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Il principio cosmologico e l'espansione dell'universo

La cosmologia non può non partire da alcuni assunti logici e dalle osservazioni di base ad oggi disponibili: il principio cosmologico, o copernicano esteso, il principio di omogeneità e isotropia e l'espansione dell'universo sono i principi cardine di ogni teoria cosmologica che vuol diventare valida e generale.

I principi di base della cosmologia

Ogni modello di origine ed evoluzione dell'universo deve tener conto di alcuni fattori logici o osservativi essenziali. Tra questi, il principio cosmologico e l'espansione dell'universo stesso assumono un ruolo di mattone essenziale.

La cosmologia ha il compito di rispondere a domande grandi quanto l'universo senza sapere quanto l'universo stesso sia grande e per fare questo occorre partire da degli assunti e poi seguire con le osservazioni. 

Gli assunti principali sui quali sarà necessario fare affidamento riguardano omogeneità e isotropia dell'universo. 

Per il principio di omogeneità, o uniformità, dell'universo, questo si presenta uguale a sé stesso ovunque lo si guardi dal nostro punto di osservazione. Per il principio di isotropia, invece, l'universo appare omogeneo da qualsiasi punto lo si vada a osservare. 

Le osservazioni, invece, ci dicono che l'universo è attualmente in espansione e questo deriva da concetti come redshift e distanze, come vedremo a breve. 

Il 2019 ha visto assegnare il Premio Nobel per la Fisica, oltre che a Michel Mauor e Didier Queloz per la scoperta di 51 Pegasi b, al cosmologo James Peebles, ottantaquattrenne al momento della premiazione. Un riconoscimento a tutta una vita dedicata allo studio cosmologico, con un apporto in grado di rendere una materia del tutto teorica qualcosa di misurabile anche in via sperimentale. Una serie di intuizioni che hanno reso possibile tutto quel che andremo a vedere nel corso di questa area, dalla radiazione cosmica di fondo alla struttura a larga scala dell'universo.

I premi Nobel per la Fisica nel 2019

Ultimo aggiornamento del: 08/10/2019 19:43:53

Il principio di omogeneità e isotropia

Secondo il Principio Copernicano esteso, ogni bit dell'universo è uguale agli altri: il nostro luogo non è speciale, il nostro tempo non è speciale ma vedremo come "questo luogo e questo tempo", presi insieme, possano essere speciali in qualche modo. Nella storia l'uomo ha sempre creduto di occupare un ruolo centrale nell'universo conosciuto ma man mano che le scoperte si sono susseguite questo luogo è diventato sempre meno speciale. Così, se prima la Terra era il centro dell'Universo, poi lo è diventato il Sistema Solare . Poi la Via Lattea . Poi neanche più questa.

Eppure se ci guardiamo intorno possiamo pensare che tutta questa omogeneità, tale da renderci "medi" e non speciali, non esista: il cielo ci appare diverso, la Via Lattea solca la sfera celeste in una direzione e non è uniforme quindi ci sono zone essenzialmente diverse dalle altre. A scala maggiore, le stelle appaiono raggruppate in galassie e le galassie in ammassi di galassie e queste strutture non sono disposte uniformemente nel cielo, quindi neanche a questa scala possiamo parlare di un universo omogeneo. Per i superammassi può essere fatto lo stesso discorso: grandi masse lasciano il posto a enormi vuoti con diverse distribuzioni di massa quindi anche a questa scala l'universo ci appare disomogeneo.

In un lavoro del 1994, Peacock e Dodds indagano sulle densità relative nell'universo vicino ricavando un grafico in grado di indicare come per regioni più estese di 100 MPc l'universo possa risultare omogeneo entro qualche punto percentuale, mentre una delle mappe più grandi che gli scienziati hanno mai avuto è la 2dF Quasar Redshift Survey, ottenuta misurando la distanza di circa duecentomila galassie attive: ciascun punto blu-viola è una galassia ed è possibile osservare un pattern abbastanza miscelato.

La mappa elaborata dalla 2dF Quasar Redshift Survey
La mappa elaborata dalla 2dF Quasar Redshift Survey

I superammassi non si aggregano in iperammassi o sinonimi e a questa scala, pari a circa 1.5 miliardi di anni luce, l'universo inizia ad apparire omogeneo. Ci sono raggruppamenti che possono raggiungere i cento milioni di anni luce di dimensione ma ce ne sono tantissimi e tutti uguali, non allineati a formare strutture maggiori. Se prendiamo una survey di quasar possiamo arrivare anche più distanti, fino a più di 10 miliardi di anni luce di distanza, ed accorgerci di come il pattern appaia veramente totalmente uniforme, una sorta di rete cosmica, una spugna. Il fatto che la rete vada a divenire più debole verso i bordi è legato al fatto che si tratta di oggetti distantissimi che non riusciamo a vedere con gli attuali strumenti. 

La cosa particolare è legata, invece, al fatto che dove ci troviamo noi sembrano essere assenti i quasar: tantissimi quasar a 12 o 13 miliardi di anni luce, ovunque, uniformi, ma totale assenza nel nostro universo locale, come a voler dire che qualcosa di speciale il nostro posto lo stia sperimentando. I quasar ci evitano, oppure - più probabilmente - si tratta di un effetto legato al tempo poiché andando a guardare oggetti molto distanti non li stiamo guardando come sono ora, ma come erano quando la radiazione si è separata da loro. Se vediamo un quasar a 10 miliardi di anni luce di distanza, stiamo vedendo la radiazione partita 10 miliardi di anni fa e quindi vediamo il quasar così come era a quel tempo, non oggi. Prima di allora si era troppo a ridosso del Big Bang per poter pensare all'esistenza dei quasar, e di vederli, ma possiamo renderci conto dalla mappa di come sia esistita una sorta di "era dei quasar" in cui questi oggetti erano particolarmente attivi. Era che, recentemente, si è acquietata in seguito al venir meno di materiale a disposizione dei buchi neri centrali.

Questo "vuoto di quasar" lo vedremmo da qualsiasi punto nell'universo, oggi, visto che ci arriverebbe sempre la luce dei quasar più remoti mentre intorno a noi, in un tempo più recente, i buchi neri risulterebbero comunque non attivi. Sembra, quindi, di vivere in un tempo speciale ma non in un luogo speciale visto che probabilmente in ciascun punto vedremmo le stesse identiche cose, legate al tempo.

Non occupiamo il centro dell'universo ma il nostro centro è il così detto "nowwhere": ora e qui.

L'universo, sotto queste condizioni, ci appare omogeneo e uniforme a scala minima di un miliardo e mezzo di anni luce. Una conferma ancora più precisa dell'omogeneità dell'universo viene dai dati della Kilo-Degree Survey (KIDS), realizzata tramite il Very Large Telescope for Survey (VST) di ESO e in grado di mappare 31 milioni di galassie fino a 10 miliardi di anni luce di distanza, in una zona di cielo pari ad appena il 5% della volta celeste intera. Proprio il rilascio dei primi dati ha consentito di confermare un universo omogeneo, ma non solo: il progetto guidato dall'Università di Leiden in Olanda, infatti, ha misurato un universo addirittura più omogeneo rispetto alle predizioni del modello standard in misura del 10%, una discrepanza rilevante che verrà analizzata in seguito, soprattutto dopo l'arrivo di ulteriori dati (http://kids.strw.leidenuniv.nl).

