura) lasciando il 69% all'energia. Della materia, l'80% è composto di materia oscura. I dati sono stati ottenuti da simulazioni numeriche applicate ai dati della Sloan Digital Sky Survey (SDSS) e i risultati dicono che se la materia fosse equamente distribuita in tutto l'universo la densità sarebbe di sei atomi di idrogeno per metro cubo. Gran parte della materia, invece, risiede negli ammassi e proprio da questi è partita la misurazione (Mohamed H. Abdullah et al, Cosmological Constraints on Ω m and σ 8 from Cluster Abundances Using the GalWCat19 Optical-spectroscopic SDSS Catalog, The Astrophysical Journal - 2020).
Senza questa materia "oscura" il Modello Cosmologico Standard non riuscirebbe a spiegare la formazione di galassie e ammassi galattici nel tempo calcolato e non potrebbe neanche spiegare come facciano le galassie attuali a non disperdersi sotto la spinta della propria rotazione .
Dal momento che la composizione di questa materia non è affatto nota, ci si muove in un campo "oscuro" e proprio per questo si parla di materia oscura fermo restando il fatto che potrebbe trattarsi anche di materia del tutto normale e conosciuta che tuttavia, ad oggi, non è ancora possibile osservare poiché troppo debole.
Definiamo, semplicemente, “materia” o "materia barionica" tutto ciò che occupa spazio è che è formato da particelle dotate di massa (ossia composto da atomi).
Le materia si manifesta in natura in due modi:
- interagendo con la materia circostante grazie alla forza di gravità (e con una regola ben precisa definita “Legge di Gravitazione Universale”);
- emettendo energia, ossia radiazione elettromagnetica: ogni corpo con temperatura superiore allo zero assoluto emette fotoni.
Proprio grazie all'energia ed agli effetti gravitazionali della materia riusciamo a stimare la massa di una stella così come la distribuzione di materia all'interno di una galassia o di un ammasso galattico . Le interazioni gravitazionali sono, ad esempio, fondamentali nel caso di un sistema binario : già nel 1844, studiando i movimenti di una coppia di stelle “abbastanza” vicine, F.W. Bessel determinò come i movimenti orbitali di Sirio fossero influenzati da un oggetto non visibile ma di massa simile, determinazione che fui poi riconfermata 18 anni dopo con la scoperta della compagna di Sirio da parte di A.G. Clark.
La temperatura (e quindi l'energia) invece ci consente di determinare la massa di una stella grazie all'equazione che regola il rapporto esistente tra la massa di una stella e la sua luminosità (c.d. relazione massa-luminosità).
Grazie al lavoro di Arthur Eddington sappiamo che la massa di una stella ne definisce la luminosità in modo molto semplice: le stelle di massa maggiore sono più luminose delle stelle di massa minore.
Stimata quindi la massa di una galassia osservandone la luce “visibile”, le osservazioni empiriche degli effetti gravitazionali avrebbero dovuto corrispondere ai risultati determinati dall'applicazione della Legge di Gravitazione Universale: in base alla materia visibile e ad i suoi conseguenti effetti gravitazionali le stelle più lontane dal centro galattico dovrebbero ruotare molto più lentamente, visto che si trovano a distanza maggiore dal centro di massa. Velocità superiori determinerebbero il superamento della velocità di fuga e quindi l'abbandono della galassia da parte delle stelle più veloci. Non è così.
Nel 1933 l'astronomo Fritz Zwicky, studiando la dinamica delle galassie spirali all'interno dell'ammasso della Chioma di Berenice, stimò la massa di ogni galassia dell'ammasso, sommandole per determinare la massa totale dell'ammasso stesso. Cercò di ottenere lo stesso risultato con una misurazione diversa e indipendente, basata sulla dispersione della velocità delle galassie singole nell'ammasso, giungendo però a una massa totale ben 400 volte superiore alla prima. Il risultato ci dice che il movimento delle galassie facenti parte dell'ammasso sarebbe troppo veloce per la massa calcolata come somma della massa visibile. Il fatto che le galassie si muovano così velocemente implica che esiste tanta altra massa che le lega gravitazionalmente ma che non riusciamo a vedere.
Stessa cosa ottenne l'astronoma Vera Rubin studiando la curva di rotazione di singole galassie a spirale: i risultati hanno dato evidenza di quanto le stelle più esterne ruotino più velocemente di quanto atteso e di come la loro velocità non diminuisca all'allontanarsi dal centro galattico, dando vita a una curva decisamente più piatta (curva bianca) rispetto a quella attesa (curva rossa).
Oggi il concetto sembra ancora valido, ma anche rafforzato da ulteriori osservazioni firmate SDSS (Sloan Digital Sky Survey) e SALT (Southern African Large Telescope) relativamente alle così dette "Super-spirali", galassie come la nostra ma decisamente più grandi (fino a 450 mila anni luce di diametro) e luminose. A oggi se ne conoscono un centinaio e tutte evidenziano una rotazione ben maggiore rispetto alle galassie a spirale "normali" (Patrick M. Ogle et al. A Break in Spiral Galaxy Scaling Relations at the Upper Limit of Galaxy Mass, The Astrophysical Journal - 2019) mentre, d'altro lato, la rotazione si comporta in egual maniera per tutte le galassie a disco, a partire da quelle "normali" per finire a quelle nane e a quelle a bassa luminosità superficiale (Low Surface Brightness - LSB), il che consente anche di creare un modello universale per tutte le galassie a disco in grado di consentire di calcolare la distribuzione di massa a partire da pochissimi parametri (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “The universal rotation curve of low surface brightness galaxies – IV. The interrelation between dark and luminous matter“ - Chiara Di Paolo). Proprio le galassie a bassa luminosità superficiale - difficilissime da scoprire - possono rappresentare circa il 15% della massa dell'universo e a tal fine sono fondamentali le survey come la Dark Energy Survey (DES), che nei primi tre anni di imaging ha rivelato la presenza di ben 20.977 galassie di questo tipo in 5 mila gradi quadrati di cielo (Shadows in the Dark: Low-Surface-Brightness Galaxies Discovered in the Dark Energy Survey, arXiv).
