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Cosa sono i buchi neri

I buchi neri sono previsti dalla Relatività Generale e rappresentano corpi celesti la cui densità è tale da non far uscire neanche la luce. I buchi neri sono tra gli oggetti più misteriosi dell'universo anche perché al di là dell'orizzonte degli eventi la fisica che conosciamo cessa di esser valida e c'è spazio per speculare su diverse soluzioni. Cosa sono i buchi neri, quali tipologie esistono e le prove a favore della loro esistenza.

I buchi neri, natura e Relatività Generale

I buchi neri sono corpi celesti la cui densità è tale da curvare lo spazio-tempo in maniera tale che neanche la luce possa riuscire a uscire. Un buco nero si caratterizza per l'orizzonte degli eventi e per una singolarità che sfida la fisica.

Si è visto come ogni modello di universo preso in considerazione porti, nel passato, all'esistenza di una singolarità e al concetto di buco nero
Per comprendere le origini e le caratteristiche fondamentali dei buchi neri, delle singolarità e di conseguenza del Modello Cosmologico prevalente abbiamo bisogno di alcune nozioni di base.

La gravità è una delle quattro "forze" fondamentali della fisica, sebbene non sia una vera forza ma una proprietà delle masse, e ha valenza universale: qualsiasi particella dotata di massa ne subisce gli effetti. La forza gravitazionale è sempre attrattiva e la sua influenza agisce anche su grandissime distanze, visto che per la Legge di Gravitazione Universale non si azzera mai.
La velocità di fuga è la velocità che serve a un corpo per allontanarsi definitivamente dall'attrazione gravitazionale di un altro corpo. Se noi volessimo sfuggire al campo gravitazionale della Terra, ad esempio, dovremmo allontanarci ad una velocità di 11,2 chilometri al secondo; se abitassimo su Mercurio, invece, ne sarebbero sufficienti appena 4,4 (km/s) poiché maggiore è la densità di un corpo, maggiore sarà la gravità che questo corpo esercita e maggiore sarà, in ultima istanza, la velocità necessaria per allontanarsene definitivamente. Abbiamo, in tal caso, un limite visto che la velocità massima raggiungibile nel vuoto è quella della luce (c), pari a 299.792,458 chilometri al secondo (Teoria della Relativita ' Ristretta).
Oltre a questo, torneranno utili i postulati della Relatività Generale, per la quale luce, spazio e tempo sono influenzati in modo ben preciso dalla gravità in seguito al curvarsi dell'universo in presenza di masse. 
In ultimo, il secondo principio della termodinamica stabilisce che la quantità di "disordine" (detta entropia) presente all'interno di un certo sistema (e quindi l'incapacità di conoscerne lo stato esatto) cresce con l'aumentare del tempo.

I buchi neri sono corpi celesti estremamente compatti la cui densità comporta una velocità di fuga superiore alla velocità della luce nel vuoto. 

Questo significa che anche un raggio di luce emesso viene apparentemente piegato, rallentato e fatto tornare indietro verso il corpo di origine, seguendo una geodetica totalmente curva. Dall'esterno, quindi, il buco nero appare come un corpo privo di qualsiasi forma di radiazione , osservabile soltanto in via indiretta tramite l'influenza gravitazionale sulla radiazione dei corpi posti nelle vicinanze o posti oltre, ma lungo la linea di vista, che ricadono comunque nel campo gravitazionale.

Sebbene la definizione di buco nero sia piuttosto recente (fu coniata infatti in occasione di una conferenza tenuta nel 1967 dal Prof. John Wheeler, fisico statunitense) l'ipotesi che la materia potesse soccombere alla forza di gravità fu pensata già nel 1783 da John Michell; anche il Marchese di Laplace, matematico francese, pochi anni più tardi, ipotizzò che un oggetto di massa sufficientemente elevata avrebbe potuto trattenere la sua stessa luce ad opera della propria forza di gravità. La prima formulazione scientifica la dobbiamo però a Schwarzschild il quale, nel 1916 e nel  pieno svolgimento delle sue attività come volontario dell'esercito tedesco durante la Prima guerra mondiale, tentò di applicare le equazioni di campo della Relatività Generale al fine di calcolare quale sarebbe stato il campo gravitazionale attorno ad un corpo nello spazio. E' sua la formula che ci consente di determinare il raggio dell'orizzonte degli eventi di un buco nero a partire dalla sua massa (c.d.Raggio di Schwarzschild).
Oppenheimer, nel 1939, mise il sigillo definitivo all'ipotesi, comprendendo cosa sarebbe potuto accadere ad una stella di grande massa secondo la teoria della Relatività Generale, predicendone il collasso gravitazionale e la possibilità che potesse esistere in natura una condizione di densità della materia “infinita”. Nana bianca e stella di neutroni sono stati intermedi del collasso, ciascuno con il proprio limite di massa sopportabile dalla struttura del corpo celeste. Questi limiti sono pari a 1.44 masse solari per la nana bianca (Limite di Chandrasekhar) e di circa 3 masse solari per la stella di neutroni.

In questi termini, è difficile presentare un buco nero poiché non possiamo osservarlo direttamente. Possiamo osservare gli effetti della sua fortissima capacità di curvare lo spazio-tempo circostante inducendo gli oggetti prossimi a orbite che, in assenza di buco nero, non sarebbero giustificabili.

Orbite intorno a un centro di massa invisibile. E' il movimento di questi astri a indicare la presenza di un buco nero.
Orbite intorno a un centro di massa invisibile. E' il movimento di questi astri a indicare la presenza di un buco nero.

Data l'enorme densità di massa, lo spazio-tempo intorno al buco nero subirà una distorsione tale che potremo vedere quello che succede solo entro un certo limite. Oltre questo limite tutto ci viene nascosto. 
Questo limite di osservazione viene definito “orizzonte degli eventi”: nessun evento che si verifichi entro il confine di tale orizzonte potrà mai essere osservato dall'esterno, perciò l'orizzonte degli eventi può essere considerato a tutti gli effetti come la superficie del buco nero. Il raggio dell'orizzonte degli eventi è direttamente proporzionale alla massa che compone il buco nero: tanto più grande è la massa tanto più grande sarà il raggio, come vedremo a breve tramite una apposita formulazione. Nulla esce dal buco nero, o meglio questa era la convinzione prima che Stephen Hawking scendesse a livello quantistico dimostrando come particelle possono riuscire a fuggire (radiazione di Hawking). Se la radiazione di Hawking esiste e riesce a creare una sorta di nebbia quantistica intorno al buco nero, allora le onde gravitazionali dovrebbero rimbalzare su questo strato creando dei piccoli segnali di eco come accompagnamento al principale evento di collisione. In tal senso i primi risultati vengono a inizio 2020 dall'Università di Waterloo e dal Max-Planck-Institut für Gravitationsphysik, con dati che ricalcano totalmente i modelli di buco nero comprensivi di radiazione di Hawking, sebbene le probabilità che si tratti di rumore dei sensori siano ancora molto alte. (Jahed Abedi et al. Echoes from the abyss: a highly spinning black hole remnant for the binary neutron star merger GW170817, Journal of Cosmology and Astroparticle Physics - 2019). L'energia di un buco nero potrebbe essere estratta, anche se allo stato attuale si tratta di mera teoria: un modo potrebbe essere la disintegrazione di particelle mentre altri vedono la radiazione di Hawking nonché i getti relativistici ma anche la riconnessione delle linee del campo magnetico in prossimità dell'orizzonte degli eventi, campo sostenuto dal plasma circostante composto essenzialmente da elettroni e positroni. Plasma e linee del campo magnetico si muovono appaiati quasi precisamente, ma laddove questo non accade le linee si disconnettono e riconnettono liberando energia che viene proiettata parzialmente all'interno del buco nero e parzialmente all'esterno (Physical Review D - “Magnetic reconnection as a mechanism for energy extraction from rotating black holes” - Luca Comisso e Felipe A. Asenjo)

Una regola affermata da Stephen Hawking nel 1971 sostiene come l'area dell'orizzonte degli eventi non possa ridursi (teorema di Hawking) e proprio questa teoria è stata confermata a distanza di cinquanta anni dall'analisi delle onde gravitazionali e in particolare dal segnale Gw150914, il primo in assoluto. Se la regola è valida, infatti, l'area dell'orizzonte del buco nero risultante non deve essere inferiore all'area totale della somma delle due componenti di partenza e proprio questo è stato il risultato. Si tratta di un unico dato, ovviamente, quindi non è detto che questo possa valere a livello universale ma è pur sempre una prima conferma (Physical Review Letters - “Testing the Black-Hole Area Law with GW150914” - Maximiliano Isi et al.)

Il fatto che nulla possa fuggire, tuttavia, vale nelle vicinanze del buco nero visto che a distanze maggiori le particelle riescono a fuggire, ed è proprio questo che rende il disco brillante a raggi X . Parte di queste particelle, tuttavia, fugge con un po' più di fatica visto che viene richiamata dalla forza del buco nero, torna indietro e infine rimbalza dal disco e fugge. Si tratta di un comportamento previsto negli anni Settanta del secolo scorso e che è stato osservato per la prima volta nel 2020 graziie ai dati di Rossi X-ray Timing Explorer (RXTE) riguardanti il buco nero XTE J1550-564. Il disco, quindi, sembra illuminarsi da solo (Riley M. T. Connors et al. Evidence for Returning Disk Radiation in the Black Hole X-Ray Binary XTE J1550–564, The Astrophysical Journal - 2020).

Parte della luce proveniente dal disco di accrescimento viene richiamata indietro sul disco stesso prima di essere riflessa. Crediti NASA/JPL-Caltech/R. Hurt (IPAC)/R. Connors (Caltech)
Parte della luce proveniente dal disco di accrescimento viene richiamata indietro sul disco stesso prima di essere riflessa. Crediti NASA/JPL-Caltech/R. Hurt (IPAC)/R. Connors (Caltech)

La densità della materia all'interno del buco nero tende a infinito in un punto centrale che prende il nome di singolarità spazio-temporale, una condizione estrema ed inosservabile in cui le leggi della fisica standard, compresa la Relatività Generale, non possono essere più applicate e quindi non possono essere più considerate valide. Nessuno sa a cosa va incontro la materia che finisce dentro "imbuto" creato dal buco nero e come si trasforma una volta superato il limite dell'orizzonte degli eventi, sebbene esistano modelli più o meno speculativi.