Il campo inquadrato da KIDS rispetto alla volta celeste.Crediti: B.Giblin, K.Kuijken, and the Kids team
Il campo inquadrato da KIDS rispetto alla volta celeste.Crediti: B.Giblin, K.Kuijken, and the Kids team

Un dubbio

Quelle appena viste sono ipotesi sulle quali si poggia tutta la cosmologia moderna generalmente accettata, ma sono proprio reali? Un test portato avanti alla University of Bonn a inizio 2020 sembra mettere in discussione gli assunti di base. Secondo il test, alcune aree si sono espanse più velocemente di quanto avrebbero dovuto mentre altre se la sono presa con più calma rispetto alle attese. Il test si basa sull'osservazione degli ammassi galattici e sulle loro emissioni a raggi X , con temperature suscettibili di essere misurate in base alle caratteristiche radiative così come la luminosità, legata alla temperatura . In un universo isotropo, più si guarda lontano e più gli oggetti si allontanano velocemente e da questa velocità è possibile dedurre la distanza senza tener conto della direzione. In realtà, a Bonn hanno trovato misurazioni di luminosità in contrasto con questo assunto: alcuni ammassi galattici sono più distanti di quanto dovrebbero e la loro distanza è superiore a quella che risulta dal calcolo della velocità. Altri ammassi, invece, mostrano un trand opposto.

Le possibili spiegazioni sono tre: 

  1. I raggi X sono attenuati lungo il percorso dalla sorgente a noi, i che potrebbe essere dovuto alla presenza di gas dentro o fuori la Via Lattea anche se la discrepanza è stata rilevata anche a lunghezze d'onda maggiori, meno propense a farsi assorbire;
  2. Esistono gruppi di ammassi vicini che si muovono continuamente in determinate direzioni e questo potrebbe attrarre gli ammassi cambiandone la velocità, ma questo comporterebbe notevoli imprecisioni anche nei calcoli legati all'universo locale;
  3. L'universo non è isotropo, un fattore che potrebbe risultare dalle proprietà dell'energia oscura, per la quale tuttavia manca ancora una teoria consistente con le osservazioni (K. Migkas et al, Probing cosmic isotropy with a new X-ray galaxy cluster sample through the LX–T scaling relation, Astronomy & Astrophysics - 2020)
In blu le aree più lente del previsto, in giallo quelle più veloci. In universo isotropo, tutta la mappa sarebbe rossa. Crediti K.N.MigkasUniBonn
In blu le aree più lente del previsto, in giallo quelle più veloci. In universo isotropo, tutta la mappa sarebbe rossa. Crediti K.N.MigkasUniBonn

 

Ultimo aggiornamento del: 17/11/2020 19:58:53

L'espansione dell'universo e la Costante di Hubble

Una delle conquiste più grandi della cosmologia è stata frutto del lavoro di più scienziati in diversi tempi: dalle Cefeidi al redshift delle galassie, da Shapley alla Leavitt fino a Hubble passando per Lemaitre

Provenendo da un universo del tutto stazionario, in linea con la mentalità che vedeva la necessità di un universo perfetto e statico, il passaggio a un universo in espansione non è stato affatto semplice tanto da indurre lo stesso Einstein, a valle delle proprie equazioni di campo, a introdurre una costante cosmologica in grado di mantere l'universo in un immobile equilibrio. Costante che poi fu eliminata alla luce di un universo in espansione e infine introdotta di nuovo per imprimere accelerazione all'espansione stessa.

L'universo stazionario

La Teoria Stazionaria dell'Universo è ad oggi riportata soltanto per completezza storica, dal momento che la sua validità è crollata alla luce delle evidenze di un universo in espansione. La teoria uniformista, alla quale la teoria stazionaria è riconducibile, non ammette tagli netti con il passato: tutto è come era e tutto sarà come è adesso. Ciò che cambia, lo fa in ere molto lunghe e dovutamente a fenomeni lentissimi e costanti. Sappiamo oggi, tuttavia, che gli attuali aspetti sono dovuti essenzialmente ad eventi particolari, spesso catastrofici. Basti pensare, semplicemente, ai crateri, dovuti ad eventi straordinari come impatti da meteoriti e non a progressive evoluzioni. La Teoria Stazionaria dell'universo è una teoria per la quale l'universo, quindi, conserva una densità di materia costante nel corso del tempo.

Universo stazionario: la materia si crea quel tanto che basta a mantenere la densità costante
Universo stazionario: la materia si crea quel tanto che basta a mantenere la densità costante

La teoria dell'universo stazionario è un classico esempio del pensiero uniformistico, secondo il quale ogni cosa è come la vediamo in seguito ad un normale processo di formazione, evoluzione o anche morte, secondo le teorie e le regole esistenti ancora oggi, attraverso tempi lunghissimi.
La teoria dell'universo stazionario in pratica prevede un universo sempre uguale, immutabile: in una stessa area esiste sempre la stessa quantità di materia.

Fred Hoyle
Fred Hoyle

Una simile teoria prese il primo grande scossone con Hubble nel 1929, con le prove di un universo in espansione in cui le galassie si allontanano le une dalle altre. Una spiegazione venne comunque fornita: l'allontanamento opera in modo che le distanze tra le galassie restino relativamente invariate. Negli spazi vuoti lasciati dalle galassie se ne formano quidni altre ad un tasso tale da mantenere inalterata la densità galattica. Non esiste, quindi, un tempo zero che ha determinato lo start dell'universo. Il ritmo di generazione delle galassie è talmente lento da non essere riproducibile in laboratorio né tantomeno osservabile, visto che si parla della creazione di un nucleo di idrogeno in un decimetro cubo ogni miliardo di anni, a partire dall'energia. In pratica, all'interno di un determinato spazio è sempre presente la stessa massa di materia galattica: all'interno dell'area circolare nel disegno in alto è sempre presente la stessa quantità di materia, sebbene le galassie siano diverse. Il leader del pensiero stazionario si individua in Fred Hoyle, che fino alla fine degli anni venti partecipò a una Grende Discussione proprio intorno alle caratteristiche e alle dimensioni dell'universo, come vedremo parlando di Modello Cosmologico Standard. Sebbene fu fautore dell'universo stazionario, il suo merito più grande fu forse quello di "lanciare" il modello rivale creando il nome, per lui dispregiativo ma di sicuro impatto mediatico e quindi vincente, "Big Bang"

La teoria stazionaria dell'universo, come detto, è ormai in disuso dal momento che non riesce a spiegare argomenti provati ed osservati quali l'abbondanza di elementi leggeri né, soprattutto, la presenza della radiazione cosmica di fondo , prova schiacciante a favore del Modello Cosmologico Standard.

Un universo in espansione

Il secondo principio fondamentale della cosmologia, e cioè il fatto che l'universo sia in espansione, deriva dallo studio dello spettro elettromagnetico , cioè dello split della luce nelle sue componenti fondamentali, come vedremo a breve.

Lo spettro di una galassia deriva dalla somma dello spettro delle sue singole stelle, delle emissioni di gas e degli assorbimenti operati dalla polvere. Le righe osservate corrispondono a ben determinati elementi chimici ma le righe osservate in galassie vicine appaiono diverse da quelle osservate in galassie remote, anche se andiamo a esaminare una riga ben nota come quella dell'idrogeno. Il cambiamento osservato consiste essenzialmente in uno shift di tutto lo spettro verso la zona più rossa (red-shift), quindi verso le lunghezze d'onda maggiori (frequenza minore).