Di esempi a favore ce ne sono comunque tanti nel panorama delle galassie: Tucana II - una galassia nana ultra debole e satellite della Via Lattea, riesce a tenere gravitazionalmente legata una stella molto distante dalla struttura principale e questo lascia pensare alla presenza di un esteso alone di materia oscura tra 3 e 5 volte più massiccia di quanto stimato fino alla scoperta (An extended halo around an ancient dwarf galaxy, Nature Astronomy - 2021) nonché a una storia fatta di fusioni anche per questa galassia minore.
Una voce contraria comunque viene proprio dalla nostra Via Lattea, visto che uno studio del 2020 basato sui dati del satellite Gaia relativamente a più di cinquemila stelle ha mostrato come sarebbe sufficiente applicare la Relatività Generale, risolvendo tutte e dieci le equazioni, per spiegare l'appiattimento della curva di rotazione galattica. Solitamente, infatti, i modelli che portano alla curva di rotazione si basano su una teoria gravitazionale di tipo Newtoniano, sulla base dell'ipotesi che la velocità delle stelle sia trascurabile rispetto alla velocità della luce. Se, invece, si pone come ipotesi quella che ogni stella possa essere influenzata esclusivamente dal campo gravitazionale galattico e non dalle altre stelle vicine (per distanze dal centro superiori ai 5 Parsec può essere una buona approssimazione), allora la semplice Relatività Generale riesce a spiegare perfettamente la rotazione della Via Lattea senza ricorrere alla componente oscura (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “On testing CDM and geometry-driven Milky Way rotation curve models with Gaia DR2” - Mariateresa Crosta et al.). Si tratta di dati riguardanti la sola Via Lattea, ma lo studio può rappresentare uno spunto per una nuova analisi più completa sebbene - ad oggi - dati così precisi non possono essere presi per galassie che non siano la nostra. Del resto, contro questa assenza di materia oscura nella Via Lattea vi è anche un altro studio del 2020 che invece, parlando di galassie presenti in ammassi galattici, sostiene una maggior concentrazione di materia oscura di quella ritenuta possibile in base ai modelli teorici: la "spia" di questa discrepanza risiede in un effetto di lensing non in linea con la quantità di materia oscura attesa, un effetto inatteso che potrebbe implicare il fatto di non tener conto di tratti essenziali - ancora sconosciuti - sul funzionamento della materia stessa. Ogni ammasso di galassie agisce da lente unica sulla radiazione proveniente da galassie di sfondo ma è anche composto da una serie numerosa di piccole lenti esercitate dalle singole galassie che lo compongono ed è proprio in queste lenti di piccola scala che i dati di Hubble evidenziano una amplificazione troppo grande (secondo i modelli) sulla radiazione degli oggetti di background (Science - “An excess of small-scale gravitational lenses observed in galaxy clusters” - Massimo Meneghetti et al.). Altra galassia che invece sembra non aver bisogno di materia oscura per spiegare la curva di rotazione è Agc 114905, una galassia nana ultradiffusa grande come la nostra ma molto più debole la cui rotazione è spiegata completamente dalla sola materia barionica, sebbene alcune incertezze nei dati vengono dall'angolo di inclinazione della galassia (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “No need for dark matter: resolved kinematics of the ultra-diffuse galaxy AGC 114905” - Pavel E. et al.)
Il movimento osservato lascia quindi presupporre come le galassie siano composte da molta più materia di quella che riusciamo a vedere sotto forma di energia osservandone la luce. La materia attualmente “visibile” dell'universo non è quindi sufficiente a spiegarne le dinamiche ed i risultati delle osservazioni empiriche sono giustificati solo ipotizzando la presenza di altra materia che non riusciamo a vedere e di natura forse diversa da quella ordinaria.
E' per questo che definiamo la materia mancante “oscura” : non siamo in grado di osservarne la radiazione ma possiamo vederne chiaramente gli effetti gravitazionali. Relativamente alle super-spirali, gli astronomi sembrano ricondurre il tutto a degli aloni di materia oscura ben superiori alla media. Il fatto che queste galassie, nonostante l'eccezionale massa , siano mediamente più povere di stelle induce anche a pensare a come la materia oscura possa inibire la formazione stellare (l'alternativa è legata alla rotazione troppo rapida).
Gli effetti della materia oscura sulla materia circostante sono inoltre riscontrabili grazie al fenomeno della lente gravitazionale : infatti, la massa di un oggetto posto tra un oggetto che emette “luce” ed il punto di osservazione flette la radiazione emessa da quest'ultimo creando un effetto ottico analogo a quello di una lente. Osservando due imponenti ammassi di galassie (Abell-2218 e Abell-1689) e valutando la dinamica della luce flessa che presentava deviazioni di luce laddove non erano presenti masse visiili si è considerato come questi fossero composti per la gran parte di materia oscura.
Proprio a partire da questi effetti gravitazionali, nel 2007 la NASA è giunta alla conclusione per la quale non solo le galassie a spirale e gli ammassi galattici sono pregni di materia oscura, ma tutto l'universo ne risulta pieno. I dati di Hubble Space Telescope e della Cosmic Evolution Survey hanno consentito anche di elaborare una mappa di distribuzione della materia oscura in base alla distanza.
A fine 2020 l'effetto gravitazionale esercitato dalla materia oscura viene utilizzato per un ulteriore meccanismo di detection, basato non sulla lente ma sulla microlente gravitazionale. Un metodo che, secondo gli scienziati, potrebbe portare a un risultato dieci volte migliore rispetto a quanto ottenuto oggi. Nel momento in cui si osservano le galassie, è noto il movimento al loro interno di ogni singola stella quindi è possibile conoscere cosa aspettarsi a ogni ripresa. Ogni deviazione dalle attese può essere legata alla presenza di materia oscura in grado di generare un effetto di microlensing. Un team di scienziati ha utilizzato il telescopio ANU, australiano, da 2.3 metri per mappare la rotazione di galassie, in attesa di risultati (Pol Gurri et al. The first shear measurements from precision weak lensing, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).