Una singolarità, quindi, è un punto in cui la fisica nota non funziona e questo andrebbe a violare il principio cosmologico sul quale si basano le soluzioni alle equazioni di Einstein. L'universo ci viene incontro con la così detta censura cosmica: il fatto che le singolarità siano racchiuse all'interno di un orizzonte degli eventi fa sì che in tutto l'universo osservabile la fisica continui a essere valida, sebbene modelli matematici recenti sembrano non negare la possibilità di singolarità "nude", non nascoste oltre l'orizzonte stesso. Intorno all'orizzonte degli eventi avremo uno spazio "borderline" dove, nel caso di buco nero rotante, tutto si muove velocemente trascinato dalla rotazione del buco nero stesso. In quest'area, definita "ergosfera", lo spazio-tempo è trascinato dalla rotazione del buco nero ma è ancora possibile uscirne, poiché il limite di non ritorno dell'orizzonte degli eventi non è ancora stato superato.

Anche il tempo subirà una trasformazione con l'approssimarsi al buco nero: sappiamo che, per la teoria della Relatività, ogni osservatore possiede la propria misura del tempo influenzata dall'attrazione gravitazionale. Due osservatori sottoposti a due diversi campi gravitazionali avranno due diverse (ma altrettanto valide) misurazioni del tempo. Nel caso di un buco nero, oltre l'orizzonte degli eventi si avrà una dilatazione gravitazionatale temporale tale che per un osservatore che si trovi al suo interno il tempo sembrerà essere infinito.

La singolarità di un buco nero
La singolarità di un buco nero

La singolarità spazio-temporale che si crea all'interno dei buchi neri, ossia quella condizione di densità della materia "infinita" che invalida tutte le leggi della fisica, può farli considerare a tutti gli effetti come l'inverso temporale dell'espansione dell'universo alla quale assistiamo oggi. Facendo tornare indietro la freccia del tempo, infatti, tutta la materia oggi in espansione torna in un punto iniziale che viene ad assumere densità infinita, creando una singolarità di partenza rappresentante l'universo appena prima dell'inizio dell'espansione. Una condizione sconosciuta dove la fisica non arriva e proprio per questo una condizione condivisa anche dalla Chiesa visto che resta spazio per l'intervento di un Creatore.

Ultimo aggiornamento del: 10/07/2021 12:34:49

Disco di accrescimento, osservabilità e massa

Un buco nero non è osservabile direttamente quindi il massimo che si possa fare è avvicinarsi il più possibile al limite interno dell'orizzonte degli eventi. Disco di accrescimento e moti dei corpi consentono di stimarne anche la massa.

I buchi neri non sono quindi visibili in via diretta, non emettendo nulla direttamente, ma vengono dedotti dalla radiazione , tipicamente in raggi X e onde radio , emessa dal materiale che, attratto dal buco nero stesso, si riscalda proprio prima di andare a cadere oltre l'orizzonte degli eventi. Questo materiale si dispone in un disco chiamato disco di accrescimento e inizia ad emettere radiazione per attrito. Se intorno al buco nero non è presente materiale talmente vicino da essere attratto, allora la sua presenza può essere dedotta esclusivamente dall'orbita degli oggetti più prossimi. Un esempio molto calzante è quello di una coppia di ballerini in una stanza buia, con la ballerina vestita di bianco e il ballerino vestito di nero. Al buio possiamo soltanto percepire i movimenti della ballerina, ma proprio da questi possiamo capire che se non ci fosse un ballerino a tenerla finirebbe sicuramente a terra.

Sono proprio questi metodi indiretti che consentono di determinare la massa del buco nero. Nel caso di disco di accrescimento, ipotizzando un equilibrio tra pressione della radiazione elettromagnetica e forza gravitazionale espressa, la radiazione catturata consente la scoperta del buco nero nonché la stima della sua massa. Dischi persistenti sono presenti, in genere, intorno a buchi neri di grande massa presenti negli AGN e a buchi neri di massa stellare (o intermedia) in un sistema binario , in occasione di acquisizione di massa ai danni di una stella  compagna. In questi casi è possibile scoprire l'esistenza del buco nero a partire dal movimento del materiale circostante o della stella compagna, nonché risalire facilmente alla massa del buco nero proprio analizzando i movimenti stessi e applicando le regole di gravitazione universale. Proprio da questa radiazione è possibile ottenere diverse informazioni, visto che produce anche una eco. Urlando in una chiesa, ad esempio, si ottiene una eco diversa da quella che segue un urlo in un'aula e la stessa cosa avviene per le onde di radiazione X, le quali si propagano nelle vicinanze consentendo di mappare la geometria della regione circostante. In base a questa osservazione è stato possibile stimare massa e velocità di rotazione (spin) del buco nero che domina la regione centrale di IRAS 13224-3809, scoprendo al tempo stesso una corona in grado di variare dimensione in maniera molto rapida (qualche giorno). Proprio al variare della corona variano gli echi di luce, consentendo le misurazioni (Nature Astronomy - “A dynamic black hole corona in an active galaxy through X-ray reverberation mapping” - William N. Alston et al.). Non si tratta di misurazioni semplici, soprattutto quella dello spin per il quale in genere ci si basa sull'interpretazione dell'emissione di raggi X dal bordo interno del disco di accrescimento. Uno dei metodi modella la forma del continuum dei raggi X e si basa su buone stime di massa, distanza e angolo di visione mentre altri modelli prendono in esame anche le linee di emissione atomica osservate. In genere i modelli forniscono risultati comparabili.

La corona - l'anello ultraluminoso di particelle altamente energetiche intorno all'orizzonte degli eventi -, in particolare, dovrebbe essere generata dai campi magnetici e una ottima possibilità di studio deriva da uno strano fenomeno che nel 2018 ha riguardato l'Acive Galactic Nuclei noto come 1ES 1927+654 e distante cento milioni di anni luce. La corona del buco nero è scomparsa del tutto comportando una caduta repentina della luminosità nell'ordine di un fattore di 10 mila in meno di un anno. Variazioni della corona sono attese in tempi di migliaia o milioni di anni e assistere a una variazione simile in appena un anno è stato sbalorditivo (un fattore cento in appena otto ore). La scomparsa della corona è stata seguita da una nuova organizzazione del disco di accrescimento da parte del buco nero, con nuova generazione di raggi X nei pressi dell'orizzonte degli eventi: una corona tutta nuova che ha iniziato a brillare quasi come la prima a raggi X. La causa più probabile dell'evento dovrebbe riguardare la cattura di una stella da parte del buco nero, come un sasso lanciato in una scatola del cambio che rimbalza nel disco di materiale vorticoso facendo precipitare, improvvisamente, tutto il materiale verso il centro. La stella, in tal caso, dovrebbe essere stata distrutta dall'attrazione gravitazionale del buco nero, spargendo detriti stellari nel disco di accrescimento e causando un flash temporaneo di luminosità prima che la caduta del materiale determinasse la sparizione della corona (C. Ricci et al. The Destruction and Recreation of the X-Ray Corona in a Changing-look Active Galactic NucleusThe Astrophysical Journal - 2020). 

Rappresentazione di un disco di accrescimento, materiale che spiraleggia intorno al buco nero riscaldandosi per attrito.
Rappresentazione di un disco di accrescimento, materiale che spiraleggia intorno al buco nero riscaldandosi per attrito.

La radiazione prodotta dall'accrescimento potrebbe essere abbastanza luminosa da riflettersi sulla polvere, illuminando la galassia ospite e creando un effetto a raggi. La radiazione quindi non andrebbe a illuminare soltanto le zone della galassia che rientrano in stretti coni di ionizzazionee l'evidenza viene da IC 5063, una galassia di Seyfert con AGN e radio loud. La presenza di polvere in tutta la galassia, in questo caso, provvederebbe alla dispersione della luce fino a illuminare quasi tutta la galassia intera, con la polvere generata nel caso di IC 5063 da una fusione abbastanza recente. Il toro potrebbe essere molto sottile, con la luce che sembra fuoriuscire ovunque. Mentre il toroide ruota, i fasci di luce possono apparire come un faro che irradia attraverso la nebbia (W. Peter Maksym et al. Crepuscular Rays from the Highly Inclined Active Galactic Nucleus in IC 5063The Astrophysical Journal - 2020)

I buchi neri non crescono soltanto grazie al disco di accrescimento ma esistono in realtà due modalità di crescita: acquisizione di massa dallo spazio circostante (disco di accrescimento, appunto) e fusione con altri buchi neri. Al 236° meeting dell'American Astronomical Society di Giugno 2020 è stato presentato un modello per determinare quale sia il canale primario della crescita di un buco nero, modello la cui validità si estende dall'universo locale fino a redshift 10 (13 miliardi di anni fa circa). Il canale primario viene a dipendere dalla massa del buco nero e dal redshift stesso: nell'universo vicino i buchi neri minori crescono principalmente per accrescimento mentre i buchi neri massivi crescono tramite fusioni mentre nell'universo distante i processi invertono il proprio peso, con i buchi neri minori maggiormente propensi alla fusione e i buchi neri maggiori all'accrescimento. Si prevede che i buchi neri che crescono principalmente per accrescimento vengano ad avere rotazioni più veloci sui propri assi (Separating Accretion and Mergers in the Cosmic Growth of Black Holes with X-ray and Gravitational Wave Observations).

I sistemi binari con buco nero, tra l'altro, sono essenziali per comprendere l'attività del buco nero: un esempio viene a fine 2019 dalla University of Southampton che ha utilizzato dal HiPERCAM al Gran Telescopio Canarias e NICER della NASA, a bordo della ISS, per studiare gli effetti del buco nero sul materiale e sul campo magnetico presente, misurando i livelli di radiazione emessi dal sistema. Il sistema è quello di MAXI J1820+070, scoperto a inizio 2018 e distante appena 10 mila anni luce da noi, con massa di 7 masse solari racchiusa in un diametro inferiore a quello di Londra. Il video che segue si basa su dati reali rallentati a un decimo della velocità reale al fine di rendere i flash osservabili dall'occhio umano: è possibile osservare come il materiale intorno al buco nero sia molto luminoso con uno sfarfallio di pochi millisecondi. I cali di livelli di raggi X sono accompagnati da un aumento in luce visibile e viceversa e i picchi in visibile seguono di una frazione di secondo i raggi X, indice di un plasma distinto (J A Paice et al. A Black Hole X-ray Binary at ∼100 Hz: Multiwavelength Timing of MAXI J1820+070 with HiPERCAM and NICERMonthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters - 2019).