Redshift: righe uguali di due galassie, delle quali una più distante dell'altra.
Redshift: righe uguali di due galassie, delle quali una più distante dell'altra.

Ciascuna riga della galassia remota è stata aumentata di un tasso costante rispetto alle stesse righe della galassia più vicina. Questo tasso di incremento è chiamato redshift e si indica con la lettera "z".

z = (Frequenza osservata - Frequenza attesa) / Frequenza attesa

dove la frequenza attesa è quella di laboratorio per un dato elemento chimico o, almeno, quella osservata in una galassia vicina.

Il rapporto è assimilabile a v/c, ovvero alla velocità registrata rispetto alla velocità della luce.

Le onde vengono shiftate dall'effetto Doppler , stesso fenomeno ascoltato per le onde sonore di una ambulanza che ci sorpassa che vengono prima compresse in fase di avvicinamento e poi allungate in fase di allontanamento. Per le onde luminose il discorso è simile e le onde stesse si prestano, quindi, alla misura delle distanze. Se una riga è shiftata verso una lunghezza di onda più lunga dell'1% vuol dire che la galassia si sta allontanando a una velocità pari all'1% della velocità della luce nel vuoto (z = 0.01). 

v = H0 * r  (con r = distanza)

Il primo spostamento verso il rosso lo notò Vesto Slipher nel 1912 relativamente inizialmente a una "nebula a spirale" per poi accorgersi di come tutte le galassie osservate evidenziassero questo tipo di shift verso il rosso. Il discorso non venne compreso fino in fondo a livello cosmologico, all'epoca si stava ancora discutendo sulle reali dimensioni della Via Lattea e sulla possibile esistenza di ulteriori "universi isola" ma il legame tra i redshift e le dimensioni dell'universo non venne purtroppo colto. Il profondo cataclisma cosmologico non avvenne neanche dopo la risoluzione delle equazioni di campo di Einstein da parte di Alexander Friedmann, nonostante queste - andando contro la costante cosmologica stabilizzatrice di Einstein stesso - aprivano le porte a un universo in espansione. In tal caso il fatto che l'articolo di Friedmann venne pubblicato in tedesco sicuramente non ne aiutò la diffusione e l'analisi.

Mancava ancora un tappeto osservativo a supporto, poiché esistevano soltanto i calcoli di Slipher non ricondotti a nulla di cosmologico. Questo movimento di allontanamento, però, potrebbe non essere un movimento reale ma potrebbe derivare da altro e in effetti quasi tutte le galassie nel cielo sembrano allontanarsi da noi, ad eccezione di pochi casi di galassie vicinissime, il che ci farebbe pensare - di nuovo - di essere il centro dell'universo. Inoltre le osservazioni ci dicono che più una galassia è distante e più si allontana velocemente da noi: questo fenomeno è noto come Legge di Hubble - Lemaitre (Edwin Hubble la rende nota nel 1929 ma la prima pubblicazione fu di Lemaitre, come pubblicamente acclamato nel 2018 dalla IAU, con il solo "difetto" di averla pubblicata in francese) e lega la velocità a un valore costante.

Nella seconda metà degli anni Venti l'osservatorio di Mount Wilson in California ospita il telescopio più grande del mondo: un riflettore Hooker con lenti del diametro di due metri e mezzo al quale lavora l'astronomo statunitense Edwin Hubble. Le sue osservazioni al telescopio sono finalizzate allo studio delle nebuae spirali, macchie di luce nel cielo allora chiamate genericamente nebulae, e, in particolar modo, alla ricerca di novae nella vicina Nebulosa di Andromeda. Analizzando quella che sembra essere la prima nova scoperta nella nebulosa, Hubble si rende immediatamente conto di avere a che fare, in realtà, con una stella variabile di tipo Cefeide, ossia con un ottimo indicatore di distanza cosmico. Le analisi della curva di luce della nova danno un risultato incontrovertibile e sorprendente: la distanza misurata pone indiscutibilmente la nebulosa di Andromeda al di fuori della nostra Via Lattea , sino a quel momento considerata la sola ed unica presente nell'Universo.

Dopo una (ri)scoperta così sorprendente le osservazioni di Hubble si concentrano inevitabilmente sull'analisi e lo studio di altri oggetti celesti sino ad allora considerati nebulose spirali: l'astronomo cerca di ottenerne gli spettri. Dall'analisi degli spettri delle galassie, Hubble ricava un risultato sorprendente per chi non era stato attento fino a quel momento: tutti le righe negli spettri esaminati presentano uno spostamento verso il rosso e lo spostamento appare tanto più marcato quanto maggiore è la distanza della galassia osservata. In un colpo solo, a Mount Wilson in California, vengono abbattuti i confini di un Universo limitato alla Via Lattea e tramonta definitivamente l'idea di un Universo statico.

Un esempio della Legge di Hubble
Un esempio della Legge di Hubble

Il valore x della costante è espresso in chilometri al secondo per ogni MegaParsec (km/s/MPc) e ci dice che se una galassia dista da noi un megaparsec, allora si allontana a x km/s. Se è distante due megaparsec la sua velocità aumenta in maniera lineare. Nonostante i primi articoli fossero di George Lemaitre, la costante è nota oggi come Costante di Hubble visto che, di nuovo, la lingua francese utilizzata da Lamaitre non rese il giusto merito mondiale al lavoro, sebbene indicasse precisamente l'espansione dell'universo e anche la necessaria rincoduzione di tutto l'universo in un singolo "atomo primitivo" riportando indietro la freccia del tempo, alla base del Big Bang.
Se da una galassia guardiamo le due galassie A e B in allontanamento, registriamo una certa velocità legata alla distanza dalla Costante di Hubble tale per cui la galassia B appare più vicina e lenta rispetto alla più distante e veloce galassia A. Le diverse velocità e le distanze sono rappresentate dalla lunghezza dei segmenti nell'immagine. 

  • va = H0 ra
  • vb = H0 rb

Se vivessimo su una delle due galassie, diciamo A, vedremmo esattamente la stessa cosa tenendo conto della differente velocità relativa di una delle due galassie rispetto a quella di osservazione. 

Se noi nel nostro punto di osservazione calcoliamo una certa Legge di Lemaitre-Hubble, quindi, la stessa legge vale in ciascuna parte dell'universo il che è perfettamente coerente con la nostra definizione di universo omogeneo e uniforme. Non solo vediamo ovunque le stesse densità di galassie, oltre una certa scala, ma tutte si allontanano da noi, ovunque noi siamo, alla stessa velocità data dalla Legge di Lemaitre-Hubble. La Legge fissa quindi un sistema di riferimento valido ovunque nell'universo: un osservatore in moto con velocità maggiore rispetto al flusso di Hubble misurerebbe redshift e blueshift all'indietro e in avanti anziché i soliti valori isotropi ed è proprio per questo che possiamo misurare il nostro moto relativamente al flusso di Hubble. Un osservatore comovente è a riposo in questo sistema di riferimento. Il Sistema Solare non è comovente, visto che gode di una velocità di 370 km/s relativamente all'universo visibile e anche il Gruppo Locale si muove a 600 km/s rispetto allo stesso riferimento.