Gran parte della materia oscura risiederebbe negli aloni, ma questi aloni potrebbero avere masse notevolmente diverse tra di loro andando da una massa paragonabile a quella terrestre fino a milioni di miliardi di masse solari, ma soltanto quelli del secondo tipo possono determinare la formazione di stelle e galassie e quindi rendersi rintracciabili, sebbene una quantità enorme di materia oscura possa invece nascondersi proprio negli aloni minori. Sono molte le simulazioni che, nel tempo, si sono succedute alla ricerca di una buona descrizione di questi aloni fino al 2020 quando si è riusciti a "penetrare" la struttura degli aloni (sempre tramite computer e simulazioni) a diverse scale scoprendoli straordinariamente uguali a prescindere dalla massa. Le strutture risultano molto dense al centro diffondendosi verso l'esterno, con grumi più piccoli in orbita nelle regioni esterne. Nelle zone centrali, quindi, le particelle di materia oscura possono collidere e annichilarsi rilasciando radiazione gamma (Nature - “Universal structure of dark matter haloes over a mass range of 20 orders of magnitude” - J. Wang et al.). Una radiazione gamma di questo tipo, secondo uno studio del 2021, potrebbe essere rintracciabile addirittura nella radiazione emessa da Giove, la cui massa e il cui nucleo non caldissimo potrebbe fornire una trappola gravitazionale anche per la materia oscura, costringendola ad assembrarsi fino a creare collisioni. A tal fine sono stati studiati molti dati senza trovare tuttavia, a oggi, alcun segnale (First Analysis of Jupiter in Gamma Rays and a New Search for Dark Matter. arXiv).
Una ulteriore prova a favore della materia oscura risiede, paradossalmente, nell'assenza di materia oscura all'interno di alcune galassie come NGC 1052-Df2: se la materia oscura, infatti, fosse soltanto un effetto gravitazionale dovrebbe essere presente in tutte le galassie mentre il fatto che alcune non sembrano presentare questa esotica forma di materia va ad avallarne la concretezza nelle galassie che invece la presentano (The Astrophysical Journal Letters - A Tip of the Red Giant Branch Distance of 22.1 ± 1.2 Mpc to the Dark Matter Deficient Galaxy Ngc 1052–Df2 from 40 Orbits of Hubble Space Telescope Imaging -Zili Shen et al.).
Mappare la materia oscura non è compito semplice, ovviamente, quindi calcolarne la distribuzione è uno dei topic del momento.In genere si è sempre partiti dall'universo primordiale per poi elaborare modelli computazionali di evoluzione ma la necessità di supercalcolatori e soprattutto l'aleatorietà della situazione iniziale non ha mai portato a grandi risultati. Per questo si è giunti a un metodo differente, basato sulle osservazioni di galassie distanti al fine di verificare le anomalie osservative introdotte dalla materia oscura. Questo compito è molto complesso nell'universo attuale e decisamente più semplice per l'universo distante, visto che questo ultimo è dotato di molta meno complessità. Nel 2021, tuttavia, un nuovo algoritmo è stato applicato alla mappa di 17 mila galassie prossime alla Via Lattea (entro 200 MPc): la mappa ottenuta ha consentito di riprodurre molte strutture dell'universo locale come il "foglio locale" che contiene la Via Lattea nonché il vuoto locale. Si tratta di un ottimo risultato per la determinazione della distribuzione di materia oscura nelle zone più vicine dell'universo e proprio da qui è stato possibile dedurre la presenza di ponti e filamenti di materia oscura a collegare galassie come la nostra e quella di Andromeda (Astrophysical Journal - 2021).
Il Modello Cosmologico Standard prevede una densità di materia oscura talmente alta al centro degli ammassi di galassie da tenere ben fissa al centro degli stessi la Galassia Cluster Maggiore (BCG, Brighter Cluster Galaxy): si tratta della galassia maggiore, incastonata in una materia oscura talmente densa da non potersi muovere, nel modo più assoluto. Le osservazioni, però, sembrano non andare d'accordo con questo fattore: le osservazioni del EPFL Laboratory of Astrophysics in Francia hanno infatti mostrato dei movimenti della BCG al centro di ammassi galattici e lo stesso risultato è stato osservato tramite lenti gravitazionali. Anziché una densa regione centrale di materia oscura, quindi, sembra di trovarsi in una zona meno densa del previsto a evidenziare come la materia oscura, se esiste, è ancora più esotica di quanto ipotizzato fino al momento della scoperta (Ottobre 2017, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society). Come dichiarato da Bruce H. Margon, astronomo all'Università di Washington, in occasione di un intervista al New York Times nel 2001: “E' una situazione alquanto imbarazzante dover ammettere che non riusciamo a trovare il 90% [della materia] dell'Universo”. Allo stesso modo, una derivazione teorica importante è quella della SIDM (Self-interacting Dark Matter), per la quale la distribuzione di materia oscura al centro delle galassie è meno densa a causa dell'auto-dispersione della Dark Matter. La dispersione tuttavia potrebbe essere dovuta anche alle esplosioni di supernova e per test sono state osservate delle galassie nane ultradeboli, dove di supernovae se ne vedono poche: i risultati dicono che in queste situazioni la densità di materia oscura al centro della galassia è alta, il che assegna il ruolo maggiore proprio alle supernovae (Kohei Hayashi et al, Probing dark matter self-interaction with ultrafaint dwarf galaxies, Physical Review D - 2021).
Un metodo per tentare l'osservazione globale di tutta la materia oscura potrebbe consistere nello studio della lente gravitazionale applicato alla Radiazione Cosmica di Fondo : ottenendo una mappa delle distorsioni su una radiazione che permea tutto l'universo dovrebbe infatti essere possibile ottenere una distribuzione di masse globale, comprensiva della materia oscura. Il problema è separare il segnale interessante dalla radiazione che non serve allo scopo, in particolare quella legata alla polvere cosmica. Le galassie e la polvere, tuttavia, producono una lente mediamente simmetrica quindi occorre prendere in esame soltanto le lenti che producono shearing (distorsione asimmetrica) (Physical Review Letters - “Foreground-Immune Cosmic Microwave Background Lensing with Shear-Only Reconstruction”, di Emmanuel Schaan et al).
Ultimo aggiornamento del: 08/12/2021 20:11:51
Di cosa è fatta la materia oscura
Risultando totalmente invisibile, la materia oscura potrebbe ad oggi comporsi di qualsiasi tipologia di materia, nota o sconosciuta. Le idee sono diverse ma fino a oggi nessun esperimento ha portato a risultati di alcun tipo.
Le tipologie di materia oscura prevalenti si basano su due discriminanti principali quali tipologia di materia e temperatura della stessa.
In base alla prima distinzione si distingue tra una materia oscura barionica, cioè composta da corpi celesti noti ma troppo deboli per essere osservati, e una materia esotica con caratteristiche del tutto sconosciute.