 

Esiste però un altro modo per stimare la massa del buco nero (Elena Seyfina - Moscow University - Settembre 2017 su Astronomy and Astrophysics), consistente nell'osservare i burst derivanti da fenomeni di distruzione mareale di stelle di passaggio: questi eventi creano un disco di accrescimento temporaneo, dato dalla materia stellare allungata e in caduta. Un altro modo per determinare la massa di un buco nero consiste nella detection di onde gravitazionali. Le equazioni di Einstein ci dicono come il movimento delle masse crei delle increspature nel fluido dello spazio-tempo - esattamente come un sasso in uno stagno determina onde concentriche - e queste increspature oggi, entro i limiti tecnologici degli interferometri, possono essere captate. Il confronto tra le onde captate da fenomeni di fusione di corpi compatti (buchi neri ma anche stelle di neutroni) e i modelli generati in laboratorio consentono di stabilire quali masse possano aver generato l'evento, giungendo quindi a una stima della massa dei buchi neri originari e risultati dalla fusione. 

Un terzo metodo è stato applicato alla galassia M 87 da astrofisici del Moscow Institute of Physics and Technology a Settembre 2019: ancora un metodo indiretto che prende in esame la misura dei campi magnetici, della corrente elettrica all'interno dei getti e il tasso di accrescimento per giungere alla determinazione della massa sfruttando, stavolta, parametri decisamente più legati alla natura del buco nero. I risultati su M 87 sono parsi buoni quindi, anche se il modello non fornisce stime più precise degli altri (ma uguali), rappresenta un modo di derivazione che parte non più da oggetti esterni in orbita ma dalle caratteristiche stesse del buco nero e dei suoi getti (E E Nokhrina et al, M87 black hole mass and spin estimate through the position of the jet boundary shape breakMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2019).

Ancora un metodo per stimare la massa del buco nero al centro di AGN proviene dalla misura della lunghezza e della luminosità delle righe di emissione prodotte dal gas riscaldato e ionizzato della radiazione ultravioletta vicino al buco nero. Una misurazione soltanto sembra sufficiente a estrarre il dato ricercato, a patto di isolare la luminosità da quella della galassia ospite (The Astrophysical Journal  - “The Sloan Digital Sky Survey Reverberation Mapping Project: Estimating Masses of Black Holes in Quasars with Single-Epoch Spectroscopy” - Elena Dalla Bontà).

Ancora, una relazione che può dire molto sulla massa di un buco nero si ha con lo sfarfallio di luce emanata dal disco di accrescimento, come si legge su Science nel tardo 2021: la variazione di luminosità osservata in 67 galassie attive ha infatti portato a una misurazione su scale temporali caratteristiche, più lunghe per i buchi neri più massivi (stessa relazione è stata scoperta per le nane bianche nonostante la massa decisamente inferiore). I processi che regolano il tremolio della luce durante l'accrescimento, quindi, sembrano universali e questo potrebbe anche andare a favorire il ritrovamento del primo buco nero di massa intermedia osservato direttamente, oltre quello accertato tramite onde gravitazionali (Science - “A characteristic optical variability time scale in astrophysical accretion disks” -  Colin J. Burke et al) 

Informazioni circa il buco nero possono provenire, in modo straordinario, anche dai battiti dello stesso. Non si tratta di una osservazione semplice, anzi: ad oggi si contano soltanto due buchi neri per i quali sono state osservate pulsazioni di tipo "heartbeat" e uno di questi mantiene il ritmo da più di un decennio. Si trova al centro della galassia RE J1034+396, distante 600 milioni di anni luce dalla Terra, e il battito venne osservato per la prima volta nel regno dei raggi X nel 2010 prima di dover sospendere le osservazioni per l'interposizione del Sole. A distanza di anni, nel 2018 il satellite XMM-Newton ha ritrovato lo stesso battito, derivante probabilmente dalla parte interna del disco di accrescimento che si espande e si contrae. Il secondo sistema noto per i suoi battiti ha una massa centomila volte più piccola e fa parte di un sistema binario, con luminosità e tempistiche inferiori (Re-observing the NLS1 Galaxy RE J1034+396. I. the Long-term, Recurrent X-ray QPO with a High SignificanceMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).

 

 

Il 10 aprile del 2019 la collaborazione Event Horizon Telescope ha fornito la prima immagine dell'ombra di un buco nero, immagine ottenuta tramite l'utilizzo di vari radiotelescopi in grado di creare uno strumento virtuale delle dimensioni della Terra. Il buco nero osservato è quello della galassia M 87. Per i dettagli è possibile fare riferimento all'articolo scritto per l'occasione e all'intervista al Prof. Luciano Rezzolla in Incontri di Astronomia (10 maggio 2019). Una immagine che è valsa ai 347 scienziati che hanno collaborato il Breakthrough Prize in Fundamental Physics, 3 milioni di dollari noti come "Oscar della Scienza".

 

L'immagine elaborata dai dati della Collaborazione EHT che mostra l'ombra del buco nero di M87. Crediti EHT
L'immagine elaborata dai dati della Collaborazione EHT che mostra l'ombra del buco nero di M87. Crediti EHT
Simulazione dell'osservazione di un buco nero con disco
Simulazione dell'osservazione di un buco nero con disco

La simulazione evidenzia il modo in cui la gravità distorce la radiazione con evidenti conseguenze sul modo di osservare il disco di accrescimento . Si formano punti brillanti che costantemente vengono poi dissipati nel disco mentre più vicino al buco nero il gas orbita a velocità prossime a quella della luce. Questa differenza di velocità rispetto alle zone più esterne produce righe chiare e scure nel disco.

Il fatto che il gas sembri più brillante nel lato sinistro rispetto a quello destro è dovuto al moto del gas stesso, che nel primo caso è in avvicinamento all'osservatore mentre nel secondo caso è in allontanamento. Più vicino al buco nero, la curvatura della luce diventa così forte da consentire di osservare il disco come un anello brillante che sembra circondare il corpo centrale (anello di fotoni) e che diventa più debole man mano che ci si allontana dal centro. La forma circolare perfetta deriva dal buco nero, ipotizzato come sferico.

Punti di importanza nell'effetto del buco nero sull'osservazione
Punti di importanza nell'effetto del buco nero sull'osservazione

Una immagine del genere non esaurisce la propria portata scientifica a ridosso della sua pubblicazione ma rappresenta una sorgente inesauribile di dati da estrarre e così a inizio 2020 al Center for Astrophysics di Harvard hanno evidenziato la presenza di interessanti sottostrutture ad anello. Il buco nero intrappola ogni fotone che attraversa l'orizzonte degli eventi, proiettandone l'ombra sulla regione a emissione del gas in caduta. Un anello di fotoni circonda questa ombra, prodotta dalla luce concentrata dalla immensa gravità del buco nero. L'ombra è legata quindi a un anello di luce, corrispondente ai fotoni che passano vicini al buco nero prima di fuggirne. L'anello trasporta con sé la firma del buco nero, la sua dimensione e forma unitamente a massa e rotazione e immagini come quella ottenuta da EHT rappresentano un nuovo strumento per studiare oggetti così complessi.

L'animazione mostra come si forma l'immagine del buco nero dalla serie di anelli e sotto-anelli e dalle traiettorie dei fotoni: l'anello è un insieme di sottoanelli sottoposti a "stacking", in cui ciascun sotto-anello n corrisponde ai fotoni che hanno orbitato intorno al buco nero n/2 volte prima di raggiungere l'osservatore.

 

 

 

 

Crediti Michael D.Johnson (CfA), George Wong (UIUC)

 

Gli anelli più interni sono quasi impercettibili all'occhio umano nelle immagini ma sono nette e forti per gli interferometri, quindi per ottenerle sono sufficienti due telescopi purché ben distanziati (M.D. Johnson el al., "Universal interferometric signatures of a black hole's photon ring," Science Advances - 2020).  Un teorema del Max Planck pubblicato nel 2020 evidenzia come i buchi neri stazionari debbano avere, come regola generale, almeno un anello luminoso per ciascuno dei sensi di rotazione. Questi anelli possono codificare molte informazioni fondamentali sui buchi neri e potrebbero essere alla portata degli osservatori moderni come LIGO-VIRGO e come Event Horizon Telescope. Secondo la Relatività Generale, buchi neri stabili e in spazio vuoto hanno proprietà molto limitate ma lo studio del Max Planck si pone in un ambito in cui non si assume nessuna legge di gravità come corretta, assumendo soltanto che qualsiasi legge di gravità corretta consenta l'esistenza di buchi neri.  Il fatto che ciascun buco nero sia in possesso di almeno un anello di luce ha importanti implicazioni: ad esempio, la sagoma di un buco nero - nota come ombra del buco nero - è diversa e più grande di quella che ci si attenderebbe dalle dimensioni del buco nero stesso (Pedro V. P. Cunha et al. Stationary Black Holes and Light RingsPhysical Review Letters - 2020). 

I dati raccolti tra il 2009 e il 2013 - alcuni mai pubblicati - sono stati analizzati rivelando il comportamento del buco nero su più anni, un comportamento che ha mostrato la persistenza dell'ombra a "mezzaluna" nonché una variazione del suo orientamento, con la mezzaluna che oscilla nel tempo. IL diametro dell'ombra è rimasto in pratica coerente con sé stesso e con le aspettative dei modelli mentre l'anello oscilla, consentendo di osservare la struttura dinamica del flusso di accrescimento in prossimità dell'orizzonte degli eventi, in condizioni di estrema gravità. L'oscillazione è dovuto alla turbolenza del flusso di materia ma sono pochi i modelli teorici che consentono il numero di oscillazioni osservato, il che significa che è possibile iniziare ad escludere alcuni di questi modelli in base alle osservazioni (Maciek Wielgus et al. Monitoring the Morphology of M87* in 2009–2017 with the Event Horizon TelescopeThe Astrophysical Journal - 2020).