La conseguenza di questo è che l'universo si sta espandendo ed è proprio questa espansione a far sì che vengano registrati i redshift osservati. E' come un palloncino sgonfio sul quale vengano disegnati dei punti. Se gonfiamo il palloncino, i punti si allontanano gli uni dagli altri, tutti, indistintamente dalla posizione occupata. A differenza del palloncino, però, noi non possiamo dire quale sia il centro dell'universo, il luogo dove è avvenuto l'inizio dell'espansione, quello che chiamiamo Big Bang. Il palloncino lo vediamo da fuori ma nell'universo siamo dentro e non possiamo capire se ci stiamo muovendo realmente o se ci stiamo muovendo in rapporto agli altri oggetti. Il centro dell'universo è il punto in cui, riavvolgendo il tempo, ogni galassia va a convergere. Quel punto è chiamato Big Bang. A sostegno della espansione dell'universo sono giunte ulteriori conferme, essenzialmente collegate alla Radiazione Cosmica di Fondo e all'osservazione delle Supernovae Ia.  La Radiazione Cosmica di Fondo è una radiazione di corpo nero che permea l'universo alla temperatura di 2,7255 Kelvin misurata da Penzias e Wilson, una radiazione prevista dall'espansione cosmica che rappresenta ciò che resta dalla immensa temperatura posseduta dall'universo e relativa a un tempo in cui l'universo stesso aveva 380 mila anni, momento in cui è divenuto trasparente ai fotoni (vedi sezione sulla Radiazione Cosmica di Fondo).

Le Supernovae di Tipo Ia, invece, sono eventi luminosi molto potenti e spesso distanti che, agendo come candele standard, hanno consentito di misurare al meglio la relazione tra redshift e distanza delle galassie distanti. Dall'osservazione è derivata una accelerazione dell'universo, evidente da uno scostamento dalla Legge di Lemaitre-Hubble, imputata alla presenza di energia oscura , tutt'ora componente misteriosa dell'universo e compatibile con una costante cosmologica positiva (Λ > 0). Il ruolo delle Supernovae Ia come candele standard, tuttavia, non è affatto sgombro di dubbi riguardanti soprattutto la natura di queste esplosioni: mentre un tempo si riteneva che tutte le supernovae Ia derivassero dall'esplosione di una nana bianca in sistema binario  con stelle ancora in fase evolutiva, sembra che la maggior parte di queste esplosioni sia in realtà legata ad altri processi come la fusione di nane bianche, il che porterebbe a luminosità che non potrebbero essere usate come "candela standard". La prova decisiva in tal senso sembra provenire dalla misurazione della manganese nel tempo, il cui tasso di presenza sembra ricalcare precisamente l'abbondanza del ferro contrariamente a quanto si riteneva fino a inizio 2020, in un rapporto costante nel tempo. Il manganese si forma con le esplosioni di supernova e esplosioni di tipologia differente danno vita a quantità differente. Supernovae Ia possono quindi derivare da nane bianche in orbita strettissima, da nane bianche con doppia detonazione o sistemi di nane bianche con doppia detonazione: in tutti i casi si tratta di processi che possono portare a luminosità differenti (Astronomy & Astrophysics - “Observational constraints on the origin of the elements III. Evidence for the dominant role of sub-Chandrasekhar SN Ia in the chemical evolution of Mn and Fe in the Galaxy“ - Eitner et al.)

Osservazione finale, da tenere in considerazione per il modello, vede una composizione dell'universo formata in via nettamente minoritaria (meno del 5%) da materia barionica mentre tutto il resto sarebbe una componente oscura, divisa tra materia e energia.

Una analisi di oltre duecentomila galassie a spirale ha rivelato inattesi collegamenti tra le direzioni di rotazione delle galassie stesse e la struttura formata da questi collegamenti, il che potrebbe suggerire come l'universo primordiale avrebbe potuto ruotare. L'ipotesi è stata presentata da Lio Shamir al 236° meeting della American Astronomical Society a giugno 2020 e presenta risultati in conflitto con alcune assunzioni sulla struttura a larga scala dell'universo: l'espansione osservata fin dai tempi di Edwin Hubble si basa su una espansione priva di una direzione preferita e su una distribuzione delle galassie priva di una particolare struttura cosmologica, ma questa struttura potrebbe in realtà esistere in conseguenza di un universo primordiale rotante. Le galassie a spirale poste in diverse parti dell'universo, infatti, pur separate da spazio e tempo, sono correlate in base alla direzione della rotazione in una correlazione che emerge soltanto prendendo campioni molto popolosi. Le osservazioni ottenute tramite SDSS e PanSTARRS, infatti, hanno evidenziato uno squilibrio del 2% dei sensi di rotazione galattica, il che potrebbe sembrar poco ma ampliando il campione equivale a dire che esiste una probabilità su 4 miliardi che si tratti di un caso. L'asimmetria non appare uniforme in un tempo esteso per 4 miliardi di anni luce, aumendando all'aumentare della distanza delle galassie dalla Terra a dimostrare come l'universo primordiale fosse più coerente e meno caotico di quello attuale. L'asimmetria, inoltre, varia in base alla zona di universo presa in esame: se l'universo ha un asse di rotazione, non si tratta di un asse singolo come quello di una giostra ma di un allineamento complesso di più assi dotati anche di una deriva.

Distribuzione delle galassie in base alla rotazione in una immagine a tutto cielo. Credit: Kansas State University
Distribuzione delle galassie in base alla rotazione in una immagine a tutto cielo. Credit: Kansas State University

Oltre ad essere in espansione, l'universo ha sperimentato un riscaldamento negli ultimi dieci miliardi di anni con una temperatura media del gas salita più di dieci volte fino a raggiungere i 2 milioni di gradi Kelvin . Lo studio - datato fine 2020 - ha fornito una diretta conferma a un lavoro di Jim Peebles - Nobel per la Fisica del 2019 - centrato sulla formazione delle strutture a larga scala nell'universo stesso e quindi sul collasso gravitazionale di gas e materia oscura . Con l'evoluzione, la gravità ha spinto le due componenti fino a formare galassie e ammassi con un attrito così violento da scaldare sempre più gas. La formazione delle strutture a larga scala può quindi essere studiata risalendo alla storia termica dell'universo e per arrivare a questo è stato utilizzato un nuovo metodo di stima della temperatura del gas distante. E' proprio il collasso gravitazionale, quindi, che ha scaldato il gas dell'universo nel tempo. I dati sono stati ottenuti da Planck e dalla Sloan Digital Sky Survey, i cui dati - combinati - hanno fornito le distanze corrette degli oggetti misurati (Yi-Kuan Chiang et al, The Cosmic Thermal History Probed by Sunyaev–Zeldovich Effect TomographyThe Astrophysical Journal - 2020).

La Costante di Hubble

Utilizzando il redshift "z" per determinare la velocità "v" e le variabili cefeidi per determinare la distanza "d", Hubble (Slipher e Lemaitre) non solo dimostra(no) come le galassie siano in allontanamento costante ma anche come la velocità di recessione non sia casuale ma direttamente proporzionale alla distanza. 

Esiste quindi un rapporto ben preciso tra distanza e velocità: le due grandezze sono infatti in rapporto costante tra loro con una relazione “lineare”: questo vuol dire che se mettiamo le misure rilevate su un piano cartesiano otteniamo nel grafico una bella linea retta.

La Legge di Lemaitre-Hubble evidenziata dalla relazione lineare tra distanza e redshift.
La Legge di Lemaitre-Hubble evidenziata dalla relazione lineare tra distanza e redshift

La pendenza della retta che interpola le misurazioni è nota come Costante di Hubble H0 e dal momento che sia chilometri sia Megaparsec sono unità di distanza, l'unità di misura H0 è 1/tempo, con un fattore di conversione dato da: 

1 / H0 = (978 miliardi di anni) / (H0 in km/s/Mpc)

Man mano che lo spazio si espande le galassie si allontanano le une dalle altre e le galassie vicine, proprio in virtù del rapporto lineare, lo fanno ad una velocità inferiore rispetto alle galassie più lontane. Questo moto di insieme delle galassie viene definito "flusso di Hubble". 