In base alla temperatura si distingue tra materia oscura calda (Hot Dark Matter - HDM) e materia oscura fredda (Cold Dark Matter - CDM), con riferimento alla velocità delle particelle che la compongono. Il Modello Standard deve il nome "Modello Lambda-Cold Dark Matter" alla preferenza verso questo ultimo tipo di materia oscura, barionica o esotica che sia. Nonostante questa dominanza, gli scienziati si domandano se oltre alla gravità siano davvero da escludere altre forme di interazione, seppur debolissime. Un assist alla materia oscura fredda arriva dalla tendenza della stessa a addensarsi in grumi più piccoli del previsto: questo nuovo input verrebbe dalle osservazioni di Hubble Space Telescope, mirate alla luce di quasar distanti e a effetti di lente gravitazionale in grado di influenzarne la radiazione . La materia oscura sarebbe quindi addirittura più fredda di quanto teorizzato fino alle nuove lenti gravitazionali: i grumi osservati hanno dimensioni da 1/10.000 a 1/100.000 di volte la massa dell'alone della materia oscura della Via Lattea (Daniel Gilman, et al. Warm dark matter chills out: constraints on the halo mass function and the free-streaming length of dark matter with 8 quadruple-image strong gravitational lenses). E' possibile fissare un limite di temperatura per la materia oscura, e quindi un limite di massa visto che una massa maggiore corrisponde a una temperatura inferiore? Ci ha provato un team di scienziati basandosi sull'effetto di lente gravitazionale sulla luce di sette quasar distanti. Se le particelle sono leggere e calde, e quindi più veloci, allora la lente non supererà determinate dimensioni. I risultati ottenuti impongono un limite inferiore alla massa della materia oscura, un limite che non esclude la materia oscura fredda (J-W Hsueh et al, SHARP – VII. New constraints on the dark matter free-streaming properties and substructure abundance from gravitationally lensed quasars, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2019). Ancora a favore della materia oscura fredda, secondo simulazioni numeriche accuratissime sarebbero ancora un centinaio le galassie satellite della Via Lattea ancora da scoprire con i futuri telescopi: soltanto particelle grandi e lente potrebbero dar vita a un numero così alto di galassie (A. Drlica-Wagner et al. Milky Way Satellite Census. I. The Observational Selection Function for Milky Way Satellites in DES Y3 and Pan-STARRS DR1, The Astrophysical Journal - 2020).
Materia oscura barionica
Una prima ipotesi vede la materia oscura composta da gas non luminosi, buchi neri, stelle di neutroni, nane bianche ed oggetti non luminosi come pianeti gioviani, nane rosse molto deboli e nane brune (definiti con l'acronimo MACHO – Massive Compact Halo Objects). I barioni, tuttavia, rappresentano soltanto il 5% dell'universo quindi non è possibile spiegare la struttura dell'attuale universo se tutta la materia oscura consiste di MACHOs.
L'equilibrio chimico dell'universo smentisce però in parte questa tesi. Sappiamo che la struttura chimica dell'universo, quindi la proporzione degli elementi che lo compongono, si è stabilizzata circa tre minuti dopo il Big Bang . L'attuale abbondanza di deuterio è coerente con la massa visibile, quindi la quantità di materia oscura barionica è molto più piccola della quantità complessiva della materia oscura “necessaria” all'equilibrio gravitazionale osservato.
Il problema dei barioni mancanti
Per essere precisi, fino al 2018 neanche tutta la materia barionica prevista dal Modello Standard era stata trovata e anche oggi non ci si azzarda a sostenere che tutta la materia barionica possa essere ricondotta a una locazione precisa dello spazio. Nel 2018, tuttavia, attraverso l'osservazione insistita di un quasar distante da parte di XMM-Newton è stato possibile rivelare la presenza di materia barionica che, secondo i calcoli, dovrebbe esistere e che finora era segnata come "mancante". I barioni mancanti all'appello sono circa il 40% di quelli che i modelli ci indicano come esistenti e sempre secondo i modelli dovrebbero essere ammassati nei filamenti di gas che raccordano le galassie tra di loro. Il quasar osservato tra il 2015 e il 2017 per un totale di tre settimane si chiama 1ES 1553+113 e ha rivelato, dato il lungo tempo di esposizione, righe spettrali debolissime finora mai osservate e rincoducibili a barioni presenti nel mezzo intergalattico caldissimo. Quantità e posizione coincidono con le predizioni, quindi uno dei misteri della cosmologia sembra parzialmente risolto, ma non riguarda la materia oscura bensì la materia barionica ancora non vista ma prodotta, secondo i modelli. Su questa scia esistono le osservazioni di Chandra X-ray Observatory di inizio 2019, in grado di rinvenire le firme spettrali di ben diciassette ammassi gassosi fino ad allora mai scoperti lungo la linea di vista di un quasar distante 3.5 miliardi di anni luce, a ricreare proprio la mappa prevista dei filamenti di gas caldissimo (WHIM - Worm-Hot Intergalactic Medium) nonché le osservazioni di ASKAP relativamente alla diffusione dei Fast Radio Burst (vedi articolo su AstronomiAmo). E' proprio nel WHIM che quindi si ricerca tutta la materia finora ritenuta mancante, una materia che non emette né assorbe luce e quindi invisibile ai normali telescopi.
Un altro studio ha riguardato, in tal senso, il protoammasso galattico SSA22, distante ben 12 miliardi di anni e all'interno del quale sono state rintracciate sedici galassie estremamente luminose e otto sorgenti di raggi X , a testimonianza di una densità fuori dalla media per un'epoca così remota. Proprio sfruttando la luce di queste galassie e di queste sorgenti è stato possibile spostare ancora più indietro l'origine della radiazione da studiare, rivelando ulteriori filamenti. Il difetto, ancora oggi, risiede del fatto che gli osservatori presenti mappano un gas molto più caldo rispetto alla media del WHIM, quindi risultati più abbondanti saranno forniti dal futuro osservatorio X Athena (The Conversation 124616).