Oscillazione della mezzaluna luminosa di M87. Credit: M. Wielgus and the EHT Collaboration
Credit: M. Wielgus and the EHT Collaboration
La diversa posizione nel tempo della zona luminosa dell'anello. Credit: M. Wielgus, D. Pesce and the EHT Collaboration
La diversa posizione nel tempo della zona luminosa dell'anello. Credit: M. Wielgus, D. Pesce and the EHT Collaboration

Nel 2021 sono giunti, invece, i dati sulla polarizzazione della radiazione osservata, il che è di fondamentale importanza per comprendere la presenza e le caratteristiche del campo magnetico lungo il bordo più estremo dell'ambiente che circonda il buco nero di M87. I getti di materia in uscita si estendono per 5 mila anni luce a partire dal centro e originano da alcune particelle prossime al buco nero che riescono a sfuggire a energie elevatissime. La polarizzazione osservata fa luce, ancora di più, sulla struttura di questa zona estrema e ha consentito di scartare alcuni modelli a favore di quelli che prevedono gas fortemente magnetizzato: solo questa condizione può respingere il gas caldo in caduta, tenerlo in bilico prima dell'ingresso nel punto di non ritorno, rappresentando tra l'altro un modello di accrescimento tutt'altro che ordinato (The Astrophysical Journal Letters - “First M87 Event Horizon Telescope Results VII: polarization of the ring” - The Event Horizon Collaboration). In particolare, il campo magnetico è risultato poloidale (lungo la direzione verticale del getto) e si misura tra 1 e 30 gauss, che alla scala di una zona così vasta indica una potenza enorme. 

Confronto tra osservazione e modello teorizzato sulla polarizzazione attesa. Crediti: S. Issaoun, M. Mościbrodzka with Polarimetry Wg and Owg
Confronto tra osservazione e modello teorizzato sulla polarizzazione attesa. Crediti: S. Issaoun, M. Mościbrodzka with Polarimetry Wg and Owg

Potrebbe esistere vita su un pianeta in orbita intorno a un buco nero? Inizialmente la mancanza di luce ha sempre fatto propendere per un secco "no" ma il film Interstellar, guidato tecnicamente da Kip Thorne, ha indotto qualche scienziato a indagare a fondo la problematica. La luce, in effetti, esisterebbe poiché deriverebbe dal disco di accrescimento, in grado di fornire luce e energia. Il problema sarebbe l'instabilità del disco ma anche lo spostamento verso il blu impresso dal buco nero stesso, shift che determinerebbe una energia catastrofica per la vita eventualmente presente (Life on Miller's Planet: "The Habitable Zone Around Supermassive Black Holes" 

Ultimo aggiornamento del: 18/08/2021 12:47:56

Proprietà e tipologie di buchi neri

Massa, rotazione e carica elettrica sono i parametri che caratterizzano totalmente un buco nero. In base alla massa è possibile distinguere tra tre tipologie di buco nero, delle quali una deve ancora trovare conferma osservativa.

In base alle soluzioni fornite alle equazioni di Einstein, i buchi neri possono avere diverse caratteristiche ma i parametri fondamentali che li descrivono totalmente sono essenzialmente tre: 

  1. massa
  2. carica elettrica
  3. momento angolare o spin, quindi rotazione

La massa può assumere qualsiasi valore positivo (il fatto di essere buco nero dipende dal volume rapportato al raggio di Schwarzschild) mentre carica elettrica Q e momento angolare J vengono a dipendere proprio dalla massa secondo la relazione: 

Q2 + (J / M)2 <= M2

In generale la dimensione di un buco nero rotante e con carica elettrica si approssima con il Raggio di Schwarzschild Rsc, pari a:

Rsh = (2GM / c2) ~= 2.95(M / Msole) km

I buchi neri sono quindi descrivibili con soli tre parametri: due buchi neri che possiedono valori uguali per questi tre parametri non possono avere differenze legate ad altro (no-hair theory: i buchi neri non hanno capelli). Una prova è venuta da previsioni e osservazioni di Spitzer Space Telescope su un sistema binario di buchi neri supermassivi presente all'interno della galassia OJ 287. Il più grande di buchi neri è anche tra i più grandi conosciuti, con massa di 18 miliardi di masse solari, mentre il minore è di "appena" 150 milioni di masse solari. Due volte ogni dodici anni, il buco nero minore si schianta nell'enorme disco di gas che circonda il buco nero maggiore producendo un lampo di luce enorme, più luminoso della Via Lattea intera, impiegando 3.5 miliardi di anni per giungere a noi. Si tratta di una orbita elongata e irregolare, che a ogni giro aumenta la propria inclinazione rispetto al disco di gas e che nel momento dello schianto forma due getti di gas caldo che si allontanano in direzioni opposte e che aumentano di quattro volte la luminosità dell'oggetto in meno di quattro ore. Proprio l'irregolarità dell'orbita fa sì che gli schianti non avvengano a intervalli regolari ma proprio questo ha consentito agli scienziati di affinare via via i propri modelli, introducendo anche le nuove conoscenze sulle [V]onde gravitazionali[/V] derivanti dalle detection di LIGO-Virgo, giungendo a prevedere con esattezza di 4 ore il prossimo flash. La prova della previsione è giunta dal telescopio orbitante Spitzer, fortunatamente, visto che la previsione riguardava proprio un giorno in cui la galassia era in congiunzione con il Sole e non ci sarebbe stato altro modo di osservarla. Questa osservazione, si diceva, va ad avallare anche il teorema "no-hair" dei buchi neri: eventuali deviazioni dalla forma sferica e levigata del buco nero, infatti, comporterebbero variazioni nei periodi orbitali, cosa che non è stata assolutamente registrata. In poche parole, tagliando in verticale, in due parti, un buco nero lungo l'asse di rotazione, scopriremmo che le due parti risultati sono perfettamente simmetriche (Seppo Laine et al. - Spitzer Observations of the Predicted Eddington Flare from Blazar OJ 287The Astrophysical Journal 2020). D'altro canto uno studio di fine 2020 del SISSA di Trieste afferma, sulla base di simulazioni numeriche, come i "capelli" (ovvero informazioni aggiuntive) siano indotti a crescere laddove il buco nero inizi a ruotare più velocemente di una certa soglia, il che potrebbe essere campo di studio di una Relatività Generale estesa (Physical Review Letters - “Spin-induced black hole spontaneous scalarization” - Alexandru Dima et al.). 

Altra prova a favore viene dalla temporaneità dei campi magnetici del disco di accrescimento: se un buco nero mantenesse a lungo un campo magnetico, infatti, la regola "no hair" verrebbe violata ma così non è. Le simulazioni hanno infatti dimostrato come le linee del campo magnetico intorno al buco nero si spezzano e si riconnettono molto rapidamente, creando sacche di plasma che si lanciano nello spazio o cadono nel buco nero in un processo che spiega i brillamenti osservati ma che, soprattutto, prosciuga il campo magnetico (Physical Review Letters - “Magnetic Hair and Reconnection in Black Hole Magnetospheres” - Ashley Bransgrove et al)

 

I buchi neri più semplici sono quelli risultanti dalle equazioni di Schwarzschild e hanno soltanto la massa maggiore di zero, risultando quindi privi di carica elettrica e non rotanti. In tali condizioni i buchi neri sono perfettamente sferici come sferico è il campo gravitazionale, con la conseguenza che gli effetti gravitazionali di un buco nero di Schwarzschild al di fuori dell'orizzonte degli eventi sono esattamente gli stessi di qualsiasi altro corpo celeste di massa uguale.
Buchi neri con carica elettrica sono detti buchi neri di Reissner-Nordstrom.
Buchi neri rotanti sono detti buchi neri di Kerr.
Un buco nero rotante con carica elettrica è definito come buco nero di Kerr-Newman.

In base alla massa si è soliti distinguere tra buchi neri supermassivi, buchi neri di taglia stellare e - tra le due classi - una dibattuta classe di buchi neri di taglia intermedia dei quali a oggi non si ha ancora alcun esempio concreto, sebbene negli ultimi anni qualche indizio sembra essere stato posto in risalto.

Buchi neri di taglia stellare

I buchi neri stellari sono quelli che derivano dal collasso gravitazionale di stelle di grande massa giunte al termine delle proprie capacità di innescare fusioni nucleari.

Man mano che che la densità della materia stellare aumenta, il campo gravitazionale diventa sempre più forte fino al punto di determinare una velocità di fuga superiore alla velocità della luce. Per la morte delle stelle di grandi massa si può fare riferimento alla sezione dedicata
Il limite minimo di massa per un buco nero stellare sembra attestarsi intorno alle 3.8 masse solari, rappresentanti la massa limite che può essere sopportata da una stella di neutroni sebbene la misura precisa sia ancora incerta. In realtà ogni corpo può divenire un buco nero, a condizione che la sua massa sia compressa in un volume pari o inferiore al raggio di Schwarschild per la massa in gioco. A oggi il buco nero meno massivo tra quelli noti (e anche tra i più vicini) è battezzato "Unicorno" dal nome della costellazione che lo ospita. Annunciato il 21 aprile 2021, la sua massa risulta di circa 3 masse solari e dista 1500 anni luce dalla Terra. Forma un sistema binario insieme a una gigante rossa .