Naturalmente il moto di recessione deve essere necessariamente inteso ed interpretato come velocità "apparente": la galassia osservata si allontana da noi non perché dotata di un movimento proprio che la fa vagare nello spazio ma perché si crea nuovo spazio tra lei (e la sua luce) e l'osservatore. Lo spazio si dilata "stirando" le frequenze della luce ed il resdshift è proprio l'effetto di questa dilatazione.

La relazione lineare che esiste tra velocità e distanza è la Legge di Lemaitre-Hubble.

z =  H0 (d / c)

dove z è lo spostamento verso il rosso misurato della galassia, d è la sua distanza e c è la velocità della luce. 

H0 - come detto - è la Costante di Hubble, ossia l'inclinazione che la retta ha sul piano cartesiano, ed è data dalla velocità divisa per la distanza:

H0= v / d

La costante di Hubble è rappresentata da H0: lo zero ha un significato fondamentale perché indica il valore di H solo per un dato momento ben preciso nel tempo. In un universo in espansione, del resto, non potrebbe essere altrimenti: il valore di H è destinato a cambiare nel tempo perché soggetto agli inevitabili effetti gravitazionali della materia e anche a quelli antigravitazionali dell'energia oscura . La costante di Hubble è pertanto “costante” solo in un momento ben preciso e, in quel dato momento, il suo valore determina la scala dell'Universo e, come ci insegna il principio cosmologico , è lo stesso da qualsiasi punto di osservazione nell'Universo. La sua variazione nel tempo è indicata con h(t), ossia come il “parametro di Hubble al tempo t”. 

E' fondamentale determinare con la maggior precisione possibile il valore da assegnare ad H perché non solo determina la scala di grandezza del nostro Universo, ma ci consente di misurare il suo tasso di espansione e, con il suo inverso 1/H, di stabilire la sua età (valore che la formula ci restituisce in secondi). Per via indiretta ci fornisce anche il valore della Costante Cosmologica lambda.

Risolvendo la semplice equazione, per determinare H, dato il valore del redshift, è necessario conoscere quanto più precisamente possibile il valore della distanza d. Oppure, facendo il ragionamento inverso, conoscendo l'età dell'Universo è possibile determinare la velocità di espansione v. E' evidente come una delle principali incertezze nella determinazione del valore di H risieda proprio nella difficoltà di effettuare misurazioni accurate di oggetti posti a notevole distanza; è inoltre necessario che il valore misurato sia compatibile con i dati in nostro possesso forniti dalle osservazioni, come, ad esempio, l'età degli ammassi globulari più vecchi. Pertanto, per determinare con una buona approsimazione il valore della Costante di Hubble, è necessario che le misure di età e distanze note non siano in palese contraddizione tra loro. Il valore trovato da Hubble al tempo delle osservazioni fu di 464 km/s/Mpc, corrispondente a una età dell'universo di circa 2 miliardi di anni: sebbene per la prima volta si ebbe la sensazione di un universo grandissimo, il dato era in netto contrasto con l'età della Terra risultante da alcune analisi mineralogiche, ad esempio, e proprio questa discrepanza fece risalire di nuovo le quotazioni di un universo statico. In realtà Hubble commise degli errori, confondendo due tipologie di stelle Cefeidi e considerando come stelle alcune regioni HII poste in galassie remote. Correggendo questi errori il valore della costante si abbassò decisamente, fino alla dicotomia esistente oggi e della quale parleremo a breve.

L'analisi delle righe spettrali delle galassie spirali (quelle ellittiche poco si prestano a questo metodo, detto Tully-Fisher, perché prive di gas interstellare), per l' effetto che si ha nella rotazione dei due estremi del diametro della galassia (uno si allontana e uno si avvicina all'osservatore), dimostra che tanto più grande e luminosa è una galassia, tanto più grandi sono le righe spettrali. La distanza stimata utilizzando questo metodo pone il valore di H troppo in alto (circa 80/km/s/MPc) rendendolo incompatibile con l'età delle stelle più vecchie.

Anche le nebulose planetarie possono aiutarci a determinare il valore della Costante di Hubble, perchè il loro splendore assoluto è piuttosto costante e questo ci aiuta a calcolarne con precisione la distanza (con valori compatibili con quelli rilevati usando il metodo Tully-Fisher o l'analisi delle Cefeidi). Questo metodo, applicato all'ammasso di galassie della Vergine, da un valore di H tra 75 e 100. 

Le Supernove di tipo Ia vengono utilizzate come "candele" per misurare gli oggetti posti a lunghissima distanza. La loro luminosità relativa (ossia il rapporto che esiste tra quella realmente visibile e quella che vedremmo se l'esplosione avvenisse all'interno della nostra Galassia) aiuta a determinare quanto è lontana la galassia che le ospita.
L'analisi della luce delle galassie più remote fatta dal Supernova Cosmology Project dimostra che queste si allontanano più lentamente rispetto quelle a noi più vicine e la conseguenza di questa differenza di velocità osservata è l'espansione accelerata del nostro Universo. Un Universo in espansione accelerata è quindi più vecchio di ciò che sembra, e il valore di H trovato con i metodi sopra citati diventa quindi compatibile con quello degli ammassi globulari più vecchi.

Il Telescopio Spaziale Hubble, il telescopio a infrarossi Spitzer ed il telescopio a raggi X Chandra hanno lavorato e lavorano ancora per cercare di definire il più possibile questo valore ma in realtà intorno alla costante di Hubble regna un mistero che denota la mancanza di alcuni passaggi fondamentali nella comprensione dell'espansione dell'universo.

Hubble Space Telescope contro i dati di Planck

Con il miglioramento degli strumenti di osservazione e degli algoritmi di analisi dei dati il valore della Costante di Hubble viene periodicamente rivisto ma con il passare del tempo la costante di Hubble ottenuta dai dati di Hubble Space Telescope e quella ottenuta dai dati del satellite Planck, basati sulla Radiazione Cosmica di Fondo, si sono rivelate molto differenti. 

Le fasi per la misurazione della costante di Hubble
Le fasi per la misurazione della costante di Hubble

Il Telescopio Spaziale Hubble sfrutta le lenti gravitazionali per osservare oggetti molto distanti nell'universo: la luce dei quasar "amplificati" ci giunge in tempi diversi visto che la lente (la galassia  interposta) non ha una distribuzione di materia uniforme e l'effetto prodotto è asimmetrico. Proprio analizzando queste differenze di tempo, gli scienziati hanno ricalcolato la Costante di Hubble tenendo sott'occhio la distribuzione di massa lungo la linea di vista del quasar rispetto al telescopio e misurando il ritardo della luce. Il risultato ottenuto è 73,9±0.9 km/s/MPc, accurato al 3.8%, un valore in stretto accordo con quanto misurato basandosi sulle supernovae e sulle Cefeidi ma molto diverso da quanto ottenuto da Planck osservando la radiazione cosmica di fondo . Secondo i risultati di Planck la costante di Hubble dovrebbe essere pari a 67,4km/s/MPc, comunque non più alta di 69, il che significa che ogni 3.3 milioni di anni luce di distanza una galassia si muove 67km/s più veloce rispetto a quanto non facciano le galassie più vicine, con ciascuna fetta di distanza ampia 3.3 milioni di anni luce. Hubble porta invece questo valore a 73 km/s/MPc, il che implica una espansione più veloce. Errori sembrano non essere presenti visto che le misurazioni sono state ripetute più e più volte, quindi deve esserci altro ma le spiegazioni possibili sono, a oggi, molto poche e attingono a piene mani al 95% dell'universo, quello formato da componenti oscure. Da un lato l'energia oscura potrebbe determinare accelerazioni non costanti nell'universo, variando nel tempo, dall'altro potrebbe esistere una nuova particella subatomica in grado di viaggiare a velocità molto prossime a quella della luce nel vuoto (dark radiation), particella che in precedenza poteva includere oggetti come i neutrini. Questa nuova particella interagirebbe, però, soltanto con la gravità dando vita al "neutrino sterile". Altre possibilità sta nella interazione più forte della materia oscura con la materia normale o con la radiazione. 