Buchi neri primordiali
Una teoria vede la materia oscura formata da buchi neri non stellari e primordiali (PBH - Primordial Black Holes), originarsi poche frazioni di secondo dopo il Big Bang e secondo alcuni cosmologi tra i principali candidati. Si tratta di oggetti ipotetici, con masse tra un granello minuscolo a centomila volte il nostro Sole, previsti da Stephen Hawking nel 1971 ma l'osservazione - a oggi - non ha portato risultati. Simulazioni ai supercomputer cercano di fissare i paletti per isolarne le proprietà riscontrabili: ad esempio PBH superiori alle 50 masse solari potrebbero avere una certa interazione con la foresta Lyman-alpha (Physical Review Letters - ”Lyman-α Forest Constraints on Primordial Black Holes as Dark Matter” - Riccardo Murgiaet al.). In realtà uno studio di inizio 2020 del Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe esclude la possibilità di una materia oscura di questo tipo: è stata portata avanti una ricerca tra la Via Lattea e la Galassia di Andromeda basata sulla lente gravitazionale. Centonovanta immagini della Galassia di Andromeda ottenute dalla Hyper Suprime-Cam sul Subaru Telescope hanno portato a una sola delle microlenti gravitazionali attese dai buchi neri primordiali, un valore troppo piccolo per giustificare la materia oscura nel suo insieme.
Nonostante osservazioni contrarie alle attese, tuttavia, i buchi neri primordiali continuano a essere presi in considerazione come possibile materia oscura, senza dover ricorrere a nuova fisica o particelle ancora più esotiche. Secondo questa teoria, l'universo dovrebbe essere pieno di buchi neri di dimensioni ridottissime che, nel corso dei miliardi di anni, sono sfuggiti alle fusioni in grado di renderli supermassivi e le stelle potrebbero aver visto la loro prima formazione proprio intorno a questi grumi di materia oscura fino alle strutture che vediamo oggi. In tal caso, tuttavia, le stelle si sarebbero formate nell'universo ben prima di quanto non indichi il Modello Standard (arXiv - “Exploring the high-redshift PBH-ΛCDM Universe: early black hole seeding, the first stars and cosmic radiation backgrounds“ - Nico Cappelluti et al.)
Neutrini e altre particelle di Warm Dark Matter
Il neutrino è una particella elementare prodotta dalle reazioni termonucleari che avvengono all'interno delle stelle, dalle esplosioni di supernova oppure come residuo del Big Bang (neutrini fossili). I neutrini hanno carica elettrica neutra e fino a poco tempo fa si pensava che fossero privi di massa. La scoperta della massa del neutrino però non ha svelato la natura della materia mancante: anche ipotizzando di considerarla nella misura maggiore stimata essa non è ancora sufficiente a spiegare la quantità di materia oscura “necessaria”. Data la velocità, i neutrini rappresenterebbero la materia oscura calda, così come altre particelle - puramente teoriche - che potrebbero interagire proprio con i neutrini (Sownak Bose et al. ETHOS – "an Effective Theory of Structure Formation: detecting dark matter interactions through the Lyman-α forest", Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (2019)). Si tratta di pura teoria che tuttavia ha trovato modo di essere valutata in simulazioni di laboratorio: in molte osservazioni simulate, gli effetti di questa teorica interazione tra particelle di materia oscura e neutrini sono risultati del tutto infinitesimi tanto da non poter essere evidenti. La firma di queste interazioni, tuttavia, starebbe nella distribuzione delle galassie distanti nello spazio con particolare riguardo al gas di idrogeno.
Weakly Interacting Massive Particles (WIMPs)
WIMPs è l'acronimo di Weakly Interacting Massive Particles: particelle ipotetiche, mai osservate, che interagiscono con la materia solo tramite la forza di gravità e la forza nucleare debole. La loro natura ipotetica le rende, a tutt'oggi, il candidato più ricercato tra tutte le possibili soluzioni di materia oscura. Trattandosi di elementi teorici "lenti", le WIMPs rappresentano proprio la materia oscura calda. Facenti parte del Modello Standard, queste particelle dovrebbero avere la propria origine fin dal primo universo, con un cosmo estremamente caldo. Gli interferometri come LIGO e Virgo che hanno consentito la cattura delle onde gravitazionali potrebbero entrare in gioco anche per la detection di WIMPs, secondo uno studio del 2019: si tratterebbe di una detection diretta, un metodo già proposto in passato ma mai testato. Il moto all'interno di un detector di onde gravitazionali potrebbe diventare eccitato a causa di una collisione: i moti sono stati analizzati e stimati come effettivamente alla portata di LIGO e Virgo. Occorre ora un metodo per poter estrarre i segnali di materia oscura da quanto captato (Satoshi Tsuchida, et al. Dark Matter Signals on a Laser Interferometer. arxiv.org/abs/1909.00654).
Alla ricerca di WIMPs è l'esperimento del Lawrence Berkeley National Laboratory chiamato Lux-Zeplin, un criostato di oltre due tonnellate posto in una ex miniera al Sanford Underground Research Facility. Si trova in fase di rifinitura, al termine della quale verrà riempito di 10 tonnellate di xenon liquido ultra-puro per la messa in funzione dal Luglio 2020. Ci si aspetta una interazione di WIMPs con gli atomi pesanti di xenon, interazione che dovrebbe portare a un bagliore nel visibile.
Fotoni e fotoni oscuri
Dati i buchi nell'acqua legati alle WIMPs, una teoria di scienziari russi sostiene la possibilità per la quale i fotoni stessi potrebbero rappresentare la "materia oscura" ricercata. La teoria si basa sul fatto che i fotoni, sebbene siano indicati come particelle prive di massa, abbiano in realtà una massa positiva il cui limite superiore è pari a 10-31 grammi. Anche se il valore è decisamente infinitesimo, la somma di tutte le masse dei fotoni presenti nell'universo potrebbe essere sufficiente a colmare il vuoto che in genere richiede l'impiego della materia oscura. Si tratta di una forma di materia oscura che in ogni caso potrebbe affiancarsi ad altre (link all'articolo).