Qualche mistero è presente anche per la massa-limite superiore, derivante dalla massa massima che una stella può raggiungere. Si è sempre pensato che questa massa potesse aggirarsi sulle 20 masse solari ma prima la detection delle onde gravitazionali con masse nell'ordine delle 40 e poi la scoperta diretta di LB-1, un buco nero di un sistema binario con una massa stimata in ben 70 masse solari, hanno rimesso tutto in discussione. La stima di 70 masse sembrava avvalorata dal fatto che il buco nero formasse un sistema binario con una stella di otto masse solari, con orbita reciproca di 79 giorni. Secondo le attuali conoscenze sull'evoluzione stellare un simile buco nero non dovrebbe esistere poiché stelle così massicce dovrebbero espellere gran parte della propria massa, prima di morire, sotto forma di vento stellare e non lasciare nulla, men che meno un buco nero così massivo (A wide star–black-hole binary system from radial-velocity measurementsNature - 2019). Proprio questa anomalia ha innescato una serie di controlli da parte di altri team, scoprendo come quanto osservato possa essere giustificato in realtà anche da una stella di neutroni massiccia o da una stella ordinaria, addirittura. In realtà il buco nero di 70 masse solari che tanto ha destato l'interesse mediatico è stato dedotto dal comportamento del sistema binario, il quale però potrebbe essere stato male interpretato. Lo spettro della stella compagna esibisce infatti abbondanze di elementi - quali elio, carbonio, azoto e ossigeno - che non sono tipiche della superficie di una giovane stella. La compagna, quindi, deve aver interagito in passato con l'oggetto compatto: durante questo trasferimento di massa a favore dell'oggetto compatto gli strati esterni della stella sono stati rimossi lasciando visibile soltanto il nucleo di elio spogliato. La massa finale della stella è stata così stimata in sole 1.1 masse solari, il che porta a stimare la massa del compagno compatto in 2-3 masse solari, il che porterebbe a una stella di neutroni o, addirittura, a una stella normale (A. Irrgang et al, A stripped helium star in the potential black hole binary LB-1Astronomy & Astrophysics - 2020). Una smentita viene anche dall'analisi delle due righe osservate nel primo studio: la riga imputata al disco del buco nero, in realtà, non si muove affatto ma sembra muoversi come conseguenza del movimento della stella (prima riga osservata). Sulla base di questo è possibile riprodurre le osservazioni anche in assenza di un buco nero così massivo (Jifeng Liu et al. A wide star–black-hole binary system from radial-velocity measurementsNature - 2019). Restano, però, le masse stimate in seguito alle detection di onde gravitazionali, il cui limite superiore finora è stato trovato in 50 masse solari (GW170729). Come si può far combaciare questa massa con i limiti teorici? Potrebbe trattarsi di buchi neri di seconda generazione, nati dalla fusione di buchi neri più piccoli. Ciascuno di questi buchi neri di seconda generazione può posizionarsi su un certo livello dell'albero gerarchico delle fusioni e la posizione può essere dedotta dall'impronta sulle onde gravitazionali. Oggetti di seconda generazione potrebbero essere presenti in circa 1/50 degli eventi trovati dagli interferometri ma ad oggi è possibile osservare esclusivamente oggetti presenti a distanze inferiori a redshift 1. Si caratterizzano per una massa ovviamente maggiore, crescente in base al numero di generazione, ma anche per un effetto di orbital hang up sullo spin, effetto che regola il numero di orbite compiute dalla binaria al variare dello spin. In tal senso, buchi neri gerarchici hanno spin intorno a 0.7 (Nature Astronomy - “Hierarchical mergers of stellar-mass black holes and their gravitational-wave signatures” - Davide Gerosa et al).

I buch neri di seconda generazione non sono tuttavia l'unica spiegazione. Al Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe hanno così simulato la morte stellare prendendo a riferimento astri con masse comprese tra 80 e 130 masse solari, evidenziando il processo di supernova a instabilità pulsazionale: nei sistemi binari stretti le stelle tra 80 e 130 masse solari perdono il guscio di idrogeno e diventano stelle di elio con masse tra 40 e 65 masse solari. Stelle sovra-compresse bruciano l'ossigeno in modo esplosivo, il che innesca un collasso e una espansione rapida della stella nella quale parte del guscio esterno viene rilasciato a fronte di una parte interna che collassa di nuovo. La pulsazione data da collasso e espansione si ripete fino a esaurimento dell'ossigeno in un processo chiamato Pulsational Pair-Instability (PPI), fino a formazione di un nucleo di ferro e al collasso finale in buco nero con esplosione di supernova (PPI-SN). Dal calcolo di queste pulsazioni, il team ha trovato come limite massimo alla massa dei buchi neri quello di 52 masse solari. Le stelle più massicce di 130 masse solari, che formano stelle di elio più massicce di 65 masse solari, vedono il nucleo totalmente distrutto dal processo di esplosione, senza formazione di buco nero rimanente. Stelle oltre le 300 masse solari, invece, possono formare buchi neri superiori alle 150 masse solari, il che lascia un gap di masse tra 52 e 150. Il resto di GW170729 è quindi, probabilmente, il resto di una supernova PPI (Shing-Chi Leung et al. Pulsational Pair-instability Supernovae. I. Pre-collapse Evolution and Pulsational Mass EjectionThe Astrophysical Journal - 2019).

Ciò che risulta evidente dal confronto tra le osservazioni con telescopi "normali" e quelle operate tramite interferometri gravitazionli è un discostamento tra le masse: i telescopi normali, che "osservano" buchi neri esclusivamente da effetti luminosi indotti, raramente scoprono buchi neri stellari oltre le 15 masse solari mentre gli interferometri evidenziano segnali da oggetti decisamente più grandi. Come mai i due dataset sono così differenti? Si tratta di un problema di bias, quindi presente proprio nelle tipologie di osservazioni portate avanti. In genere, i buchi neri più piccoli si formano da esplosioni stellari che tendono a scalciare l'oggetto rimanente, portandolo lontano dal luogo di origine e quindi in luoghi in cui è difficile provocare effetti secondari osservabili. Buchi neri più pesanti tendono invece a rimanere in zona, in un ambiente ricco di detriti e polvere (The Astrophysical Journal - “The observed mass distribution of Galactic black hole LMXBs is biased against massive black holes”, - Peter G. Jonker et al.)

Non è semplice distinguere l'emissione X di un buco nero in accrescimento da quella di una stella di neutroni in accrescimento, sebbene il primo sia privo di una superficie dura tipica della seconda categoria di oggetto. Soltanto nel 2020 sembra essere giunto un metodo per poter distinguere in maniera netta le due emissioni, il che fornirebbe effettivamente la prova di un buco nero di taglia stellare all'interno di sistemi binari di ambigua natura (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020). 

Una alternativa ai buchi neri vede la formazione di Generic Objects of Dark Energy (GEODEs), oggetti del tutto simili ai buchi neri dall'esterno che sostituiscono, tuttavia, la singolarità con energia oscura. 

Nel 2020 il Chandra X-ray Observatory ha riportato un burst del buco nero di taglia stellare MAXI J1820+070, con espulsione di materia a una velocità prossima a quella della luce. Il buco nero si trova a 10 mila anni luce dalla Terra e la sua massa è di otto masse solari mentre la stella compagna ha una massa pari a mezza massa solare e cede materia all'oggetto compatto. La materia si dispone in un disco di accrescimento generando raggi X. Il getto che si dirige verso di noi sembra muoversi al 160% della velocità della luce, qualcosa che la Relatività vieta e che è inquadrato come fenomeno di moto superluminale: il fenomeno si verifica quando qualcosa viaggia verso di noi a velocità relativistiche, il che fornisce l'illusione che il moto sia più rapido dei 300 mila chilometri al secondo (Relativistic X-ray jets from the black hole X-ray binary MAXI J1820+070).

Buchi neri supermassivi

I buchi neri supermassivi sono presenti al centro di tutte, o quasi, le galassie. La modalità di formazione di simili buchi neri, le cui masse raggiungono spesso i miliardi di masse solari, è ancora oggi argomento di forte dibattito essendo legata al processo di formazione delle galassie ospiti e quindi anche alla natura e al comportamento della elusiva materia oscura
Una domanda aperta riguardante i buchi neri supermassivi verte sui processi che possono aver dato luogo a concentrazioni di massa così grandi in tempi in cui l'universo era ancora molto giovane, circa 13 miliardi di anni fa. I processi di accumulo di simili masse a noi noti, infatti, richiedono molto tempo e scovare buchi neri di milioni o miliardi di masse solari quando l'universo aveva una età pari al 5% di quella attuale è da sempre un mistero. Le ipotesi sono comunque diverse, anche se nessuna è confermata: queste masse potrebbero ad esempio essere nate dall'interazione tra flussi di gas supersonici lasciati dal Big Bang e la materia oscura, processo che stando alle simulazioni potrebbe richiedere appena 100 milioni di anni. Questa interazione, infatti, potrebbe creare protostelle di circa 34 mila masse solari in un lasso di tempo molto limitato. Il collasso di queste stelle, ripetuto più volte, potrebbe aver dato vita alla fusione di molteplici buchi neri fino ai "mostri" che vediamo oggi al centro delle galassie. Il progetto SmartStars, basato sui supercomputer irlandesi di ICHEC, ha simulato la formazione di stelle fino a 250 mila masse solari in un tempo compreso in appena duecento milioni di anni dopo il Big Bang. Da simili stelle potrebbero essere nati i semi dei futuri buchi neri supermassivi. A sostegno di queste fusioni è anche un lavoro pubblicato a Marzo 2020 dalla SISSA di Trieste, grazie a un modello che prevede una formazione molto rapida nelle fasi iniziali della formazione dei buchi neri e prende come ipotesi (osservativamente valida) della formazione nella zona centrale delle galassie. Le stelle più massive vivono poco ed esplodono in buchi neri stellari di decine di masse solari, ma a fronte della limitata massa vi è il numero di buchi neri, molto elevato, e proprio da questi oggetti sarebbero derivate numerose fusioni fino a creare il buco nero supermassivo. Il processo può far raggiungere le centomila masse solari in appena 50-100 milioni di anni, e a tal punto il processo di acquisizione di gas dalle zone circostanti diventa veloce e predominante sulle fusioni. Una prova può venire dai futuri rilevatori di onde gravitazionali, visto che un periodo di fusioni così intenso può produrre un tappeto di onde rilevabili (The Astrophysical Journal - “Growth of Supermassive Black Hole Seeds in ETG Star-Forming Progenitors: Multiple Merging of Stellar Compact Remnants via Gaseous Dynamical Friction and Gravitational Wave Emission” - L. Boco, A. Lapi e L. Danese). Ancora su questa linea è un lavoro del 2021 da parte dell'istituto astrofisico di Taiwan, che parla di una supernova estrema da una stella supermassiva di circa 104–105 masse solari (Takashi J Moriya et al. Observational properties of a general relativistic instability supernova from a primordial supermassive starMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2021).

La formazione rapida di buchi neri così grandi in un tempo limitato è stata spiegata anche con un grande afflusso di gas, ma questo può essere valido solo se il gas è composto da idrogeno ed elio visto che la presenza di metalli spinge a favore della frammentazione e quindi della creazione di oggetti minori. Una soluzione viene da una simulazione del 2020 che ha previsto la formazione non solo da gas ma anche da stelle: contrariamente alle previsioni precedenti, in tal modo le stelle supermassive possono ancora formarsi a partire da nubi di gas arricchite tanto che si è giunti a simulare la formazione di una stella con massa pari a diecimila masse solari. Come previsto, la nube si sfalda a creare stelle più piccole ma esiste un forte flusso di gas verso il centro della nube. Il flusso trascina le stelle piccole, le quali vengono inghiottite da quelle più massive presenti al centro fino alla formazione di stelle decisamente molto massive, ottime precursori di un buco nero supermassivo (Sunmyon Chon et al, Supermassive star formation via super competitive accretion in slightly metal-enriched cloudsMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).