Nessuna delle soluzioni sarebbe indolore per il contenuto dell'universo primordiale, portando a incoerenze nei modelli teorici e questo è un problema grande, ma di soluzioni attualmente sembrano non essercene anche se l'incertezza sui valori misurati è scesa notevolmente dalle prime misurazioni di Hubble a oggi, andando a misurare con estrema precisione speciali classi di stelle e di supernovae e una di queste classi è data dalle Cefeidi galattiche, utilizzate per testare nuovi sistemi di scanning del cielo. Ad Aprile 2019 il valore delle Cefeidi è stato ulteriormente tarato al meglio, confermando la differenza di valorizzazioni tra Hubble e Planck.

A settembre 2019 si aggiunge un altro metodo e un altro valore. Lo studio, che in linea con i dati di Hubble ringiovanisce l'universo di due miliardi di anni, ne stima l'età tramite il movimento delle stelle: se l'universo si espande più velocemente, allora aumenta la propria dimensione più rapidamente e la conseguenza ultima è una età minore. Con una Costante pari a 70, l'età dell'universo è stimata in 13.7 miliardi di anni mentre con una stima di 74 km/s/MPc l'età scende a 12,8 miliardi di anni. Il nuovo studio, basato su lente gravitazionale, è giunto a una stima della Costante di 82.4, portando l'universo a una età di appena 11.4 miliardi di anni. L'universo è allora realmente più giovane? In realtà il nuovo studio si basa soltanto su un metodo differente che va ad aggiungersi a ulteriori diversi metodi che portano, ciascuno, a misurazioni differenti. Tutto rientra nel problema della determinazione della Costante di Hubble, già al centro della discussione da tempo, alla quale sono attualmente assegnati valori come 67, 74 e 73,3. A questo si aggiunge il fatto che di lenti ne siano state studiate soltanto due, quindi ampliando il campione dovrebbe essere possibile convergere verso una delle due soluzioni più "tipiche" (I. Jee el al., "A measurement of the Hubble constant from angular diameter distances to two gravitational lenses," Science). I dati dell'Atacama Cosmology Telescope (ATC), pubblicati a metà 2020, sembrano invece andare a confermare la stima classica di 13.8 miliardi di anni circa, il dato che non richiede stravolgimenti di modelli cosmologici e che appoggia totalmente la costante cosmologica ottenuta dal satellite Planck sulla radiazione cosmica di fondo (Choi et al., The Atacama Cosmology Telescope: A Measurement of the Cosmic Microwave Background Power Spectra at 98 and 150 GHz).  

Non si tratta dell'unico metodo che porta a una espansione più rapida di quella solitamente indicata, visto che a Ottobre 2019 un altro studio, basato sulle osservazioni di Hubble e (per la prima volta) su Ottica Adattiva (OA) installata al telescopio Keck, giunge a una conclusione simile. Un team della Università di California, infatti, ha rivelato tre lenti gravitazionali (PG1115+080, HE0435-1223 e RXJ1131-1231), misurate "alla cieca" proprio per non apportare correzioni in base ai risultati via via ottenuti. Il valore ottenuto è coerente con le misurazioni ottenute in base agli oggetti "vicini", come le supernovae Ia. Il team ha misurato i ritardi evidenziati dalle varie scissioni della luce indotte dalle lenti, ritardi inversamente proporzionali al valore della costante di Hubble, decodificando la luce dei quasar e raccogliendo informazioni sulla velocità di espansione dell'universo nel tempo intercorso dall'origine della luce degli oggetti osservati (Geoff C-F Chen et al. A SHARP view of H0LiCOW: H0 from three time-delay gravitational lens systems with adaptive optics imagingMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2019).  Sempre lo stesso team di scienziati H0LiCOW (H0 Lenses in COSMOGRAIL's Wellspring) ha utilizzato la tecnica del cristallismo gravitazionale per calcolare il tasso di espansione dell'universo, un metodo esotico e del tutto estraneo a qualsiasi altra tecnica di misurazione nota e che porta a una velocità di espansione ancora superiore per l'universo locale di quanto non sia quella ottenuta dalla proiezione dei dati di Planck. Il risultato finale si attesta su 72 chilometri al secondo per megaparsec con errore del 2.4%, un valore simile ai 74 ottenuti dal team Supernova H0 Equation of State (SH0ES) ma decisamente differente dai 67 di Planck (Kenneth C. Wong, et al. H0LiCOW XIII. A 2.4% measurement of H0 from lensed quasars: 5.3σ tension between early and late-Universe probes. arXiv).

Non basta visto che il giorno 8 novembre su The Astrophysical Journal appare una nuova misurazione da parte di un team della Clemson University, misurazione basata sui dati di telescopi orbitanti e terrestri. I dati riguardano l'attenuazione dei raggi gamma catturati da Fermi e le immagini ottiche ottenute dai telescopi Cherenkov al fine di elaborare modelli, giungendo a un valore di 67,5 km/s/MPc. Raggi gamma e luce di sfondo extragalattica (EBL - Extragalactic Background Light), quest'ultima rappresentante la somma dei fondi in ultravioletto , infrarosso e visibile, interagiscono lasciando un'impronta osservabile come perdita di flusso. Si tratta, ancora una volta, di una strategia indipendente dalle altre misurazioni (A New Measurement of the Hubble Constant and Matter Content of the Universe Using Extragalactic Background Light γ-Ray Attenuation - The Astrophysical Journal - a. Dominguez et al.).

A Giugno 2020 viene presentato un ulteriore metodo basato su oscillazioni acustiche barioniche (BAO) osservate nella distribuzione delle galassie e vuoti cosmici, un metodo che potrebbe essere il più preciso alla data del suo rilascio circa gli effetti diretti dell'energia oscura. I risultati ottenuti, oltre a riportare l'universo piatto al centro delle teorie dopo un periodo di discussione legato ai dati di Planck, sembra giungere a una nuova misurazione della costante cosmologica che concorda con le misurazioni effettuate nell'universo locale e quindi una costante di Hubble più elevata. Includento i dati provenienti dalle righe di assorbimento dei quasar più distanti, invece, l'accordo con il valore ottenuto dai dati di Planck tende a migliorare (Physical Review Letters - “Testing Low-Redshift Cosmic Acceleration with Large-Scale Structure” - Seshadri Nadathur, Will J. Percival, Florian Beutler e Hans A. Winther). 