Si tratta di una forma di materia oscura "leggera", una particella simile al fotone ma con massa superiore allo zero che - stando a recenti studi - potrebbe risultare da un accelerometro optomeccanico semplice in grado di amplificare minime vibrazioni indotte dai fotoni oscuri stessi sulla materia ordinaria (Physical Review Letters - “Searching for Vector Dark Matter with an Optomechanical Accelerometer” - Jack Manley et al)
Monopoli magnetici oscuri
Nel mondo che siamo soliti osservare, i magneti hanno un polo nord e un polo sud. I monopoli si differenziano per avere un solo polo e sono stati teorizzati senza mai essere stati osservati in laboratorio. I monopoli oscuri, se esistenti, potrebbero interagire con fotoni oscuri e elettroni oscuri e se così fosse ci sarebbe anche l'opportunità, teorica, di osservarne gli effetti tramite cambiamenti di fase nella funzione d'onda di un elettrone prossimo al monopolo (effetto Aharonov-Bohm). Questo modello di materia oscura è stato avanzato durante Planck 2019, 22° International Conference tenutasi dal 3 al 7 giugno a Granada, ma per poter osservare effetti previsti occorre una risoluzione migliore di quella, già miracolosa, di LIGO.
Assioni
Teorizzati per spiegare apparenti violazioni alla simmetria di base, gli assioni sono particelle esotichee, un miliardo di volte più leggere del protone, nonché ipotetiche e indicate come possibile "materia oscura" anche se - come per il resto - non se ne vede traccia. Nessuna traccia è risultata anche nell'esperimento di fine 2017 portato avanti dal CfA: per la teoria, in presenza di campo magnetico , gli assioni interagiscono con i fotoni dando vita a oscillazioni che portano a trasmutazioni tra fotoni e assioni stessi. Proprio per questo motivo è stata puntata la galassia M87 con Chandra X-Ray Observatory, al fine di osservare variazioni nei flussi X visto che le oscillazioni dovrebbero essere maggiori in presenza di maggiori energie nei fotoni. Nulla, come detto, è risultato ma anche questo può essere un buon risultato visto che si fissano paletti ancora più stringenti alle condizioni alle quali gli assioni (se esistono) devono sottostare per dar vita alle oscillazioni teorizzate.
Come detto, non è certo (anzi) che gli assioni possano esistere: sono stati inventati esclusivamente per spiegare uno degli enigmi della fisica delle alte energie e cioè un certo tipo di simmetria naturale che elimina le cariche elettriche in una interazione casuale (simmetria di carica e parità, CP). Questa simmetria vale ovunque, o quasi: fa eccezione, ad esempio, la forza nucleare debole la quale la viola spesso. L'enigma sta nel fatto che anche la forza nucleare forte dovrebbe portare a violazioni eppure non esiste segno di forzatura e regna la simmetria. Qualcosa, quindi, deve ripristinare la simmetria che dovrebbe essere invece rotta. Questo qualcosa è individuato negli assioni, particelle che quindi preservano la CP ma che si muovono in un range di masse e proprietà ancora del tutto vago. Proprio questa vaghezza fa sì che molte proprietà assegnate agli assioni siano simili a quelle assegnate alla materia oscura. Il nome "assione" fu ispirato da un detersivo per i piatti chiamato Axion perché le particelle hanno il compito di “pulire” il problema della violazione della simmetria CP. Gli assioni, così, possono spiegare le curve di rotazione delle galassie e possono adattarsi al fondo cosmico di microonde. Possono formare qualcosa di simile a un buco nero supermassivo, qualcosa di non eliminato neanche dalla prima immagine dell'Event Horizon Telescope. L'immagine del buco nero di M 87 non elimina la possibilità che il buco nero sia in realtà nuclei di assioni nascosti nel centro galattico e se così fosse vorrebbe dire che i nuclei di assioni si sono evoluti insieme alla galassia ospite. Maggiore è la dimensione della galassia e più sarebbe grande il nucleo dell'assione, e questo può fissare una relazione tra oggetto oscuro centrale e galassia stessa, e quindi proprietà degli assioni. Si tratta di giochi matematici, per lo più.
Dal 2009 si sta tentando di osservare in via diretta l'interazione tra materia oscura e nuclei di xeno posti in profondità: eventuali collisioni genererebbero, come su un tavolo da biliardo, uno spostamento dell'atomo dipendentemente da massa e velocità della particella oscura. Ad oggi nulla è mai stato osservato, il che può dipendere dall'inesistenza della materia oscura o da parametri troppo bassi di massa e velocità, non in grado di muovere l'atomo conosciuto. Per capire quale delle soluzioni sia valida sarebbe fondamentale riuscire a comprendere la velocità della materia oscura e questo potrebbe essere un parametro rintracciabile nella nostra Via Lattea . Partendo dal presupposto per il quale la materia oscura dovrebbe essere coeva delle stelle più antiche della Via Lattea e che le due componenti dovrebbero essere nate insieme, si può ipotizzare come anche il movimento possa essere solidale quindi occorrerebbe andare a verificare l'esistenza di un set di stelle antiche, riconoscibili dalla scarsità di metalli, con movimenti in linea con i movimenti (dedotti) della materia oscura. La velocità di queste stelle dovrebbe essere la stessa velocità della materia oscura. Allo stato attuale il set di stelle non è ancora stato isolato, ma la survey di Gaia sarà sicuramente utile anche in tal senso.
Proprio alla caccia di assioni è il centro di ricerca tedesco Desy con la collaborazione internazionale Any Light Particle Search (ALPS II), con 24 magneti superconduttori previsti per il 2021: una sensibilità mille volte superiore rispetto alla prima versione, in funzione dal 2007 al 2010, si compone di due serie di 12 magneti ciascuna con una cavità ottica di 120 metri. In questa cavità, un sistema laser produce luce la quale, secondo la teoria, dovrebbe essere parzialmente convertita in particelle di materia oscura con l'amplificazione del campo magnetico. Le serie sono separate da un muro in grado di bloccare la luce ma non gli assioni, che verrebbero riconvertiti in luce e rilevati.
Si tratta, nonostante la mancanza di riscontri, di una pista sempre calda e che si presta molto a variazioni di parametri. Così, a marzo 2020, un articolo dal titolo Axiogenesis ha presentato degli argomenti a favore degli assioni della cromodinamica quantistica, la cui rotazione potrebbe spiegare l'asimmetria materia-antimateria osservata nell'universo. In realtà, come accennato, si tratta di una particella molto versatile che quindi si "adatta" al risultato che si vuole ottenere fornendo gli strumenti per raggiungerli ma gli ultimi studi sembrano aumentare le possibilità di questa particella di interagire con la materia, il che la renderebbe maggiormente "testabile" in laboratorio. Lo studio è proseguito e soltanto cinque mesi dopo gli stessi autori hanno proposto uno scenario di disallineamento cinetico in grado di rafforzare il ruolo degli assioni a candidati per la materia oscura semplicemente assegnando una velocità iniziale diversa da zero al campo di queste particelle (anziché prevedere, come sempre fatto, un campo statico). In questo modo, il disallineamento cinetico sarebbe in grado di produrre un maggior numero di assioni nell'universo primordiale e la rottura della simmetria dello spostamento degli assioni andrebbe a modificare di parecchio il calcolo dell'abbondanza della materia oscura costituita da queste particelle, giocando a favore di una maggiore interazione con la materia ordinaria (Physical Review Letters - “Case for Axion Origin of Dark Matter Gains Traction” - Raymond T. Co et al.).