 

 

Circa il 40% dei quasar distanti è circondato da giganti aloni di gas, estesi fino a centomila anni luce e indice della presenza di enormi quantità di idrogeno nelle vicinanze, tali da consentire al buco nero di continuare ad alimentarsi e di far registrare una potente formazione stellare . L'approvvigionamento di gas avviene a opera di filamenti gassosi (cosmic web) in grado di trasportare gas dallo spazio fino alle galassie, ma si tratta di un gas tenue e invisibile se non interposto tra noi e un quasar distante. Se questo avviene, allora la luce del quasar è parzialmente assorbita dalla composizione chimica del gas stesso: l'idrogeno assorbe e riemette radiazione accendendosi nell'ultravioletto come riga di Lyman-alfa. Scoprire la consistenza di questi filamenti può fornire indizi riguardo il processo in grado di far crescere i buchi neri supermassivi anche in un tempo decisamente breve come quello evidenziato dalle osservazioni dell'universo distante (The Astrophysical Journal - “The REQUIEM Survey I: A Search for Extended Ly–Alpha Nebular Emission Around 31 z > 5.7 Quasars” - Emanuele Paolo Farina et al.). I buchi neri supermassivi si alimentano, quindi, tramite filamenti lunghissimi e molto stretti: la prova osservativa è venuta da Hubble, dal VLT e da ALMA relativamente al buco nero di NGC 1566, distante 40 milioni di anni luce in direzione del Dorado. I filamenti si separano per poi convergere di nuovo verso il centro galattico (Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - “Dust in the central parsecs of unobscured AGN: more challenges to the torus” - M Almudena Prieto et al.)

Esiste però anche la possibilità teorica che i buchi neri possano addirittura precedere la formazione stellare, secondo uno studio avanzato per la prima volta da Stephen Hawking negli anni Settanta del secolo scorso: per provare questa teoria sarebbe necessario captare onde gravitazionali da fusioni di buchi neri oltre una certa distanza, precisamente oltre un redshift pari a 40 (Brown University e Harvard University, Dicembre 2017, Physical Review Letters). Se trovassimo una onda generata oltre questa distanza, e quindi entro i primi 65 milioni di anni dal Big Bang, allora potremmo avere la certezza che i processi che formano i buchi neri non sono solo legati alle stelle ma questa possibilità è ancora tecnologicamente molto lontana. Una soluzione all'enigma potrebbe derivare anche da osservazioni ottenute tramite Chandra X-ray Telescope sulla galassia  M 77: i dettagli osservati nelle zone limitrofe al buco nero hanno infatti rivelato la sorprendente presenza di due dischi: quello più interno, esteso da 2 a 4 anni luce dal centro, ha una rotazione in linea con la rotazione del buco nero mentre un disco più esterno, esteso da 4 a 22 anni luce, ruota in senso contrario. E' proprio l'instabilità di un disco simile che potrebbe far cadere molta più materia verso il buco nero, accelerandone l'acquisizione di massa. Attualmente i dischi di M 77 appaiono stabili ma il loro futuro è quello di fondersi in un clima di instabilità che creerà veri fuochi d'artificio dal centro galattico (C. M. Violette Impellizzeri et al, Counter-rotation and High-velocity Outflow in the Parsec-scale Molecular Torus of NGC 1068The Astrophysical Journal - 2019).

Rappresentazione dei dischi di M77. Crediti ALMA
Rappresentazione dei dischi di M77. Crediti ALMA

Una teoria alternativa alla formazione di queste strutture così massive chiama in causa la materia oscura : nel 2020 un team di astronomi ha elaborato infatti un modello che vede la materia oscura all'origine dell'addensamento della massa al centro delle galassie. In tal caso il nucleo galattico dovrebbe essere composto stabilmente di materia oscura, con un alone più diluito a circondarlo, in un processo molto più veloce rispetto al modello "standard" e quindi in grado anche di spiegare la presenza di strutture molto massive in un universo "troppo" giovane (Carlos R Argüelles et al, On the formation and stability of fermionic dark matter haloes in a cosmological frameworkMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020). Il collasso di un alone di materia oscura torna anche in un lavoro del 2021: nel caso in cui la materia oscura fosse in possesso di interazioni autonome, il collasso graviotermico di un alone potrebbe portare a un buco nero abbastanza massivo da giustificare le osservazioni, con un tasso di crescita più coerente con le aspettative generali. La grande massa sarebbe quindi giustificata con una base di partenza maggiore e non con un tasso di accrescimento fuori dal comune. In questo scenario, le particelle di materia oscura si raggruppano sotto l'influenza della gravità a formare un alone il quale, evolvendosi, subisce due forze in competizione: gravità e pressione. La prima attrae le particelle verso l'interno e la seconda le spinge verso l'esterno, proprio come accade nelle stelle. Senza interazioni nella materia oscura, le particelle che vengono attratte si riscaldano e aumentano la pressione rimbalzando. Se, invece, la materia oscura è in grado di autointeragire, il calore può essere dissipato verso le particelle più vicine e questo rende più difficile il rimbalzo. L'alone centrale, destinato secondo il modello a collassare, ha un momento angolare, quindi ruota. Le autointerazioni possono aumentare attrito dissipando anche il momento angolare con la conseguenza che l'alone centrale, di massa fissa, tende a restringersi di raggio e a rallentare la rotazione fino a collassare in un buco nero, il cui accrescimento si basa in seguito sulla materia barionica circostante (Wei-Xiang Feng et al, Seeding Supermassive Black Holes with Self-interacting Dark Matter: A Unified Scenario with BaryonsThe Astrophysical Journal Letters - 2021). 

Un aiuto alla comprensione della formazione dei buchi neri supermassivi viene, come sempre, dall'osservazione. In particolare è stato osservato uno dei più piccoli buchi neri supermassivi noti (meno di un milione di masse solari), in una galassia poco distante da noi e nota come "Fantasma di Mirach", grazie alle antenne di ALMA. La massa del buco nero è compatibile con il modello di formazione del "collasso diretto" ma l'oggetto sta ancora acquisendo materiale quindi i modelli più brutali di mero collasso non sembrerebbero veri visto che l'acquisizione di massa continua anche dopo, ma c'è da dire che NGC 404 sembra il risultato di una fusione galattica e quindi il suo buco nero potrebbe anche essere derivato dalla fusione dei due buchi originali. Si tratta di una osservazione quindi il campione è ridottissimo ma le nuove tecniche consentiranno in futuro di avvicinarsi sempre più alla comprensione del fenomeno (Timothy A Davis et al. Revealing the intermediate-mass black hole at the heart of the dwarf galaxy NGC 404 with sub-parsec resolution ALMA observationsMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).

In ogni caso, si è concordi nel ritenere che esista una fase nella formazione in cui il buco nero venga a essere circondato da uno spessissimo bozzolo di materiale, che servirà durante la formazione alla fase di accrescimento e di emissione di radiazione X. Questo bozzolo così spesso fa sì che la radiazione che ci giunge dal buco nero sia molto minore rispetto a quella preventivata e in tal caso si parla di buchi neri fortemente oscurati. Proprio dal confronto tra le emissioni in tutto lo spettro (tranne i raggi X) e i raggi X si riesce a stabilire se il buco nero centrale di una galassia sia in fase di forte oscuramento, anche se la distinzione non è affatto semplice, tanto che oltre i 5 miliardi di anni luce se ne conoscono a oggi una ottantina circa, gli ultimi 28 dei quali scoperti nel 2020. Questa radiazione che non giunge a noi potrebbe essere una componente importante per il fondo a raggi X . (A Large Population of Obscured AGN in Disguise as Low Luminosity AGN in Chandra Deep Field South - di F.Vito et al.)

Buchi neri supermassicci che non solo si formano molto presto, ma che molto presto iniziano a soffiare venti eccezionali secondo le osservazioni ottenute dalle antenne di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) su un campione di 48 quasar posti fino a 13 miliardi di anni luce di distanza: venti accelerati fino ai mille chilometri al secondo e che possono senz'altro sconvolgere la galassia ospite, riportando il discorso al feedback tanto discusso in cosmologia (Astronomy & Astrophysics - “Widespread QSO-driven outflows in the early Universe”, di M. Bischetti et al.).

La relazione tra la crescita del buco nero e quella della galassia, da sempre dibattuta, sembra essere confermata a Ottobre 2019 con uno studio che lega in modo molto stretto l'aumento di dimensione del buco nero supermassivo e il tasso di formazione stellare all'interno della galassia ospite. Per giungere al risultato sono state utilizzate simulazioni di evoluzioni in diverse regioni dell'universo da un tempo appena successivo al Big bang fino ai giorni odierni, comprendendo migliaia di galassie simulate in una grande varietà di ambienti cosmici. I risultati mostrano sempre una crescita del buco nero accompagnata dalla crescita della formazione stellare, indipendentemente dalla massa , dall'ambiente e dall'epoca. Buco nero e galassia crescono quindi in tandem in una relazione di "auto-correzione": se il buco nero cresce troppo rapidamente rispetto alla galassia, processi fisici assicurano un rallentamento relativo. Se la massa del buco nero resta troppo piccola, invece, il tasso di crescita del buco nero stesso va a compensare (Angelo Ricarte et al. Tracing black hole and galaxy co-evolution in the Romulus simulations, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2019). Un problema aperto, in tal senso, riguarda la mancata detection - a oggi  del buco nero supermassivo della galassia che domina la zona centrale dell'ammasso Abell 2261, buco nero che dovrebbe avere una massa tra 3 e 100 miliardi di masse solari e che quindi dovrebbe riuscire a manifestarsi in qualche modo. Fino a oggi, invece, non vi è traccia nelle osservazioni a raggi X e neanche nelle zone limitrofe, andando a cercare possibili espulsioni dell'oggetto legate a fusioni tra galassie.  La fusione potrebbe essere testimoniata da una regione centrale in cui il numero di stelle è pari o prossimo al valore massimo e dal fatto che la maggior concentrazione stellare si trovi oltre duemila anni luce al di là del centro galattico, molto distante quindi. Nonostante questi indizi, nessun buco nero è stato trovato in zona decentrata (Kayhan Gultekin et al. Chandra Observations of Abell 2261 Brightest Cluster Galaxy, a Candidate Host to a Recoiling Black Hole).

Buchi neri supermassivi potrebbero derivare dalla fusione di buchi neri intermedi, ma anche in tal caso il problema sarebbe soltanto spostato: come si formano i buchi neri intermedi?