A fine Luglio 2020, l'ennesimo lavoro modifica di nuovo la costante di Hubble: tramite la distanza di cinquanta galassie un team dell'Oregon ha riportato l'età dell'universo a 12.6 miliardi di anni ricalcolando l'approccio di Tully-Fisher e tenendo quindi conto con molta accuratezza di massa e curva di rotazione galattica. La costante di Hubble è stata così misurata in 75.1 km/s/MPc (James Schombert et al, Using the Baryonic Tully–Fisher Relation to Measure H oThe Astronomical Journal - 2020), ma proprio nello stesso giorno un secondo lavoro fissa l'età dell'universo in 13.35 miliardi di anni, basando i calcoli sugli ammassi globulari, tra gli oggetti più antichi dell'universo e quindi in grado di essere presi a riferimento come datazione, sebbene ancora non si sappia bene come abbiano avuto origine e come si siano evoluti. In particolare sono stati analizzati 68 ammassi globulari osservati dalla Advanced Camera di Hubble Space Telescope nell'ambito della survey di Sarajedini et al (2007). Il range di incertezza è di mezzo miliardo di anni, compatibile con la stima di Planck basata sulla radiazione cosmica di fondo (Valcin et al., Inferring the Age of the Universe with Globular Clusters. arXiv:2007.06594v1).

Un metodo del tutto nuovo e decisamente eccitante proviene dalle onde gravitazionali legate a fusioni di stelle di neutroni con controparte ottica (la Astronomia Multimessenger), visto che in tal caso la velocità di recessione della galassia ospite dell'evento (misurata dalla radiazione) fornisce una calibrazione per il tasso di espansione. Se questo metodo si dimostrasse più preciso degli altri sarebbe una soluzione ma finora sono stati rinvenuti almeno due rami di problematiche in grado di complicare il tutto. Entrambi questi rami sono collegati alla radiazione emessa e all'angolo di vista della sorgente: il primo problema è che la luce non viene emessa in modo sferico secondo le simulazioni al computer e così l'intensità osservata va a dipendere dall'angolo di vista. Anche il colore è un fattore dipendente dall'angolo di vista. Il secondo problema è che l'evento di fusione stesso viene visto da una particolare angolazione che influenza i risultati e anche dopo aver osservato molte sorgenti una analisi statistiche dei campioni lascerebbe una incertezza ancora ampia (Hsin-Yu Chen. Systematic Uncertainty of Standard Sirens from the Viewing Angle of Binary Neutron Star InspiralsPhysical Review Letters - 2020). Il tutto porta a un margine di errore intorno al 16%, troppo elevato per poter essere accettabile. Nel 2021 viene tuttavia proposto un metodo per far scendere il range di errore ad appena il 2% attraverso una singola osservazione di una coppia di stelle di neutroni in fusione coiadiuvata dallo studio di componenti secondarie, più deboli, dei segnali delle onde emesse (modi superiori). Le onde vengono emesse a frequenze differenti: se le due stelle in fusione si trovano geometricamente l'una davanti all'altra potremo ascoltare soltanto la serie più "rumorosa" ma se la geometria ci porta vicini al piano orbitale della fusione allora deve essere possibile ascoltare anche le onde secondarie, il che consente di misurare l'inclinazione delle stelle di neutroni e la loro distanza. Si tratta di un metodo che funziona bene per i buchi neri molto massivi ma per le stelle di neutroni il discorso è più complesso visto che il segnale della fusione è così alto che i rilevatori possono cogliere soltanto le orbite precedenti.In attesa dei nuovi rilevatori, ovviamente (Juan Calderón Bustillo et al. Mapping the Universe Expansion: Enabling Percent-level Measurements of the Hubble Constant with a Single Binary Neutron-star Merger DetectionThe Astrophysical Journal Letters - 2021).

A parte metodi ancora da testare, comunque, sembra proprio che la Costante di Hubble tenda a scindersi nelle due grandi categorie facenti capo a Hubble e Planck: i dati di Hubble sono osservativi e molto precisi; quelli di Planck si basano su una radiazione cosmica di fondo osservata a una età di 380 mila anni ma la cui evoluzione segue poi quanto stabilito dal Modello Standard, che resta pur sempre un modello. Una possibile soluzione, quindi, potrebbe essere aggiustare un po' il Modello (ma non tanto da far saltare tutto quanto previsto con estrema precisione) nella fase appena precedente i 380 mila anni di età, cioè appena prima della ricombinazione: ad esempio si potrebbe introdurre un intenso episodio di energia oscura  in grado di espandere l'universo in modo più rapido di quanto finora previsto. Certo, si tratta di un adattamento ancora speculativo ma in tal modo il valore della Costante di Hubble potrebbe allinearsi tra i due rami di valutazione (Licia Verde et al. Tensions between the early and late UniverseNature Astronomy - 2019). Una possibile soluzione alla tensione tra le due misurazioni potrebbe prevedere, invece, la presenza di una bolla locale con densità di materia peri alla metà di quella dell'universo medio: se ci trovassimo in una gigantesca bolla a densità significativamente inferiore rispetto a quella dell'universo, e la cui dimensione fosse di almeno 250 milioni di anni luce, allora si otterrebbe un nuovo valore della Costante di Hubble in accordo con quello ottenuto tramite radiazione cosmica di fondo. La probabilità di una simile fluttuazione a questa scala va da 1 su 20 a 1 su 5, quindi  non si tratta di qualcosa di così improbabile (Lucas Lombriser. Consistency of the local Hubble constant with the cosmic microwave backgroundPhysics Letters B - 2020).

C'è un altro fattore che complica le cose: l'accelerazione osservata è in ogni caso stata attribuita all'energia oscura , che compone il 70% dell'universo. All'Institut d'Astrophysique e al Niels Bohr Institute hanno tuttavia osservato 740 supernovae di tipo Ia giungendo alla conclusione per la quale l'accelerazione sia un effetto locale, dipendente dalla direzione che stiamo osservando rispetto alla radiazione cosmica di fondo , la quale mostra notoriamente una anisotropia a dipolo. L'accelerazione cosmologica, invece, avrebbe portato a uno stesso valore in qualsiasi direzione, così come principio cosmologico pretende. L'universo deve essere isotropo e omogeneo e questo semplifica notevolmente il modello cosmologico, ma i dati osservativi interpretati sulla base di questa ipotesi hanno bisogno di un 70% di universo dato da una energia che non conosciamo. Questo è stato interpretato come conseguenza delle fluttuazioni quantistiche del vuolo, ma l'energia oscura è arrivata a dominare nell'universo soltanto di recente. Perché proprio adesso? Circa 400 mila anni dopo l'inizio dell'universo, quando la radiazione cosmica di fondo ha iniziato a farsi vedere, l'energia oscura era del tutto trascurabile. Ha senso chiedersi se questa energia possa davvero esistere e le supernovae Ia possono aiutare notevolmente, visto che proprio grazie a queste si è parlato di universo in espansione accelerata. Analizzando redshift e magnitudine apparente e annullando le correzioni per le velocità locali non è stato ottenuto un valore isotropico: il vettore di accelerazione è in linea con il dipolo della radiazione cosmica di fondo. I dati delle supernovae, con un significato statistico di 3.9σ, evidenziano una anisotropia dipendente dalla direzione del nostro movimento locale, indicato da un dipolo nella radiazione cosmica di fondo. Qualsiasi accelerazione isotropica imputabile all'energia oscura, invece, è 50 volte più piccolo di quanto pensato finora (Jacques Colin et al. Evidence for anisotropy of cosmic accelerationAstronomy & Astrophysics - 2019).