Secondo alcuni, la ricerca di WIMPs volge al termine senza alcun risultato e così si cercano altri modi per tentare di osservare la materia oscura e uno in particolare si basa soprattutto sul fatto che questa materia si esprime soltanto con l'interazione gravitazionale. La proposta si basa quindi esclusivamente sull'accoppiamento gravitazionale, l'unico che sappiamo per certo esistere tra materia oscura e materia luminosa ordinaria". Il metodo elaborato può cercare particelle di materia oscura con una [V]massa minima[/V] circa la metà di quella di un granello di sale, o circa un miliardo di miliardi di volte la massa di un protone, con l'unica incognita data dalla massa della particella di materia oscura. Riuscendo nell'esperimento, si potrebbe trovare la materia oscura oppure escludere tutti i candidati su una vasta gamma di possibili masse, da circa 1/5.000 di milligrammo a pochi milligrammi, una scala che copre la cosiddetta massa di Planck, una quantità di massa determinata unicamente da tre costanti fondamentali della natura ed equivalente a circa 1/5.000 di grammo.
Ci sono due due schemi per l'esperimento gravitazionale sulla materia oscura ed entrambi coinvolgono minuscoli dispositivi meccanici di dimensioni millimetriche che agiscono come rivelatori gravitazionali squisitamente sensibili. I sensori sarebbero raffreddati a temperature appena superiori allo zero assoluto per ridurre al minimo il rumore elettrico correlato al calore e schermati dai raggi cosmici e da altre fonti di radioattività. In uno scenario, una miriade di pendoli altamente sensibili si devieranno leggermente in risposta allo strattone di una particella di materia oscura che passa. Dispositivi simili (con dimensioni molto più grandi) sono già stati impiegati nel recente rilevamento, vincitore del premio Nobel, di onde gravitazionali, increspature nel tessuto dello spazio-tempo previsto dalla teoria della gravità di Einstein. Specchi attentamente sospesi, che agiscono come pendoli, si muovono meno della lunghezza di un atomo in risposta al passaggio di un'onda gravitazionale.
In un'altra strategia, i ricercatori propongono di utilizzare sfere levitate da un campo magnetico o sfere levitate dalla luce laser. In questo schema, la levitazione viene disattivata all'inizio dell'esperimento, in modo che le sfere o le perle siano in caduta libera. La gravità di una particella di materia oscura che passa disturberebbe leggermente il percorso degli oggetti in caduta libera.
Per fare questo dovrebbe essere necessario un array di circa un miliardo di minuscoli sensori meccanici distribuiti su un metro cubo per differenziare una vera particella di materia oscura da una normale particella o da segnali elettrici casuali spuri o "rumore". Le particelle subatomiche ordinarie come i neutroni (che interagiscono attraverso una forza non gravitazionale) si fermerebbero in un unico rivelatore. Al contrario, gli scienziati si aspettano che una particella di materia oscura, che sfreccia oltre la matrice come un asteroide in miniatura, faccia oscillare gravitazionalmente ogni rivelatore sul suo percorso, uno dopo l'altro. Il rumore farebbe muovere i singoli rivelatori in modo casuale e indipendente piuttosto che in sequenza, come farebbe una particella di materia oscura. Come bonus, il movimento coordinato dei miliardi di rivelatori rivelerebbe la direzione in cui era diretta la particella di materia oscura mentre sfrecciava attraverso la matrice (Daniel Carney et al, Gravitational Direct Detection of Dark Matter. Physical Review D. Published online Oct. 13, 2020).
Supersimmetria come fonte di materia oscura?
Uno sforzo per unificare la gravità alle altre tre forze dell'universo viene dalla supersimmetria, teoria che assegna a ogni particella fondamentale un partner supermassiccio: all'elettrone corrisponderebbe il selettrone, al quark lo squark, al gluone il gluino e al gravitone il gravitino. Innanzitutto c'è da dire che a oggi il gravitone non solo non è mai stato rinvenuto, ma non si sa neanche in quale range di energia può essere cercato. Fatto sta che uno studio del 2019 ipotizza la presenza di un gravitino supermassiccio come possibile origine della materia oscura, in grado di interagire fortemente ed elettromagneticamente con la materia ordinaria. La novità sta quindi nell'ipotizzare un gravitino pesante, contrariamente a quello leggero finora proposto. La massa sarebbe nell'ordine della massa di Planck (un centomilionesimo di chilogrammo), quindi dieci miliardi di miliardi di volte più massiccio del protone. Per non alterare l'equilibrio gravitazionale osservato, questo supergravitino dovrebbe essere diluito nell'universo in misura di appena uno su diecimila chilometri cubi. Come si potrebbe rilevare una cosa simile? Particelle così massicce sarebbero sicuramente molto più lente della luce ma nonostante questo la Terra, in tutta la sua storia, dovrebbe aver ricevuto la visita del passaggio di qualche gravitino. Al passaggio dovrebbero legarsi difetti reticolari nelle strutture cristalline, stabili per milioni di anni (Physical Review Letters - “Planck mass charged gravitino dark matter” - Krzysztof A. Meissner e Hermann Nicolai).