Molti buchi neri massivi e distanti emettono raggi gamma derivante dalla collisione tra fotoni e particelle altamente energetiche, collisioni che avvengono a ridosso del buco nero e che trasformano i raggi luminosi in raggi gamma. I processi dei quali si parla sono misteriosi e si verificano, probabilmente, nelle regioni a maggior campo magnetico che presentano turbolenze e riconnessioni, magari nei getti emessi. Le osservazioni di ALMA sul buco nero PKS1830-211, posto a più di 10 miliardi di anni luce dalla Terra, hanno evidenziato variazioni di struttura, nell'ordine dei minuti, nei campi magnetici delle zone sorgenti di radiazione gamma, il che implica processi che hanno luogo in regioni molto piccole e turbolente (I. Marti-Vidal et al. ALMA full polarization observations of PKS 1830−211 during its record-breaking flare of 2019Astronomy & Astrophysics - 2020).

A oggi il record di massa di un buco nero supermassivo nell'universo locale premia un esemplare all'interno del gruppo galattico Abell 85, all'interno della galassia Holm 15A, con 40 miliardi di masse solari. La sua massa è stata stimata tramite i dati fotometrici dell'Osservatorio di Wendelstein e gli spettri del Very Large Telescope. A spingere verso un approfondimento è stata la massa stellare della galassia, pari a due trilioni di masse solari, e l'aspetto molto diffuso della sua zona centrale, paragonabile per grandezza alla Grande Nube di Magellano. La distanza del gruppo è di 700 milioni di anni luce (A 40-billion solar mass black hole in the extreme core of Holm 15A, the central galaxy of Abell 85). Di poco inferiore (ma detentore del record per la massa misurata in un universo di appena 1.2 miliardi di anni) è il buco nero J2157, scoperto nel 2018 e pari a 34 miliardi di masse solari. Di questo, tuttavia, è noto anche il tasso di accrescimento che consiste in una massa solare al giorno. Se SgrA* volesse diventare come questo buco nero dovrebbe ingoiare i due terzi di tutte le stelle della Via Lattea (Christopher A Onken et al. A Thirty-Four Billion Solar Mass Black Hole in SMSS J2157-3602, the Most Luminous Known QuasarMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).

Ammasso Abell 85 ottenuto all'Osservatorio Wendelstein. La galassia centrale è Holm15A. Crediti Matthias Kluge/USM/MPE
Ammasso Abell 85 ottenuto all'Osservatorio Wendelstein. La galassia centrale è Holm15A. Crediti Matthias Kluge/USM/MPE

La massa dei buchi neri supermassivi sembra risentire di un limite superiore dato proprio dalle condizioni nelle quali si formano: dato il processo di formazione all'interno delle galassie, questi buchi neri non possono eccedere una certa massa limite ma questo verrebbe a cadere se buchi neri di massa estremamente alta si fossero creati prima della formazione stellare e galattica: si parla quindi dei buchi neri primordiali, i quali potrebbero raggiungere masse tali da far parlare di SLABH (Stupendously LArge Black Holes) (Bernard Carr et al. Constraints on stupendously large black holesMonthly Notices of the Royal Astronomical Society - 2020).

Il 2021 ha portato a una mappa in banda radio dei buchi neri supermassicci a opera di LoFar (LOw Frequency ARray), strumento specializzato nelle basse frequenze. Nella mappa riportata in basso, che copre circa il 2% del cielo, sono riportate onde lunghe fino a sei metri (circa 50 MHz), le più lunghe mai utilizzate per un'are di cielo così ampia (Astronomy & Astrophysics - “The LoFar LBA Sky Survey – I. Survey description and preliminary data release” - F. de Gasperin et al.). 

La mappa a onde radio ottenuta da Lofar relativamente a buchi neri supermassivi. Crediti: F. de Gasperin
La mappa a onde radio ottenuta da Lofar relativamente a buchi neri supermassivi. Crediti: F. de Gasperin

 

Buchi neri intermedi

Buchi neri di massa intermedia sono teorizzati da tempo (la loro massa sarebbe compatibile con i tempi "normali", contrariamente a quanto si conosca riguardo i buchi supermassivi) ma finora non si ha prova sicura della loro esistenza visto che mancano situazioni che abbiano portato alla stima di massa di mille o più masse solari. Si ritiene che buchi neri di massa intermedia possano esistere al centro degli ammassi globulari, facilitati da una concentrazione di stelle e quindi di massa nelle zone centrali, ma ad oggi esistono soltanto pochi candidati ancora da confermare. Due esempi sono dati da un candidato nell'ammasso globulare di 47 Tucanae e da uno nell'AGN di NGC 3319.

Rappresentazione della stella espulsa. Crediti A.Irrgang
Rappresentazione della stella espulsa.
Crediti A.Irrgang

Un altro candidato, ma del tutto ignoto, potrebbe invece aver determinato la velocità della stella  PG 1610+062. Questa stella, osservata dal Keck Observatory tramite Echellette Spectrograph and Imager (ESI), è stata studiata in dettaglio ottenendo informazioni sull'età (sorprendentemente giovane) e sulla massa (di nuovo sorprendentemente alta) oltre che sulla dinamica, che la vede espulsa dal disco galattico più o meno alla velocità di fuga della Via Lattea (HVSs - Hyper Velocity Stars). Proprio questa velocità necessita di una spinta del tutto compatibile con quella inferta da un buco nero di massa intermedia (A. Irrgang et al. PG 1610+062: a runaway B star challenging classical ejection mechanismsAstronomy & Astrophysics - 2019.

Tra i candidati più promettenti, tuttavia, HLX-1 è un oggetto con massa pari a 20 mila masse solari e fonte di raggi X estremamente potente. Scoperto nel 2009 da Sean Farrell tramite XMM-Newton, nel 2012 gli strumenti Hubble e Swift hanno rivelato un insieme di stelle giovani e azzurre in orbita intorno al corpo celeste . In molti scommettono sulla natura di buco nero intermedio, e potrebbe trattarsi di ciò che resta del buco nero di una galassia nana andata distrutta. A lui si aggiunge un oggetto di circa 50 mila masse solari risultato dalle immagini ottenute da Hubble Space Telescope come follow-up dei dati di Chandra X-ray Observatory e di XMM-Newton. Nel 2006 venne catturata una potente emissione a raggi X, con origine allora ignota e associata, con molta probabilità, a un buco nero. La sorgente è nota come 3XMM J215022.4+055108 e le immagini di Hubble Space Telescope si sono rivelate decisive per localizzare la zona di provenienza in un denso ammasso stellare di una galassia esterna alla nostra, forse resto di una galassia nana che ha visto sparire i propri strati più esterni.

Nel cerchio bianco in basso la posizione del candidato buco nero intermedio 3XMM-J215022.4+055108. Credit: NASA, ESA and D. Lin (University of New Hampshire)
Nel cerchio bianco in basso la posizione del candidato buco nero intermedio 3XMM-J215022.4+055108. Credit: NASA, ESA and D. Lin (University of New Hampshire)

A metà 2018 viene annunciata quella che, alla data dell'articolo, appariva come la prova più evidente della presenza di un buco nero intermedio, uno dei tanti misteri osservativi della cosmologia moderna. I dati di Chandra X-Ray Observatory, XMM-Newton e Swift hanno riguardato il decadimento luminoso di un burst verificatosi nell'ottobre 2003, decadimento giunto a termine dopo una decina di anni seguendo alla lettera quanto previsto per la curva prodotta da un evento di distruzione mareale di una stella in prossimità di un buco nero (TDE - Tidal Disruption Event). Proprio in base alla curva di luce è stato possibile stimare la massa del buco nero "assassino" e da questo si è giunti a una misurazione del tutto compatibile con quella dei buchi neri intermedi. Data la rarità di questi eventi, sembra possibile che l'evoluzione galattica possa comportare la nascita di tantissimi oggetti di questo tipo. Il problema è trovarli.

Un buco nero di massa intermedia potrebbe risalire, come formazione, all'universo delle prime stelle: si potrebbe pensare all'esplosione di una stella gigante ma anche al collasso diretto di una nube in buco nero. Se i buchi neri di massa intermedia si sono creati, quindi, all'inizio dell'universo, e se è vero che oggi non ne vediamo neanche uno, allora potremmo pensare che tutti quelli formati si siano già fusi a creare oggetti supermassivi. Si tratta, evidentemente, di una ipotesi azzardata e soprattutto priva di osservazioni a sostegno, ma una modalità sicura di formazione viene comunque seguendo la strada più ovvia, cioè quella della fusione di oggetti più piccoli. La prova osservativa viene dall'evento GW190521, un buco nero che ha visto fondersi due buchi neri di masse pari a 66 e 85 masse solari e che ha prodotto un buco nero (intermedio) di 142 masse solari (vedi onde gravitazionali).

Il 2021 porta alla scoperta di un buco nero di circa 55 mila masse solari, qualcosa che quindi - se confermato - si cala proprio nella zona dei buchi neri intermedi. La scoperta, pubblicata su Evidence, è stata resa possibile da una lente gravitazionale che ha amplificato un GRB dotato di una particolare eco di coda, causata proprio dalla presenza di questo buco nero. L'eco e il flash gamma sono state due manifestazioni dello stesso evento e la lente potrebbe essere rappresentata proprio dal primo buco nero intermedio "osservato", quel che potrebbe essere la prova di come i buchi neri supermassivi possano essersi formati a partire da questi "semi" più piccoli. Secondo le statistiche, nei pressi della Via Lattea potrebbero esistere 46 mila buchi neri intermedi (Evidence for an intermediate-mass black hole from a gravitationally lensed gamma-ray burstNature Astronomy - 2021).

A inizio 2022 viene osservata l'evidenza di un oggetto compatibile con un buco nero con massa pari a centomila masse solari, totalmente in linea quindi con un buco nero di massa intermedia. Si trova all'interno della vicina Galassia di Andromeda, nell'ammasso stellare B023-G078 che - precedentemente ritenuto un globulare - dovrebbe essere un nucleo di una antica galassia acquisita da M31, con massa complessiva stimata in 6.2 miliardi di masse solari. Lo strumento che ha reso possibile la scoperta è l'Osservatorio Gemini con conferma da parte di Hubble Space Telescope. Dal moto degli astri è stato poi possibile dedurre la presenza di un oggetto centrale con la massa indicata (The Astrophysical Journal - “Detection of a 100,000 M⊙ black hole in M31’s Most Massive Globular Cluster: A Tidally Stripped Nucleus” - Renuka Pechetti et al.)