Dipolo nella radiazione cosmica di fondo. Crediti Astronomy & Astrophysics
Dipolo nella radiazione cosmica di fondo. Crediti Astronomy & Astrophysics

Al dibattito partecipa anche il Cosmic Dawn Center, a fine 2020, inserendo una ulteriore incoerenza nella composizione dell'universo dovuta alla velocità utilizzata per determinare il tasso di espansione. Gli astronomi utilizzano tecniche diverse, basandosi sulla relazione tra distanza e velocità delle galassie vicine oppure sulla radiazione cosmica di fondo, giungendo come visto a risultati diversi. E' possibile che la differenza nella costante di Hubble derivi da misurazione errate: in base alla velocità di allontanamento di una galassia, la sua luce assume toni più rossi ma le velocità non sono poi così semplici da misurare. Esaminando le misurazioni della distanza e della velocità da più di mille supernovae negli ultimi 25 anni è stata infatti trovata una discrepanza sorprendente nei risultati, additabile a due tipi di redshift: il primo misura la velocità di recessione ed è considerato il più affidabile mentre il secondo misura la velocità della materia espulsa dalla stella esplosa nella galassia. Dopo la compensazione dei movimenti è possibile determinare il redshift netto della galassia ma la compensazione stessa richiede un modello preciso dell'esplosione, e questo rende tutto complicato. Probabilmente la tensione sulla costante non si risolve soltanto in questo ma occorrono spiegazioni fisiche diverse per casi diversi (Charles L. Steinhardt et al. Effects of Supernova Redshift Uncertainties on the Determination of Cosmological ParametersThe Astrophysical Journal - 2020).

Come soluzione c'è chi ipotizza l'esistenza di una nuova tipologia di energia oscura presente nel primo universo, che potrebbe spiegare le due misurazioni differenti: nel primo universo, quindi, potrebbe essere esistita una forma diversa di energia oscura, con maggior energia rispetto a quella attuale (il modello standard vede l'energia oscura poco importante nel passato e sempre più dominante con l'andare del tempo). Spiegare un mistero con una ipotesi ancora più esotica risulta, tuttavia, un po' speculativo (Florian Niedermann et al, New early dark energyPhysical Review D - 2021), e infatti una smentita sembra provenire da un lavoro di fine 2021 che nega la early dark energy come in grado di risolvere la tensione, a meno di non inserirne un'altra sulla distribuzione delle strutture cosmiche a larga scala: secondo i nuovi dati, infatti, la frazione di energia oscura deve essere stata meno di 2.6% nella fase radiativa e meno di 1.5% da 380 mila anni dopo il Big Bang fino ai 16 milioni di anni circa. Si tratterebbe quindi di una quantità molto modesta, in linea con il modello standard e quindi in grado di ridurre di molto il contributo di questa componente alla tensione sulla costante di Hubble (Physical Review D - “Early dark energy in the pre- and postrecombination epochs” - Adrià Gómez-Valent et al.)

 Sicuramente potrebbe essere più utile un metodo indipendente di misurazione delle distanze come, ad esempio, il JAGB (J-region Asymptotic Giant Branch) che studia una particolare tipologia di stelle antiche contenenti una sostanziale quantità di carbonio nell'atmosfera, apportato da sistemi di dradging-up. Queste stelle possono avere una luminosità intrinseca da galassia a galassia da quanto emerso dalle osservazioni, quindi empiricamente possono essere valide candele standard (Abigail J. Lee et al. The Astrophysical Distance Scale. III. Distance to the Local Group Galaxy WLM Using Multiwavelength Observations of the Tip of the Red Giant Branch, Cepheids, and JAGB Stars, The Astrophysical Journal - 2021).

Dove sta la verità? Probabilmente ancora manca parecchio prima di arrivarci, dipendendo anche dagli oggetti presi a riferimento. Ad esempio, anche le giganti rosse possono essere prese come "candele standard" dal momento che il punto di massima luminosità sembra essere uguale per tutti gli astri di questo tipo. Utilizzando queste candele, all'Università di Chicago si ottengono osservazioni che sembrano limitare il divario tra le due misurazioni principali esposte in precedenza. Il valore ottenuto è 69.8 km/s/Mpc, più o meno lo stesso di quello ottenuto dal satellite Planck di ESA, il che renderebbe coerenti i dati di velocità di espansione ottenuti nel "vicino " e nel "lontano" universo. Il James Webb Telescope potrà sicuramente aiutare (The Astrophysical Journal - “Measurements of the Hubble Constant: Tensions in Perspective” - Wendy L. Freedman et al.)

Universo in espansione e lenti gravitazionali

Un modello di universo più preciso può venire dall'introduzione di metodi volti a eliminare le distorsioni impartite alla radiazione originaria di sorgenti distanti da fenomeni di lente gravitazionale , tanto utile per lo studio di oggetti remoti ma dannosa per ricostruire l'immagine dell'universo primordiale. Una lente fondamentale, quindi, per avere informazioni sui parametri alla base dell'universo ma anche in grado di ridurre del 30% la bontà della misurazione stessa. Il metodo di eliminazione è definito auto-calibrazione ed è stato presentato il 5 agosto 2020 dopo essere stato teorizzato dieci anni prima (Eske M. Pedersen et al. First Detection of the GI-type of Intrinsic Alignments of Galaxies Using the Self-calibration Method in a Photometric Galaxy SurveyThe Astrophysical Journal- (2020). 

Il metodo della lente gravitazionale forte fornisce una misurazione più diretta dell'espansione, esattamente come riesce a fornire una misura della distanza qualora si riesca a determinare i diversi tempi di arrivo della luce che segue diversi percorsi intorno alla lente. Partendo da qui, e dallo sforzo dei progetti H0LiCOW, COSMOGRAIL, STRIGES e SHARP oggi riuniti nell'organizzazione TDCOSMO, si è giunti a una stima della costante di Hubble ponendola intorno ai 73 chilometri al secondo per MegaParsec, con una precisione del 2%, in linea con il metodo delle supernovae ma in tensione con il metodo basato sulla radiazione cosmica di fondo. Il nuovo modello, pubblicato a fine 2020, si basa su una serie di osservazioni molto più numerosa al fine di evitare di partire da ipotesi rimpiazzandole con stime di massa e struttura (riguardanti la lente) più oggettive. Una volta eliminata la maggior parte delle assunzioni (non tutte), il valore della costante di Hubble, con sette lenti campione, è salito intorno a 74 km/s/MPc, sebbene con una incertezza maggiore che rende il valore trovato coerente con entrambi i metodi "classici" di misurazione. Un miglioramento netto c'è stato aumentando il numero di lenti, portandole a quarante: il valore della costante di Hubble è sceso a 67 km/s/MPc con una incertezza del 5%, in linea con la misurazione ottenuta dalla radiazione cosmica di fondo ma statisticamente consistente anche con le precedenti misurazioni, data l'incertezza. Lontani dalla soluzione, ancora, ma consci di quanto sia importante capire al meglio la distribuzione della materia nelle galassie (S. Birrer et al. TDCOSMO. IV. Hierarchical time-delay cosmography-joint inference of the Hubble constant and galaxy density profilesAstronomy & Astrophysics - 2020; David Harvey, A 4 percent measurement of H0 using the cumulative distribution of strong lensing time delays in doubly imaged quasarsMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020). 

Ultimo aggiornamento del: 04/12/2021 13:43:56