Una origine pre-Big Bang
Come visto, a oggi non sono mai state trovate evidenze empiriche di alcuna forma di materia oscura tra quelle battute dagli scienziati. Un modo per evitare di dover andare a rintracciare altri tipi di interazione, oltre a quello gravitazionale, è "ammettere" come la materia oscura possa essere più antica del Big Bang: in tal caso non si presenterebbe come particella da scoprire ma potrebbe essere scovata tramite l'effetto giocato nella distribuzione nel cielo delle galassie. L'inflazione cosmica, la rapida espansione dell'universo giovanissimo, dovrebbe aver provocato una copiosa formazione di alcune tipologie di particelle chiamate scalari (una tra queste è data dal Bosone di Higgs, l'unica a oggi a essere stata scoperta). Un modo per testare questa "pre-esistenza" al Big Bang potrebbe arrivare dai futuri osservatori come Euclid, il cui lancio è previsto per il 2022 ("Dark Matter from Scalar Field Fluctuations", Physical Review Letters - 2019). Euclid si posizionerà a 1.5 milioni di chilometri dalla Terra e mapperà un terzo del cielo cercando risposte alle domande poste dalla materia oscura osservando le distorsioni gravitazionali sugli oggetti distanti impresse proprio dalla materia invisibile.
Ultimo aggiornamento del: 19/12/2021 10:25:03
Una riga a 3.5 keV e l'illusione (smentita) della materia oscura
Diverse galassie hanno evidenziato una riga particolare di assorbimento ad alta energia difficilmente spiegabile con processi noti. Una riga che poteva derivare da un comportamento previsto della materia oscura ma che è stata poi ridimensionata
Nel 2014 la rielaborazione di dati di archivio di Chandra X-ray Observatory e XMM-Newton ha evidenziato uno spike di intensità ad una ben specifica energia (3.5 keV) nei dati di Chandra e XMM-Newton, energia proveniente da gas caldo nell'ammasso galattico del Perseo. Si tratta di un picco impossibile da spiegare stando alle conoscenze attuali dell'oggetto astronomico, e per questo motivo già da allora venne chiamata in causa la materia oscura. Stessa eccedenza a 3.5 keV si è avuta in altri 73 ammassi galattici, secondo i dati di XMM-Newton.
Ancora 3.5 keV sono stati registrati nella galassia M31 da un team di lavoro diverso dal team dei primi risultati, a conferma dell'anomalia riscontrata. Nel 2016 l'osservatorio giapponese Hitomi fallì nel tentativo di osservare l'emissione nell'ammasso del Perseo ma questo, anziché bloccare il ramo di ricerca, lo ha intensificato. I risultati di Hitomi provengono da immagini molto più confuse di quelle di Chandra quindi i dati sono in realtà ciò che risulta da un mix di raggi X provenienti da due fonti e non da una sola: gas caldo diffuso e raggi X dal buco nero supermassiccio centrale. Il segnale è stato così compreso, isolato e normalizzato. Rielaborando i dati di Chandra del 2009, però, è stato osservato qualcosa di sorprendente: non un picco a 3.5 keV ma addirittura una lacuna, come se qualcosa nell'ammasso stesse assorbendo energia a quella ben precisa frequenza. Come spiegare un simile comportamento? Assorbimento di raggi X osservando il buco nero e emissione alla stessa energia osservando il gas caldo, per un totale che va in pareggio e spiega alla perfezione il "nulla di fatto" ottenuto da Hitomi.
Una possibile spiegazione porta alla materia oscura: le particelle oscure potrebbero avere due stati energetici separati a 3.5 keV. Se questo fosse vero, allora potrebbe essere possibile osservare un assorbimento a 3.5 keV in angoli prossimi al buco nero e una riga di emissione a più largo campo.
Sulla base della riga di emissione nello spettro X (3.5 keV) osservata nel 2014 provenire da diversi oggetti distanti e potenzialmente legata a decadimento di particelle di materia oscura, un team della Mainz University ha ipotizzato uno scenario dato dallo scontro e dalla conseguente annichilazione tra due particelle di materia oscura. Le particelle sarebbero fermioni con massa di pochi keV (neutrini sterili), ma una materia oscura così leggera faticherebbe a spiegare la formazione di oggetti enormi come le galassie, che secondo i modelli "tradizionali" di materia oscura nascono proprio in aloni di questa sfuggente materia. La via d'uscita esiste e consiste nella scomposizione dell'annichilazione in due fasi, passando attraverso uno stato intermedio che darà vita, in seguito, all'emissione X osservata nel 2014.
La stessa riga è stata osservata anche da una sorgente galattica, il che - se confermato - potrebbe aiutare molto nella comprensione della materia oscura e del suo processo di decadimento. Secondo il modello Lambda Cold Dark Matter, ciascuna galassia è nata all'interno di un alone di materia oscura, grande per le galassie più grandi e ridotto per quelle nane. Sempre secondo questo modello, le galassie nane si dispongono intorno alle galassie maggiori in modo del tutto randomico e con moti altrettanto casuali. Soltanto in una occasione su mille, statisticamente, le galassie agiscono come satelliti ordinati sul piano galattico ma questa volta su mille sembra essere stata osservata su Centaurus A. Una su mille oppure crisi del modello Lambda Cold Dark Matter? In realtà i problemi nascono dal fatto che simili comportamenti sono stati evidenziati anche nei pressi della Via Lattea e di Andromeda, quindi siamo già a tre tra le galassie per le quali si hanno più informazioni, un campione che diventa molto elevato e che necessita di un approfondimento al fine di rivedere i modelli o, peggio ancora, le basi del Modello Standard.
Con il proseguire degli studi si giunge al 2020 quando le università di Michigan, Berkeley e California arrivano a escludere ogni legame con la materia oscura a partire dal presupposto che nulla garantisce che questa materia sia effettivamente composta di neutrini sterili. Ciò non significa che possa esserlo, ma non ci sono prove osservative né sperimentali. Le galassie che hanno evidenziato la riga a 3.5 keV sono caratterizzate da segnali di fondo estesi, i quali creano un rumore dal quale è difficile estrarre segnali specifici. Le osservazioni alla base del nuovo studio si sono concentrate su stelle singole della Via Lattea , mascherando gli oggetti senza toccare l'ambiente di fondo. Proprio in questo ambiente sono stati poi cercati i segni del decadimento della materia oscura ma la combinazione di venti anni di osservazione non hanno portato a risultati (Science - “The dark matter interpretation of the 3.5-keV line is inconsistent with blank-sky observations” - Christopher Dessert et al.). Se la materia oscura fosse composta di neutrini sterili, allora quando queste particelle decadono occasionalmente potrebbe verificarsi una emissione a raggi X osservabile, ma finora nulla è stato rintracciato (Dominic Sicilian et al. Probing the Milky Way's Dark Matter Halo for the 3.5 keV Line, The Astrophysical Journal - 2020).
Ultimo aggiornamento del: 08/02/2021 19:10:51