Buchi neri superleggeri

All'interno di un sistema binario , accompagnato da una gigante rossa (2MASS J05215658+4359220), è stato rinvenuto un buco nero la cui massa potrebbe essere troppo ridotta per poter appartenere alle categorie già note. Il sistema binario, contrariamente a quanto avviene di solito, non presenta l'emissione a raggi X tipica della sottrazione di materiale con conseguente accensione del disco di accrescimento ma lascia scoprire le proprie componenti esclusivamente in termini gravitazionali nei dati di Apache Point Observatory Galactic Evolution Experiment (APOGEE). Il sistema presenta un periodo di rotazione di 83 giorni e le masse stimate fanno registrare un buco nero compreso tra 2.6 e 6.1 masse solari, con picco di probabilità a 3.3. La massa minima per un buco nero stellare è fissata intorno alle 3.8-4 masse solari, quindi nella parte alta del range stimato il buco nero rientrerebbe nella categoria. Se la massa fosse confermata tra 2.6 e 3.3, invece, occorrerebbe rivedere classificazioni e modelli di morte stellare (Science - “A noninteracting low-mass black hole–giant star binary system” - di Todd A. Thompson et al.).

Buchi neri primordiali

Contrariamente ai buchi neri di massa stellare, derivanti dal collasso gravitazionale, e a quelli più massivi, legati a processi ancora da accertare, il modello cosmologico prevede la possibilità di buchi neri primordiali, forme ipotetiche di buchi neri risultanti dalla densità elevatissima dell'universo appena nato e da fluttuazioni di densità locali tali da alterare la distribuzione di materia. Questi buchi neri primordiali (PBH) potrebbero rappresentare tutta o parte della materia oscura , essere responsabili di alcune onde gravitazionali e seminare buchi neri supermassicci al centro delle galassie, ma potrebbero anche avere un ruolo nella sintesi di elementi pesanti durante le collisioni con stelle di neutroni.

Alcuni studi speculativi mostrano come i buchi neri primordiali possano essere stati creati da piccoli universi creatisi durante la fase di inflazione, durante la quale questi piccoli universi avrebbero potuto diramarsi dal nostro prima di collassare rilasciando una grande quantità di energia tale da creare, appunto, un buco nero. Se questi universi fossero più grandi di una certa soglia, la Relatività consentirebbe di esistere anche in uno stato diverso in base alla posizione, interna o esterna, dell'osservatore: un osservatore interno lo percepirebbe come un universo in espansione mentre uno esterno (come noi) lo vedrebbe come un buco nero. Primordiale, appunto. Una prova potrebbe venire, teoricamente, dal Subaru e dalla sua Supreme Cam visto che è in grado di osservare interamente la galassia di Andromeda ogni pochi minuti: se un buco nero primordiale passasse davanti alla galassia M31 genererebbe una microlente gravitazionale captabile. A oggi esiste un evento coerente con un buco nero primordiale generato da questo possibile "multiverso", con massa paragonabile a quella lunare (Alexander Kusenko et al, Exploring Primordial Black Holes from the Multiverse with Optical TelescopesPhysical Review Letters - 2020). 

Secondo la Relatività Generale il più piccolo buco nero primordiale dovrebbe essere già evaporato ma un modo per rilevare buchi neri primordiale potrebbe essere proprio l'osservazione della radiazione di Hawking ma si tratta di una radiazione molto debole (eccetto il caso dell'ultimo burst gamma) e difficile da osservare. Ad oggi non c'è alcuna evidenza di buchi neri primordiali, anche se molte teorie li chiamano in causa sotto diversi aspetti, anche come contributo alla materia oscura .

Il terzo run degli interferometri, molto proficuo, ha consentito l'elaborazione di un nuovo catalogo e una determinazione più precisa della distribuzione delle masse dei buchi neri, la quale non segue una legge di potenza. Proprio le deviazioni da questa legge aiuteranno a comprendere il processo di formazione dei buchi neri (“GWTC-2: Compact Binary Coalescences Observed by LIGO and Virgo During the First Half of the Third Observing Run” - Ligo e Virgo).

Le masse in gioco nelle fusioni di buchi neri registrate. Crediti: Ligo-Virgo / Northwestern U / Frank Elavsky e Aaron Geller
Le masse in gioco nelle fusioni di buchi neri registrate.
Crediti: Ligo-Virgo / Northwestern U / Frank Elavsky e Aaron Geller

 

Ultimo aggiornamento del: 29/01/2022 18:11:15

Evaporazione dei buchi neri

Processi legati alla fluttuazione quantistica possono portare i buchi neri a una perdita di massa con conseguente aumento di temperatura. Il buco nero finirebbe così per evaporare in un burst gamma finale. Radiazione di Hawking sperimentata nel 2016

Nulla fugge a un buco nero ma nel 1974 Stephen Hawking dimostrò come, teoricamente, i buchi neri possano essere descritti dalle leggi della termodinamica, con la conseguenza che anche i buchi neri siano in possesso di temperatura ed entropia giungendo alla conclusione ultima per la quale dovrebbe esistere una radiazione di particelle subatomiche con implicita perdita di massa , visto che energia e massa sono equivalenti. La radiazione dovrebbe essere equivalente a quella emessa da un corpo nero con temperatura inversamente proporzionale alla massa del buco nero

Il processo con il quale il buco nero emette radiazione è definito Entaglement Quantistico e la radiazione è chiamata Radiazione di Bekenstein-Hawking o più comunemente Radiazione di Hawking. Per fluttuazione quantistica, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg , uno spazio vuoto è caratterizzato da un continuo apparire e sparire di coppie di particelle-antiparticelle che nascono e si annichilano tra loro. Come approssimazione del discorso, può quindi capitare che la coppia di particella-antiparticella venga a formarsi a cavallo dell'orizzonte degli eventi, con la conseguenza che una particella riesca a sfuggire al buco nero mentre l'altra ne venga risucchiata. Per rispettare il principio di conservazione di energia complessiva, quest'ultima particella deve annichilirsi all'interno dell'orizzonte degli eventi generando una "evaporazione". A un osservatore esterno sembrerebbe vedere una particella provenire dal buco nero.

Rappresentazione della radiazione di Hawking. Crediti INFN
Didascalia

Contrariamente alla radiazione di corpo nero , tuttavia, la radiazione termica del buco nero soddisfa esattamente la Legge di Planck mentre la radiazione del corpo nero la soddisfa soltanto in media. In questo modo, mentre la radiazione termica trasporta informazioni sul corpo sorgente, la radiazione di Hawing non trasporta alcuna informazione dipendendo soltanto da massa, spin e carica (il buco nero non ha capelli o "no-hair theorem" o ancora teorema dell'essenzialità). In pratica, due buchi neri con questi tre parametri uguali non possono essere distinti tra di loro in base ad altre caratteristiche (come potrebbero essere i capelli per gli umani, appunto) I buchi neri estremi, quelli cioè in possesso della massima carica possibile o che ruotano alla massima velocità possibile, possono avere proprietà aggiuntive misurabili rappresentate da un campo scalare privo di massa che potrebbe rappresentare "capelli permanenti". Nei primi anni Settanta Jacob Bekenstein (1947 - 2015)  il quale dimostrò l'esistenza di una quantità massima di informazioni immagazzinabile in un volume e come questa quantità dipenda non dal volume ma dall'area della superficie che lo racchiude - provò l'impossibilità dell'esistenza di campi scalari come "capelli", fornendo un set di assunti delle proprietà impossibili da associare ai campi scalari stessi. Da allora diverse ricerche hanno scoperto esempi di campi scalari ma tutte violano le assunzioni di Bekenstein. Secondo Angelopoulos, Aretakis e Gajic, però, buchi neri estremi dal punto di vista della carica possono avere dei capelli permanenti consistenti di un campo scalare privo di massa e osservabili anche a grandi distanze, una situazione che non viola nessuno degli assunti di Bekenstein (non si tratta del campo scalare stesso, ma di un certo integrale su un derivato del campo scalare da calcolare sulla superficie del buco nero e quindi sull'orizzonte degli eventi). Questi nuovi "capelli" possono essere osservati a grande distanza ma la misurazione diventa precisa esclusivamente a tempi infiniti e, si ribadisce, vale per buchi neri perfettamente estremi (non quasi estremi). Buchi neri "quasi estremi" come Gargantua nel film Interstellar possono avere questi "capelli" in via esclusivamente temporanea ma se provassero a farli ricrescere in via permanente come i buchi neri totalmente estremi finirebbero con il divenire di nuovo "calvi" (Lior M. Burko et al, Transient scalar hair for nearly extreme black holesPhysical Review Research - 2019).

Il fatto di perdere ogni informazione andrebbe a violare la seconda legge della termodinamica, il che ha portato lo stesso Hawking a tentare alcune soluzioni al paradosso. Man mano che il buco nero perde massa, la sua temperatura aumenta in modo esponenziale con la conseguenza più probabile che il buco nero stesso veda la propria fine dissolvendosi in un violento burst a raggi gamma nel momento in cui la massa e la dimensione si avvicinino alla massa e alla lunghezza di Planck.

Sembra tutto molto teorico ma in realtà la Radiazione di Hawking è stata dimostrata a Agosto 2016 dal prof. Jeff Steinhauer dell'Istituto Israeliano di Tecnologia di Haifa. Nell'impossibilità di riprodurre un buco nero cosmologico, è stato ricreato un buco nero acustico, funzionante con il suono al posto della luce tramite il condensato di Bose-Einstein . La temperatura è stata portata ai limiti dello zero assoluto mentre la materia è stata agitata molto velocemente per riprodurre l'orizzonte degli eventi. Ciò che è risultato è una correlazione tra particelle ad alta energia delle coppie formatesi da Entaglement quantistico, con valore energetico uguale e contrario in posizioni equidistanti dall'orizzonte degli eventi riprodotto. Al di fuori dell'orizzonte sono state osservate energie costituenti le onde sonore (fononi). I fononi caduti all'interno avevano energia negativa, come previsto, mentre quelli fuggiti avevano energia positiva. La particella fuggita, inoltre, conservava per entaglement quantistico informazioni riguardanti la particella inghiottita il che potrebbe essere una base per la risoluzione del paradosso dell'informazione.

 

 

 

Ultimo aggiornamento del: 30/04/2020 12:00:52